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Autore: pallina90    14/02/2013    10 recensioni
“ No, nessun problema. Se non lo è per te, Isabella. ”
“ Ti ricordi il mio nome? ” Chiesi sorpresa.
“ Certo, sei la ragazza ‘single’. Io mi ricordo tutti i nomi delle persone dei gruppi che seguo, fa parte del mio lavoro. ”
Ecco, la mia guida mi aveva catalogata come “ la ragazza single ”, quella sola senza fidanzato.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Buongiorno!
Visto che oggi è San Valentino voglio fare un piccolo regalo alle mie lettrici affezionate: è la festa dell'amore, mica solo degli innamorati, quindi vale per l'amore in qualsiasi forma.
Non è nulla di che, solo una piccola one-shot che spero vi faccia sorridere e magari sognare un po', che non guasta mai :)


                       La città dell’’amore

 

I ragazzi che si amano si baciano in piedi contro le porte della notte,
e i passanti che passano li segnano a dito.

Ma i ragazzi che si amanonon ci sono per nessuno…
essi sono altrove molto più lontano della notte,
molto più in alto del giorno.

Nell’abbagliante splendore… del loro primo amore…
Chi ama, Baci!

 

 

Riccardo se ne era andato ormai da tre mesi. In bagno non c’erano più il suo spazzolino, i suoi panni da lavare, le sue scarpe fuori dalla finestra e i calzini sparsi per la camera: se ne era andato senza lasciare alcuna traccia della sua presenza, come se così facendo io mi fossi potuta illudere di non averlo mai avuto accanto. 
Avevo lasciato vuota la sua parte di armadio, nella speranza che quel piccolo gesto di attenzione nei suoi confronti, prima o poi, lo avrebbe fatto tornare da me, anche se lui non lo sapeva: forse nella mia stupidità credevo che in qualche modo potesse ricevere un segno e tornare da me.

L’avevamo scelto insieme, quell’armadio, così come il resto dell’arredamento e quell’appartamento in affitto con un grande terrazzo inondato dal sole, “ Perché il sole ti fa spuntare le lentiggini sul naso, facendoti sembrare una bimba discola. ” diceva sempre.

Erano passati tre anni da quando avevamo deciso di andare a vivere insieme. Eravamo innamorati e pieni di entusiasmo. Lo avevo conosciuto in occasione di un mio viaggio: ero andata a Firenze per trovare mia nonna, abitare in due continenti diversi non ci consentiva di vederci spesso, e così avevo deciso di passare tutte le vacanze estive lì con lei. Riccardo era il figlio dei vicini, mia nonna me lo aveva presentato il giorno dopo il mio arrivo sperando che diventassimo amici, in modo da avere un punto di riferimento durante quei tre mesi in una città a me semisconosciuta, e invece c’eravamo innamorati. E invece ci eravamo innamorati, e io avevo deciso di trasferirmi lì in pianta stabile, abbandonando i miei genitori e la mia città per seguire l’amore.

Che cosa ci sia successo dopo, fatico ancora oggi a capirlo.

Ricordo ancora quella sera in cui Riccardo mi propose di uscire a mangiare qualcosa nel nostro ristorante giapponese preferito. Erano diverse settimane che lui era strano, scostante, distratto. Forse, quel suo invito, era il suo modo per chiedermi scusa per avermi un po’ trascurata.

Mi aspettavo una cena romantica e invece...

“ Devo dirti una cosa… ” Mi disse a un tratto il mio ragazzo, appena dopo l’antipasto.

“ Certo amore, sono tutta orecchie… ”

“ Isabella, ecco, io… scusami ma non ti amo più. ”

Ero sicura di non avere capito bene. Invece la verità stava tutta in quelle quattro parole: non ti amo più.

Mi sono sentita morire quella sera, come se mi avessero sparato dritto al cuore.

Riccardo, il mio Riccardo, si era innamorato di un’altra.

Forse, un giorno, lo ringrazierò per non avere tenuto il piede in due scarpe, per non avermi mentito. Eppure, quando mi annunciò che se ne sarebbe andato da casa nostra, avrei voluto attaccarmi a lui con la forza della disperazione e dirgli che, forse, si stava sbagliando…

Lo squillo del telefono mi distolse da quei pensieri tristi, causati forse dall’avvicinarsi della festività degli innamorati.

