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Autore: Paradorn    03/09/2007    1 recensioni
Tra le mura di Hogwarts, la situazione si fa sempre più insostenibile per gli studenti, che sono costretti a subire le prepotenze di un gruppo di Serpeverde. Tra vecchi insegnanti e nuovi ragazzi, un giovane Grifondoro si troverà, suo malgrado, al centro di tutto questo e dovrà fare affidamento sulla sua fortuna, sul suo sarcasmo e sugli interventi del suo misterioso protettore, per superare incolume (più o meno) il suo anno scolastico.
Genere: Commedia, Azione, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1. Piccolo

Il primo pugno mi colpisce dritto al fianco facendomi sputare l’aria dai polmoni. Non faccio neanche in tempo a sorprendermi che una mano mi afferra saldamente da dietro il collo e mi tiene in piedi. Nel frattempo il pugno torna spietato sulle mie costole e una serie di flash luminosi esplode davanti ai miei occhi per il dolore.
Altra scarica di pugni, seguita da un’altra scarica di flash.
I miei fianchi reclamano pietà con un brontolio sommesso e la mano d’acciaio che mi tiene stretto finalmente molla la presa e io cado giù sul pavimento di pietra come un sacco vuoto, nonostante abbia l’impressione che il mio corpo pesi una tonnellata.
Una voce mi sibila all’orecchio.
“Questo succede a chi si impiccia degli affari degli altri.”
La frase è seguita da un bel calcione nello stomaco che mi rivolta come un calzino. Mentre mi rotolo a terra per il dolore, vedo le caviglie di quei bastardi allontanarsi velocemente.
“Ah se si potessero riconoscere le persone dalle caviglie!” penso, ma non faccio in tempo a finire di imprecare che già sento il buio avvolgermi. Sbatto un paio di volte le palpebre e riesco a vedere nella foschia del mio vicino svenimento un viso a pochi centimetri dal mio. Avverto a malapena un braccio che cerca di sollevarmi circondandomi le spalle, poi lascio che la stanchezza si riprenda il mio corpo e con lui i miei pensieri.

Quando mi risveglio sono steso su un letto che non riconosco, in una stanza che non riconosco.
Stranamente mi sono svegliato lucidissimo. Ho un ricordo nitido di ciò che mi è successo prima di svenire e il mio sguardo è già vigile, mentre si inoltra nelle pieghe della stanza, con la pretesa di poter vedere anche attraverso il legno e la pietra.
Una lampada da tavolo accesa è l’unica fonte di luce della stanza. Dalla finestra aperta proviene solo una fioca fosforescenza che mi informa che è sera, forse notte. Devo aver dormito parecchio, perché prima che quei 2 gorilla si abbattessero su di me erano appena le 3 del pomeriggio.
La stanza è incredibilmente semplice, assolutamente essenziale, quasi spartana. Il letto nel quale mi trovo in realtà è una specie di brandina trasportabile che mi ricorda i campeggi della mia infanzia con i miei amici, quando vivevamo costantemente divorati dentro dalla nostra fame e fuori da quella delle zanzare.
Sto cercando di alzarmi dal letto, tentando di ignorare le leggere fitte ai fianchi, regalo delle già citate mani di fata (o dovrei dire ‘pugni’ di fata?) di questo pomeriggio, quando la porta della stanza si apre e mi rivela finalmente il buon samaritano che ha portato me e i miei avanzi nella sua stanza.
Non posso dire di essere sorpreso. Una stanza così a Hogwarts poteva appartenere solo a una persona.
“Salve professore” dico sorridendo allegramente.
Severus Piton non sorride. Mi guarda con la sua solita espressione fredda e distaccata, con una punta di disprezzo (falsa!) che non guasta mai, e mi rivela la sua santa verità:
“Signor Trey, lei è la persona con meno giudizio che abbia mai conosciuto.”
“Grazie” dico io. Detta dal professor Piton, una frase del genere dovrebbe essere un complimento, immagino.
“Non è un complimento” si affretta lui a precisare.
Io sorrido e alzo le spalle.
“E’ il pensiero che conta” rispondo, e una strana smorfia gli compare sul volto. Non saprei dire cosa rappresenti quell’anomala contrazione dei muscoli facciali, ma la interpreto come una cosa positiva.
Sono 3 anni che mi aspetto sempre che un giorno Piton scoppi a ridere. Non è possibile per un essere umano stare costantemente seri e concedersi solo ghigni una volta ogni tanto. Per questo, mi adopero ogni giorno, almeno una volta a lezione, e anche oltre se necessario, affinché finalmente il suo viso venga agitato da una sana e vera risata.
Una volta gliel’ho perfino detto, durante la prima di due ore di pozioni.
