Visto che oggi è San Valentino voglio fare un piccolo regalo alle mie lettrici affezionate: è la festa dell'amore, mica solo degli innamorati, quindi vale per l'amore in qualsiasi forma.
Non è nulla di che, solo una piccola one-shot che spero vi faccia sorridere e magari sognare un po', che non guasta mai :)
La città dell’’amore
“
I
ragazzi che si amano si baciano in piedi contro
le porte della notte,
e
i passanti che passano li
segnano a dito.
Ma
i ragazzi che si amano
non
ci sono per nessuno…
essi
sono altrove molto più
lontano della notte,
molto
più in alto del giorno.
Nell’abbagliante
splendore… del loro primo amore…
Chi
ama, Baci!
“
Riccardo se
ne era andato ormai da tre mesi. In bagno non c’erano
più il suo spazzolino, i
suoi panni da lavare, le sue scarpe fuori dalla finestra e i calzini
sparsi per
la camera: se ne era andato senza lasciare alcuna traccia della sua
presenza, come se così facendo io mi fossi potuta illudere
di non averlo mai avuto accanto.
Avevo lasciato vuota la sua parte di armadio, nella speranza che
quel piccolo gesto di attenzione nei suoi confronti, prima o poi, lo
avrebbe
fatto tornare da me, anche se lui non lo sapeva: forse nella mia
stupidità
credevo che in qualche modo potesse ricevere un segno e tornare da me.
L’avevamo
scelto insieme, quell’armadio, così come il resto
dell’arredamento e
quell’appartamento in affitto con un grande terrazzo inondato
dal sole, “
Perché il sole ti fa spuntare le lentiggini sul naso,
facendoti sembrare una
bimba discola. ” diceva sempre.
Erano
passati tre anni da quando avevamo deciso di andare a vivere insieme.
Eravamo
innamorati e pieni di entusiasmo. Lo avevo conosciuto in occasione di
un mio
viaggio: ero andata a Firenze per trovare mia nonna, abitare in due
continenti
diversi non ci consentiva di vederci spesso, e così avevo
deciso di passare
tutte le vacanze estive lì con lei. Riccardo era il figlio
dei vicini, mia
nonna me lo aveva presentato il giorno dopo il mio arrivo sperando che
diventassimo amici, in modo da avere un punto di riferimento durante
quei tre
mesi in una città a me semisconosciuta, e invece
c’eravamo innamorati. E invece
ci eravamo innamorati, e io avevo deciso di trasferirmi lì
in pianta stabile, abbandonando
i miei genitori e la mia città per seguire l’amore.
Che cosa ci
sia successo dopo, fatico ancora oggi a capirlo.
Ricordo
ancora quella sera in cui Riccardo mi propose di uscire a mangiare
qualcosa nel
nostro ristorante giapponese preferito. Erano diverse settimane che lui
era
strano, scostante, distratto. Forse, quel suo invito, era il suo modo
per
chiedermi scusa per avermi un po’ trascurata.
Mi aspettavo
una cena romantica e invece...
“ Devo dirti
una cosa… ” Mi disse a un tratto il mio ragazzo,
appena dopo l’antipasto.
“ Certo
amore, sono tutta orecchie… ”
“ Isabella,
ecco, io… scusami ma non ti amo più. ”
Ero sicura
di non avere capito bene. Invece la verità stava tutta in
quelle quattro
parole: non ti amo più.
Mi sono
sentita morire quella sera, come se mi avessero sparato dritto al cuore.
Riccardo, il
mio Riccardo, si era innamorato di un’altra.
Forse, un
giorno, lo ringrazierò per non avere tenuto il piede in due
scarpe, per non
avermi mentito. Eppure, quando mi annunciò che se ne sarebbe
andato da casa
nostra, avrei voluto attaccarmi a lui con la forza della disperazione e
dirgli
che, forse, si stava sbagliando…
Lo squillo
del telefono mi distolse da quei pensieri tristi, causati forse
dall’avvicinarsi della festività degli innamorati.
“ La
signorina Isabella Swan? ”
“ Sono io,
mi dica. ” Risposi senza troppo entusiasmo.
