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Autore: Valsen    03/09/2007    0 recensioni
Parodia di HP con personaggi da me inventati e del tutto nuovi!!!
Genere: Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Il facocero e l’antilope

Enrico è sempre stato il vanto dei genitori, sempre! Fin dalla più tenera età ha rallegrato la vita, altrimenti monotona e ripetitiva, del padre e della madre. Bambino vispo ed intelligente, il nostro Enrico, detto Enriho, non ha mai creato veri e propri problemi ai genitori, mai una noia, mai un pianto la notte. Forse perché dormiva in un lurido ripostiglio insonorizzato e con una minuscola presa d’aria circolare, quasi sempre piena di schifezze; ad ogni modo il bimbo non era mai stato sentito piangere. Già a pochi mesi aveva diligentemente imparato, un po’ come tutti i bimbi in fasce, ad accendere il fornello in cucina per prepararsi il latte, il pranzo e la cena, poiché i suoi genitori erano sempre indaffarati. Aveva inoltre una spiccata dote per i numeri, infatti, era costretto ogni anno a fare la dichiarazione dei redditi per suo padre, poiché quest’ultimo tornava sempre da lavoro così ubriaco, che una volta si era messo a filosofeggiare con una cabina telefonica credendola Platone. Enrico era bambino, è vero, ma penso che la sua dichiarazione dei redditi ha sempre avuto così pochi errori che, se l’avesse fatta il padre, la guardia di finanza l’avrebbe arrestato seduta stante.

Il padre, tale Pirro Pottero, lavorava allora e, se niente è cambiato, lavora tuttora presso il tribunale della città, naturalmente il più famoso tribunale della regione. Era sempre stato ben visto e stimato da avvocati e giudici: ben visto dai primi, per le valanghe di soldi che dava loro ad ogni processo che doveva sostenere (quasi sempre contro di lui); ben visto dai secondi…beh… per lo stesso motivo. Pirro era conosciutissimo anche dai più alti magistrati e, come spesso si vantava con gli amici al bar, quindi nello stato di più assoluta ubriachezza, nessuno svolgeva un lavoro più pulito del suo. Avrete già capito che lavoro faceva Pirro; effettivamente, come puliva lui i pavimenti, non se ne trovavano molti in circolazione. Sulla madre d’Enriho è meglio tacere per amor della stessa e, più precisamente, per salvaguardarle la dignità.

In questa situazione familiare, Enriho era cresciuto solo con le sue forze e, forse, è proprio per questo che era amato dai genitori, come dicevo. Tanto amato, almeno finché non fu scaricato dal padre sul ciglio di una strada.

Pirro, quel giorno, era uscito da lavoro fermamente deciso a dare finalmente un taglio alle spese familiari, che non era più in grado di sostenere. Così, tornato a casa, dovette fare la scelta, forse la più difficile della sua vita: che cosa tagliare? Poteva rinunciare alla sua tessera di socio al club degli Assidui Lavoratori, ma pensò che la sua immagine ne sarebbe uscita compromessa, se avesse rinunciato così grand’onorificenza. Come seconda possibilità pensò di smettere di bere, ma il suo fegato, ormai acclimatato all’alcool, rispose con una grassa risata. Pirro, già da qualche settimana, si chiedeva il perché di tanto spreco di soldi a casa Pottero. Eppure, quando si trattava di risparmiare, era sempre stato un uomo piuttosto attento. Ogni volta che a casa Pottero arrivava la bolletta della società idrica, la madre d’Enriho commetteva il tremendo errore di non esprimersi con linguaggio elementare al marito: gli diceva "tesoro, vai a pagare l’acqua!". Così l’uomo, non molto intelligente, andava vicino al fiume e gli buttava dentro l’importo esatto della bolletta. Il Comune, in un secondo momento, provvide ad installare un filtro nell’acqua del fiume a valle del punto in cui Pirro era solito recarsi a pagare le sue bollette, divenuto ormai il maggior contribuente di tutto lo stato. Ma successe anche di peggio: Pirro stette tre settimane all’ospedale per un "tesoro, vai a pagare la corrente elettrica!". Lo trovarono attaccato al traliccio dell’alta tensione con dei soldi in mano. Disgraziatamente l’arrivo della bolletta, in quel caso, coincise col Moneta Day, festività che Pirro si sforzava di far approvare come ufficiale, che consisteva nel pagare tutto con le monete. Appena dimesso dal reparto "grandi ustionati" stette per giorni e giorni a pensare com’eliminare le spese superflue. Così si era deciso ad abbandonare il cane sul ciglio della strada ma, persuaso da un cartello del WWF che intimava di non abbandonare gli animali, e persuaso ancor di più dal fatto di non possedere un cane, decise di abbandonare il figlio. Fortunatamente, pochi metri più indietro, stava passando il fratello di Pirro, nonché zio d’Enriho: Epiro Pottero. Epiro, che passava da quella strada per abbandonare la moglie per lo stesso motivo per cui Pirro voleva abbandonare il figlio, vide Enriho con la coda dell’occhio, e intuì immediatamente che era suo dovere morale raccogliere ed ospitare il bimbo, per assicurargli un futuro. Tentò la fuga per evitare tale immenso piacere, ma, per sfortuna sua, ma fortuna d’Enriho, il grasso della moglie gli impediva di cambiare la marcia. Così Enriho cominciò la sua nuova vita a casa dello zio Epiro. Nuova, ma solo formalmente, tanto Enriho era trattato come uno straccio anche dagli zii (anzi, peggio di uno straccio poiché la camera degli ospiti, dove avrebbe dovuto dormire Enriho, era diventata la camera dello straccio, con un lettone matrimoniale tutto per lui).Ad Enriho, ancora una volta, fu assegnato il ripostiglio. Stavolta con due prese d’aria circolari, però ognuna di diametro dimezzato, rispetto alla presa d’aria nel ripostiglio in casa sua, ormai ex casa sua. Mi sono permesso di omettere che anche questo secondo ripostiglio era lurido perché, penso, sarà già abbastanza chiaro.

Passarono gli anni, passarono le delusioni e i rimproveri, ma niente in quei dodici anni aveva fatto presagire ad Enriho quello che sarebbe successo il giorno del suo tredicesimo compleanno. Durante questi dodici anni, Enriho era cresciuto abbastanza bene e si presentava come un ragazzo di bassa statura leggermente ricurvo in avanti, posizione che aveva assunto perché, se fosse cresciuto eretto, non sarebbe entrato nel piccolo ripostiglio. Aveva i capelli neri sempre arruffati e due grossi occhioni marroni, difettati però da miopia che paragono allegramente a quella di una talpa, per via dell’oscurità del ripostiglio.

Non era ben veduto dai compagni di scuola per vari motivi: era molto bravo nei compiti in classe, era diligente e gli zii lo mettevano sempre e comunque in cattiva luce davanti agli estranei. Tanto per farvi degli esempi, citerò alcuni degli appellativi affettuosi che gli zii gli attribuivano: "scarto umano", "diarrea di chiocciola", "procione anemico" e la preferita dello zio, "iguana vegetariana". Non chiedetemi cosa c’è di offensivo nell’essere un’iguana vegetariana, non ve lo saprei spiegare.

Tutto ebbe inizio in un, almeno all’inizio, qualsiasi giorno di fine agosto. Come ogni mattina, il sole cominciò a filtrare dai minuscoli fori d’areazione verso le nove e un quarto; se il sudiciume non avesse già da tempo invaso tali fori, il sole sarebbe filtrato molto prima. Il televisore dei vicini era rimasto, per tutta la notte, acceso ad alto volume, impedendogli di dormire da mezzanotte fino alle cinque della mattina.

- può capitare!- pensò Enriho appena svegliato; ignorava il fatto che il vicino, dietro lauto pagamento dello zio Epiro, aveva volontariamente lasciato il televisore acceso, per impedirgli il sonno. Come avrete intuito, lo zio Epiro era un gran burlone.

Una volta, mentre Enriho era a scuola, aveva fatto sostituire la serratura del portone d’ingresso di casa, spendendo due mesi del suo stipendio, solo per far rimanere il nipote fuori dalla porta per tutto il giorno. Naturalmente, per garantire allo scherzo un successone, Epiro aveva mangiato in un ristorante pur di non ritornare a casa e far entrare Enriho. Il povero ragazzo subiva passivamente gli scherzi dello zio anche perché, se si fosse ribellato, questi l’avrebbe immediatamente cacciato di casa ed Enriho pensava che era meglio un ripostiglio lurido che sotto un ponte. Un barbone cominciò a ridere. Quella mattina, sembrava semplicemente una comune mattina, sembrava una mattina come tante, una mattina in cui ti svegli e non scopri niente di nuovo. Una mattina comune, in cui, dopo dieci minuti che sei sveglio, ti affondi nel divano chiedendo morbosamente alla tua mente di trovare alla svelta un passatempo. Sembrava una semplice mattina… ed effettivamente fu proprio così, quella fu una normalissima mattina. Ma la sera fu speciale, molto speciale... Epiro, come ogni sera, uscì di casa fischiettando il motivetto di una pubblicità muta per andare a comprare, in edicola, le consuete due riviste. Una era il quotidiano, l’uomo non aveva ancora capito che conveniva comprarlo la mattina. D’altronde il suo cervello non era in grado di registrare quest’informazione, dato che da poco tempo aveva appreso che, per mettere in moto l’automobile, è conveniente ruotare prima la chiave nel quadro. L’altra rivista era "Affari e Finanza" per Enriho. Il premuroso zio comprava la rivista, perché sapeva che Enriho detestava la finanza e gli affari di borsa.

Se solo Epiro avesse alzato la testa quella sera, avrebbe visto qualcosa che l’avrebbe lasciato alquanto perplesso… o meglio, Epiro vide una cosa strana, ma era troppo stupido per capire che si trattava di una cosa strana, quindi continuò per la sua strada canticchiando il suo motivetto, mentalmente rivedendo le spassosissime immagini di tale pubblicità radiofonica. Quella sera, sul marciapiede di fronte a casa Pottero, si trovavano un facocero del Kenya, bestia rarissima perfino in Kenya, e un’antilope saltellante. Epiro si era reso conto della propria ignoranza in fatto di animale il giorno che, vestito da cacciatore dell’ottocento, con tanto di schioppo a tracolla, si era presentato presso la guardia forestale stringendo orgoglioso un gatto che aveva catturato dopo ore di inseguimento, asserendo di aver scoperto l’unico esemplare di tigre nana al mondo. Gli uomini della forestale ebbero la gentilezza di chiedere allo zio Epiro se avesse preferito essere legnato o sparire immediatamente dalla loro vista. Data la stanchezza per l’inseguimento, Epiro optò per la prima. Lo accontentarono.

Il facocero era sdraiato su un fianco con le zampe per aria mentre l’antilope era seduta vicino ad un idrante rosso come le fiamme dell’inferno. L’antilope era giunta lì nel primo pomeriggio, piazzandosi vicino all’idrante, il facocero era arrivato qualche ora più tardi, con una treccia di salsicce nella bocca, sgraffignate alla salumeria della città. Nessuno ci aveva fatto caso, anche perché nessuno passava mai da "via della Sfiga". Nessuno seppe, sa o saprà mai perché, ma quella via era abbastanza infausta, specchio perfetto del proprio nome. Una volta, un turista persosi e capitato in quella via per caso, era stato colpito da una meteorite deviata dalla forza di gravità di venere, e attratta sulla terra dall’attrazione gravitazionale generata dal guscio di un paguro che per caso passava di lì, fenomeno leggermente improbabile. Preferisco non riportare le sciagure occorse al postino proprio di fronte a casa d’Enriho. Dico solo che, il suddetto postino, è tuttora ricoverato all’ospedale. Dato il suo caso, il comune ha dovuto inventare un nuovo reparto, del quale lui è l’unico malato, il reparto di Potterofobia. Neanche i medici riuscirono bene a capire cosa fosse successo all’uomo, arrivato all’ospedale in condizioni disastrate. Un dottore sulla sessantina tentò di trascrivere il racconto del postino, ma questi aveva parlato talmente veloce, che l’anziano dottore aveva perso il filo del racconto tra il fulmine che, dal nulla, aveva colpito la sua bicicletta e il camion di letame che aveva erroneamente sganciato il carico. Ai residenti, tuttavia, non era mai successo niente. Per residenti intendo i Pottero, visto che nessuno voleva abitare in "via della Sfiga".

Anche quella sera, Epiro camminava in "via della Sfiga" per andare all’edicola. Camminava osservato da un facocero e da un’antilope. Appena Epiro fu fuori della loro portata visiva, entrambi gli animali si guardarono negli occhi. Si alzarono e successe una cosa incredibile. Le zampette grassocce del facocero si allungarono e si assottigliarono, quelle dell’antilope si accorciarono e s’ingrassarono. Da entrambi i corpi scomparvero i peli e le teste mutarono lentamente. Quella del facocero si assottigliò fino a tramutarsi nel volto di un vecchio con un cappello a punta in testa, che avrebbe avuto del magico, se non vi fosse stata stampata sopra la pubblicità di una salumeria. Quella dell’antilope assunse forme più umane e dolci, ma sempre brutte, decisamente brutte.

Il vecchio portava una lunga tunica nera con attaccate delle toppe in ogni angolo. Indossava due stivali così malconci che avrebbero fatto schifo ad un povero e un paio di occhiali così spessi che, il povero uomo, era stato costretto ad apporvi ai lati delle luci di posizione, per segnalare l’ingombro agli automobilisti la notte. Senza dire una parola, la donna, che era "spuntata" dalla saltellante antilope, osservò il vecchio che estraeva un telecomando dalla tasca ed accendeva le luci di posizione degli occhiali. Il silenzio successivo fu rotto da un’auto che sfrecciava sulla strada adiacente, dopodiché il vecchio parlò.

– Sapevo che l’avrei trovata qui, professoressa McGraniten!-

- Anche io, appena ho visto quel lurido porco nel quale si era trasformato, ho pensato subito a lei, professor Album D’Uovo.- replicò la donna sistemandosi il vestito logoro ma allo stesso tempo ben tenuto. Se quel vestito avesse saputo parlare, n’avrebbe avute a migliaia di storie da raccontare, ma se avesse parlato avrebbe anche rivelato gli orrori che nascondeva, sul corpo della professoressa.

- Modestamente, data la mia paurosa cultura, mi sono trasformato in qualcosa che, per i Babbazzi, passasse inosservato.- un guizzo di orgoglio illuminò l’anziano volto.

- Eh, si!…Album, non pensi che ci sia un po’ troppa luce qui? Se qualcuno ci vede…- disse la donna, guardandosi intorno. La sua faccia era attenta e contratta, evidentemente preoccupata di essere vista.

La faccia del vecchio s’illuminò improvvisamente. Uno strano luccichio si accese sui suoi occhi, ancora più malandati di quelli di Enriho.

- Professoressa, lo vuole fare qui, davanti a tutti?- chiese il professore, stupito ma compiaciuto. La donna lo guardò con aria seccata.

- Ma no, maiale!- ribatté - Non intendevo quello, intendevo i poteri magici!-

Album si batté il palmo della mano destra sulla fronte e il luccichio scomparve all’istante dagli occhi.

- Ah, quelli!- fece il professore, con aria noncurante. Allo stesso tempo, arrossì con violenza. - Certamente… io avevo capito benissimo! Non si preoccupi, professoressa, ho giusto l’incantesimo appuntato sulla mia agenda!-

Detto ciò il vecchio cominciò a frugarsi nelle tasche, gli ci vollero pochi secondi per trovare quello che stava cercando. Estrasse uno strano oggetto. Alla fioca luce del lampione, s’intravedeva un piccolo parallelepipedo con, nella parte superiore, un sottile ma, a prima vista, resistente bastoncino.

Dopodiché mise l’oggetto tra le gambe, in modo da tenerlo ed avere le mani libere, e cominciò a frugare con una certa impazienza nel grosso tascone frontale. Poco dopo n’estrasse un libercolo.

- Eccola qui… dunque…- accese gli abbaglianti agli occhiali e tentò di leggere, ma fu interrotto dalla professoressa McGraniten. Questa fece un gesto che era solita ripetere quando parlava: mise la mano sinistra aperta col palmo rivolto verso l’alto e vi batté sopra la mano destra aperta e messa "di taglio", come ad imitare una mannaia che si alza e si abbassa. Inoltre la professoressa McGraniten, che amava il tedesco, talvolta non riusciva a trovare le parole adatte in italiano, da quanto aveva assimilato la lingua germanica, e dava luogo ad un’infinità di versi con la faccia che preferisco non riportare, nello sforzo di esprimersi umanamente. Sforzo quasi sempre del tutto vano.

- Ehm… professore? Quello non è… (wie sagt man auf Italienisch?…) l’agenda… è l’ultimo numero di "Playwizard"!-

Album, che aveva alzato la testa per osservare la professoressa, la riabbassò, e si accorse che, effettivamente, si trattava dell’ultimo numero di "Playwizard", una rivista osé molto in voga tra i maghi, ritenuta la causa del pauroso abbassamento della vista dell’anziano Album. Abbastanza imbarazzato ripose la rivista nel tascone e osservò la professoressa con finta aria arrabbiata e con un po’ di imbarazzo.

- Certo, mia cara! L’avevo notato subito, infatti mi stavo chiedendo chi l’avesse messa! Che mascalzoni!- La professoressa annuì con la testa, tanto la fama di maniaco sessuale di Album D’Uovo era ben nota. Questi ricominciò a frugare e, cinque minuti dopo, estrasse una pergamena, stavolta ciò che stava cercando.

- Dunque… per spegnere ogni luce…- mentre lo diceva, alzò lo strano oggetto in aria e lo agitò in maniera convulsa.

– Dunque… "Luces Obscurare!"- e detto ciò, fissò la punta del bastoncino dello strano oggetto sui lampioni di "via della Sfiga". Non successe assolutamente niente, anzi, alla professoressa sembrò che i lampioni, per un istante, avessero brillato con maggior intensità. Seguì un minuto di silenzio imbarazzante, per il professore.

- Ehm… professore…- fece la donna - Quell’incantesimo funziona solo per… (wie sagt man auf Italienisch?…) le candele, non va bene per le luci elettriche!- Album si batté nuovamente la mano, questa volta la sinistra, sulla fronte, leggermente imperlata di sudore. La McGraniten continuava col suo gesto che, d’ora in poi, chiamerò "del taglio".

- Maledizione, ha ragione!- esclamò Album - Giusto ieri volevo scaricarmi l’aggiornamento dell’incantesimo da Wiznet (l’Internet dei maghi), ma non ne ho avuto il tempo!- la McGraniten continuava ad annuire, sapendo benissimo che il professor D’Uovo usava Wiznet unicamente per vedere le foto delle streghe nude. La professoressa, dopo un attimo di indecisione, propose la soluzione.

- Scusi, professore, potrei provare io?-

- Provi pure, se crede di avere un incantesimo più potente!- rispose il vecchio, incrociando le braccia nel petto, con aria un po’ seccata.

- Benissimo…- così la donna estrasse dal vestito una mazza d’acciaio di notevoli dimensioni e peso. La agitò un po’ in aria, poi la infranse su una cabina che conteneva i contatori elettrici della strada. I lampioni, come tutti gli oggetti alimentati a corrente elettrica dell’intero quartiere, si spensero, come soffocati dalle tenebre. Album rimasto attonito, riuscì ad aprir bocca a fatica.

- Poco da signora, ma sicuramente efficace, non c’è che dire!- dovette ammettere il vecchio - Comunque adesso dobbiamo muoverci, abbiamo solo pochi minuti prima che qualcuno chiami l’ENEL bestemmiando in modo animalesco.- seguì una breve pausa - Sarà meglio sbrigarsi!- concluse, infine.

- Ha ragione, professore. Lei si ricorda la… (wie sagt man auf Italienisch?…) la formula?- chiese la professoressa McGraniten.

- Certamente, mi crede così rincoglionito?-

- Si!-

- Ah…- riuscì a dire il professor D’Uovo, imbarazzato - Vabbè, cominciamo!-

Album estrasse dalla tasca, questa volta al primo tentativo, un foglio di carta che emanava una luminescenza spettrale verdastra, e lo inserì in una busta ingiallita dal tempo. Intanto la McGraniten, che aveva momentaneamente smesso di fare "il taglio" estrasse a sua volta lo strano oggetto formato dal parallelepipedo col bastone in cima, e, puntatolo al cielo, aprì le braccia con le palme verso l’alto, subito imitata dal vecchio professore Album D’Uovo. Entrambi, per la prima volta dalla loro apparizione, assunsero un’aria molto seria. Fu Album a parlare con una voce abbastanza profonda.