“Professore io devo assolutamente ascoltarla ridere. E’ di vitale importanza per me.”
La sua voce era poi risuonata più calma del solito, perforando quel silenzio attonito che si era formato per alcuni secondi nella classe.
“Sono anni che non rido, signor Trey, e non sarà di certo lei a convincermi a riprendere quella pessima abitudine.”
E’ da allora che continuo a perseverare nel mio intento, convintissimo che un giorno ci riuscirò.
Piton, in ogni caso, a parte la smorfia sul viso, ignora la mia frase e prosegue per conto suo, facendo leva sulla sua arma preferita: l’ironia!
“E’ la terza volta questa settimana che i suoi compagni le dedicano una dimostrazione d’affetto così commovente, non è così?”
“Vero… e la settimana deve ancora finire!” dico continuando a sorridere allegramente.
Le conversazioni con il professor Piton mi divertono da morire e ho il sospetto che divertano anche lui, perché non perde mai l’occasione per iniziarne una.
“Già, ma se continua così, signor Trey, dubito che lei riesca ad arrivare a domenica…”
“Senta professore” lo interrompo “ne abbiamo già parlato, no?”
E’ vero, ne abbiamo già parlato. E’ dall’inizio dell’anno scolastico, due mesi fa, che lui e gli altri insegnanti cercano di convincermi a cambiare atteggiamento, ma la risposta è sempre la stessa. Non posso!
“Le sono grato di avermi aiutato, ma non si deve preoccupare. Non le fa bene alla salute” riprendo tra il deciso e il divertito dirigendomi verso la porta, sotto la sua occhiata inceneritrice.
Solo a me permette simili frasi. Posso affermare di essere il suo alunno preferito di sempre!
“Ora si metta a letto, al calduccio sotto le coperte e faccia sogni d’oro. Buona notte.”
E chiudo immediatamente la porta dietro di me per non dargli la possibilità di urlarmi dietro o peggio ancora di tirar fuori la bacchetta.
Sono il suo alunno preferito, è vero, ma non ci penserebbe due volte a lanciarmi una qualsiasi delle maledizioni senza perdono!
Svolto a destra per il corridoio e ritorno velocemente alla mia sala comune, dopo aver salutato la Signora Grassa che mi sorride gentilmente, perché per una volta era sveglia e non le ho dovuto urlare in un orecchio per entrare.
Ci sono ancora una decina di persone sparse tra i tavolini e i divanetti della sala comune di Grifondoro. Sollevano lo sguardo dai loro libri o dal fuoco puntandolo svogliatamente su di me. Un po’ di interesse passa nei loro occhi appena mi riconoscono, alcuni mi salutano, ma tornano quasi subito alle loro faccende, eccetto una persona.
Lo zio mi viene incontro con aria insieme severa e preoccupata.
“Ehi piccolo, come stai? La McGranitt ci ha detto che hai fatto un altro brutto incontro per i corridoi.”
“Niente di particolare, zio, i soliti tipi i cui pugni volevano frequentare un po’ le mie costole, ma lo sai che io non mi concedo a chiunque… almeno di solito!” sghignazzo. “Stavolta è andata così, ma la prossima volta non sarò io a finire svenuto sul pavimento!”
Ames White mi guarda con i suoi grandi occhi castani, mentre probabilmente riflette sulle mie disgrazie, sempre più frequenti quest’anno.
Soprannominato da tutti lo zio White, ma chiamato apertamente in questo modo solo da me, Ames è il più vecchio diciottenne che si possa avere la fortuna (o sfortuna, dipende dai casi…) di incontrare. Ha il viso segnato dalle intemperie della vita, la voce profonda che sembra provenire ovattata dalle profondità marine e lo sguardo di chi ha già visto molte cose, cose irripetibili a quanto spiega lui ogni volta che gli si pone una domanda sulla sua vita fuori Hogwarts. Praticamente solo con me ogni tanto si è sbottonato e dopo pochi aneddoti avevo già capito che la sua faccia non riflette neanche la metà dei suoi veri anni.
Lo zio, fin da 4 anni fa, al mio arrivo alla scuola di magia, mi ha preso sotto la sua ala. E che ala!
E’ un armadio di un metro e novanta, con corti capelli neri che sta già cominciando a perdere (come non la smetto di ricordargli io) e uno strano pizzetto che si unisce ai basettoni per mezzo di una sorta di voluta. La sua pelle sembra più corteccia che altro e io ormai ho diffuso in giro la voce che in realtà è stato creato da un falegname piuttosto megalomane, che deve aver scelto legno di quercia come materiale.