“ Sono Erika
di Caronte Tourist. Le annuncio con piacere che lei ha vinto il primo premio! ”
“ Il primo
premio? E di cosa? ”
“ Del nostro
concorso. Un viaggio di 9 giorni e 7 notti a New York per due persone
il
prossimo San Valentino. ”
“ Come? Ma
io non ho partecipato a nessun concorso. ” Quasi urlai, non
ero dell’umore
adatto per scherzare.
“ Lei non è
la signorina Isabella Swan, che abita in via del bosco 55? Qui ci
risultano i
suoi dati, ha compilato la nostra cartolina in occasione della fiera
delle
agenzie di viaggio della sua città, circa sei mesi
fa… ”
La mia
memoria ebbe un fremito. Era l’ultima fiera a cui ero andata
insieme a
Riccardo. Una di quelle in cui si torna a casa con la borsa piena di
depliant e
cataloghi. Sicuramente, in quella giornata, avevo compilato di tutto.
Avevo
lasciato i miei dati a mezzo mondo, certa che non avrei mai vinto nulla.
“ Oh, ora
sì, ricordo. ” Cercai di essere credibile, anche
se non avevo il minimo ricordo
di aver mai compilato una cartolina della loro agenzia. “ E
che dovrei fare?
Cioè, dove sta il trucco? ”
“ Si è
trattata di una regolare estrazione alla presenza di un notaio. Se lei
accetterà il premio, le invieremo per raccomandata i
biglietti aerei e la
prenotazione dell’albergo. Accetta? ”
“ Sì, certo.
” Risposi di getto: in fondo l’occasione era
parecchio ghiotta e sarei stata
una stupida a lasciarmela sfuggire. Andare a New York, e per giunta per
San
Valentino, era sempre stato il sogno mio e di Riccardo e quel premio,
proprio
ora che ci eravamo lasciati, suonava come una beffa. Tuttavia, mi era
capitato
un colpo di fortuna e decisi di non rinunciare al viaggio.
“ Allora,
gentilmente, dovrebbe comunicarmi per e-mail i suoi dati e quelli
dell’altra
persona entro la prossima settimana. ”
Avrei chiesto
ad un’amica di venire con me, ma a quanto pare la cosa
risultò più difficile
del previsto perché tutte erano impegnate con i propri
partner, naturalmente, e
nessuna avrebbe rinunciato a passare San Valentino lontana dal suo uomo
anche
se la meta era New York.
Alla fine
scrissi quella e-mail, inserendo i miei dati e specificando di essere
single:
ci sarei andata da sola nella Grande Mela.
Quando
arrivai all’aeroporto mi resi subito conto che si trattava di
un viaggio di
gruppo. All’imbarco c’erano una ventina di persone
di tutte le età, tutti in
coppia, innamorati ed elettrizzati al pensiero di passare nove giorni
al di là
dell’oceano.
“ Buongiorno
a tutti! ” Ci salutò un ragazzo alto, dai capelli
rossicci e gli occhi chiari.
“ Mi chiamo Edward e sarò la vostra guida a New
York. Potete rivolgervi a me
per qualsiasi esigenza. Sono a vostra disposizione. Vi auguro un buon
viaggio.
”
Edward era
davvero un bel ragazzo, sorridente e gentile con tutti e i suoi modi
affabili
erano già riusciti a farlo entrare nelle grazie di alcuni
viaggiatori, che lo
chiamavano a destra e sinistra per avere delucidazioni su quello che ci
avrebbe
aspettati una volta atterrati.
Il volo fu
molto tranquillo, almeno per me. Mi misi le cuffie dell’Ipod
nelle orecchie,
iniziai un libro di 600 pagine e mi addormentai, pronta a svegliarmi in
un
altro continente.
Aprii gli
occhi sopra alla Baia di Hudson, quando l’aereo stava
scendendo per atterrare
all’aeroporto JFK di New York. I miei compagni di viaggio
scattavano foto a ripetizione
fuori dal finestrino e il loro entusiasmo divenne incontenibile alla
vista
della Statua della Libertà.
Io, invece,
forse avevo preso la decisione sbagliata: mi trovavo lì,
sola, in mezzo a dieci
coppiette che sembravano essere uscite da un romanzo harmony e il mio
umore,
già parecchio triste, era decisamente nero.