- Io comando e ordino che questa busta possa essere aperta solo da Enrico (detto Enriho) Pottero, solo lui!- disse. Detto ciò, entrambi abbassarono le mani e puntarono gli strani oggetti contro la busta. Dopodiché urlarono, all’unisono:

- Sigillum Spei Imprimere!- a queste parole, dagli oggetti col bastoncino in cima, sprizzarono scintille multicolori, che in pochi attimi divennero rosse come il ferro incandescente. Lo strano fenomeno durò parecchi secondi, durante i quali le scintille brillarono sulla cima degli strani oggetti. Poi, lente ma costanti, le scintille cominciarono a cadere sulla busta. Cadendo a poco a poco, divennero liquide, come cera, a mezz’aria. Appena toccarono la carta, si solidificarono all’istante, come si solidificherebbe all’istante un bicchiere d’acqua sotto il getto dell’azoto liquido. In meno di pochi secondi, le strane scintille-gocce di cera avevano composto, aggregandosi tra loro, un sigillo. Tale sigillo aveva impresso uno strano simbolo che presentava, al centro di un disegno, una grossa lettera scarlatta, la "P". I due, con la complicità delle tenebre, inserirono la lettera nella cassetta postale dei Pottero e ritornarono quasi immediatamente dov’erano prima, facendo sempre attenzione a non essere visti. La McGraniten, un po’ più rilassata, riprese col "taglio". Fu lei a rompere quel silenzio.

- Bene, finalmente possiamo… (wie sagt man auf Italienisch?…) andare!- a quelle parole, Album strizzò gli occhi e si fece più esile, prendendo per il braccio la collega.

- A casa mia o a casa tua?- le chiese, mentre lo strano luccichio gli si riaccendeva al centro esatto delle pupille quasi cieche. La donna gli vibrò un sonoro ceffone.

- Album, smettila di fare… (wie sagt man auf Italienisch?…) il porco!-. Stavolta Album non replicò, si limitò a portarsi una mano sulla guancia e, schioccate le dita, i due si rimpicciolirono fino a scomparire del tutto, lasciando la strada nel silenzio più totale. Solo dopo pochi secondi si udì il bestemmione di Epiro Pottero, che si era accorto che tutta la birra nel frigorifero si era riscaldata, a causa del black-out.

2

La lettera

Il mattino seguente Enriho, che aveva sognato una camera tutta sua, stava già inconsciamente progettando di strangolare lo straccio, per diventare così il legittimo proprietario della camera degli ospiti. Mentre si crogiolava nel suo dormiveglia, fu svegliato di soprassalto, come ogni domenica. Questa volta non era la luce del sole che l’aveva svegliato, come di solito succedeva ogni mattina, bruciandogli un piccolo pezzo di retina alla volta. Fu invece svegliato da un boato potentissimo proveniente dalla cucina. Il ragazzo pensò immediatamente ad una scossa tellurica, neanche debole; poi, appena ebbe connesso il cervello al resto del corpo, si ricordò che era domenica mattina. Si stava svolgendo, come ogni domenica, la consueta "gara del rutto" tra lo zio Epiro e sua moglie, la zia Agrippina. Questa gara, arrivata ormai alla trecentosettantatreesima (insomma, 373°) edizione, vedeva, come almeno altre duecento sfide, la zia in testa con centosettanta decibel e una scossa di magnitudo tre, contro i centoventi decibel e un magnitudo uno del marito. Una domenica che era particolarmente carica, la zia Agrippina aveva provocato una scossa tellurica abbastanza potente da far tremare quasi tutto il quartiere. Fortunatamente non ne fu mai scoperta la causa, anche se un uomo giurò di aver sentito un odore fortissimo di birra nell’aria, prima che il pavimento di casa sua gli franasse sotto i piedi. Enriho balzò sul letto, sbattendo la testa contro il soffitto. Ma la sua sorpresa durò pochi attimi, il tempo che gli ci volle a mettere in ordine le idee, come ho detto, (Enriho era l’unico sveglio in famiglia), poi capì che la gara era in corso. Si sdraiò nuovamente sul… vabbè, chiamiamolo letto, e s’inforcò gli occhiali. Non aveva più sonno, quindi si mise a leggere un libro sulla fisica meccanica, dentro al quale aveva nascosto un fumetto di Spider-Man. Ovviamente non serviva a niente nascondere il fumetto, tanto agli zii non importava niente se stesse studiando o meno, ma talvolta Enriho desiderò che quel nascondere il fumetto servisse per coprirsi dai genitori. Almeno avrebbe avuto qualcuno che si interessato al suo studio. Lesse poche pagine, poi si alzò, dato che era il turno di Agrippina e tutti sapevano, ufficio sismologico locale compreso, che era inutile tentare di dormire o comunque di concentrarsi, se era il turno di Agrippina. Così si alzo, sbatté come ogni mattina la testa contro il soffitto, ancora una volta, ed uscì di camera. Una luce cristallina ma già calda l’invase. Il suo primo pensiero fu che, un paio di ore dopo, quella luce sarebbe stata praticamente rovente. Per un secondo gli solleticò nella mente l’immagine degli zii, legati ad una sedia, al sole, in pieno mezzogiorno, mentre lui riposava all’ombra, con una noce di cocco in mano dalla quale spuntava una cannuccia. Subito scacciò quel pensiero, come se lo temesse, e per un certo senso era anche vero. Si recò nel piccolo giardino, ancora in vestaglia, per ritirare la posta. L’aria mattutina era leggermente frizzante e, senza ombra di dubbio, molto piacevole, in quei giorni afosi. Evitò accuratamente la piantagione di piante carnivore dello zio, prese la posta e rincasò. Mentre camminava verso la cucina, si passava tra le mani le varie lettere, non era necessario guardare dove stava andando, tanto bastava seguire il rumore dei rutti. Man mano che scorreva le lettere, indovinava il contenuto e se lo diceva tra sé e sé.

- Ingiunzione di pagamento… bolletta… bolletta… ultima notifica… bolletta… minaccia di morte… richiesta di pizzo… minaccia di morte… bolletta… cartolina, con sul retro una minaccia di morte… Ingiunzione… sfratto… custodia cautelare… ordine d’esecuzione… scomunica dal papa… avviso della Santa Inquisizione… ehi! Questa cos’è?- si chiese, stupito. Enriho prese in mano una lettera, una strana lettera avvolta da carta ingiallita dal tempo, e la rimirò più volte, davanti e dietro. Era una cosa unica e rarissima ricevere una lettera così pittoresca, ma era ancor più strano che fosse indirizzata proprio a lui, infatti quasi svenne quando lesse:

Per il Signor Enrico (detto Enriho) Pottero, via della Sfiga, 17

URGENTE

Non ebbe neanche il tempo di fare un salto di gioia, che un rutto spaventosamente potente gli fece volare la lettera dalle mani e, aspirata dal risucchio d’aria che segue un rutto, finì tra le mani dello zio Epiro. Questi, in un primo momento, non si rese ben conto di cosa stringesse tra le mani, tanto era abituato a ritrovarsi gli oggetti più strambi, dopo un rutto. Si rigirò più e più volte lo strano involucro tra le mani non riuscendo bene a capire perché quella lettera era così strana. Mentre Agrippina si apprestava a cominciare il suo turno, Epiro rimase sbalordito nel leggere il nome di Enriho nello spazio del destinatario. Prima che il nostro ragazzo potesse raggiungere la cucina, lo zio già aveva impugnato un coltello e lo utilizzò come un tagliacarte, curioso di sapere chi potesse mai scrivere al nipote, anche se, forse, aveva capito di cosa si trattasse. Ma lo zio fallì miseramente nel tentativo. Non che non avesse forza nelle braccia, ma il sigillo era come fuso nella roccia, praticamente inamovibile ad un semplice colpo di coltello, tra l’altro neanche affilato. Ma agli zii questa cosa puzzava di bruciato, quindi decisero di allearsi per tenere lontano Enriho dalla lettera, almeno finché lo zio non l’avesse aperta. La cosa più semplice sarebbe stata quella di chiudere la porta della cucina a chiave, ma ciò era troppo normale per essere compreso dai coniugi Pottero, quindi escogitarono un piano un tantino più macchinoso. La zia Agrippina si mise nella vena del braccio sinistro una flebo di birra ed altre bevande molto gassate, in modo che questi gas giungessero immediatamente… insomma, dove dovevano arrivare. Con questo marchingegno i rutti di Agrippina divennero veramente qualcosa di potente, tanto potente che Enriho era respinto indietro dalla loro potenza. Intanto lo zio era corso in garage a prendere gli utensili adatti per rompere il sigillo, non sapeva che sarebbero stati tutti sforzi vani. Tornò in cucina con in mano una valigetta che sarà pesata, come minimo, una cinquantina di chilogrammi e che conteneva praticamente tutto quello che un buon scassinatore non si fa mai mancare. Epiro cominciò col martello e lo scalpello, ma, alla seconda botta, il robusto cuneo di metallo si spezzò in due, come fosse stato di zucchero. Poi fu la volta del potentissimo, ma, in questo frangente, inefficace, trapano elettrico. La punta metallica si piegò come burro, appena sfiorò minimamente il sigillo. Altri tentativi si susseguirono, tutti col medesimo risultato. Alla fine, vuoi perché erano finiti gli arnesi, vuoi perché la gola di Agrippina si stava lentamente incendiando, a forza di ruttare, Enriho riuscì a prendere la busta ed a correre in "camera" sua, sbarrando l’ingresso con una sedia. Accese la piccola ed orrenda abat-jour che lo zio gli aveva installato sul comodino e contemplò la busta. Era tutta di carta ingiallita dal tempo, come quelle pergamene che si vedono nei film ambientati nel medioevo, ed aveva uno stranissimo sigillo, quello totalmente indistruttibile. Aveva tutto l’aspetto di un simbolo araldico, infatti lo era, ma le figure raffigurate avevano ben poco di cavalleresco. Era una specie di piccolo scudo diviso in quattro settori quadrati; dentro ogni settore vi si trovava una figura diversa e, al centro dei settori, risaltava una bella "P" scritta con caratteri gotici. Per quello che riuscì a capire Enriho, i quattro simboli erano, partendo dal settore in alto a sinistra e girando in senso orario: un maiale – un topo, ma di dimensioni gigantesche – una faccia umana con la lingua di fuori e i dentoni tipo castoro, che si stava martellando da sola la testa – una conchiglia allungata ed attorcigliata su se stessa, con delle piccole zampe che spuntavano dalla parte inferiore. Senza alcun indugio, Enriho tentò di rimuovere il sigillo e, con sua grande sorpresa, esso venne via con una facilità quasi incredibile, anzi, al ragazzo sembrò quasi che la busta si fosse aperta da sola. Estrasse con le mani tremanti e leggermente sudate la lettera e cominciò a leggere. Dovette sedersi per non svenire:

Mio caro Enriho Pottero,

Con l’avvicinarsi del tuo tredicesimo compleanno, voglio innanzitutto farti le mie più sentite condoglianze… ehm, scusami, volevo dire i miei più sentiti auguri, ed invitarti a raggiungerci. Arrivato a tredici anni sei pronto per frequentare la "Somma Accademia di Magia, Stregoneria ed Affini" di Porkwarts. Ormai sei un mago già formato, puoi quindi unirti alla nostra scuola. Ti inviamo inoltre la lista con le materie, il nome dei docenti, i libri di testo da acquistare, e i materiali necessari per ogni materia. Insieme alla lista di altri oggetti didattici necessari. Il nostro guardacaccia Hagridiano verrà a prendere un così tanto illustre maghetto come te domani alle ore tredici per condurti a Cavol Alley, il paese dove potrai acquistare il necessario. Ti aspetto, sinceri saluti. Il Preside di Porkwarts Album D’Uovo

MATERIE - DOCENTI - LIBRI DI TESTO- MATERIALI INDISPENSABILI

Incantesimi: Professor Fatius. Libri:

- L’incantesimo oggi, domani e, dato che ci siamo, anche dopodomani.

- Il nuovo corso di incantesimo, con il nuovo capitolo "incantesimi a scopi di lucro".

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MATERIALI: Bacchetta magica, protettore da maledizioni.

Pozioni: Professor Rosson. Libri:

- De Potionibus.

- Corso facile di pozione, con il nuovo capitolo "come avvelenare il professore prima dell’interrogazione".

- È nato prima il pozzo o la pozione? Corso di pozioni accelerato, rispettare i limiti di velocità.

MATERIALI: Porta pozioni, kit di preparazione pozioni, occhiali protettivi.

Trasfigurazione: Professoressa McGraniten. Libri:

- Come trasfigurare senza sfigurare. Corso di trasfigurazione e chirurgia plastica.

- Maghi e streghe famosi trasfiguratori, con il nuovo capitolo "perché studiamo trasfigurazione se non serve a niente?".

- Da sorcio a coppa di cristallo: manuale di trasfigurazione avanzata.

MATERIALI: Bacchetta magica

Storia della magia: Professor Ziordo. Libri:

- Corso elementare di storia della magia.

- Super atlante della storia dei maghi, con il nuovo capitolo "tutti i particolari a luci rosse dei più grandi maghi".

- Storia e maniacismo, percorso articolato nella mente perversa dei maghi (buoni e cattivi).

Difesa contro le Arti Oscure: Professoressa Sabbrana. Libri:

- Occhio e malocchio, manuale delle arti oscure.

- Arti Oscure, con il nuovo capitolo "come fulminare chi ti sta fregando l’autoradio".

- Tutto e anche di più sulla autodifesa da Arti Oscure.

MATERIALI: Bacchetta magica, protettore da maledizioni, casco antimaledizione

Erbologia: Professoressa Strillerin. Libri:

- Tutte le erbe velenose e non.

- Atlante delle erbe e piante magiche, con il nuovo capitolo "impara a rullare la tua Gramigna Velenosa della steppa".

- Erbe ed Orbe: biografie delle grandi coltivatrici cieche.

MATERIALI: Kit di Erbologia, occhiali di protezione.

Volo: Professor Castagnandolicus. Libri:

- Come volare: manuale per maghi e piloti dell’ALITALIA.

- Le migliori picchiate dei picchiati, con il nuovo capitolo "come godersi i dieci secondi di gloria dopo un’acrobazia, prima di schiantarsi al suolo".

- Il volo nei secoli.

MATERIALI: scopa volante, casco di protezione, armatura da volo.

LISTA DI TUTTI I MATERIALI DIDATTICI NECESSARI

Libri / Baule / Vestiti invernali ed estivi / Tunica nera standard con simbolo neutro da inserire al momento dello smistamento/ Calderone in ferro (possibilmente di marca) / Porta pozioni / Casco antimaledizione / Casco di protezione / Protettore da maledizioni / Armatura da volo / Kit di Erbologia / Kit di preparazione pozioni / Occhiali protettivi / Bacchetta magica / Penne, calamai, inchiostro / Quaderni di varie dimensioni / Costumi da bagno e relativi asciugamani ed accappatoi / Scopa volante. È facoltativo (ma utile) un animale.

Il treno per la scuola arriverà alle ore undici e mezzo e partirà alle ore dodici e cinque, dal binario "Radice cubica di settantasettemilaottocentoquarantasette" della stazione centrale.

Il ragazzo rimase immobile, seduto sul letto, per almeno un paio di minuti. Non riusciva a dire nulla, non gli veniva nulla in mente, non capiva. Nel ripostiglio regnava il silenzio più assoluto e quasi spettrale. L’unico rumore che giungeva alle orecchie di Enriho, era quasi un sussurro. Si trattava dei vicini che, come quasi ogni giorno, si divertivano a darsi bastonate in testa a vicenda. Serviva per consolidare il loro rapporto, dicevano. Dopo pochi minuti, la porta del ripostiglio si aprì, complice la sedia che nel frattempo era scivolata, non bloccando più la porta, e spuntò la testa di zio Epiro che, anche se non era riuscito a leggere la lettera, aveva capito di cosa si trattava. Enriho ripose la lettera sul comodino e fissò lo zio mentre si sedeva accanto a lui e, come un gesto paterno, gli appoggiava una mano sulla spalla. Non seppe mai che quel gesto era dovuto al fatto che Epiro era ubriaco, in maniera a dir poco indecente.

- E così- cominciò lo zio – E così è arrivata anche a te, la lettera della scuola. Sapevo che prima o poi sarebbe toccato anche a te. Sai, ho ancora nella testa il giorno nel quale arrivò la lettera a tuo padre…- in realtà non si ricordava assolutamente niente di quel giorno perché era ubriaco anche allora, tanto per cambiare. Enriho fissò lo zio durante quella breve pausa, in attesa di una spiegazione.

- Ebbene sì, Enriho. Come tuo padre e tua madre, sei un mago! Sei stato chiamato a Porkwarts, la più prestigiosa scuola di maghi e streghe, così te ne andrai da questa casa, dalla tua casa. Non puoi immaginare quanto io e tua zia siamo dispiaciuti…- seguì una breve pausa - Ti lascio solo a riflettere, ne avrai di cose da pensare! Ci vediamo dopo.- e detto ciò, lasciò la stanza. Appena chiuse la porta, si sentì stappare una bottiglia di spumante, ma Enriho era troppo confuso per capire che gli zii stavano organizzando un mega party, perché finalmente il marmocchio si levava di torno.

- Io un mago?- parlò Enriho ad un interlocutore immaginario, - Non è possibile! I maghi non esistono! Come è possibile? LA MAGIA NON ESISTE!- e lo sguardo gli cadde sulla lettera, semiaperta sul comodino. Per un istante riaffiorarono nella sua testa delle immagini confuse, come una specie di flashback. Vide la punta del trapano fondersi sul sigillo e lo zio con la faccia adirata. Poi vide… casa. Casa sua. C’era suo padre in cucina che leggeva il giornale. Aveva in mano uno strano oggetto, un parallelepipedo con un bastoncino in cima… lo prendeva in mano e lo agitava in maniera strana… la tazza del caffè levitava in aria e gli si avvicinava. Quell’oggetto… LA BACCHETTA MAGICA, fu la cosa che subito pensò Enriho, quasi inconsapevolmente. Mentre lui era assorto nei suoi pensieri, nel salotto infuriava la festa. Adesso stavano arrivando le ballerine brasiliane direttamente dal carnevale di Rio de Janeiro. Insomma, la tristezza aleggiava su casa Pottero. Quella fu la notte più lunga che Enriho avesse mai ricordato, soprattutto perché, dopo le ballerine di Rio, era il turno della musica Heavy Metal a tutto volume. Lo zio Epiro, addolorato dall’imminente partenza del nipote, aveva collocato l’amplificatore più grande nel ripostiglio, proprio dove dormiva Enriho.