“Ma che tipo è?!” direte sconcertati voi, ma l’unica cosa che vi posso dire, è che a prima vista fa davvero paura.
Inoltre, la leggenda (per altro vera) che lo vuole “la bacchetta più veloce di Hogwarts” lo rende ancora più temibile.
E rendeva me praticamente intoccabile… almeno fino all’anno scorso.
Purtroppo quest’anno è quasi interamente occupato dalla sua preparazione ai MAGO e neanche una (no, dico, neanche una! UNA!) delle nostre ore libere corrisponde. Questa spiacevole coincidenza (o non coincidenza se preferite) ha concesso ai miei innumerevoli ammiratori (che però lasciano a me gli autografi e non il contrario!) molti, anzi moltissimi più ‘incontri privati’ di quanti non ne avessi avuti negli scorsi quattro anni.
Ma è il fatto che l’anno prossimo Ames nemmeno ci sarà che mi fa pensare seriamente di lasciare Hogwarts con lui!
Lui sembra pensare la stessa cosa e mi lancia un’occhiata tra il pietoso e lo scazzato.
Io comprendo il suo sguardo e lo tranquillizzo.
“Dai non farne un dramma! Piuttosto zio…” cerco di cambiare argomento, “come è andata a te la giornata? Non avevate una specie di esame tu e Hèk?”
Lui mi accontenta e ci mettiamo a parlare della sua situazione scolastica. Oggi ha fatto una verifica scritta e pratica in incantesimi. Il vecchio professor Vitious non vorrebbe fare brutte figure con gli esaminatori per i MAGO, così ha deciso di testare le conoscenze del settimo anno e di cercare di aiutare gli studenti con più lacune. Ames non è tra questi per fortuna, perché aveva passato tutta la settimana ad ammazzarsi sui libri.
Un paio di studenti ci guardano male quando scoppiamo a ridere sonoramente per una delle nostre solite cazzate, ma poi lasciano stare.
Ames è un po’ lo zio di tutti tra i Grifondoro. Si può anche dire che ne è il capo indiscusso.
“Ahi, piccolo” comincia mentre la risata viene inghiottita tra le sue enormi mandibole decorate da volute di peli, “quand’è che prenderai un po’ di buon senso?”
Eccola. Ogni sera, alla stessa ora, immancabile, la paternale del vecchio White.
E’ una tradizione ormai. Lui seduto sulla sua bella poltrona e io davanti a lui, pendendo dalle sue labbra. Perché è vero che ogni sera mi fa il suo discorsetto sullo stesso argomento, ma il divertimento sta nel fatto che ogni volta adduce motivazioni diverse, per le quali io dovrei ‘mettere un po’ di sale in zucca’.
Ogni sera quindi non aspetto altro che sentire la sua nuova trovata per ‘tirarmi fuori dai guai’.
E qui forse è il caso di spiegarvi quali sono i guai dai quali lo zio vorrebbe tirarmi fuori. Perché avrete certamente capito che non sono proprio unanimemente ben voluto dagli altri studenti, però non sapete il perché. In realtà neanch’io l’avevo capito all’inizio.
E c’è voluto Ames, che a quei tempi, il mio primo anno, era zio solo di fatto, ma non ancora di nome.
Una sera mi ha beccato tutto solo, su una poltrona, con intorno il deserto in un raggio di 5 metri. Ero incazzato nero, perché non capivo come cavolo avevo fatto nel mio primo mese ad Hogwarts a farmi odiare da una buona metà di studenti.
“La verità è che non sembra importarti di niente, ragazzo” disse, sedendosi accanto a me, con voce calma e pacata.
E parla proprio così lo zio, chiamandoti “ragazzo” o meglio ancora “piccolo”, come se ti trovassi di fronte un ottantenne, un vecchietto, la saggezza in persona!
“Sei troppo diretto in tutto quello che dici, in quello che fai,” aveva continuato ignorando le mie occhiatacce di fuoco, “senza interessarti delle conseguenze. E se c’è una cosa che ho imparato delle conseguenze è che queste non si limitano a colpire solo la loro causa.”
E così mi aveva portato, tirandomi praticamente per un orecchio, in una stanza di ragazzi del terzo anno, dove uno studente particolarmente gracile se ne stava ritto davanti allo specchio circondato da qualche compagno più grande, mentre si dava una ripulita alla faccia gonfia per le botte e costellata qua e là da alcune ferite ancora aperte. Ames mi spiegò che praticamente c’ero io alla base di quel pestaggio e di una decina di episodi simili, andati a scapito di un po’ tutte le Case.
Io ero scioccato.
“La tua lingua è pericolosa, e la tua sfacciataggine la rende ancora più letale,” aveva proseguito lo zio sempre con la sua solita aria pacata, “ma la cosa più preoccupante è che finora tu non ne avessi idea.”