Una volta
scesi dall’aereo, salimmo su un pulmino per essere sistemati
in albergo. Prima
però facemmo colazione. Ordinai un caffè, mentre
i miei compagni
familiarizzavano con le abitudini americane. Al posto del mio espresso
abituale, il cameriere mi portò un enorme bicchiere di carta
con una cannuccia.
“ avevo
chiesto un caffè, non una coca-cola. ”
“ Yes,
coffee, american coffee. ”
“ Ah ecco,
un beverone. ” Per i prossimi novi giorni mi sarei dovuta
accontentare, non
potevo certo pretendere che loro riuscissero a fare un caffè
degno di questo
nome.
Alla
reception ritirai la chiave e raggiunsi la camera che mi era stata
assegnata,
una bella stanza luminosa a due letti con vista su Central Park. Buttai
il
trolley su uno sgabello e decisi subito di fare una doccia per
riprendermi dal
jet-lag.
Mi lasciai
avvolgere dall’abbraccio dell’acqua calda e
dall’aroma del mio sapone alla
fragola. Ero a New York, la città delle
opportunità e dovevo godermela fino in
fondo, dovevo divertirmi. Indossai uno dei due soffici accappatoi
appesi in
bagno, strofinandomi contro la morbida spugna, e poi andai in camera
per aprire
la valigia e scegliere qualcosa di comodo da indossare in quella
giornata di
sole.
A un tratto
la porta si spalancò. Di riflesso cacciai un urlo tra il
sorpreso e il
terrorizzato e la persona di fronte a me si bloccò
all’istante.
“ Ma tu sei Edward,
la guida. ” Esclamai sbigottita. Il ragazzo
diventò tutto rosso dall’imbarazzo.
“ Scusami,
devo aver sbagliato stanza. ”
Diede una
rapida occhiata alla chiave che aveva in mano, poi alla porta.
“ Eppure
questa è la stanza numero 18. ” Disse perplesso,
continuando ad osservare alternativamente
la porta e la chiave come se da quelle avesse potuto ottenere risposta.
“ Anche io
ho la stanza 18. Anzi questa è la stanza 18. ”
“ Mi
dispiace, devono avere fatto un errore giù alla reception.
Vado subito a
rimediare. ”
Mi sorrise e
gli occhi verdi gli si illuminarono: questa volta fui io ad arrossire.
Raggiunsi Edward
pochi minuti dopo e vidi che il gruppo, ciarliero e chiassoso, era
già pronto
per la prima escursione della giornata. Mi avvicinai a lui curiosa di
sapere
come fosse stata risolta la cosa.
“ Hai
risolto la faccenda della stanza? ”
“ Ho fatto
presente la cosa, vedranno che cosa possono fare. ” Mi
rispose, con un
espressione però che mi fece capire che dubitava che la
questione potesse essere
risolta così facilmente.
Alla fine
della giornata tornammo tutti in albergo, esausti.
Io e Edward
ci avvicinammo alla reception e lui chiese all’impiegata le
chiavi della sua
nuova stanza.
“ Mi
dispiace, c’è stato un errore all’atto
della prenotazione. Purtroppo non abbiamo
stanze libere: siamo pieni di gruppi e di coppie per San
Valentino… ” Si scusò
la ragazza, sembrando, o fingendo di esserlo, seriamente mortificata.
“ Non
importa, cercherò un altro albergo. ” Disse
accondiscendente Edward, come se fosse
abituato a problemi di questo tipo e forse era vero dato il suo lavoro.
“ Sono
desolata Mister… ”
“ Come? ”
Intervenni a quel punto. “ A quest’ora? Sono le
undici di sera! Senti Edward,
se per te non è un problema, questa notte potrai dormire nel
letto accanto al
mio. Cercherai un altro hotel domattina.
”
Lui mi
guardò e sorrise e per la seconda volta il mio viso divenne
paonazzo: non avevo
mai visto un sorriso tanto bello e strano come il suo, sembrava
sorridesse solo
con mezzo lato della bocca, ma ciò rendeva il suo sorriso
più intrigante invece
che farlo sembrare difettoso.
“ No, nessun
problema. Se non lo è per te, Isabella. ”
“ Ti ricordi
il mio nome? ” Chiesi sorpresa.