3

Lo zoo

Quella mattina, la mattina del giorno della svolta della sua vita, Enriho si svegliò molto presto. Non che avesse dormito, è più giusto dire che aprì gli occhi molto presto. La luce ancora non aveva sfiorato il suo ripostiglio e, ancora, non si sentiva il suono delle bastonate amorose dei vicini. Aveva un mucchio di cose da fare e solo tempo fino all’una del pomeriggio per farle. C’era una frase della lettera che non riusciva a capire, o meglio, capiva meno delle altre. La frase che diceva "un così tanto illustre maghetto come te". Si ricordava ancora tutto il testo della lettera a memoria, ma la prese ugualmente dal comodino, per leggerla ancora, quasi per accertarsi che non si fosse trattato solo di un sogno. Ogni volta che leggeva quelle frasi si sentiva, per la prima volta nella sua vita, qualcuno. Ancora non riusciva a capacitarsi di essere un mago. Per alcuni minuti ebbe sopravvento il suo lato razionale. Credette fino in fondo ad un’allucinazione o, ancor più probabile, ad un sogno. Meraviglioso, si, ma pur sempre un sogno. Si era sempre sentito diverso dagli altri ragazzi e, soprattutto, dagli altri Pottero (chiunque fosse in grado di fare il più elementare ragionamento, era diverso e superiore dei Pottero), ma non aveva mai pensato di essere un mago. Abbandonò abbastanza rapidamente questi pensieri e diede un sonoro calcio nel sedere al lato razionale di se stesso. La magia esisteva, e lo provava il fatto che la punta di un trapano si era sciolta come burro al contatto con un misterioso materiale. Si diede da fare, e cominciò a preparare tutto il necessario per la partenza, ovviamente non gli oggetti magici, quelli avrebbe dovuto comprarli a Cavol Alley. Nella lettera c’era scritto che sarebbe passato a prenderlo un certo Hagridiano, quindi Enriho si stava chiedendo, mentre ordinava i vestiti sul letto, come fosse fatto questo individuo, come e se l’avrebbe riconosciuto. Non si preoccupò più di tanto, poiché pensò che una persona proveniente da un mondo di maghi, non sarebbe certo passata inosservata, tra i "normali". Uscì dal ripostiglio e si avviò verso la camera dove lo straccio stava riposando sul letto. – Beato lui- pensò Enriho per un istante, ma fu solo un istante. Tentò di fare i passi più felpati che potesse, per non svegliare lo straccio. Gli ci vollero un paio di secondi per realizzare che un semplice pezzo di stoffa non poteva dormire e si sentì un autentico (Pottero) imbecille. Aprì l’armadio che, in una famiglia normale, sarebbe stato suo, ed estrasse un grosso baule. Gli ci volle un po’, perché la zia Agrippina l’aveva messo abbastanza in alto. Lo calò a terra tentando di non fare rumore, non ce n’era alcun bisogno ma a lui piaceva pensare che stesse facendo qualcosa di nascosto. Mentre col grosso baule scendeva le scale pitturate di recente, un pensiero gli saltò alla testa, inconsapevolmente, quasi una visione…

- Svegliati, moccioso, o ci fai fare tardi! Perché mi tocca svegliarti tutte le sante mattine?- Enriho, svegliato di soprassalto, scattò a sedere e sbatté la testa contro il basso soffitto del ripostiglio.

- Ahi! Maledizione!- esclamò, massaggiandosi la testa. Cercò gli occhiali sul comodino, vicino all’abat-jour. Il freddo metallo della montatura sotto le sue dita gli annunciò di averli trovati. Li inforcò e, come ogni mattina, gli ci volle un po’ per abituarsi. Il tempo di rimettere in ordine le idee e, facendo attenzione al soffitto, stavolta, si alzò. Uscì dal ripostiglio coprendosi gli occhi per evitare di essere abbagliato dal sole che, seppur debole, era abbagliante dopo molte ore di totale oscurità. Lo zio e la zia stavano giocando a chi tirava la testata più potente al muro e, a giudicare dalla faccia più intontita del solito, Enriho stimò che stesse vincendo lo zio e non di poco. Entrò in cucina e chiuse la vecchia porta che lo zio, ogni mattina, si prometteva di aggiustare il giorno seguente. Si sedette al tavolo, anche questo ridotto abbastanza male, e cominciò a consumare la sua abituale colazione, ovvero gli avanzi morsicati e bruciacchiati della colazione degli zii. Quella mattina gli avanzi erano più buoni del solito. Accompagnò il tutto con un buon bicchiere di aranciata (avanzata) e andò a vestirsi. L’ultima mania dello zio Epiro erano i pipistrelli, quindi, tramite un macchinoso roveto di carrucole, aveva costruito una macchina che gli permetteva di dormire appeso al soffitto. Aveva anche comprato, in una tristissima svendita di materiali del carnevale, un vestito da conte Dracula e, ritagliando il mantello, si era costruito le ali. Enriho pensò, passando di fronte alla camera dello zio, che questa volta gli era andata bene. Un brivido freddo gli percorse la schiena mentre ripensava a quando allo zio era presa la mania delle stelle marine. Aveva fatto riempire la casa di acqua e vi era rimasto immobile e sommerso per una settimana con un vestito da stella marina. Un gruppetto di giapponesi aveva allora scambiato la casa per la piscina comunale, la zia Agrippina ebbe i suoi problemi a spiegare che quell’oggetto immobile adagiato sul fondale / pavimento del salotto era suo marito. Preferisco, per motivi di dignità, tacitare le altre manie del signor Epiro e le conseguenze da esse derivate. Quella mattina la famigliola si apprestava ad andare allo zoo, perché lo zio aveva ottenuto, diceva lui, tre biglietti omaggio. La sera precedente un uomo, tornando a casa, giurò alla moglie di aver veramente comprato dei biglietti per lo zoo, ma di non trovarli più. Sono strane le coincidenze a questo mondo, vero? Mezz’ora più tardi erano tutti pronti per partire: la zia Agrippina, lo zio Epiro, lo straccio ed Enriho. I posti nei sedili posteriori erano tutti e tre dedicati allo straccio, mentre Enriho doveva accontentarsi del bagagliaio. Era un po’ stretto, doveva stare necessariamente sdraiato, ma in fondo non era poi così scomodo. Lo zio, come potrete immaginare, stette ben attento a prendere, con l’auto, più buche possibile in modo da strapazzare Enriho nel bagagliaio. Ma il ragazzo neanche ci fece caso, tranne quando sbatté la testa cosi violentemente da perdere i sensi per qualche minuto. Tutto sommato fu un viaggio tranquillo, sicuramente migliore di quando lo zio si era messo a percorrere una pista sterrata di rally ormai in disuso, quindi completamente sommersa di sassi e buche, con lui nel bagagliaio. La grossa auto inchiodò di fronte al cancello d’ingresso dello zoo. Appena la zia aprì la bauliera, Enriho, proprio come aveva fatto appena svegliato, si parò gli occhi dal sole. Appena si abituò alla luce, vide un grosso cancello in ferro battuto, ai lati vi erano due statue di pietra a forma di tigri rampanti e, attraverso il cancello, si vedevano le prime gabbie. Solo pochi animali erano tenuti in gabbie, poiché la maggior parte delle bestie, quelle meno o affatto pericolose, erano tenute in libertà a girare in mezzo alla gente; quindi poteva accadere di imbattersi in un gruppo di anatre o scimmie che camminavano dove, negli altri zoo, potevano camminare solo gli uomini. Arrivati al botteghino dei biglietti, Enriho venne fulminato da un pensiero terribile: lo zio aveva "trovato" tre biglietti, uno per sé, uno per la zia e il terzo? Era per Enriho o per lo straccio? Dopo un attimo di riflessione pensò che lo zio, per quanto idiota, non potesse arrivare a tanto. Infatti lo zio arrivò anche a peggio. Prima di entrare nello zoo Epiro aveva comprato una dozzina di pacchi di farina che tirò fuori dalla macchina solo in quel momento. Li aprì e li rovesciò tutti sul nipote spalmando la polvere bianca uniformemente su tutto il corpo di Enriho. Poi andarono tutti insieme all’entrata dello zoo e, durante il breve tragitto, lo zio intimò Enriho di rimanere immobile. Alla donna alla cassa, spacciò Enriho per una statua in gesso donata da un anonimo benefattore da collocare vicino alla grotta dei pipistrelli. Poi, e ditemi voi se questa non è la sintesi dell’idiozia, pagò un biglietto intero per lo straccio, trattandolo con tutti gli onori, e utilizzò solo due dei tre biglietti omaggio. Dopo una breve sosta obbligata al bagno, per sfarinare Enriho, la visita poté cominciare. Le brutte figure che lo zio fece fare al nipote furono, nell’ordine:

litigarsi una nocciolina con una scimmia, in seguito, come è facile intuire, vinse la scimmia perché usò il vecchio trucco del "guarda un attimo là!"; fare a gara con un maiale a chi riusciva a seppellirsi nel fango nel minor tempo possibile, stavolta la spuntò Epiro. Questa gara col maiale assunse il carattere di e una vera e propria sfida olimpionica, dato che la zia era al cronometro mentre lo straccio era l’arbitro ufficiale. Enriho si limitava a farsi vedere il meno possibile dalle altre persone, per ovvi motivi. Poi fu la volta dell’incontro di pugilato Epiro contro canguro per il titolo intercontinentale. Fortunatamente ad Enriho venne dato il permesso di andare a fare un giro da solo, con la speranza che si perdesse. Però fu alla gabbia dei leoni più feroci che successe il fatto strano. Strano ed inquietante. Erano tutti a guardare i felini, che erano l’attrazione principale dello zoo. Periodicamente veniva introdotta un’antilope nel grosso recinto di modo da far cacciare i leoni e dare un po’ di spettacolo al pubblico curioso. I Pottero erano arrivati giusto in tempo per il pranzo, un addetto dello zoo stava trascinando l’antilope prescelta al congegno che l’avrebbe introdotta nel recinto dei famelici re della foresta. Enriho lesse negli occhi dell’animale un terrore acuto e, per un istante, credette anche di sentire una voce molto flebile, ma attribuì il fatto alla stanchezza (- bambino, aiuto… non voglio morire… bamb…-) dopo molti sforzi, finalmente, il ragazzo addetto a sfamare i leoni riuscì a posizionare l’antilope nel piccolo argano che, qualche minuto dopo, si sarebbe sollevato e avrebbe depositato l’antilope dentro al recinto. Lo zio Epiro stava ridendo sguaiatamente. Rideva perché non vedeva l’ora che l’antilope fosse fatta fuori, era contento. Questo Enriho non lo sopportò. Fisso gli occhi dello zio che non lo stavano guardando e, per la prima volta in vita sua, desiderò che lo zio fosse al posto dell’antilope. Per qualche istante Enriho non sentì niente intorno a se. Vedeva le persone, le mamme con in braccio le loro bimbe, i papà che tenevano per mano i figli, i bambini che scalpitavano, che roteavano gli occhi convulsamente che leccavano gelati e lecca-lecca, ma non sentiva nessun suono. Non come se tutti fossero diventati muti, ma come se lui fosse diventato sordo. Non sentiva neanche il rumore degli oggetti che lo circondavano, né della natura: niente. Sentiva solo il ritmico battere del suo cuore. Lento ma deciso. Sapeva che stava accadendo qualcosa di importante e sapeva che, se l’avesse rovinato, non avrebbe avuto più occasioni. No, non è corretto dire che lo sapeva, lo intuiva, aveva una muta ma cosciente consapevolezza. Sapeva che era importante perché così è, anche da adulto non avrebbe mai saputo spiegare come avesse fatto a capirlo. Chiuse gli occhi, solo per un istante, disse lui, ma quell’istante gli sembrò lunghissimo. Vide un uomo, un anziano, non sapeva chi era. Gli sembrava (Album) familiare, ma non sapeva chi fosse. L’uomo aprì le mani con le palme rivolte verso Enriho, il quale non riusciva a muoversi. Non poteva muovere nessuna parte del corpo. Poteva vedere e ascoltare, nient’altro. Mai desiderò di più di poter toccare quell’uomo, per poterne costatare la reale esistenza, ma era come paralizzato. Non era una brutta sensazione, era consapevole che era una paralisi momentanea e ancor più consapevole che era una paralisi mentale, però non poteva muoversi. Vedere ed ascoltare, e basta. Il vecchio rimase immobile con le palme rivolte verso Enriho. Non parlava, non emetteva un suono, ma Enriho sapeva che se avesse parlato l’avrebbe sentito di sicuro. Lo sapeva. L’anziano uomo mosse lentamente la mano destra e indicò una direzione. Enriho guardò e vide un cartello. Su di esso si trovava una donna mezza svestita. L’anziano, che stava sorridendo ad Enriho, vedendo la faccia perplessa di quest’ultimo, guardò anche lui verso il cartello e, accortosi di aver indicato la direzione sbagliata, fece un piccolo gesto di scuse. Per un momento Enriho vide una donna che guardava in cagnesco l’anziano, la donna faceva uno strano movimento (il taglio) con le mani. Fu solo un istante. L’uomo alzò quindi la mano sinistra indicando la direzione opposta. Sul suo volto si notava un certo imbarazzo. Allora Enriho volse gli occhi, solo gli occhi, il collo era immobilizzato, in quella direzione e vide un altro cartello. Era rosso con una scritta nera: VOLONTA’. Enriho guardò nuovamente l’anziano signore che annuiva sorridendo. Questa specie di visione terminò istantaneamente, non appena il vecchio abbassò la testa per nasconderla sotto ad un grosso cappuccio. Enriho vide nuovamente lo zoo, ma mentre aveva avuto quella specie di visione, il tempo era trascorso, infatti adesso l’antilope era nel recinto. Vedeva la scena ma, come prima, riusciva solo a sentire il ritmico battere del suo cuore. Volontà. Cosa significava? Sapeva il significato del termine, ma che significato aveva in quel momento? Senza pensarci, disse – Voglio che lo zio Epiro vada al posto dell’antilope -. Aveva solo sussurrato queste parole, un sussurro quasi non udibile, ma in tutto quel silenzio le sue parole echeggiarono come amplificate da mille e mille echi. Voleva coprirsi le orecchie, ma si accorse che quel suono così potente non gli dava fastidio e sembrava che nessun altro se ne fosse accorto. Lo sentiva, sapeva che in condizioni normali gli avrebbe strappato i timpani, ma in quel momento non gli dava alcun fastidio. Era quasi piacevole. Qualcosa successe. L’antilope si trovava proprio di fronte ad Epiro, e qualcosa successe. Il recinto, che era delimitato da vetri a prova di proiettile, per garantire la massima visione agli spettatori, si mosse. Per essere più precisi si mosse il vetro. Cominciò ad agitarsi come acqua che bolle finché diventò come liquido, ma non cadde al suolo come avrebbe fatto un qualsiasi liquido, rimase in piedi, un liquido solido. Nessuno stava guardando e nessuno si accorse del fatto. Neanche lo zio Epiro, che era proprio di fronte alla zona di vetro che aveva assunto questo strano comportamento, se ne accorse. Il vetro cominciò a muoversi verso l’interno del recinto, avvolgendo l’antilope. Però non avvolse a trecentosessanta gradi l’animale, lo avvolse solo da un lato mentre le estremità del vetro continuavano a rimanere solide e salde al limitare del recinto. Mentre, rientrando verso l’interno del recinto per avvolgere l’antilope, il vetro "solido liquido" aveva oltrepassato l’animale come se questo materiale fosse fatto d’aria o d’acqua, quando cominciò a tornare nella sua posizione originale spinse l’animale con se. Rimaneva del solito innaturale materiale ma la zona che sospingeva l’animale verso l’esterno era solida. Se in quel momento l’innaturale sostanza si fosse solidificata di nuovo, l’animale sarebbe stato fuori. Ma lo strano vetro non si fermò. Continuò ad avanzare verso Epiro che adesso se n’era accorto, ma non riusciva a muoversi, pietrificato dalla paura. Il vetro avanzò e avanzò e, come prima, passò attraverso allo zio Epiro, dopodiché si arrestò per qualche istante. Lo zio e L’antilope erano separati da questo strato di vetro non vetro. Dopo alcuni attimi la sostanza ricominciò a tornare all’interno del recinto, lasciando l’antilope fuori e spingendo il povero Epiro dentro. Una volta che lo strano vetro raggiunse la sua posizione originale cominciò ad agitarsi come poco prima e, sempre gradualmente, ritornò il solido materiale di partenza.

Nessuno aveva visto. Epiro era ancora pietrificato dalla paura. Dopo qualche secondo si mosse, convinto di aver sbagliato, di essere stato vittima di un’illusione ottica. Allungò la mano per abbracciare la moglie, ma incontrò la liscia e fredda superficie del vetro. L’antilope era fuori ed Epiro era dentro. Lo zio era adesso al posto dell’antilope. Enriho fu il primo a non credere ai propri occhi, pochi secondi prima aveva la sgradevole presenza dello zio accanto a se, adesso aveva una saltellante antilope, che lo guardava disorientata. La sua sorpresa fu tanta che non riuscì a far niente, parlare, pensare, anche respirare gli sembrava maledettamente inutile e, in quel momento più che mai, difficile. Come aveva fatto il vetro di recinzione a far uscire l’animale ed a far entrare lo zio? Che cosa era diventato? Cos’era quello strano materiale semi liquido? E, soprattutto, come aveva fatto il vetro a diventare quella strana materia? L’antilope non si fece scappare l’occasione e guizzò immediatamente lontana dalla folla, tra lo stupore dei presenti. Enriho ebbe l’assurda sensazione che l’antilope avesse chiuso un occhio come per fargli l’occhiolino, ma volle scacciare questo pensiero. – Non sono stato io, è impossibile! – pensava Enriho ancora stupefatto. Ma quello era solo un’eco della sua parte razionale, un’eco così lontana, in quel frangente, così inutile. Sapeva di essere stato la causa di ciò che era successo, ma rimosse quel pensiero dalla mente, perché il suo cervello non riusciva a catalogarlo come fatto possibile e realmente accaduto. Così, la sera, Enriho già non si ricordava più di ciò che era successo. Dopo alcuni minuti di sbigottimento le prime teste cominciarono a voltarsi verso Epiro, ognuno convinto che si trattasse di un’attrazione organizzata dallo zoo. Ma questa convinzione, in quasi tutti i presenti, durò poco più di qualche attimo, dato che ognuno di loro poteva leggere l’attonito terrore dipinto sulla faccia di Epiro. Così alle risate si sostituirono le grida e, alle esclamazioni concitate, subentrarono i pianti dei bambini. Epiro era ancora attaccato al vetro del recinto, incapace di qualsiasi ragionamento, quindi non molto diverso dal solito. Il leone, che fino a quel momento sonnecchiava su una piccola altura dell’immenso recinto, si alzò lentamente e di malavoglia, dopo tanti mesi di pernottamento forzato in quello zoo, aveva imparato che tutte le gazzelle e antilopi che venivano inserite nel recinto erano troppo spaventate per fuggire, quindi, anche quel giorno, non avrebbe dovuto sudarsi il pranzo. Immaginate voi la scena: il grosso felino, con gli occhi semiaperti dal sonno, si trova davanti, al posto della consueta antilope, un odiatissimo Duezampe. Non che si trattasse di un leone particolarmente acuto, ma aveva una sola certezza, i Duezampe sono tutti malvagi. Non me la sento proprio di dargli torto, per la maggior parte dei Duezampe. L’animale subito rizzò la coda ed appiattì le orecchie nella folta criniera, che parve ad Enriho una distesa di foglie secche. Il suo occhio spento riacquistò l’antico, e naturale, orgoglio di re della foresta, gli artigli cominciarono lentamente a fare capolino dalle possenti zampe. Epiro adesso stava fissando negli occhi il felino e, dentro di se, si intimava di trovare alla svelta una soluzione. Purtroppo la sua mente, già limitata per natura, riusciva a concepire un solo pensiero nel turbinio di quel momento: la rabbia per aver perso l’incontro di pugilato col canguro per knockout tecnico. Per Epiro il tempo sembrò bloccarsi in quel tremendo istante. Il leone curvò indietro il corpo e affondò le zampe posteriori nel terreno del recinto. Mentre le zampe anteriori si alzavano in aria la coda e le orecchie si abbassarono per far assumere al corpo un profilo più aerodinamico possibile. La bocca si aprì leggermente mentre gli artigli delle zampe anteriori erano diventati ormai delle terribili e mortali lame a doppio taglio. Ad Epiro balenò nella testa l’immagine di una katana, una tipica spada giapponese affilatissima. Il pensiero, come ara arrivato, se ne andò precipitosamente, anche perché il cervello di Epiro era privo di filtro, non riusciva a trattenere una qualsiasi immagine per più di dieci secondi. Infatti, parecchi anni prima, il suo cervello era stato catalogato come "non catalizzato". Aveva avuto i suoi problemi a circolare liberamente per le vie del centro, la questione fu risolta dal sindaco della città di Epiro: gli fece marchiare a fuoco sul sedere una targa e lo zio, da quel momento in poi, dovette rispettare il divieto di transito per il centro nei giorni di targhe alterne. Ma ormai erano ricordi lontani, soprattutto in quel momento che si trovava di fronte ad uno stupendo esemplare di felis leo. Le zampe posteriori si piegarono comprimendosi, come si comprimerebbe una molla per farla scattare con la massima velocità, e fu ciò che successe. Appena giunto al massimo piegamento, il leone scattò in avanti proprio come una molla. Stavolta la stupidità dello zio Epiro gli permise di salvarsi. Fin dall’ingresso nel recinto, aveva notato in terra un piccolo luccichio, quindi aveva subito sospettato che si trattasse di una moneta. Proprio nel momento del fatale balzo del leone, non riuscì più a trattenere la curiosità e si chinò per esaminare l’oggetto. Appena fu completamente piegato, il leone, che non si poteva di certo frenare durante un balzo, gli passò sopra, sfiorando con il corpo la schiena dell’uomo. Il finale del trionfale salto del leone potete benissimo immaginarlo senza tanto sforzo: il grosso felino piombò precipitosamente contro lo specchio del recinto, producendo un fragoroso suono ed incrinandolo leggermente. I bambini strillarono e i genitori rimasero attoniti, solo Enriho si stava godendo lo spettacolo come se stesse guardando un cartone animato alla tv. Il leone cadde a terra frastornato ma, fortunatamente, illeso. Se solo avesse deviato leggermente sulla destra avrebbe sbattuto contro un listone d’acciaio che si trovavano tra un vetro e un altro. Ma il leone non si lasciò scappare la seconda occasione, da terra balzò immediatamente, e anche inaspettatamente, su Epiro, atterrandolo e salendogli sopra. Proprio mentre l’animale stava per sferrare il colpo di grazia tramite un morso alla giugulare di Epiro, sentì uno strano odore, avvicinando il muso al collo del malcapitato. Era odore di vino. La bestia aveva deciso già da un po’ di tempo di abbandonarsi totalmente all’alcool, ma lo zoo non glielo passava, nonostante avesse pagato più volte il pizzo ad una iena mafiosa che si trovava vicino al suo recinto. Non poteva sbagliarsi: quello era odore di bibita alcolica! Allora si rialzò in piedi lasciando lo zio libero. Poi, con la zampa, o meglio, con gli artigli, lacerò la tasca interna dell’abito dello zio e ne estrasse il fiasco che Epiro si portava sempre dietro in caso di riserva (sua, non dell’auto). Lo zio, che aveva capito, versò la rossa bevanda nella ciotola dell’animale e il resto lo bevve lui. Nel giro di dieci minuti erano tutti e due abbracciati, totalmente ubriachi, a cantare sguaiatamente canzoni marinaresche, e dovreste vedere com’era contento il leone! Il ritorno a casa dallo zoo fu…