“ La signorina Isabella Swan? ”

“ Sono io, mi dica. ” Risposi senza troppo entusiasmo.

“ Sono Erika di Caronte Tourist. Le annuncio con piacere che lei ha vinto il primo  premio! ”

“ Il primo premio? E di cosa? ”

“ Del nostro concorso. Un viaggio di 9 giorni e 7 notti a New York per due persone il prossimo San Valentino. ”

“ Come? Ma io non ho partecipato a nessun concorso. ” Quasi urlai, non ero dell’umore adatto per scherzare.

“ Lei non è la signorina Isabella Swan, che abita in via del bosco 55? Qui ci risultano i suoi dati, ha compilato la nostra cartolina in occasione della fiera delle agenzie di viaggio della sua città, circa sei mesi fa… ”

La mia memoria ebbe un fremito. Era l’ultima fiera a cui ero andata insieme a Riccardo. Una di quelle in cui si torna a casa con la borsa piena di depliant e cataloghi. Sicuramente, in quella giornata, avevo compilato di tutto. Avevo lasciato i miei dati a mezzo mondo, certa che non avrei mai vinto nulla.

“ Oh, ora sì, ricordo. ” Cercai di essere credibile, anche se non avevo il minimo ricordo di aver mai compilato una cartolina della loro agenzia. “ E che dovrei fare? Cioè, dove sta il trucco? ”

“ Si è trattata di una regolare estrazione alla presenza di un notaio. Se lei accetterà il premio, le invieremo per raccomandata i biglietti aerei e la prenotazione dell’albergo. Accetta? ”

“ Sì, certo. ” Risposi di getto: in fondo l’occasione era parecchio ghiotta e sarei stata una stupida a lasciarmela sfuggire. Andare a New York, e per giunta per San Valentino, era sempre stato il sogno mio e di Riccardo e quel premio, proprio ora che ci eravamo lasciati, suonava come una beffa. Tuttavia, mi era capitato un colpo di fortuna e decisi di non rinunciare al viaggio.

“ Allora, gentilmente, dovrebbe comunicarmi per e-mail i suoi dati e quelli dell’altra persona entro la prossima settimana. ”

Avrei chiesto ad un’amica di venire con me, ma a quanto pare la cosa risultò più difficile del previsto perché tutte erano impegnate con i propri partner, naturalmente, e nessuna avrebbe rinunciato a passare San Valentino lontana dal suo uomo anche se la meta era New York.

Alla fine scrissi quella e-mail, inserendo i miei dati e specificando di essere single: ci sarei andata da sola nella Grande Mela.

 

Quando arrivai all’aeroporto mi resi subito conto che si trattava di un viaggio di gruppo. All’imbarco c’erano una ventina di persone di tutte le età, tutti in coppia, innamorati ed elettrizzati al pensiero di passare nove giorni al di là dell’oceano.

“ Buongiorno a tutti! ” Ci salutò un ragazzo alto, dai capelli rossicci e gli occhi chiari. “ Mi chiamo Edward e sarò la vostra guida a New York. Potete rivolgervi a me per qualsiasi esigenza. Sono a vostra disposizione. Vi auguro un buon viaggio. ”

Edward era davvero un bel ragazzo, sorridente e gentile con tutti e i suoi modi affabili erano già riusciti a farlo entrare nelle grazie di alcuni viaggiatori, che lo chiamavano a destra e sinistra per avere delucidazioni su quello che ci avrebbe aspettati una volta atterrati.

Il volo fu molto tranquillo, almeno per me. Mi misi le cuffie dell’Ipod nelle orecchie, iniziai un libro di 600 pagine e mi addormentai, pronta a svegliarmi in un altro continente.

Aprii gli occhi sopra alla Baia di Hudson, quando l’aereo stava scendendo per atterrare all’aeroporto JFK di New York. I miei compagni di viaggio scattavano foto a ripetizione fuori dal finestrino e il loro entusiasmo divenne incontenibile alla vista della Statua della Libertà.