“ Certo, sei
la ragazza ‘single’. Io mi ricordo tutti i nomi
delle persone dei gruppi che
seguo, fa parte del mio lavoro. ”
Ecco, la mia
guida mi aveva catalogata come “ la ragazza single
”, quella sola senza
fidanzato. Senza aggiungere altro, ci dirigemmo insieme verso la camera
18.
Sperai, in quel momento, che nessuno mi vedesse entrare nella mia
stessa stanza
insieme alla guida o domani saremmo stati sulla bocca di tutti.
“ Non ti
preoccupare ” mi disse Edward appena entrati, “ Non
sono uno che salta addosso
alla ragazze. Anche perché ne ho una che mi aspetta a casa.
”
Ma certo,
come poteva quella meraviglia di uomo essere libero? Chissà
cosa avrebbero
pensato le altre
Edward aveva
ragione sulla magia di New York.
Essendo l’unica
single, io e lui trascorrevamo moltissimo tempo insieme in giro per la
metropoli. Durante le giornate libere dal gruppo, mi mostrò
i lati più belli e
inediti della città: prendemmo il traghetto per Ellis
Island, andammo a correre
e in barca a Central Park. Ci facemmo una foto accanto alla sagoma di
Donal
Trump nell’atrio della Trump Tower, andammo a caccia di vip
nell’Upper East
Side e ci trovammo persino nel bel mezzo del set di un noto serial
televisivo.
Cominciava a
piacermi davvero la Grande Mela.
E anche Edward.
Forse, più di quello che mi fosse concesso e per questo non
dovevo farmi strane
idee.
“ Domani
sarà l’ultimo giorno. Che ne dici di salire
insieme sull’Empire State Building,
per salutare la città? ”
“ Penso che
sia una magnifica idea. ” Gli risposi di getto.
Il giorno
dopo ci trovammo lì, tra il cielo e la terra. Nel giro di 24
ore sarei tornata
nella mia casa senza nessuno ad aspettarmi, senza Edward accanto, senza
le
nostre chiacchierate prima di addormentarci né le
barzellette raccontate a
colazione, senza turni per la doccia… A un tratto sentii il
suo braccio
cingermi le spalle.
“ Non è
magnifico da quassù? Io ci vengo sempre quando vengo in
questa città: puoi
vedere tutta Manhattan con la sua baia, il New Jersey, il Connecticut,
il
Massachusetts e la Pennsylvania. Amo New York. Chissà,
potrei anche decidere di
viverci, un giorno. ”
“ Hai
ragione, è veramente meravigliosa. Prima ero un
po’ scettica, non ho mai
provato molta simpatia per questa città, era più
che altro il sogno del mio ex
ragazzo venirci, ma tu sei riuscito a farmela entrare dentro, facendomi
passare
dei bellissimi giorni. Quindi grazie. ” Mi voltai verso di
lui e li sorrisi
riconoscente: non sapevo come sdebitarmi con lui, così
sperai che cogliesse
tutta la mia gratitudine in quelle parole e nel sorriso che gli stavo
rivolgendo. Lui ricambiò il sorriso, poi mi
guardò dritta negli occhi e e in
quel momento seppi cosa stava per accadere, ma non avevo né
la voglia né la
forza di spostarmi. Chiusi gli occhi quando le sue labbra sfiorarono le
mie e mi
lasciai andare.
Fu un bacio
intenso e dolcissimo.
Quando fummo
in debito d’ossigeno, mi staccai da lui controvoglia,
contenta e confusa allo
stesso tempo.
“ Ma non
avevi detto che c’era una ragazza ad aspettarti a casa? Io
non voglio essere il
terzo incomodo. ”
“ Era una
bugia, per poter dormire accanto a te… spero che mi
perdonerai. ” Io rimasi
basita, non sapevo cosa dire; lui prese il mio volto fra le sue mani e
mi baciò
di nuovo, vincendo ogni mia resistenza.
Naturalmente
Edward è stato perdonato. Ma io glielo ricordo sempre, ogni
anno, quando, per
festeggiare San Valentino, saliamo sull’Empire State Building
per ringraziare
la città che ci ha fatto innamorare.
E dove, ora,
viviamo insieme.