Enriho si lasciò sfuggire dalle mani il pesante baule, che rotolò per le scale atterrando con un boato sul pianerottolo. Ecco cos’era successo quel giorno allo zoo, era stata magia! Allora era vero, lui, Enrico, detto Enriho, Pottero era un mago! Era totalmente impietrito a questo pensiero gradevolissimo ed inaspettato. Si apprestò a raccogliere il baule e le cose che si erano sparse per terra. Enriho ancora non ci aveva ancora messo niente dentro, ma all’interno del baule trovò un paio di vestiti che buttò di nascosto nella spazzatura, questa volta la furtività era necessaria. Posò il baule sul suo "letto" nel ripostiglio e cominciò a metterci dentro tutti gli oggetti di cui disponesse e che erano esplicitamente richiesti nella lettera, la stupenda lettera. Non resistette e la lesse un’altra volta. Ad ogni rigo che leggeva e rileggeva gli sembrava sempre più fantastica, l’idea di andarsene da quel posto d’inferno. In fretta, aggiunse un paio di cose che non erano richieste nella lettera, ma che reputò utili. Guardò l’orologio: erano le undici e mezzo. Aveva ancora un’ora e mezzo prima dell’arrivo di Hagridiano e, sospettava, dell’inizio della più bella avventura della sua vita. Decise di uscire a fare una passeggiata nel suo quartiere, che forse non avrebbe mai più visto. L’aria di quella mattina gli sembrò impregnata di camomilla, la bevanda che, più di ogni altra, era la preferita di Enriho. Osservò per un’ultima volta i giardini. Gli faceva una strana impressione osservare i bambini che si rincorrevano sui prati e, ad Enriho, balenò questo pensiero: - Forse stanno giocando ai maghi, ignari che tutto ciò esiste veramente!-. Questo pensiero gli procurò non poca ilarità, tanto che dovette reggersi la pancia per non crollare a terra in preda alle risate. Guardò per l’ultima volta la gelateria nella quale sgattaiolava almeno una volta alla settimana, anche d’inverno, per comprarsi il gelato. Una piccola lacrima gli sgorgò sulla guance, ma Enriho non seppe mai perché, né io potrei dare una spiegazione a quelle lacrime. Mentre camminava osservando con infinita curiosità ogni negozio, quasi non li avesse mai visti, pensò a come potesse essere il mondo dei maghi. Si ricordò che una volta con un paio di amici, questa volta dei veri amici, avevano provato a giocare ad un gioco di ruolo nel quale lui, Enriho, impersonava un mago. Uno degli ultimi giorni che svolgevano quel gioco, Enriho, contro tutte le aspettative, era riuscito a scacciare un dragone con un incantesimo potentissimo. Ovviamente si trattava solo di finzione e la magia potentissima era riuscito a scagliarla solo perché aveva tirato tre volte di seguito il dado a venti facce ottenendo tutte e tre le volte "venti". In quel momento si immaginò come sarebbe stato trovarsi faccia a faccia con un vero drago, che emozione avrebbe dato lanciare un incantesimo… Enriho ebbe un leggero fremito che gli fece guardare l’orologio: l’una meno venti. Era seduto su una panchina dei giardini e non si ricordava neanche di esserci mai entrato, nei giardini. Comunque doveva tornare a casa, perché ormai mancavano solo venti minuti all’ora x. Si alzò evitando per pochi millimetri un passeggino e cominciò a correre verso casa. Dalla velocità con cui correva un paio di persone lo scambiarono per un replicante di Forrest Gump e cominciarono a correre insieme a lui. Addirittura, quando passò davanti ad una ragazza, questa urlò – Corri, Forrest, corri!- in meno di tre minuti, Enriho era arrivato a casa e stava sistemando le ultime cose nel baule prima di chiuderlo con un grosso lucchetto trovato in cucina. Sistemò il bagaglio di fronte alla porta d’ingresso e, dopo aver mangiato in fretta ed in furia un panino, si mise a sedere di fronte alla porta con i gomiti sulle ginocchia, sorreggendosi la testa con le mani. Osservava in contemplazione quasi estatica il grosso orologio digitale che era appeso in salotto. I secondi avanzavano lenti, lentissimi. Si aspettò che, da un momento all’altro, i secondi cominciassero a tornare indietro, classico di quando si aspetta qualcosa fissando l’orologio. Dal piano superiore giungevano le voci concitate di Epiro ed Agrippina, che stavano giocando a Menopoli. No, non è un errore di trascrizione, il gioco si chiamava proprio Menopoli. Si trattava di una variante del famoso gioco di società: nel Menopoli,, invece dei soldi, le proprietà si pagavano a suon di legnate. Dalle urla dello zio Epiro, Enriho pensò che doveva essere capitato sul "Parco della Vittoria", sul quale la zia aveva costruito gli alberghi. Ormai il fatidico momento era vicinissimo. Dodici e cinquantanove e cinquantanove secondi. Solo un secondo. Soltanto uno. Lo zio era passato dal "Via" e guadagnava ventimila legnate (guadagnare, nel Menopoli, vuol dire ricevere le mazzate sulla schiena anziché sulla testa). Enriho cominciò a tremare e a sudare… tredici. DRIIIIIIIIN! Il campanello suonò. Nel cervello di Enriho i pensieri si accavallarono l’uno sull’altro, talvolta diventando chiari, talvolta mischiandosi tra di loro generando caos. Enriho afferrò la maniglia ma non aprì. DRIIIIIIIIN! Il campanello suonò. Epiro, che si trovava al piano superiore per sperimentare il paracadutismo senza paracadute, avendo perso a Menopoli, cominciò a scendere le scale saltellando sulla testa, dato che ancora non era passata la passione per i pipistrelli. DRIIIIIIIIN! Il campanello suonò.

- Ma ti vuoi decidere ad aprire?- disse al nipote spostandolo dalla porta con una spinta. Lo zio afferrò la maniglia, la ruotò ed aprì la porta. Così fece la sua comparsa Hagridiano.

4

Cavol Alley

Era una persona, non mi sentirei sicuro a dire "un uomo", molto alta. Enriho stimò sul momento che dovesse essere alto due metri e mezzo. Indossava un lungo camice bianco con due enormi tasche laterali e un tascone centrale. Aveva pochi capelli in testa, disposti in circolo ai lati delle tempie come un’aureola. Quei pochi capelli che aveva erano completamente bianchi e portava un paio di vecchi occhiali piccolissimi. Teneva le mani nelle tasche e fissava, alternativamente, Enriho ed Epiro. Il ragazzo contemplava Hagridiano con stupore e meraviglia, chiedendosi dentro di se quante cose potesse aver visto quella specie di gigante: magie, sortilegi, streghe, maghi… la sua mente si perse nella confusione di questi pensieri. Fu Hagridiano ad esordire.

- Dannazione, ragazzo! Cos’hai fatto in tutti questi anni? Ma guarda te come sei cresciuto!- Silenzio glaciale da parte di Enriho.

- Lei sarebbe il signor?- chiese Epiro, mentre giocherellava con delle sanguisughe, trovate per caso nei pantaloni.

- Chimicheus Hagridiano, per servirla.- rispose educatamente l’omone.

- E se non mi volesse servire?- chiese lo zio con autentica curiosità. Enriho e Hagridiano si scambiarono un’occhiata di pena

- Allora, figliolo, sei pronto?- quelle parole accesero un fuoco dentro Enriho. Finalmente abbandonava la sua casa, anzi, la sua prigione. Anche se Hagridiano fosse stato il mostro di Loch Ness con una bombetta in testa, Enriho l’avrebbe seguito senza indugio, pur di allontanarsi dagli odiati zii.

- Prendo il mio baule e sono pronto!- disse, al culmine dell’emozione. Corse subito a prendere il baule, o meglio, tentò di correre, visto che il baule era proprio accanto alla porta d’ingresso. L’aveva dimenticato.

- Prima che vada,- disse lo zio - Devo dire una cosa a mio nipote, aspetti un attimo signor Parmigiano.-

- Non c’è problema, comunque mi chiamo Hagridiano.- disse con calma questo. Quindi Epiro chiuse la porta e si avvicinò al nipote.

- E così stai partendo, comincia la tua grande avventura. Forse c’è una cosa che avrei dovuto dirti sui tuoi genitori, ma non ho avuto mai tempo… beh… in fondo… forse è meglio che tu non lo sappia. Però questo te lo devo dare.- disse, con estrema fermezza. Per un momento, ad Enriho, parve che lo zio gli stesse per dare un bacio, ma l’uomo, all’ultimo istante, girò intorno al nipote e, arrivatogli alle spalle, gli sferrò un calcio poderoso nel didietro marchiandogli a vita la chiappa destra. Enriho, per la botta e la sorpresa, cadde disteso a terra, come un ebete. Cominciò a fargli, quasi immediatamente, un male infernale. Dopo qualche istante di incredulità, si alzò in piedi per restituire il favore, ma lo zio lo fermò.

- Non l’ho fatto per cattiveria, anche se ne ho tratto piacere estremo, ma perché… quando sarai nel mondo strampalato dei maghi capirai. Adesso vai e buona fortuna. Salutami il tuo amico Qualamano.- concluse lo zio.

- Hagridiano!!! Mi chiamo Hagridiano!- gridò questi da dietro la porta.

Questa volta un abbraccio ci fu, e fu sincero. Lo zio si girò di scatto e chiuse la porta. Enriho fissò il vuoto dove, pochi istanti prima, si trovava Epiro, convinto di aver visto qualcosa luccicare sul suo viso. Dopodiché si girò verso Hagridiano.

- Forza ragazzo, dobbiamo andare a Cavol Alley!- quelle parole suonarono strane e dolcissime ad Enriho. Cominciarono a camminare. Il baule era abbastanza pesante ed Enriho lo trascinava a fatica.

- Lei chi sarebbe con precisione?- Enriho notò solo in quel momento che il gigante aveva qualcosa impacchettato sotto al braccio destro.

- Lei? Lei chi?- Hagridiano girò la testa a destra e a sinistra, aspettandosi di vedere qualche ragazza dietro di sé.

- Volevo dire, tu, chi saresti precisamente?- si corresse Enriho.

- Io sono Chimicheus Hagridiano, guardacaccia della scuola di Porkwarts e grande amico del professor Album D’Uovo. Conosci il professor D’Uovo?- chiese Hagridiano.

- No, non mi pare di avere mai avuto il piacere- rispose.

- Aspetta, dovrei avere una sua foto, qui.- disse allora Hagridiano. Estrasse dalla tasca sinistra un pezzo di carta e lo porse ad Enriho. Vi era ritratto un uomo abbastanza anziano… era l’uomo della visione allo zoo! Ne era sicuro al cento percento, ma non disse niente. Enriho saltò quasi indietro dalla sorpresa, quando la fotografia cominciò a muoversi ed animarsi come se fosse viva.

- Hagridiano, questa fotografia si muove!- Strillò Enriho. Chimicheus osservò la foto senza alcuno stupore e poi prese a ridere.

- Andiamo, Enrico, detto Enriho, non hai mai visto una fotografia?- chiese il guardacaccia con ironia.

- Si, ne ho viste parecchie (ad Enriho balzò in mente il tremendo giorno in cui la zia Agrippina lo aveva costretto a guardare tutti gli album delle fotografie dei Pottero, ma ormai erano pensieri lontani, e terribili) ma non ne avevo mai viste che si muovono!-

- Come sarebbe a dire? Tutte le fotografie si muovono nel mondo dei maghi! Solo quelle dei Babbazzi non si muovono!- spiegò Hagridiano.

-Babbazzi?- Non aveva mai sentito quel termine in vita sua.

- E’ il nome che viene dato a chi non ha poteri magici. Davvero non ti ricordavi che le foto si muovono?- ormai, a forza di camminare, erano arrivati fuori città.

- Non è che non me lo ricordavo, è che non l’ho mai saputo. Io non so niente del mondo dei maghi.- replicò il ragazzo.

- Davvero? Quindi non sai chi ti ha inferto la cicatrice?- chiese Hagridiano enormemente stupito.

- Cicatrice? Quale cicatrice?- Il ragazzo proprio non riusciva a capire.

- Quella sulla tua chiappa destra!- Ad Enriho venne in mente il calcione sferratogli dallo zio. Non sapeva perché, ma non provava rabbia nei confronti di Epiro. Hagridiano proseguì.

- Una volta, un potentissimo mago, penetrò in casa tua e, con terribili incantesimi malefici, uccise i tuoi genitori. Ma questo mago non riuscì ad uccidere te, che respingesti l’incantesimo con la chiappa e ti rimase solo quella cicatrice.- Enriho si ricordava benissimo di essere stato abbandonato e non riusciva a capire che senso avesse tutta quella storia, ma non volle indagare. Si limitò a chiedere il nome del mago cattivo.

- Il suo nome?- ripeté il guardacaccia. – Noi maghi non lo pronunciamo mai, tanto è il terrore di questo mago. Ci limitiamo a chiamarlo Colui-Che-Non-Deve-Essere-Annusato.- Ad Enriho scappò leggermente da ridere, a sentire quel nome, ma si trattenne. Erano ormai arrivati nelle campagne circostanti la città, dove anche il passaggio di un’automobile sulla strada non asfaltata, era un evento memorabile. Hagridiano si fermò e si guardò intorno, per essere sicuro di non essere visto.

- L’entrata per Cavol Alley si trova in un’altra città, ci dobbiamo andare volando! Siamo dovuti venire in questo posto sperduto per evitare che qualche Babbazzo ci veda, sai, non tutti hanno una mente elastica come la tua.- Enriho si immaginò lo zio Epiro con un elastico al posto della testa che veniva teso per farci una fionda. Gli spuntò un sorriso. Ma poi si ricordò che cosa aveva appena detto Hagridiano. Aveva detto…

- Volare? Davvero? E cosa usiamo? Una scopa, un tappeto volante?- Hagridiano, imbarazzato, distolse gli occhi dal viso di Enriho.

- Beh, prima avevo un tappeto volante, e dovessi vedere che tappeto! Super Persia, l’ultimo grido!- seguì una breve pausa, durante la quale, Enriho immaginò Hagridiano sopra ad un tappeto - Ma poi con questa storia della patente a punti… ho fatto un po’ troppo lo spericolato e me l’hanno sequestrato… quindi mi sono dovuto accontentare di questo!- detto ciò, aprì il pacchetto che aveva portato sotto al braccio, ne estrasse il contenuto e lo posò a terra era…

- Uno zerbino?- esclamò Enriho sorpreso e divertito.

- Già. Adesso posso circolare solo su zerbini volanti, devo fare tra qualche mese un altro esame di guida per riprendere il tappeto. Questo zerbino non è il massimo, ma viaggia abbastanza veloce. D’altronde è solo un cinquantino…-

- Come la vespa?- chiese Enriho.

- Una specie. cinquantino nel senso che è stato incantato da cinquanta maghi, quindi non va molto veloce rispetto ai cinquecento…- Ad Enriho non interessavano neanche i motori normali, quindi non proseguì il discorso. Si limitò ad avvicinarsi ad Hagridiano ed a salire sullo zerbino. Mentre si avvicinava al guardacaccia cominciò a capire il perché di quel "un così famoso maghetto come te" sulla lettera ricevuta. A quanto pareva, qualcuno aveva messo in giro dicerie sul suo conto, ma a lui non interessava, per lo meno non in quel momento.

- Reggiti forte, ragazzo! Lo spazio è quello che è, purtroppo. Si parte!- esclamò il guardacaccia, con entusiasmo.

- Un momento!- gridò il ragazzo. – E il baule?- Hagridiano voltò la testa e vide il pesante baule adagiato per terra, accanto a loro. Si batté la mano sulla testa.

- Oh, hai ragione. Aspetta un secondo, ci penso io.- Il gigante scese dallo zerbino e si avvicinò al baule. Da una delle enormi tasche, estrasse un tubetto di metallo deformabile, tipo quelli che contengono i dentifrici. Se ne versò un po’ del contenuto sulla mano, era di colore rosso-rosa. Forse era più simile a crema per la pelle che a un dentifricio. Dopo aver borbottato qualcosa che Enriho non sentì, il guardacaccia sbatté la mano piena di crema sul baule. La strana lozione schizzò su tutto il bagaglio, che scomparve all’istante. Il ragazzo strabuzzò gli occhi, incredulo. Hagridiano, notando l’espressione del ragazzo, si affrettò a dargli le dovute spiegazioni.

- E’ super crema. Ti leva le rughe che è un piacere, e ti teletrasporta dove vuoi.- spiegò. Enriho immaginò la scena della zia Agrippina che, la mattina, si sveglia e, andata in bagno, si spalma la crema antirughe e scompare nel nulla. Era esilarante, soprattutto perché l’aveva desiderato chissà quante volte. Senza aggiungere altre parole, il gigante si pulì la mano sul camice e, con un cenno, fece capire ad Enriho che stavano per partire. Il ragazzo voleva chiedere dove era stato teletrasportato il baule, ma si accorse che non gli interessava affatto. Quindi strinse più forte le braccia intorno alla vita del nuovo amico, in attesa della partenza. Hagridiano era così grosso che le braccia aperte del giovane Enriho non bastavano a circondarlo, sentire tutta quella massa sotto le sue braccia lo rassicurava, e non poco. Hagridiano schioccò le dita e, magicamente, adesso è proprio il caso di dirlo, lo zerbino si alzò in volo. Levitava nell’aria molto lentamente, salendo a poco a poco nel cielo. Enriho pensò che la causa di questa lentezza potesse essere il peso di Hagridiano, effettivamente aveva ragione. Cominciò a vedere la campagna sempre più piccola, sempre di più. Poi fu la volta della città, finche tutto non gli parve una pista per le macchinine. Si vedeva solo un uomo che saltellava sul proprio tetto, era la zio Epiro che aveva fatto montare il tetto elastico, cioè composto interamente di elastici. Enriho lo vide piccolo piccolo, comunque era sicuro che si trattasse dello zio perché al secondo salto lo vide precipitare sul prato e beccare, in testa, l’unica pietra di tutto il quartiere. Da quell’altezza gli sembrò di sentire il rumore di qualcosa di cavo che sbatteva, e si chiese che cosa potesse essere (la testa dello zio). Poco dopo, Hagridiano ed Enriho erano sopra alle nuvole.

- Bene, sembra che qui non ci vedrà nessuno!- disse Hagridiano, soddisfatto. Proprio in quel momento, passò un gruppo di velivoli per l’annuale gara di elicotteri e tutti, ma dico tutti, videro Hagridiano ed Enriho sullo zerbino. Hagridiano restò qualche secondo intontito, poi passò all’azione. Con un minimo cenno della mano diede un’accelerata da incubo allo zerbino. Enriho, per quanto stesse stringendo forte la vita del guardacaccia, non si aspettava una così brusca accelerata, quindi scivolò dallo zerbino. Per sua fortuna riuscì, con una mano, a restare aggrappato al tappetino.