Io, invece, forse avevo preso la decisione sbagliata: mi trovavo lì, sola, in mezzo a dieci coppiette che sembravano essere uscite da un romanzo harmony e il mio umore, già parecchio triste, era decisamente nero.

Una volta scesi dall’aereo, salimmo su un pulmino per essere sistemati in albergo. Prima però facemmo colazione. Ordinai un caffè, mentre i miei compagni familiarizzavano con le abitudini americane. Al posto del mio espresso abituale, il cameriere mi portò un enorme bicchiere di carta con una cannuccia.

“ avevo chiesto un caffè, non una coca-cola. ”

“ Yes, coffee, american coffee. ”

“ Ah ecco, un beverone. ” Per i prossimi novi giorni mi sarei dovuta accontentare, non potevo certo pretendere che loro riuscissero a fare un caffè degno di questo nome.

Alla reception ritirai la chiave e raggiunsi la camera che mi era stata assegnata, una bella stanza luminosa a due letti con vista su Central Park. Buttai il trolley su uno sgabello e decisi subito di fare una doccia per riprendermi dal jet-lag.

Mi lasciai avvolgere dall’abbraccio dell’acqua calda e dall’aroma del mio sapone alla fragola. Ero a New York, la città delle opportunità e dovevo godermela fino in fondo, dovevo divertirmi. Indossai uno dei due soffici accappatoi appesi in bagno, strofinandomi contro la morbida spugna, e poi andai in camera per aprire la valigia e scegliere qualcosa di comodo da indossare in quella giornata di sole.

A un tratto la porta si spalancò. Di riflesso cacciai un urlo tra il sorpreso e il terrorizzato e la persona di fronte a me si bloccò all’istante.

“ Ma tu sei Edward, la guida. ” Esclamai sbigottita. Il ragazzo diventò tutto rosso dall’imbarazzo.

“ Scusami, devo aver sbagliato stanza. ”

Diede una rapida occhiata alla chiave che aveva in mano, poi alla porta.

“ Eppure questa è la stanza numero 18. ” Disse perplesso, continuando ad osservare alternativamente la porta e la chiave come se da quelle avesse potuto ottenere risposta.

“ Anche io ho la stanza 18. Anzi questa è la stanza 18. ”

“ Mi dispiace, devono avere fatto un errore giù alla reception. Vado subito a rimediare. ”

Mi sorrise e gli occhi verdi gli si illuminarono: questa volta fui io ad arrossire.

Raggiunsi Edward pochi minuti dopo e vidi che il gruppo, ciarliero e chiassoso, era già pronto per la prima escursione della giornata. Mi avvicinai a lui curiosa di sapere come fosse stata risolta la cosa.

“ Hai risolto la faccenda della stanza? ”

“ Ho fatto presente la cosa, vedranno che cosa possono fare. ” Mi rispose, con un espressione però che mi fece capire che dubitava che la questione potesse essere risolta così facilmente.

 

Alla fine della giornata tornammo tutti in albergo, esausti.

Io e Edward ci avvicinammo alla reception e lui chiese all’impiegata le chiavi della sua nuova stanza.

“ Mi dispiace, c’è stato un errore all’atto della prenotazione. Purtroppo non abbiamo stanze libere: siamo pieni di gruppi e di coppie per San Valentino… ” Si scusò la ragazza, sembrando, o fingendo di esserlo, seriamente mortificata.

“ Non importa, cercherò un altro albergo. ” Disse accondiscendente Edward, come se fosse abituato a problemi di questo tipo e forse era vero dato il suo lavoro.

“ Sono desolata Mister… ”

“ Come? ” Intervenni a quel punto. “ A quest’ora? Sono le undici di sera! Senti Edward, se per te non è un problema, questa notte potrai dormire nel letto accanto al mio. Cercherai un altro hotel domattina. 

Lui mi guardò e sorrise e per la seconda volta il mio viso divenne paonazzo: non avevo mai visto un sorriso tanto bello e strano come il suo, sembrava sorridesse solo con mezzo lato della bocca, ma ciò rendeva il suo sorriso più intrigante invece che farlo sembrare difettoso.

“ No, nessun problema. Se non lo è per te, Isabella. ”

“ Ti ricordi il mio nome? ” Chiesi sorpresa.