Io lo guardai colpevole, tormentato come quando da piccolo i miei mi beccavano con le mani in un sacco particolarmente sporco e pesante. Ma lui mi aveva sorriso, come ci si aspetta che facciano solo gli zii bonaccioni, che non sono in grado di tenere il broncio per troppo tempo ai loro nipoti.
“Ma non preoccuparti piccolo – il suo primo piccolo! – a tutto si può rimediare!”.
E in parte avevo rimediato. Mentre nel mio primo mese, ero odiato da metà degli studenti, e indifferente all’altra metà, dall’intervento di Ames, la situazione andò sempre meglio.
Oggi come oggi, gli unici dai quali sono odiato sono i Serpeverde. Ma il loro commovente sentimento nei miei confronti, bisogna dirlo, è aumentato a dismisura.
Perché, e lasciatemelo dire con una punta di orgoglio, io sono uno dei pochi ad oppormi alle loro prepotenze. E l’unico ad opporsi che non sia del settimo anno.
E questo argomento tocca molto in profondità le sensibili corde del vecchio White.
“E’ colpa nostra…” dice ogni volta che se ne parla, riferendosi a tutti i veterani. “Non siamo riusciti a fare quello che generazioni di Grifondoro hanno fatto prima di noi. Creare nuovi Grifondoro! E lo stesso vale per i Corvonero e i Tassorosso” e si infervorava a parlarne, spinto da una sorta di rabbia e delusione, mescolate in ugual misura. Io facevo del mio meglio per tirarlo su, ma d’altro canto non si poteva negare che in parte fosse vero. Nessun Grifondoro all’infuori del settimo anno infatti, faceva quello che aveva sempre contraddistinto i membri della Casa.
“Solo una cosa rende una persona un vero Grifondoro: avere coraggio!” ripeteva spesso lo zio. “Ma non c’è coraggio nell’abbassare la testa per non vedere e affrettare il passo per non essere… immischiati!” e sputava fuori l’ultima parola come fosse veleno.  
“Quando andremo via noi, resterai solo tu, piccolo… e questo mi preoccupa” aggiungeva alla fine con una nota di tristezza nella voce.
Non gli dico mai che preoccupa anche me.
Ed ora eccolo qui, pronto per la solita paternale, con la sua voce proveniente direttamente dalle profondità dell’oceano Atlantico.
“Jeremy – ah già, non vi avevo detto che è così che mi chiamo, Jeremy Trey -, tu sei un vero Grifondoro, ma sei anche uno stupido.”
Attacca così questa sera e io lo lascio fare. Deve ancora arrivare il giorno in cui mi offenderò per una qualsiasi parola dello zio.
“Non risolverai niente facendo da pungiball per quei serpeverde. Prenderai solo botte.”
Mi lascio cullare da quella voce che sa di corallo e sabbia, ma non mi concedo al sonno. La parte migliore deve ancora arrivare.
Ma qui Ames mi prende completamente di sorpresa. Sospira stancamente, poi si stropiccia gli occhi con le mani e resta in silenzio per qualche minuto, ma questo silenzio ha il peso di un macigno.
“Questa è l’ultima sera che affrontiamo il discorso. Nessuna mia parola potrebbe mai convincerti, perché tu sai che non sarebbe vera. Fai bene piccolo a tenere testa a quei porci.”
Quelle frasi mi riempiono di un orgoglio smisurato e io mi sorprendo a non esplodere dalla gioia. Ma lui deve aver capito, perché mi guarda fisso negli occhi, appoggiandomi una mano sulla spalla e aggiunge forse la frase più bella che avrebbe mai potuto pronunciare: “E io sono fiero di te.”
Non mi lascia il tempo di dire niente, perché solleva l’armadio che si ritrova al posto del corpo dalla sua poltrona, si raddrizza sulle gambe stiracchiandosi e riprende a parlare.
“Adesso andiamo a dormire, ché domani sarà una giornatina per nulla leggera.”


Fine primo capitolo




Note dell'autore:
Ringrazio infinitamente lo zio Stojilkovicz e lo zio Thian, dalle cui costole è nato Ames White, uno zio ben meno saggio dei suoi padri.
Ringrazio anche Clara, il cui velluto si presterà agli usi della mia Hermione Granger… ahimè con ben meno fascino di quanto facesse con la sua originaria padrona.
E un immenso “Merci” va a Benjamin, il cui puzzo di capro si è trasmesso in parte al protagonista di questa storia (fortunatamente per lui!). 
Chi ha letto l’irraggiungibile eroe della letteratura francese, sa…
  
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