- Hagridiano! Aiuto, non riesco a tenermi! Aiuto! AIUTO!!!- il gigante, con una prontezza di riflessi che Enriho stimò esagerata per uno dell’aspetto così tonto, afferrò le mani del ragazzo e lo tenne un po’ sospeso alle sue mani, giusto il tempo per chiamare a raccolta le forze.

- Adesso ti tiro su. Uno due e…- in quel momento si sentì un suono provenire dalla tasca del guardacaccia. Enriho non era sicuro, ma gli sembrava il rumore di una…

- La radio! Me la sono dimenticata accesa! C’era la partita Maghi dei fumetti contro Maghi dei film. Ovviamente io tifo per i maghi dei film perché…- tentò di cominciare Hagridiano, come se si fosse trovato a chiacchierare con gli amici, invece che nel cielo, a tenere Enriho appeso al suo braccio.

- Chi se ne frega della partita, TIRAMI SU!- strillò il ragazzo con tutto il fiato che aveva in gola. Non gli sembrava un modo decoroso per morire.

- No, grazie Enriho, non ho fame.- Enriho rimase sbigottito.

- Non TIRAMISU’, idiota! TIRAMI/SU!- strillò ancora Enriho.

- Ah, certo!- disse, con imbarazzo - Uno due e…- il volume della radio s’impennò improvvisamente e si sentì la telecronaca del commentatore.

- Maghi dei fumetti in vantaggio, ecco Nocciola che scatta sulla fascia. Attenzione… Evita miracolosamente il difensore… è arrivata in area di rigore…- il ritmo si faceva sempre più incalzante.

- No, dimmi che non segna…- disse Chimicheus, incrociando le dita. Per poco Enriho non cadde.

- Ma ti muovi?!?!- strepitò il ragazzo, ancora appeso alle mani del guardacaccia, in attesa di essere issato sullo zerbino.

- STAI ZITTO!- lo rimproverò Hagridiano. La radio riprese.

- Nocciola avanza inesorabile… il portiere della squadra dei Maghi dei film, Gandalf, tenta l’uscita… attenzione amici… ma… cosa succede? Nocciola è diventata un ornitorinco! L’arbitro fischia… Sarà rigore! Il portiere Gandalf viene in questo momento espulso, per il fallo di incantesimo all’ultimo uomo!- urlò il commentatore, concitato.

- Maledetto Gandalf, lo sapevo che doveva stare in panchina, oggi!- esclamò Hagridiano arrabbiato. Ancora la radio.

- Vediamo chi sarà il sostituto… Entra in campo adesso Merlino! È tutto pronto per il rigore… Mandrake prende la rincorsa… ecco che parte…- il terrore più puro si accese negli occhi di Hagridiano.

- Scusa se disturbo…- fece Enriho – Ma dovrei essere io quello terrorizzato!-

- Per favore, fa che la pari…- pregò Hagridiano a bassa voce, senza neanche ascoltare cosa stesse dicendo Enriho. Prese a stringere così forte le mani di Enriho che, per un momento, il ragazzo desiderò di essere lasciato.

- Ecco il tiro… il pallone vola… si impiglia nella barba di Merlino… ed è PARATA! I Maghi dei film sono salvi grazie a questo miracolo di Merlino!- Attraverso la radio si sentì il pubblico della partita strepitare. E dare il via a cori ingiuriosi.

- E vai!- esclamò Hagridiano alzando le mani al cielo… e lasciando cadere Enriho.

- Ops…- Il ragazzo cominciò a cadere nel vuoto. La sensazione che provò, già sperimentata nei Luna Park e nei trampolini alla piscina, fu sgradevolissima. Non sentirsi la terra sotto i piedi era forse la cosa più tremenda che avesse potuto succedere ad Enriho in quel momento. Restò quasi incosciente mentre precipitava inesorabilmente verso terra, verso la fine dei suoi giorni. Scese al di sotto delle nuvole acquistando sempre più velocità. Vide la città delle Macchinine diventare sempre più grande, gigante, oltrepassò l’altezza della cisterna dell’acqua, ormai pronto alla fine dei suoi giorni… quando sentì il morbido sotto la schiena, dove avrebbe dovuto incontrare i duro contatto con l’asfalto. Quel morbido contatto gli ricordò quando, alle elementari, il maestro di ginnastica lo faceva buttare dall’alto del quadro svedese sui materassi in gommapiuma. Ma questa stupenda sensazione durò pochissimo, neanche il tempo di godersela. Proprio nel momento in cui il materassino delle elementari frenava dolcemente la sua caduta, il materiale su cui era caduto sparò nuovamente uno spaventatissimo Enriho nel cielo. Guardò in basso più per riflesso involontario che per curiosità, e vide che l’idiozia di Epiro l’aveva salvato: era atterrato sul tetto elastico. Ma, se la prima volta era atterrato proprio lì, la seconda avrebbe potuto essere un po’ meno fortunato, complice il vento che stava soffiando. Non molto forte, ma sufficiente a deviare la traiettoria d’Enriho, alla sua successiva caduta. Anche Hagridiano, quando ebbe smesso di esultare per la parata di Merlino, si rese conto che era necessario afferrare Enriho al primo rimbalzo. Il ragazzo volava sempre più su, perdendo gradualmente velocità. Poi perse totalmente la velocità e cominciò a discendere. Ancora una volta.

- Lo sapevo, Hagridiano non ce l’ha fatta ad afferrarmi… addio, mondo.- e sentì la possente presa di Hagridiano sotto le ascelle. Questa volta il gigante fu ben lesto a tirare il ragazzo a bordo dell’insolito velivolo. Enriho riprese a respirare solo quando sentì la superficie dello zerbino sotto ai piedi. La prima cosa che gli venne in mente fu di abbracciare Hagridiano e così fece. In un istante il ricordo che, poco prima, proprio Hagridiano aveva mollato la presa, scomparve. E il volo poté continuare. Fortunatamente non ci furono altri intoppi, così Enriho riuscì a dimenticare il piccolo incidente. Solo una volta, Hagridiano dovette fermarsi per chiedere la strada a tre piccioni che stavano passando accanto a loro. Notò che lo zerbino non produceva alcun rumore, mentre lui si aspettava il classico tintinnio che si sente nei cartoni animati. Volarono per non più di sette minuti che, come sempre, quando ci si diverte, passarono velocemente. Poi cominciarono le operazioni di discesa. Hagridiano aveva in mano una specie di bussola che, però, non indicava il nord, ma mostrava con immagini nitide quello che stavano sorvolando, come se tale strumento fosse in grado di leggere attraverso le nuvole. Enriho sbirciò per un istante lo strano marchingegno e lesse, sul suo schermo, la scritta "percentuale sicurezza da Babbazzi: 93%".

- 93%?- si chiese Hagridiano - È sufficiente, atterriamo!- disse il gigante e lo zerbino, con la stessa celerità con cui erano partiti per fuggire dagli elicotteri, si fermò. Enriho vide il rischio di caduta per la seconda volta, ma questa volta non ci sarebbe stato nessun tetto elastico, a salvarlo. Per la verità, neanche nessun tetto normale, perché erano in aperta campagna. Appena furono totalmente fermi, cominciò la discesa, stavolta il peso di Hagridiano accelerò il processo, ma non di molto. Finalmente toccarono la terra, solida e sicura terra. Ad Enriho venne in mente di baciarla, come il papa, ma preferì evitare. Il terreno sul quale erano atterrati era molto simile a quello dal quale erano partiti, cambiava solo il panorama di fronte a loro. Enriho riconobbe il borgo confinante con la sua città. Hagridiano, dopo essersi guardato intorno, prese lo zerbino e lo inserì nuovamente nella busta da cui l’aveva tirato fuori prima. Sembrava avere una faccia abbastanza soddisfatta.

- Eccoci arrivati Enriho! Chissà quante volte sei venuto qui, ma mai avresti immaginato che, sotto ai tuoi occhi, si trovava e si trova tuttora l’ingresso al mondo dei maghi!- disse Hagridiano, sorridendo.

- Eh, già, quante volte ci sono passato…- Enriho si ricordò una delle volte che era andato in quel borgo: alla guida c’era la zia Agrippina e tutti gli altri sedili erano occupati da stracci perché, come si scusò la donna con Enriho, il loro caro straccio aveva invitato gli amici più intimi. Enriho aveva dovuto stare legato come una porchetta sul tetto dell’automobile. Cominciarono a camminare in silenzio lungo un piccolo sentiero che conduceva al centro del paese.

- Conosci il Mago Rincoglionito?- chiese Hagridiano, svegliando Enriho dai suoi pensieri.

- Prego?-

- Ma si, il Mago Rincoglionito, quel pub che si trova in questo borgo e nel quale possono entrare solo i soci.- spiegò Hagridiano. Enriho negò con la testa. Gli sembrava di averne sentito parlare, ma non l’aveva mai visto.

- Beh, caro mio, uscendo dal retro di quel pub ti trovi proprio di fronte all’entrata di Cavol Alley!- Enriho rimase affascinato dal fatto che un mondo pieno di magia si trovasse nel retro di un pub. Hagridiano camminava con passo spedito e, grazie alla sua altezza, percorreva molto spazio con un passo. Anche se camminava lentamente, sembrava sempre una corsa, agli occhi di Enriho. Passarono un po’ di tempo in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri. Fu in silenzio che raggiunsero l’ingresso del pub "Mago Rincoglionito". L’insegna era enorme e illuminata, nonostante fosse giorno. L’immagine rappresentata era familiare ad Enriho, una faccia con i dentoni sporgenti… dove l’aveva vista? Un flash mentale gli ricordò di averla vista nel simbolo araldico che aveva trovato sul sigillo della lettera. Hagridiano, dopo aver posato la busta dello zerbino a terra, cominciò a frugarsi nelle tasche. Ad Enriho, Hagridiano sembrò Mary Poppins, che estrae di tutto dalla borsa. Si immaginò Hagridiano con un cappellino addobbato di fiorellini che estrae una mucca dalle tasche e gli scappò da ridere. Finalmente Chimicheus prese dalla tasca una scheda di plastica colore blu vivo, sul retro della scheda c’era una banda magnetica. Premette un pulsante al lato destro del portone del pub e si aprì una piccola fessura, nella quale Hagridiano inserì la scheda magnetica. La fessura si chiuse e si sentì un suono elettrico di scanner in movimento. Dopo sette secondi la fessura si aprì, la scheda di plastica venne restituita e, al definitivo chiudersi della fessura, si udì lo scatto metallico di una serratura, quella della porta del pub. Il gigante la spinse e i due entrarono. Varcando la soglia, Enriho si accorse che la porta era molto spessa e, tra due strati decorativi di legno, veniva celato in verità un solidissimo portellone metallico. Forse, Enriho non sarebbe mai stato in grado di spingerlo da solo. Nel locale c’erano poche persone, non più di quattro o cinque. Siccome il posto era immenso, ad Enriho dette la spiacevole sensazione di essere da solo, soprattutto quando si addentrò da solo in una saletta secondaria. Aveva lasciato Hagridiano a parlare con il barman, un ometto basso e smilzo con una piccola barbetta rossiccia. La saletta in cui si trovava Enriho era abbastanza piccola e tappezzata di carta da parati. In fondo c’era una scala a chiocciola nera col corrimano bianco. Come tutto il locale, questa saletta, era illuminata da un lampadario di metallo che emanava una luce variabile: a tratti intensa da doversi coprire gli occhi, a volte debole da non vedere a un palmo dal proprio naso. Enriho, in un momento di buio, si immaginò lo zio Epiro attaccato al soffitto, come un pipistrello, con i denti affilati, che si illuminava gli occhi di rosso per pavoneggiarsi… e che cadeva a terra sbattendo la testa ed imprecando. Era una scena abbastanza esilarante da immaginare, soprattutto perché qualche volta, a casa, lo zio si era sganciato dal soffitto ed era caduto veramente. Enriho cominciò a ridere a voce alta, una voce che rimbombò in tutta la stanza. Si sentiva allegro e in pace con se stesso, ma la sua allegria durò ben poco, durò finche non sentì la mano. Una grossa mano, abbastanza pelosa, si era posata sulla sua spalla.

- Non si fa casino, qui dentro.- disse una voce ancora sconosciuta. Il suo sangue subito si congelò nelle vene e nelle arterie. Se qualcuno gli avesse tagliato il braccio in quel momento, avrebbe potuto estrarre un ghiacciolo dalle vene, un lunghissimo ghiacciolo rosso. Si voltò con uno scatto e vide chi era il proprietario dell’orrenda mano. Era una creatura completamente vestita di rosso. Indossava una giacca ed una gonna. Le gambe erano pelose, ma non orrendamente, pelose come quelle di un uomo… il problema era che appartenevano ad una donna. Anche il viso era molto peloso e la faccia era priva di espressività. Portava sulle labbra un rossetto orrendamente rosso e aveva dei capelli ancor più orrendi del rossetto. Fissava Enriho con quella sua faccia senza espressione. Dalla stanza adiacente, quella principale, una sedia si spostò.

- E così hai già fatto la conoscenza della professoressa Sabbrana!- Hagridiano spuntò dalla porta con un boccale in mano e la bocca piena di birra, tanto che si capì a malapena quello che aveva detto. Enriho rilesse mentalmente la lettera e si ricordò che cosa insegnasse la professoressa Sabbrana. Volle subito farle un’ottima impressione.

- Così lei sarebbe le professoressa di difesa contro le arti oscure?- chiese Enriho, con aria di chi è già al corrente di qualcosa.

- No, io sono la professoressa di Difesa Contro le Arti Oscure.- corresse questa. Enriho si guardò intorno, disorientato.

- E io che ho detto?- chiese, infine.

- Non ci hai messo le maiuscole, figliolo.- replicò la "donna"

- Maiuscole? Come faccio a metterle mentre parlo?- si stupì Enriho.

- Mi stai contraddicendo? Vuoi che verbalizzo? Adesso verbalizzo!- la professoressa si era improvvisamente inalberata. improvvisamente e senza motivo.

- No, mi scusi, Difesa Contro le Arti Oscure.- si corresse Enriho, per accontentare la "donna"

- Adesso va meglio. Tu chi saresti?- chiese infine.

- Io sono Pottero, Enriho Pottero.- rispose Enriho. La professoressa non mutò minimamente espressione.

- Il famoso Enriho Pottero? Il bambino che ha sconfitto Colui-Che-Non-Deve-Essere-Annusato? Sono emozionatissima all’idea di conoscerti.- ma la sua espressione non variò di un millimetro. Enriho si sentì profondamente in imbarazzo per l’inespressività della donna. Succedette il famoso, e odiato, momento di silenzio, ma, mentre Enriho era profondamente imbarazzato, la "donna" non aveva mutato l’espressione di un millimetro. Enriho non fu mai grato ad Hagridiano come in quel momento, per aver rotto il silenzio.

- Buongiorno, professoressa! Ci dispiace tanto di non poter restare qui con lei a chiacchiera, ma dobbiamo volare…- e si voltò verso Enriho, che mostrava già una faccia preoccupata, - Non ti preoccupare, Enriho, stavolta in senso metaforico!- quindi riprese con la donna – Dicevo, bisogna volare a Cavol Alley per comprare il materiale scolastico ad Enriho! Con permesso, ci vediamo alla scuola.- Hagridiano fece un frettoloso saluto e, spingendo Enriho fuori dalla saletta, si congedò dalla professoressa. Appena furono nel salone principale, Hagridiano pagò il barman con delle strane banconote, banconote da maghi, pensò Enriho, dopodiché accompagnò il ragazzo fino in fondo al corridoio.

- Non ti fare ingannare dalle apparenze, Enriho. La professoressa Sabbrana è una brava profes… una brava don… una brava persona! Come tutti, a Porkwarts! Quasi tutti…- una scintilla di odio si accese negli occhi di Hagridiano ed Enriho ritenne più saggio non approfondire. Chimicheus spinse la porta del retro, così lui ed il ragazzo entrarono in un cortile sbarrato, pochi metri davanti a loro, da un muro di mattoni rossi. Enriho, che era convinto che avrebbe trovato un’ulteriore porta dopo il retro, rimase in silenzio, aspettando una spiegazione da Hagridiano. Questi, dopo un attimo d’indecisione, cominciò a parlare in tono quasi paterno.

- Dietro questo muro si trova Cavol Alley, ragazzo mio! Solo…- Enriho non lasciò neanche finire Hagridiano. Subito corse verso il muro per potere scrutare dall’altra parte. Con un abile salto, si aggrappò alla cima della parete e fece forza sulle braccia per sollevarsi. Ma quello che vide dall’altra parte fu solamente un altro vicolo ingombrato dai rifiuti del pub, dove potevano andare anche persone normali, i Babbazzi. Enriho fu leggermente deluso perché, già nel momento in cui si era aggrappato al muro, gli era passato per la mente che non era possibile che il mondo dei maghi si trovasse semplicemente dietro quel muro. Bisognava avere la giusta chiave magica per accedere al fantastico mondo, pensò Enriho. Dietro alle sue spalle, Hagridiano iniziò a ridere di gusto.

- Ehi, Enriho, senza la chiave sarà difficile!- la sua risata era contagiosa, così iniziò a ridere anche Enriho, anche se non sapeva il perché.

- Hai ragione!- dovette ammettere Enriho. - Com’è questa chiave? D’oro? Di diamante? È tutta intarsiata? O è una scura chiave misteriosa? Scommetto che se un Babbazzo la tocca rimane fulminato all’istante, vero Chimicheus?- domandò con una curiosità alle stelle.

- Beh, si, una specie.- fu l’unico commento del gigante, che cominciò a frugarsi nelle tasche, in cerca della chiave. Enriho non vedeva l’ora di poterne osservare la forma ed il colore. Finalmente le dita del guardacaccia si serrarono intorno alla chiave, e la estrasse dalla tasca. Enriho rimase a bocca aperta. Era uno stura lavandini. E per giunta era anche brutto. Ma Enriho non si dava per vinto, e si sforzava di trovare qualcosa di misterioso in quella… chiave.

- E’ incantato quello stura lavandini, vero? Scommetto che solo quello lì apre la porta!- disse, concitato.

- Non esattamente.- ribatté Hagridiano portandosi lo stura lavandini alla bocca. Stava strappando con i denti il bigliettino del prezzo. Non era affatto magico, l’aveva appena comprato; Enriho riconobbe il marchio della mesticheria non molto lontana da casa sua. La delusione fu grandissima, ma cercò di non farla notare al guardacaccia.

- Il trucco non è nella chiave, ragazzo, ma dove usarla!- e così detto, cominciò a contare delle mattonelle partendo da un punto che Enriho non riuscì a definire. Appena ebbe finito, alzò in aria lo stura lavandini e lo piantò nel muro. Questo si attaccò ad esso, con perfetta tenuta. Uscirono delle scintille rosa, non appena fu completamente attaccato al muro. Hagridiano afferrò il manico – Benvenuto a Cavol Alley, Enrico, detto Enriho, Pottero.- Esclamò, con tono trionfale, e tirò il manico. Il muro si aprì ruotando su invisibili cardini. Enriho guardò dall’altra parte; mentre il ragazzo fissava il nuovo mondo che gli si era aperto davanti, Hagridiano fissava Enriho negli occhi. Il guardacaccia aveva un sorriso soddisfatto. Ma lo stesso sorriso, che prima era presente sulla faccia di Enriho, scomparve da quest’ultima.

- Sei sicuro che questa sia proprio Cavol Alley? Me l’immaginavo diversa…- disse Enriho, deluso.

Hagridiano, stranito, si girò e guardò anche lui. Vedeva una grande costruzione in mattoni (non era la prima ne seconda volta che la vedeva) con un piccolo ingresso verde. Sulla porta c’era il cartello "casa di appuntamenti di strega Mafalda. Prego prenotare con almeno tre sere d’anticipo. L’ingresso è vietato ai cani, agli gnomi e al signor Chimicheus Hagridiano per precedenti problemi". Hagridiano chiuse immediatamente il muro spingendo il manico dello stura lavandini. Restò a fissare per almeno dieci secondi il ragazzo. Il guardacaccia era super imbarazzato ed Enriho lo guardava, ancora una volta, aspettandosi una buona risposta.