“ Certo, sei la ragazza ‘single’. Io mi ricordo tutti i nomi delle persone dei gruppi che seguo, fa parte del mio lavoro. ”

Ecco, la mia guida mi aveva catalogata come “ la ragazza single ”, quella sola senza fidanzato. Senza aggiungere altro, ci dirigemmo insieme verso la camera 18. Sperai, in quel momento, che nessuno mi vedesse entrare nella mia stessa stanza insieme alla guida o domani saremmo stati sulla bocca di tutti.

“ Non ti preoccupare ” mi disse Edward appena entrati, “ Non sono uno che salta addosso alla ragazze. Anche perché ne ho una che mi aspetta a casa. ”

Ma certo, come poteva quella meraviglia di uomo essere libero? Chissà cosa avrebbero pensato le altre “ galline ” che lo riempivano di sorrisetti all’ombra dei grattacieli, se lo avessero saputo! Quella confidenza, tuttavia, servì a rilassarmi. Almeno, nella Grande Mela, avrei trovato un amico in più.

 

Edward aveva ragione sulla magia di New York.

Essendo l’unica single, io e lui trascorrevamo moltissimo tempo insieme in giro per la metropoli. Durante le giornate libere dal gruppo, mi mostrò i lati più belli e inediti della città: prendemmo il traghetto per Ellis Island, andammo a correre e in barca a Central Park. Ci facemmo una foto accanto alla sagoma di Donal Trump nell’atrio della Trump Tower, andammo a caccia di vip nell’Upper East Side e ci trovammo persino nel bel mezzo del set di un noto serial televisivo.

Cominciava a piacermi davvero la Grande Mela.

E anche Edward. Forse, più di quello che mi fosse concesso e per questo non dovevo farmi strane idee.

“ Domani sarà l’ultimo giorno. Che ne dici di salire insieme sull’Empire State Building, per salutare la città? ”

“ Penso che sia una magnifica idea. ” Gli risposi di getto.

 

Il giorno dopo ci trovammo lì, tra il cielo e la terra. Nel giro di 24 ore sarei tornata nella mia casa senza nessuno ad aspettarmi, senza Edward accanto, senza le nostre chiacchierate prima di addormentarci né le barzellette raccontate a colazione, senza turni per la doccia… A un tratto sentii il suo braccio cingermi le spalle.

“ Non è magnifico da quassù? Io ci vengo sempre quando vengo in questa città: puoi vedere tutta Manhattan con la sua baia, il New Jersey, il Connecticut, il Massachusetts e la Pennsylvania. Amo New York. Chissà, potrei anche decidere di viverci, un giorno. ”

“ Hai ragione, è veramente meravigliosa. Prima ero un po’ scettica, non ho mai provato molta simpatia per questa città, era più che altro il sogno del mio ex ragazzo venirci, ma tu sei riuscito a farmela entrare dentro, facendomi passare dei bellissimi giorni. Quindi grazie. ” Mi voltai verso di lui e li sorrisi riconoscente: non sapevo come sdebitarmi con lui, così sperai che cogliesse tutta la mia gratitudine in quelle parole e nel sorriso che gli stavo rivolgendo. Lui ricambiò il sorriso, poi mi guardò dritta negli occhi e e in quel momento seppi cosa stava per accadere, ma non avevo né la voglia né la forza di spostarmi. Chiusi gli occhi quando le sue labbra sfiorarono le mie e mi lasciai andare.

Fu un bacio intenso e dolcissimo.

Quando fummo in debito d’ossigeno, mi staccai da lui controvoglia, contenta e confusa allo stesso tempo.

“ Ma non avevi detto che c’era una ragazza ad aspettarti a casa? Io non voglio essere il terzo incomodo. ”

“ Era una bugia, per poter dormire accanto a te… spero che mi perdonerai. ” Io rimasi basita, non sapevo cosa dire; lui prese il mio volto fra le sue mani e mi baciò di nuovo, vincendo ogni mia resistenza.

 

Naturalmente Edward è stato perdonato. Ma io glielo ricordo sempre, ogni anno, quando, per festeggiare San Valentino, saliamo sull’Empire State Building per ringraziare la città che ci ha fatto innamorare.

E dove, ora, viviamo insieme.

   
 
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