- Ma che sbadato! Devo aver sbagliato mattone! Hai visto che strano posto? Non l’avevo mai visto!- Hagridiano cominciava a sudare, anche lui aveva visto scritto il suo nome, ma in quel momento poteva solo mentire spudoratamente. Ricominciò a contare le mattonelle e si accorse dell’errore.

- Per forza ho sbagliato, dopo il "tre" c’è il "quattro" e non il "settantanove"! maledetta matematica!- anche se ormai Enriho lo considerava un porco, non poteva dargli torto sul suo odio verso la matematica. Il gigante fece un altro tentativo, stavolta le scintille furono verdi. Prima di spalancare di nuovo la porta, il guardacaccia si sporse oltre il muro per accertarsi di aver preso il punto giusto per usare la "chiave". Ritirò la testa tutto soddisfatto perché, a quanto sembrava, stavolta aveva aperto la porta giusta. Si rimise accanto al muro esattamente come aveva fatto prima dell’infelice tentativo precedente e disse, con voce calma – Benvenuto a Cavol Alley, Enrico, detto Enriho, Pottero.- e tirò nuovamente il manico dello stura lavandini. Questa volta lo spettacolo che si parò di fronte ad Enriho fu stupendo: dietro il muro, dove prima aveva visto un sudicio vicolo pieno di immondizia, adesso c’era una grossa piazza circolare e, di fronte a lui, il ragazzo vide un lungo viale costellato di negozi, pub e piccoli edifici. Insieme, Hagridiano ed Enriho, varcarono la soglia, che il guardacaccia chiuse prontamente. Enriho sentì uno strano formicolio sulle mani e sulla schiena, mentre il muro, dietro di lui, scompariva, lasciando spazio alla piazza. Giravano per le strade, adesso Enriho poteva vedere tutta la piazza, molte persone dai vestiti multicolori. Parecchie persone, avevano un cappello a punta, ad Enriho sembrarono tutte persone normali, a parte per l’abbigliamento. Gli fece un certo effetto vedere, in mano di molti, lo strano parallelepipedo con il bastoncino in cima. Enriho si sentiva al settimo cielo, una sensazione che, in seguito, non riuscì mai a descrivere a fondo.

- Ti piace Cavol Alley, figliolo?- chiese Hagridiano.

- E’ la cosa più bella che abbia mai visto, Hagridiano!- rispose questo, con un’aria persa nel sogno di quel momento.

- E ancora non hai visto niente!- gli disse il guardacaccia, riponendo lo stura lavandini nel camice - Adesso bando alle ciance, dobbiamo comprare gli oggetti scolastici. Forza, Giobbe, l’uomo dei calderoni, sarà la prima tappa.- annunciò Hagridiano. Cominciarono a camminare verso la sinistra della piazza, diretti al negozio di calderoni.

5

La visione

La gente, per strada, sembrava essere molto cordiale ed amichevole, tranne poche eccezioni. Come un alieno in visita su un pianeta sconosciuto, Enriho si guardava a destra e a sinistra incantato dai negozi e dagli oggetti che riusciva a scorgere nelle vetrine. Ogni sorta di oggetto magico poteva essere comprato a Cavol Alley, non per niente quel paese era chiamato "il centro commerciale del mondo dei maghi". Alzando gli occhi al cielo, vide che molte persone volavano su strani velivoli, ma l’emozione del momento era tanta, che non focalizzò bene l’attenzione su questi. Era il mondo che aveva sempre immaginato e, ogni notte passata a piangere nel letto, desiderato. Dopo un paio di minuti Enriho ed il suo robusto accompagnatore arrivarono al negozio di calderoni. Era un negozietto dal tetto piuttosto basso al quale erano appesi centinaia, forse migliaia, pensò Enriho, di calderoni. Ce n’erano di verdi, di rossi, di gialli, di arrugginiti, di rame, ferro, bronzo; di tutti i gusti, insomma. Il negozio vendeva tutto l’occorrente per studiare Pozioni, perciò poteva comprare anche il porta pozioni e il kit di preparazione pozioni. Hagridiano incontrò un amico all’ingresso e si fermò a chiacchierare, delegando Enriho di fare gli acquisti. Il ragazzo, leggermente intimorito, si avvicinò al bancone. Mostrò al commesso, un ragazzo sulla ventina che indossava la divisa del negozio, la lettera della scuola, chiedendo quali fossero gli oggetti che potesse comprare lì, nonostante ne fosse già al corrente. Il ragazzo sorrise e disse tra sé e sé – Primo anno… tutti uguali…- prima di andare sul retro e prendere l’occorrente per Enriho. Ci mise pochissimo, e tornò subito al bancone con un bel calderone in mano e un porta pozioni, un sostegno metallico per sorreggere i vasetti degli ingredienti e delle pozioni. Dentro al calderone aveva messo il kit di preparazione pozioni, che Enriho, in quel momento, non poté vedere. Il commesso depositò tutto sul banco di lavoro, ma non chiese i soldi ad Enriho, gli si avvicinò all’orecchio e gli sussurrò:

- Forse non dovrei dirtelo, ma… devo. Sei un futuro studente di Porkwarts, vero?- ma non diede ad Enriho il tempo di rispondere. - Devi stare attento al professore di Pozioni. Girano strane storie sul suo conto, ti prego, stai attento.- il commesso sembrava realmente preoccupato per Enriho. - Lui usa…- tentò di continuare, ma venne interrotto.

- Parlano di me?- una voce abbastanza potente giunse dal fondo del negozio, seguita dallo sbattere della porta che si chiudeva; Enriho si girò immediatamente. Vide un ometto, che era in piedi davanti all’ingresso. Indossava una giacca e dei pantaloni blu, perfettamente uguali a quelli che molti Babbazzi indossavano. Portava inoltre una squallida cravatta gialla e degli occhiali spessi come lamiere d’acciaio. I capelli erano corti e leggermente sollevati, ma non spettinati, anche se l’uomo si trovava in fondo al negozio, Enriho poté notare i suoi piccoli occhi celesti. Cominciò a camminare verso il bancone. Aveva una leggera gobba e il labbro inferiore sporgeva da quello superiore, solo di poco. Enriho sapeva che non si trattava di una malattia, che l’uomo teneva il labbro in quel modo di proposito, ma quel labbro lo fece saltare dalla paura. Non sapeva perché, ma quel labbro gli faceva paura. Una paura maledetta.

- Si alzino in piedi.- disse con calma l’uomo. Con un suono sordo, tutte le sedie del negozio strusciarono per terra, e tutti coloro che erano seduti si alzarono in piedi. Il silenzio regnò sovrano nel negozio. Si sentiva solo il rumore delle persone che, gioiose e spensierate, camminavano all’esterno, per le vie di Cavol Alley. Hagridiano, dall’alto della sua mole, sembrava terrorizzato a morte. I passi dell’uomo erano l’unico suono che volava tra le pareti del negozio, un suono quasi agghiacciante, ma mai come quel labbro sporgente. Lo strano individuo si diresse al bancone, non vedendo Enriho, e si rivolse al venditore.

- Sa, essendo scarsamente intelligente ho un ottimo udito. Dice bene il professore?- chiese, come a se stesso. Era abbastanza compiaciuto.

- Se lo dice lei, di essere scarsamente intelligente…- commentò il commesso.

- Ma come si permette di rispondere? Lei è una testa calda!- Enriho notò che l’uomo annuiva leggermente con la testa quando parlava e quel labbro sembrava, al nostro protagonista, più spaventoso che mai. Era perfido, pensò. Si aspettava che da un momento all’altro quel labbro si fosse staccato dalla bocca e l’avesse assalito.

- Ma, professore…- tentò di difendersi il ragazzo.

- Vuole che la trasformi in un compasso?- chiese il professore, con aria di superiorità.

- No, professore. Mi scusi.- il giovane abbassò la testa in segno di sottomissione.

- Adesso va meglio.- disse l’uomo con un ghigno di soddisfazione. La testa dell’uomo si girò, forse per andare ad osservare degli oggetti in esposizione, e i suoi occhi si posarono su Enriho. I due si fissarono per un istante che sembrò un’eternità o anche due, al nostro ragazzo. Quegli occhi e quel labbro sporgente erano proprio terrificanti. La cosa che li rendeva ancora più terrificanti, era che non avevano niente di terrificante. Soprattutto il labbro.

- Non mi sembra di averla mai visto qui a Cavol Alley…- cominciò il professore. Anche mentre parlava, continuava ad annuire leggermente con la testa e, solo adesso, Enriho notò che teneva le due mani giunte, ma non palmo contro palmo, come si mettono per l’atto della preghiera, ma le dita dell’una contro le dita dell’altra, in modo da distanziare i palmi.

- Lei chi è? Dalla sua età, i suoi lineamenti, e usando la reductio ab absurdum, deduco che lei è un futuro studente di Porkwarts, dice bene il professore?- chiese un’altra volta l’uomo. Era abbastanza ridicolo, quando lo diceva.

- Si, io sarò a Porkwarts per frequentare il primo anno. Mi chiamo Pottero, Enriho Pottero.- gli occhi del professore si spalancarono di colpo, come quelli del commesso, e rimase totalmente immobile. Dopo successe una cosa strabiliante. Nonostante Enriho considerasse l’uomo troppo vecchio anche per una semplice corsetta la domenica mattina, questi piombò con uno scatto fulmineo alle spalle di Enriho; fu così veloce che il ragazzo non riuscì neanche a vedere dove fosse andato. Poi il professore abbassò i pantaloni di Enriho e poi le mutande, lasciandolo a chiappe scoperte.

- San Euclide, lei è veramente Enriho Pottero, ha la cicatrice infertagli da Colui-Che-Non-Deve-Essere-Annusato!- esclamò l’anziano uomo, allontanandosi da lui - Scusi la diffidenza…- disse il professore mentre Enriho si tirava su le brache. – Io sono un insegnante della scuola di Porkwarts, sono il professor Labbreus Rosson, docente di Pozioni.- seguì una breve pausa, giusto pochi secondi. Enriho strinse la mano del professore, che quasi gliela stritolò, poi l’uomo riprese a parlare - Mi scusi ma il tempo è tiranno; ci vedremo alla scuola. Arrivederci.- e detto ciò, uscì fuori dal negozio, ma con una certa fretta e, gli sembrò di percepire ad Enriho, anche una certa paura. Hagridiano, silenzioso come tutti gli altri, durante quei minuti, si avvicinò ad Enriho.

- Hai visto che tipo? A me da i brividi ogni volta che lo vedo. Quel labbro è orribile, Enriho! orribile!- Enriho annuì con la testa. Aveva avuto la stessa identica impressione. - Ma non pensiamoci più, ecco qua i soldi, sono soldi tuoi. Paga ed usciamo.- ed estrasse da una tasca interna del lungo camice, un sacchettino di pelle contenente banconote e monete. Enriho andò al bancone e chiese quanto dovesse pagare. Il commesso fece due veloci calcoli a mente.

- Sei Coglionazzo e un Imbecille.- disse, infine.

- Prego?- chiese Enriho, interdetto.

- Sei Coglionazzo e un Imbecille.- ripeté il commesso. La reazione di Enriho non tardò ad arrivare.

- Ma ti sei visto allo specchio? Tra i due il più coglionazzo e imbecille mi sembri tu!- gli sbraitò contro. Il commesso scoppiò in una risata dirompente e sincera, sembrava che stesse per esplodere, a forza di ridere. Enriho trovava tutto ciò alquanto irritante.

- Ma no, Enriho! I Coglionazzo e gli Imbecille sono due delle monete del mondo dei maghi! Si vede che sei stato tenuto all’oscuro di questo mondo!- disse - Dammi quel sacchettino, prenderò io le monete giuste.- Il commesso, dopo aver svuotato il sacchetto sul bancone, prese sei monete di rame e una d’argento. Poi prese un sacchetto per la spesa veramente piccolissimo, un calderone non sarebbe entrato neanche in cinque di quei sacchetti. Ma quel sacchetto era magico. Qualunque cosa vi si avvicinasse, anche molto voluminosa, si restringeva all’istante, portandosi alle dimensioni di un cracker. Così il calderone si restrinse non appena raggiunse l’apertura del sacchetto, entrandovi perfettamente, lo stesso accadde al porta pozioni. La busta pesava veramente pochissimo ed Enriho ne fu affascinato. Salutò cordialmente il giovane impiegato e, appena Hagridiano ebbe finito di chiacchierare, uscirono dal negozio, diretti alla cartoleria.

Questo negozio, pensò Enriho, doveva essere non molto diverso dalle cartolerie del mondo dei Babbazzi. Camminare per le strade e per i vicoli di Cavol Alley era qualcosa di stupendo ed affascinante. Ogni tanto, ai bordi della strada, c’erano persone che si divertivano a fare uno strano gioco che consisteva nel mettersi uno di fronte all’altro e, dopo aver preso una lunga rincorsa, sbattere la testa contro quella dell’avversario. A quello che aveva capito Enriho, vinceva chi rimaneva cosciente. Questo gioco tanto simpatico, gli ricordò le legnate amorevoli dei vicini. Raggiunsero abbastanza velocemente la cartoleria; come aveva immaginato Enriho, era abbastanza simile a quelle Babbazze. Dentro c’era tantissima gente che urlava e rideva, molti dei quali erano ragazzi. Gli articoli erano leggermente diversi da quelli dei Babbazzi; c’era la penna auto scrivente e l’inchiostro quasi infinito. Ancora una volta Enriho rimase affascinato.

- Ci penso io a comprare il materiale, tu aspetta qui.- disse il guardacaccia, quindi si avviò verso il centro della folla per essere da essa inghiottito. Enriho si appoggiò con le spalle al muro ed aspettò. Non dovette aspettare molto, perché Hagridiano, per la sua mole e per la sua importanza, era stato fatto passare avanti. In seguito confidò ad Enriho di fare sempre conto sulla propria fama, per saltare le code, dovunque esse fossero state. Dopo al materiale di cartoleria, passarono ai libri. Il negozio del libraio era un grande stabile su due piani, completamente pieni di libri su ogni parete tranne quella d’ingresso. Tutti gli scaffali erano di legno e, nonostante la palese età, erano tenuti perfettamente e lucidati per lo meno quotidianamente. Hagridiano prese in mano la lista dei libri e andò a procurarseli lasciando, ancora una volta, Enriho all’ingresso. Stavolta il ragazzo non si limitò a stare fermo, ma fece un giro per il negozio. Tanti ragazzi e ragazze stavano scegliendo i libri dagli scaffali; dai titoli Enriho riconobbe quelli che aveva anche lui nella lista, quindi tutti quei ragazzi erano del primo anno. Un gruppetto di ragazze stavano intorno al libro di un giovane mago che da poco tempo aveva sfondato nel mondo della televisione. Solo una ragazza non era unita al resto del gruppo. Stava appartata in un angolo della biblioteca dove c’era espressamente scritto "terzo anno". Ma la ragazza sembrava ad Enriho troppo piccola, per frequentare il terzo anno. Era di spalle, rispetto al nostro protagonista, che poteva vedere solo dei capelli castani e mossi che uscivano da una lunga tunica nera. Ad Enriho piaceva il modo in cui quei capelli le ricadevano sulle spalle. La ragazza si girò per un istante, ma non incrociò lo sguardo di Enriho, che non era riuscito a vederla nel viso, e un po’ se ne dispiacque. Arrivò Hagridiano, quasi dal nulla, con in mano una lunga pila di libri grandi e piccoli, tutti di colori abbastanza scuri. Li lasciò cadere dentro alla piccola busta e, anche questi libri, si restrinsero per entrare nel sacchetto.

- Su, andiamo?- chiese Hagridiano, già sulla porta. Enriho si limitò ad annuire con la testa e si diresse all’uscita. Voltò lo sguardo verso la sezione del terzo anno, ma la ragazza non c’era più, in cuor suo si augurò di poterla incontrare di nuovo, almeno per poterle vedere il volto. Uscì per strada, preceduto da Hagridiano.

- Scusa, Hagridiano, hai detto che quei soldi di prima sono miei?- chiese Enriho

- Già, appena prelevati dal tuo conto personale.- rispose il gigante

- Ma come posso io avere un conto personale se fino a ieri non sapevo neanche di essere un mago?- si/gli chiese, allora.

- Ragazzo, ci sono i soldi dell’assicurazione dei tuoi genitori!- rispose. Enriho rimase per un momento perplesso.

- Assicurazione? Su che cosa? Quale assicurazione?- insisté Enriho. Hagridiano assunse un tono calmo ed amorevole.

- Ti sei mai chiesto perché hai vissuto fino ad adesso con i tuoi zii?- Enriho si ricordava perfettamente di essere stato abbandonato da piccolo sul ciglio di un’autostrada dai genitori, ma questa faccenda dell’assicurazione gli puzzava, giustamente, di truffa. Quindi fece finta di niente, per poter indagare.

- No, perché?- chiese quindi, con ottima simulata curiosità.

- E’ colpa del più terribile dei maghi, che noi temiamo e del quale non osiamo nemmeno pronunciare il nome. Quindi lo chiamiamo Colui-Che-Non-Deve-Essere-Annusato, per il suo famoso fetore. Ma questo mi sembra di avertelo già detto, no?- Enriho annuì in segno d’assenso

- Lui lanciò una terribile maledizione sui tuoi genitori, uccidendoli. Ma prima di morire, tua madre riuscì a consegnarti ad un Pellicano, un uccello che fa le consegne nel mondo dei maghi. Colui-Che-Non-Deve-Essere-Annusato lanciò anche a te la maledizione, colpendoti nel sedere, ma questo colpo, che avrebbe dovuto essere mortale, non ti uccise, ma ti inflisse quella ferita nel didietro. I suoi poteri magici furono dissolti all’istante. Quindi i tuoi genitori, per il loro coraggio, sono stati premiati con un’assicurazione, che ti ha fornito tutti questi soldi.- spiegò Hagridiano, sistemandosi il camice. Enriho pensò subito ad una panzana inventata dai suoi per fargli avere un po’ di soldi, e adesso capiva anche il perché di quel poderoso calcio dello zio Epiro, che era a conoscenza della storia. Ma, in fondo, l’avevano fatto per regalargli un po’ di soldi, e questo lo commosse leggermente. Così adesso era un eroe senza saperlo e, soprattutto, senza aver mai fatto niente per meritarsi quell’appellativo. Per un pezzo di strada i due stettero in silenzio, Hagridiano non voleva parlare perché pensava che Enriho fosse triste per la storia dei genitori, Enriho non parlò perché era troppo divertito dalla messinscena, anche se il calcio dello zio gli faceva ancora un po’ male. Arrivati di fronte al sarto, Hagridiano disse ad Enriho di entrare e gli diede dei soldi.

- Io ho un paio di commissioni da fare. Devo andare… insomma ho un paio di commissioni da fare.- disse il guardacaccia con un’aria leggermente agitata. – Tra un’oretta sarò qui, per allora dovresti avere finito. Ti aspetto qui, di fronte al negozio, non ti muovere, mi raccomando. A dopo.- e se ne andò. Ad Enriho nessuno aveva mai fatto raccomandazioni di stare attento o di aspettare in un posto. Una volta lo zio Epiro gli aveva detto di aspettare in un angolo del supermercato e aveva tentato la fuga, ma essendo l’uomo di limitatissima intelligenza, era passato davanti ad Enriho, invece di uscire da un’altra uscita. - Ormai è tutto passato.- si disse. Entrò.

Il portone si richiuse con un suono di campanelli che tintinnarono, quelli che talvolta si applicano alle porte per segnalare l’ingresso di qualcuno. La stanza dove si trovava il ragazzo era esagonale, addossati ad ogni lato c’erano centinaia di abiti di ogni forma e colore. Si intravedeva un’altra stanza, in fondo, ma Enriho non riuscì a vederne il contenuto. Non c’era nessuno al bancone e il silenzio, almeno all’inizio, era abbastanza piacevole. Appeso ad una parete c’era un piccolo telecomando nero con un pulsante circolare bianco. Enriho si avvicinò. C’era una targhetta che diceva "suonare per chiamare il personale". Allora premette il pulsante. Una squillante pernacchia risuonò nell’aria e, dalla stanza ancora ignota ad Enriho, uscì un ometto magro e molto basso, non più alto del metro e venti. Indossava degli stivali rafforzati e un gilet rosso, sotto il quale c’era la divisa del negozio. I pantaloni di velluto, un orologio da taschino e un monocolo dorato completavano perfettamente il quadretto. C’era poco da fare: quell’ometto era molto gradevole a guardarsi. Per contrastare tanta armonia, la sua mente cercò di ricordare la cosa più sgradevole che avesse mai visto, e gli venne in mente il labbro. Ebbe un leggero fremito al ricordo, seguito da uno spiacevole brivido freddo lungo la schiena.

- In cosa posso esserti utile?- chiese l’ometto con una gentilezza quasi incredibile.

- Vorrei una tunica nera stand…- cominciò il ragazzo, ma l’ometto non lo fece neanche finire.

- Primo anno a Porkwarts, vero?- chiese, sapendo già la risposta.

- Proprio così!- rispose lui, tutto orgoglioso.

- Va bene, seguimi.- Enriho, seguendo l’ometto, entrò nella "stanza ignota". Era anche questa una stanza esagonale con le pareti pitturate di bianco. Dove nell’altra stanza c’erano moltissimi vestiti tutti diversi da loro, lì c’erano tantissime tuniche nere, lunghe, corte, strette, larghe. C’erano inoltre molti pezzi di stoffa, sempre nera, che pendevano da un gancio. Al centro della stanza c’era uno sgabello e, di fronte ad esso, un lungo specchio.

- Mettiti in piedi su quello sgabello, prendo il materiale ed arrivo.- disse l’ometto, prima di tornare nell’altra stanza. Enriho già immaginava che, tramite un incantesimo, l’ago e il filo avrebbero levitato nell’aria, per cucire da soli. L’ometto tornò con una scatolina metallica in mano, ed estrasse lo strano oggetto a forma di parallelepipedo col bastoncino in cima, la bacchetta magica. Se la puntò ai piedi e farfugliò qualcosa. Uscirono scintille multicolori dal bastoncino, che diventarono poi celesti, toccando le gambe dell’uomo. E questi si librò nell’aria. L’omino stava volando! Enriho non si stupì più di tanto: vista la statura dell’uomo, era impossibile che gli avesse preso le misure, se non si fosse portato più in alto. Era strano ma bello vedere un ometto di quella statura volarti intorno. Prese, sempre dalla scatoletta, un metro da sarto e cominciò le misurazioni. Dopodiché cominciò il lavoro vero e proprio, a mano.

- In questo mondo è tutto semplice, con la magia. Ci vuole qualcuno che tramandi il mestiere manuale, giusto?- e fece l’occhiolino ad Enriho, quasi leggendogli nella mende la domanda "ma perché non usa la magia?". Quell’ometto gli piaceva un sacco. Mentre il sarto lavorava, Enriho si guardava intorno, ma non riusciva a trovare niente che stuzzicasse la sua curiosità. Adesso sembrava uno spaventapasseri perché il sarto gli aveva fatto aprire le braccia e gli aveva detto di stare immobile. Cominciò a prudergli la schiena. Ovviamente è terribile sentire prurito da qualche parte e non potersi grattare. Il prurito si fece sempre più intenso, neanche a farlo apposta. Ormai era insopportabile, fastidioso e persistente. Quel tremendo prurito era come un esercito di formiche nella schiena. Dovette fare ricorso a tutto il suo autocontrollo per non muovere le braccia, ma adesso qualcosa era cambiato. Il prurito stava salendo. Si spostava in alto, come se fosse stato il vagone di una monorotaia che viaggiava sulla sua colonna vertebrale. L’esercito di formiche prese a marciare. Non era un’impressione: stava proprio salendo. Gli arrivò al collo, lento ma inesorabile. Aveva paura, Enriho adesso aveva paura. Temeva che quel formicolio anomalo fosse dato da qualche maledizione o cose del genere. Il prurito stava salendo sulla testa, adesso gli avvolgeva il cranio. Il ragazzo non riusciva neanche a parlare, come se la mandibola gli si fosse serrata. Lentamente tutto diventò nero, non scuro, ma nero. In pochi secondi era diventato come cieco. Aveva gli occhi aperti, ma vedeva solo nero, tutt’intorno a lui. Quel nero gli opprimeva il cuore e gli infondeva un senso di disagio non descrivibile. Non poteva vedere assolutamente niente, ma gli sembrava di essere in movimento. Non si sentiva la terra sotto i piedi e già questo era brutto, ma aveva anche la sensazione di starsi muovendo. Poi, in meno di un secondo, sentì nuovamente il contatto con un pavimento, ancora però non era in grado di vedere niente. Cominciava a sentire qualcosa, un rumore diffuso tutto intorno a se. Era rumore di chiacchiere e risate che si accavallano. Cominciava, molto lentamente, a vedere qualcosa. Si trovava in una stanza abbastanza grande, interamente di pietra. C’era molto buio, l’unica fonte di luce veniva da dei buchi nel soffitto, sembrava la luce di un fuoco. I sospetti d’Enriho vennero confermati, non appena cominciò a sentire il crepitare della legna. A parte questo suono, tutto il resto era in silenzio. Ad un tratto si sentì, dal fuoco sopra la sua testa, uno strano rumore, come di un pezzo di ferro che affonda nella polvere. Non era stato un suono molto forte. In seguito si sentì parlare, sempre il chiacchiericcio che aveva sentito prima, più sommesso, però. Davanti a lui c’era una persona, in piedi. Non riusciva a vedere la faccia perché era girata di spalle, ma anche se fosse stato frontale, il buio gli avrebbe impedito la visione. Passeggiava su e giù per la stanza con le mani dietro la schiena, come in attesa di qualcuno o qualcosa. Enriho era lì, osservava tutto, ma… non era lì. Abbassando lo sguardo non si vide il corpo e, pur sentendo il movimento delle proprie mani, non le vedeva. Stava vivendo una specie di visione, molto elaborata, però; riusciva anche a sentire il profumo di vivande che proveniva dal piano superiore. La persona continuava a camminare sempre seguendo la solita scia. Ogni tanto farfugliava qualcosa, ma sempre sottovoce. Si sentì un frullare di ali e un volatile entrò nella stanza. Anche di questo non riusciva a scorgere i particolari, poteva vedere solo la sagoma. L’uccello si posò su un piccolo trespolo che Enriho notò solo in quel momento. L’uomo aspettò che il volatile chiudesse del tutto le ali, poi gli si avvicinò, carezzandogli lentamente il piccolo collo.

- Allora, l’hai chiamato?- chiese all’animale. La sua voce era flebile, poco più di un sussurro. Quest’ultimo, dopo pochi attimi, annuì con la testa.

- Ottimo, devo dirgli una cosa troppo importante… sai… no, la sentirai quando ci sarà anche lui.- disse la figura, con voce sempre più impercettibile. Così ritornò dov’era prima, continuando a passeggiare nervosamente. Poi la persona cominciò a muoversi sempre più velocemente, ma in maniera innaturale. Ad Enriho sembrò di stare guardando una videocassetta, e di aver premuto il tasto per l’avanzamento rapido, e fu così, in un certo senso. Il tempo stava scorrendo velocemente davanti ai suoi occhi. Scorreva e scorreva, finche tornò alla velocità naturale. Adesso non si sentiva più nessun rumore e l’oscurità era maggiore. Da dove prima proveniva la luce del fuoco, adesso filtravano blandi e pallidi raggi di luna. Era notte fonda, questo era ben chiaro, e l’uomo stava ancora passeggiando. Enriho pensò che ormai doveva esserci un solco, a terra. Si sentì un piccolo rumore, di pietre che sfregano tra loro, ma durò un attimo. Un’altra figura, anch’essa, ovviamente, irriconoscibile, entrò nella stanza. Era leggermente più bassa del primo uomo.

- Lui sta per arrivare, mi segui?- cominciò il primo, quello che aveva passeggiato fino a quel momento. L’altro annuì in silenzio. - Lui sta per arrivare, ma noi faremo in modo che faccia una brutta fine, va bene?- chiese. L’altro uomo annuì nuovamente - Dobbiamo preparare tutto al dettaglio e tu mi aiuterai. Penso che avrai…- ma tutto diventò nuovamente nero. Non gli era più possibile vedere o sentire niente. Ricominciò a vedere, non lentamente, come prima, ma tutto d’un colpo. Si ritrovò in piedi sullo sgabello del sarto. Il prurito, che gli invadeva la testa, stava scendendo, un pochino più veloce di come era salito, e scomparve del tutto dopo pochi secondi. Seguì un attimo nel quale non riuscì bene a capire cosa fosse successo. Abbassò lo sguardo: adesso aveva indosso una tunica nera che gli arrivava fino alle caviglie. Si poteva aprire, sulla parte anteriore, tramite dei bottoni bianchi. Sul lato sinistro, dove di solito si trovano i taschini delle camicie, c’era una porzione di vestito bianca, solo un piccolo pezzettino a forma di scudo. Le tasche laterali erano grosse e capienti.

Ci si trovava bene, dentro a quel vestito, in un certo modo lo sentiva già suo. Il sarto stava ancora lavorando, ma era ormai chiaro che era arrivato alla fine della sua opera. Durante quella stranissima visione, il tempo era trascorso: Ne era la prova il fatto che adesso la sua tunica era finita. L’ometto, sempre levitando a mezz’aria, si allontanò da Enriho per ammirare la sua opera; era visibilmente soddisfatto. Con uno schiocco di dita discese rapidamente a terra.

- Visto che lavoretto? Come te la senti?- chiese, con la solita gentilezza nel parlare. Enriho era ancora scioccato da ciò che gli era successo. Scioccato perché non riusciva a capire. Una cosa ignota, è quasi sempre spaventosa.

- B… be… bene, è perfetta.- rispose, molto a stento. Non aveva bisogno di mentire, perché era la verità.

- Perfetto. Fatti quattro passi e guardati bene, vado a posare gli attrezzi!- disse l’ometto e, uscendo dalla stanza, fece ancora l’occhiolino ad Enriho. Il ragazzo scese dallo sgabello e cominciò a camminare avanti ed indietro, imitando la figura che aveva appena visto nella visione. Un brivido gli percorse la schiena, ma svanì subito. Si voltò verso l’uscita della stanza, per andare a pagare. Ebbe la strana sensazione che la ragione della visione fosse stata la stanza, ma non seppe perché. Provò uno strano sollievo nel tornare nella camera piena di vestiti colorati, e ancora più sollievo nell’uscire dal negozio, dopo che ebbe pagato. Aveva tolto la tunica e l’aveva riposta nella busta. L’aria esterna era leggermente fresca e procurò ad Enriho una piacevole sensazione di liberazione. Hagridiano lo stava aspettando con le spalle appoggiate al muro di un negozio di alimentari. si stava guardando le mani e parlava tra sé e sé, Enriho si ricordò subito di quelle vaolta che lo zio Epiro era convinto che le sue mani avessero una coscienza, tanto che andava in giro con tre biglietti da visita nel taschino. Tale idea gli era crollata quando la zia Agrippina gli aveva fatto notare che era meglio demordere dal proposito di insegnare a guidare a Lefty, la mano sinistra, forse perché lo zio aveva distrutto per la settima volta in due giorni l’utilitaria di famiglia durante le sue lezioni di guida. Appena Hagridiano vide Enriho lo salutò con un gesto della mano destra.

- Fatto?- chiese il guardacaccia. Il giovane annuì con la testa.

- Perfetto. Io ti ho comprato un altro paio di cose. A questo punto mancano solo la scopa volante e la bacchetta magica. Da cosa si parte?- chiese, leggendo l’impazienza negli occhi del ragazzo.

- Scopa volante! Scopa volante!- Enriho aveva sempre desiderato volare, quindi la sua scelta fu abbastanza ovvia.

- E scopa sia. Andiamo!- disse Hagridiano, sorridendo, e ricominciarono a camminare. Durante il tragitto, Enriho si sforzò al massimo di ricordare ciò che aveva visto nella visione, ma tutto gli sembrava confuso e sfuocato, come se stesse cercando di richiamare alla mente i ricordi di qualcun altro. Raggiunsero, qualche minuto dopo, una strada piena zeppa di ragazzi, tutti ammassati intorno ad una vetrina. Enriho, mentre camminava con Hagridiano, tentò di sbirciare attraverso la folla e, con sua grande sorpresa, tutti i ragazzi stavano osservando dei wc messi in esposizione. La vetrina era piena di gabinetti di diversa forma e colore, peso e dimensioni; istintivamente, si chiese il perché di tanto affollamento per dei semplici sanitari. Entrò, preceduto dal guardacaccia, in un negozio. Il negozio di scope volanti.

- Ehi, Jules! Come va?- urlò Hagridiano dal fondo del negozio. Tutti i clienti si girarono di scatto a guardarlo.

- Hagridiano? Vecchia canaglia! Che ci fai da queste parti? Allora ti hanno scarcerato per quella faccenda dei criceti che tenevi in schiavitù?- Enriho, colto di sorpresa dalle parole, si voltò di scatto verso Hagridiano, con aria inquisitoria. Hagridiano gli rivolse nuovamente un sorriso imbarazzato.

- Beh, Jules, trovameli te dei volontari disposti a girare una ruota dentata gigantesca, per far ruotare i meccanismi dell’orologio del castello!- fu la risposta del guardacaccia. Adesso, agli occhi di Enriho, Hagridiano era un porco e un idiota. Ma questo non gli interessava affatto.

- Ormai è acqua passata. Che posso fare per te?- chiese il commerciante. Intanto il ragazzo, che si era guardato intorno, si era accorto che erano entrati nel negozio che esponeva i gabinetti in vetrina. – Forse voleva salutare un amico- pensò Enriho. Ma quest’ipotesi fu scartata non appena Hagridiano disse:

- Mi serve una scopa per il ragazzo.- Enriho, allora, strattonò la manica destra di Hagridiano.

- Chimicheus? Mi sa che hai sbagliato negozio. Qui vendono sanitari!- la preoccupazione cominciava a velargli il viso.

- Aspetta e vedrai, ragazzo.- Jules fece cenno ad Hagridiano di seguirlo, e così fece il guardacaccia, seguito da Enriho. Passarono attraverso tutto il negozio ed arrivarono ad una grossa porta verde sulla quale c’era scritto "magazzino scope volanti", proprio accanto al magazzino degli aspiratutto subacquei. Il commerciante vi entrò seguito da Hagridiano ed Enriho. Quest’ultimo pensò che lo stesso uomo che vendeva sanitari, commerciava anche le scope volanti, che conservava in magazzino, non era in grado di darsi altra spiegazione. Il magazzino era completamente buio, non una finestra lo illuminava. Appena la pesante porta si richiuse, tutto il locale fu completamente al buio, ad Enriho ricordò la stanza della visione, totalmente buia. Girò la testa a destra e sinistra, aspettandosi di vedere la figura misteriosa che passeggiava avanti ed indietro, ovviamente non vide niente.

- Luces!- urlò Jules, e la stanza s’illuminò all’istante. Il magazzino era un grosso locale rettangolare, completamente imbiancato e ben tenuto. C’erano un paio di finestre, ma erano tutte sbarrate, per questo non lasciavano passare la luce. Davanti ad Enriho si trovava un’immensa distesa di… gabinetti. Neanche al reparto "sanitari" del centro commerciale della sua città, aveva mai visto tanti gabinetti, di tutte le forme e dimensioni. Enriho rimase interdetto e sarebbe rimasto lì, con la delusione nel volto, per ore, se Hagridiano non avesse parlato.

- Forza ragazzo, scegline una!- Enriho, se fosse vissuto in un cartone animato, sarebbe diventato tutto rosso e gli sarebbe uscito il fumo dalle orecchie. Stavolta non gli riuscì di essere discreto. Ci provò, ma invece di un sussurro, gli uscì un grido.

- Ma che dici, Hagridiano? Non lo vedi che questi sono gabinetti? VOGLIO UNA SCOPA VOLANTE, NON UN CESSO!- Hagridiano ed il commerciante Jules si guardarono negli occhi. Passò un momento di silenzio, poi scoppiarono le risate dei due uomini. Adesso era il momento in cui Enriho estraeva un martello gigante dalla tasca e lo batteva sulle teste dei due. Per un momento, il ragazzo, desiderò essere un cartone animato. Hagridiano, balbettando tra le risate, riuscì ad abbozzare una spiegazione.

- Enriho, queste sono… ah ah ah ah… sono scope volanti! La for… ah ah ah ah… la forma è quello che è, ma ti assicuro… ah ah ah ah… che queste volano!- disse, finalmente.

- Ma perché si chiamano scope volanti, se poi sono gabinetti volanti?- chiese Enriho, deluso. Adesso Hagridiano aveva smesso di ridere, ma il commerciante stava sbattendo ripetutamente la testa al muro, per tentare di placare le risate. Non ottenne l’effetto desiderato, e gli ci vollero circa due minuti per rinvenire dal trauma cranico appena procuratosi. Il guardacaccia continuò la spiegazione.

- Si chiamano scope perché ormai è una tradizione! Ti assicuro che sono meglio delle scope…- il venditore, ancora in preda alle risa, si stava tirando pugni in faccia, per smettere. Ma il gigante continuò facendo finta di non vederlo.

– Con queste… scope, hai le cinture di sicurezza, puoi stare comodamente seduto, tengono benissimo l’aria e se ti scappa, non devi neanche cercare un bagno!- spiegò Hagridiano, col sorriso sulle labbra. La mente di Enriho, tentò una flebile resistenza. Poi cedette.

- Va bene, se lo dici te, mi fido!- Disse, ormai rassegnato. Il commerciante, dopo essersi morso più volte la lingua ed essersi pestato da solo i piedi, riuscì finalmente a calmarsi. Enriho proseguì.

- Ma io non mi intendo di… scope. Scegli tu per me, Hagridiano.- disse all’amico. Il guardacaccia fu contento di questa risposta.

- Ci contavo che tu lo dicessi. La scopa sarà il mio regalo per il tuo compleanno. Auguri, Enriho!- disse il gigante, stringendo la mano d’Enriho. Il ragazzo arrossì violentemente: non aveva mai ricevuto un regalo in tutta la sua vita. Ne fu profondamente commosso e ringraziò Hagridiano di tutto cuore.

- In questo caso non bado a spese. Jules, prendo una Latrina Latrinæ 1111!- dichiarò. Il commerciante sgranò gli occhi.

- Accidenti, Hagridiano! Ottima scelta! Non badi proprio a spese! Andiamo di là, che te la incarto.- esclamò Jules, ed uscirono dal magazzino. Il sorriso sulla faccia del commerciante era radioso. Quando era entrato nel magazzino, dove teneva tutte le scope inferiori, non aveva idea che avrebbe venduto proprio la nuovissima (e costosissima) Latrina Latrinæ 1111. Prestazioni accecanti, manovrabilità spaventosa, velocità massima da incubo. La luce naturale del sole, che invadeva il negozio, abbagliò per un momento Enriho, mentre un altro pezzo della sua retina mise le ultime cose in valigia e lasciò un frettoloso biglietto d’addio. Hagridiano si diresse al bancone mentre il commerciante levò dalla vetrina un gabinetto bianco e lucido. A quanto pare, i ragazzi per strada, stavano rimirando proprio quello; lo capì dai volti stupiti di questi, appena l’uomo levò la scopa in esposizione. Non ebbe molto tempo per guardarla, perché fu subito inscatolata ed incartata magicamente, da un commesso sul cui volto si leggeva una voglia di vivere pari a quella di un condannato a morte. Hagridiano pagò, salutò e i due uscirono. Ancora una volta, Enriho ringraziò Hagridiano, era stupendo avere, finalmente, un vero amico. Poi prese la lista dei materiali e cominciò a fare un conto veloce, mancava solo la bacchetta magica.

- Adesso ti manca solo la bacchetta magica!- gli annunciò il guardacaccia, anticipando Enriho - Andiamo da Olivio, lui è l’unico rivenditore di bacchette dell’intera Cavol Alley!- e si avviarono. Neanche tre minuti dopo, erano già arrivati a destinazione. Sopra la porta nera c’era un insegna luminosa intermittente. C’era disegnata la sagoma del famoso oggetto formato dal parallelepipedo con il bastone in cima. Enriho era curiosissimo di poter vedere finalmente come fossero fatte queste bacchette, dopo averne tanto sentito parlare e dopo averle tanto immaginate. Arrivati davanti alla porta, Hagridiano si fermò.

- La scelta della bacchetta è qualcosa di privato, ti aspetto qui, Enriho.- gli disse. Il ragazzo annuì, ed entrò nel negozio.

Il silenzio e la penombra di questo luogo gli furono subito di conforto. Enormi scaffali occupavano tutto lo spazio, eccezion fatta di pochi metri quadri nei quali si trovava una lunga scrivania. Un uomo era seduto ed intento a fare qualcosa che Enriho non riuscì a vedere. La reputazione dei maghi nei confronti del ragazzo sarebbe scesa ulteriormente, se avesse visto che l’uomo stava leggendo la rivista "Big Pig: cento incantesimi per rendere trasparenti le porte o giganteschi i buchi delle serrature". Enriho si schiarì la voce, per annunciare la sua presenza. L’uomo saltò sulla sedia, colto dalla sorpresa, e nascose subito il manuale in un cassetto.

- In cosa posso esserti utile?- chiese l’uomo, ancora leggermente spaventato.

- Vorrei una bacchetta magica. Sa, devo frequentare il primo anno a…- non ebbe il tempo di finire.

- Perfetto, non c’è bisogno che dici altro. Adesso ne prendo un paio e le provi.- interruppe l’uomo.

- Grazie.- rispose, educatamente. Enriho era ancora più emozionato di prima, quando aveva comprato la scopa. Soprattutto quando aveva scoperto la vera natura delle scope volanti, nell’esatto istante in cui la sua emozione era precipitata sottozero. Adesso si stava abituando all’idea di volare su un gabinetto che, effettivamente, permette di stare comodamente seduti. I suoi sogni di cavalcare un manico di scopa stavano esponendo il cartello "chiuso per lutto" e stavano volando via. L’uomo si era avvicinato ad uno scaffale e aveva preso sette scatole delle dimensioni di scatole da scarpe. Non sembravano molto pesanti perché, nonostante l’età, le sollevava facilmente.

- Queste dovrebbero bastare, andiamo in sala prova.- ed indicò una porticina sul fianco sinistro della scrivania, che il ragazzo notò solo in quel momento. Enriho vi entrò, seguito dall’uomo; era una stanza di dimensioni abbastanza grandi, piena di oggetti di ogni sorta: giocattoli, padelle, vecchie scope (volanti e scope normali), bauli, vestiti, numeri arretrati di Big Pig e via dicendo. Tutte queste anticaglie, erano riunite in un’unica montagnola al centro della stanza. L’uomo, molto esperto in campo di prova delle bacchette, andò in un angolo dove c’era una piccola cabina di vetro. Ne aprì la porta e vi entrò. All’interno c’era un microfono che comunicava con un altoparlante posto sopra alla testa di Enriho.

- E’ solo una semplice precauzione. Ogni volta che qualcuno prova una bacchetta che non sia adatta a lui, succede qualcosa di diverso che può far male agli spettatori. Adesso ti dico quali bacchette provare e tu le estrarrai dalla scatola.- spiegò il rivenditore - Hai mai provato una bacchetta?- aggiunse.

- In realtà, signore, io non ne ho mai vista neanche una.- rispose Enriho, leggermente imbarazzato.

- Non importa. Apri quella scatola celeste, la seconda della pila.- le sette scatole erano state poggiate ai piedi di Enriho, disposte in pila. Il ragazzo prese la scatola. Era molto emozionato. Lentamente, l’aprì. Finalmente, vide da vicino una bacchetta magica. Il suo stupore fu enorme: era un telefono cellulare! Lo strano parallelepipedo che aveva sempre visto, non era alto che un telefono cellulare! Questa bacchetta si presentava di color celeste vivo. Aveva un piccolo display verde all’estremità superiore e, dove di solito i cellulari hanno l’antenna, si trovava un bastoncino abbastanza robusto. Quindi una bacchetta non era altro che un comune telefono cellulare con un bastoncino in cima.

- Questo… sarebbe una bacchetta magica?- chiese Enriho, stupito.

- Esattamente, figliolo. Da noi arrivano le basi già fatte, le compriamo all’ingrosso da una fabbrica Babbazza. Sono le bacchette in cima, che aggiungiamo. Ci siamo accorti che un moderno sistema cellulare può amplificare e potenziare le bacchette. Ti sei mai chiesto perché i telefoni cellulari Babbazzi fanno interferenza, se messi accanto a televisioni, monitor, radio ecc.?- chiese l’uomo.

- Perché le onde elettromagnetiche…- tentò di spiegare Enriho, ma non gli fu permesso di finire.

- Quelle sono solo bugie inventate per celare il mondo dei maghi. Te lo dico io come sono andate le cose. Una volta venne inserita una bacchetta in un cellulare, che venne rubato dai Babbazzi. Spezzarono la bacchetta perché gli sembrò inutile, ma la magia dentro al telefono rimase. Tutti i cellulari successivi vennero prodotti su quel modello, inserendo anche i componenti necessari a far riuscire la magia che era stata lanciata sul primo modello. Ogni volta che arriva una chiamata sui normali telefoni Babbazzi, si innesca un incantesimo di disturbo. Veniva usato al tempo della guerra tra maghi bianchi e maghi blu. Se qualche comunicazione tramite le, allora, nuove, "bacchette-cellulare" veniva intercettata, l’incantesimo di disturbo provvedeva a non far sentire niente. Siccome gli strumenti che usavano i maghi per intercettare le comunicazioni nemiche erano elettrici, l’incantesimo disturbava, e disturba tuttora, tutti gli strumenti elettrici. Con il furto di un modello, adesso tutti i telefoni cellulari Babbazzi, seppur minimo, hanno un residuo di incantesimo di disturbo… Ma sto dilagando.- si fermò l’uomo - Avanti, prova quella bacchetta.- disse infine.

Enriho era rimasto affascinato da quella spiegazione. Tutto era perfettamente chiaro. Tutto tornava. Si chiese quanti fenomeni spiegati scientificamente erano in verità frutto di magie. Rimase ancor più affascinato.

- Ragazzo? Sei sveglio?- Enriho si destò dai suoi pensieri.

- Si, mi scusi. Ma come faccio a provarla?- chiese. Solo avere tra le mani l’oggetto, lo faceva sentire un altro, importante, anche se avrebbe preferito la classica bacchetta magica da fumetto, senza dubbio. L’immagine di se stesso che impugnava una bacchetta normale scagliando un potentissimo incantesimo disse al suo cervello di volere una pausa di riflessione, perché così non si poteva andare avanti, e lo abbandonò.

- Vedi quel tasto in fondo, con su scritto "ok"?- Enriho abbassò lo sguardo e, notato il tasto, annuì. - Se lo tieni premuto la bacchetta si accenderà. Se la bacchetta è adatta a te, succederà qualcosa che ce lo farà capire. Ricordati di puntarla verso quella montagna di ciarpame. Adesso vai, prova quella celeste!- strillò l’uomo. Enriho trasse un profondo respiro e accese la bacchetta magica. Un tremito gli invase la mano, lentamente sentì il palmo di questa che si riscaldava. Poi partì un raggio luminoso che colpì la montagna di oggetti. Tutto brillò per un istante, né Enriho né l’uomo poterono vedere cosa stava accadendo. Poi la luce scomparve e…

- Caspita che porco!- urlò il commerciante. Gli oggetti si erano trasformati in un maiale dalle proporzioni gigantesche; l’enorme suino si guardò intorno. Sembrava disorientato. Poi cominciò a grugnire. Data la sua stazza, ogni grugnito era potentissimo per le orecchie di Enriho. In quel momento, pensò alla zia Agrippina e ai suoi rutti.

- Niente paura, ragazzo. Punta quella bacchetta verso il porco, ci penso io.- disse Olivio, godendosi l’isolamento acustico della sua cabina. Enriho puntò il maiale con la bacchetta. Anche se non era la sua, gli piaceva un sacco averla sotto le dita, sentirne il potere.

- Invertire!- urlò dal microfono l’uomo. Il maiale, che stava strillando, diventò nuovamente l’ammasso di cose vecchie, dopo aver brillato per tre o quattro secondi. Al ragazzo piacque da impazzire tutto ciò.

- Proviamo con quella nero notte. E’ la seconda a partire dal basso.- propose l’uomo. Il ragazzo prese la bacchetta indicatagli.

- Vado?- chiese, in attesa del via libera.

- Un attimo… vai!- Enriho puntò la bacchetta e l’accese. La "montagna" si illuminò nuovamente. La mano di Enriho era congelata, stavolta. Come durante il tentativo precedente, aveva sentito un fremito. Appena la luce scomparve, gli oggetti si erano trasformati in scimmie urlatrici, che, per tenere alto il proprio nome, cominciarono ad urlare. Enriho, che aveva capito l’antifona, puntò la bacchetta sull’enorme agglomerato di scimmie.

- Invertire!- riuscì a sentire, tra le urla dei quadrumani. Le scimmie scomparvero in un baleno. Oltre a quelle sette bacchette, l’uomo fu costretto a prenderne molte altre. L’ammasso di ciarpame si trasformò sempre in cose diverse, per ogni bacchetta sbagliata. Le trasformazioni furono, nell’ordine:

- capre con undici corna;

- ammasso di gelato al pistacchio, andato a male;

- topi laureati in ingegneria;

- gatti a due teste;

- zii Epiri che si martellavano le dita delle mani;

- labbri (fu la trasformazione più terribile);

- cattedre parlanti;

- conigli medici con tanto di camici e stetoscopi;

- lucertole vegetariane;

- meduse danzatrici del ventre munite di tipiche gonnelline hawaiane;

- struzzi docenti di matematica;

- mappamondi cubici.

Poi fu la volta della bacchetta rossa terra di Siena.

- Sara quella laggiù la bacchetta giusta?- chiese l’uomo, annoiato. Stava completando le parole crociate, ormai gli mancavano poche definizioni. Enriho, che cominciava ad annoiarsi anche lui, prese la bacchetta con disinteresse. La puntò e la accese, in attesa di vedere che cosa si sarebbe creato, quella volta, cominciava quasi a rassegnarsi di passare il resto della vita in quella sala prove. Ma non successe nulla. La bacchetta cominciò a brillare nelle mani del ragazzo ed il display si accese senza ulteriori intoppi. Miracolosamente, non successe niente. La porta della cabina, nella quale si era protetto l’uomo, si sbloccò. Questo, con aria soddisfatta, cominciò a camminare verso Enriho.

- Sembra proprio che ce l’abbiamo fatta, figliolo! Seg...- ma non poté finire. Dalla bacchetta, ancora illuminata, uscì un raggio spropositato di fuoco che fece incendiare tutta la "montagna". Davanti alla porticina che comunicava col negozio, si calò una robusta paratia taglia fiamme in acciaio. L’accesso al negozio era impossibile, adesso. Le finestre vennero sbarrate da protezioni affetta fiammelle.

- Presto, signore, usi l’incantesimo che ha fatto tutte le altre volte!- urlò Enriho per sovrastare il crescente crepitio delle fiamme.

- Non posso! Quell’incantesimo non funziona sugli elementi!- ribatté l’uomo, bianco in viso.

- Ma se ci sono le porte taglia fiamme, ci sarà anche l’impianto antincendio, quello che butta l’acqua appena rileva fumo, no?!- disse, o meglio, sperò Enriho. Il commerciante lo guardò con aria imbarazzata.

- Avevo intenzione di farlo installare, ma poi, uscendo per strada, ho visto quelle prugne…- Enriho rimase di sasso.

- Costavano troppo poco, non potevo non approfittarne!- completò Olivio, come per giustificarsi.

- Almeno erano buone?- si volle informare Enriho.

- Marce dalla prima all’ultima.-

- Ma lei avrà una bacchetta magica, no? Può spegnere questo casino?- Enriho non si dava per vinto, una soluzione doveva esserci. Ne andava della loro vita.

- Certamente! Ce l’ho qui, in tasca!- rispose l’uomo. Enriho capiva, adesso, perché le tasche della sua tunica e delle tuniche in generali erano così grandi, per contenere una bacchetta di quelle dimensioni! Dalla tasca dell’uomo, che continuava a frugare, cadde un pacchetto di caramelle. Il suo sguardo si fece sempre più imbarazzato.

- O portavo la bacchetta o portavo le caramelle. Sai, sono così dolci…- tentò di dire. Enriho non volle insistere, altrimenti avrebbe fracassato il cranio dell’uomo.

- Perché non prova con una di queste bacchette?- propose, come ultima e disperata opzione, indicando le bacchette che aveva appena provato.

- Non posso, se la bacchetta non è la mia, agendo su un elemento, rischio di peggiorare le cose!- riuscì a rispondere, tra la confusione generata dalle fiamme. Una vampata titanica di fuoco investì i due, che cominciarono a correre verso l’unica porzione di stanza ancora non raggiunta dalle fiamme. Ma presto lo sarebbe stata. Il fuoco divorava la stanza come una chiocciola divorerebbe l’insalata sulla quale è stata posata: è lenta, ma alla fine l’insalata scompare. Il fuoco era la chiocciola, Enriho era l’insalata. Pensò che fosse la fine. Dalla loro postazione non riuscivano e vedere la porta, ostacolati dalle fiamme, ma tanto, ormai, era irraggiungibile, ed in ogni caso bloccata dalla paratia d’emergenza. Sentirono un forte suono, come di una botta. Il soffitto stava per crollare. Sentirono un altro botto, poi un altro. Enriho si accovacciò e si portò le mani sulla testa, preparandosi al crollo imminente, poi ci fu un boato di metallo scardinato. La porta taglia fiamme volò per aria e si posò per terra, di fronte ai due. Precipitando sulle fiamme, proprio davanti ad Enriho e il venditore, le soffocò. Così i due potettero vedere la porta. Hagridiano, che teneva una mano sulla spalla destra dolorante, aveva sfondato la porta. Il guardacaccia cominciò a parlare con tono trionfale.

- Cavolo, devo ammettere che sfondare la porta è stato molto più semplice che sfondare il muro. Comunque, Eccomi qui con la tua bacchetta, Olivio.- cominciò, mostrando la bacchetta in mano. - Mai e poi mai il grande Enriho Pottero deve temere, finché intorno a lui c’è Hagridiano a proteggerlo. Se mai un gio…- lo sguardo di Hagridiano cadde sul pacchetto di caramelle per terra, dove prima si trovavano Olivio ed Enriho.

- UUH! Le caramelle!- esclamò Chimicheus, lanciando per aria la preziosa bacchetta magica.

- No, Imbecille!- strillò Olivio, ma fu troppo tardi, la bacchetta era già per aria.

– Imbecille? senti da che pulpito viene la predica.- pensò Enriho. Ma Olivio stupì tutti. Spiccò un balzo incredibile, dopo aver raggiunto con uno scatto il limitare delle fiamme. La scena ricordò ad Enriho un portiere che si tuffa per parare un rigore. Il corpo del venditore si slanciò per aria e, proprio come un portiere afferra il pallone, Olivio afferrò la bacchetta. Aveva pochi attimi prima di cadere a terra, proprio sopra la porta taglia fiamme scardinata che, a quel punto, era ormai rovente. Ma fu un istante. Appena le dita di Olivio si serrarono intorno alla sua bacchetta, la agitò in aria in maniera convulsa.

- Aqua mentis speique!- strillò, e precipitò sulla porta metallica. Le fiamme, che ormai stavano bruciando le scarpe di Enriho, si spensero all’istante. Fu come se gli oggetti che, fino a quel momento, le avevano alimentate, ne fossero divenuti gli assassini. Ogni singola lingua di fuoco venne inghiottita dall’oggetto lambito fino a quel momento, finché rimase solo un cumulo di macerie fumanti… e una porta rovente, che giaceva per terra, tra i detriti. Appena Olivio la sfiorò, si ustionò la spalla e il fianco destro, lato sul quale si era buttato. Non riuscì a trattenere l’imprecazione.

- Porco Vandemort!- a queste parole, Hagridiano sbiancò e sgranò gli occhi. Olivio scattò in piedi e cominciò a strofinarsi con impeto la parte bruciata. Il fumo tutt’intorno si stava lentamente diradando: i tre potevano finalmente vedersi.

- Ma cosa ti è saltato in mente? Lo sai che… lui non può essere… crunch crunch… nominato! Sei… crunch crunch.. impazzito?- strepitò il guardacaccia, senza muoversi dalla porta, sgranocchiando le caramelle appena conquistate. Enriho aveva visto Hagridiano così timoroso solo in un’occasione, ma non riusciva più a ricordare (il labbro malefico) quale. Il ragazzo, incuriosito dall’improvviso cambiamento di Hagridiano, chiese il perché di tanto scalpore.

- Vedi, ragazzo,- cominciò a spiegare Hagridiano - Olivio ha appena pronunciato il nome di… beh di… insomma, di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Annusato.- spiegò. Enriho si accorse che la sua voce, per un istante aveva tremato.

- E cosa c’è di male?- chiese ingenuamente, mentre Hagridiano stava lentamente diventando cianotico a causa di una ventina di caramelle messe in bocca contemporaneamente.

- Non si fa e basta.- tagliò corto Hagridiano. – Lui è troppo malefico per essere nominato.- era chiaro dal suo tono, che non erano accette repliche. Tutti e tre si avviarono all’uscita, fu Enriho l’unico ad accorgersi che si erano dimenticati qualcosa.

- Ehi, un momento! E la mia bacchetta?- aveva ragione. Ancora non ne aveva trovata una adatta. Olivio, dopo un attimo di riflessione, si mise a frugare tra gli scaffali, non per prendere un po’ di bacchette e provarle, ma per cercarne una in particolare. In un angolo della scrivania del venditore, c’era una partita ancora non finita di scacchi. Enriho non era un gran campione, ma il nero stava nettamente vincendo. Dopo aver cercato un po’ in alcune scatole, e aver velocemente nascosto dalla vista una bacchetta gonfiabile, Olivio tornò con in mano una bacchetta identica alle precedenti, ma stavolta verde.

- Se la bacchetta rossa terra di Siena ti ha fatto quell’effetto, la verde dovrebbe essere la tua ideale. Provala.- disse Olivio, assolutamente sicuro della sua scelta.

- Non dovremo andare in sala prova, sa, non vorrei…- cominciò Enriho, timoroso di scatenare un’altra catastrofe.

- Fidati di me. Provala.- disse con tranquillità Olivio. Enriho non si fidava poi così tanto del venditore, ma provò lo stesso la bacchetta magica. Appena tenne premuto il pulsante, si udì un suono elettrico. Qualche scintilla uscì dalla punta, ma niente di più. Sul piccolo display c’era scritto "parametri bacchetta: ok". Olivio aveva ragione: quella era la sua bacchetta. - Che ti avevo detto, figliolo! Ecco la tua bacchetta!- disse il venditore, soddisfatto. Enriho ne fu felicissimo, anche perché amava il colore verde quasi quanto amava la camomilla. Dopo aver pagato uscirono, ancora una volta, nel turbinio di Cavol Alley. Cominciarono a camminare senza una direzione, giusto per non stare fermi. Enriho scorreva la lista dei materiali ad alta voce, intanto Hagridiano gli diceva se era già in possesso o meno di ogni cosa che via via il ragazzo nominava. Finirono abbastanza alla svelta, dato che avevano comprato già tutto. Quasi.

- Adesso ti manca solo un animale.- concluse Hagridiano.

- Qui è scritto che l’animale è facoltativo…- cominciò Enriho, senza distogliere gli occhi dalla lettera.

- Dai retta a me, Enriho. Avere a disposizione un animale è utilissimo, in certi casi. Inoltre il negozio di Satollo non è lontano. Massimo tre minuti e ci siamo, forza.- disse, abbassando il tono della voce, prima leggermente concitato, e arruffandogli con la mano i capelli - Poi sarà finita anche la nostra gita a Cavol Alley.-

Enriho si stupì di come l’amico guardacaccia conoscesse tutti i commercianti, ma poi pensò che era del tutto normale, se doveva curare i boschi di una scuola, molto probabilmente doveva fare spesso acquisti di ogni genere, quindi visitava spesso il "centro commerciale del mondo dei maghi". Al nostro protagonista, ad ogni passo che faceva, piaceva sempre più l’idea di essere un mago. Era ciò che aveva sempre sognato. Finalmente gli incantesimi li poteva lanciare sul serio, non solamente tirando i dadi di un gioco di ruolo. Un odore acre gli annunciò che erano arrivati in prossimità del negozio di animali. Vi entrarono. Enriho provò un immediato e profondo senso di nausea. Il puzzo di animali era veramente insopportabile. Dappertutto si sentivano centinaia di versi che, venendosi a mischiare insieme, producevano un indefinito ruggito. L’unica cosa che trattenne Enriho là dentro fu il suo amore per gli animali in generale, eccetto gli insetti. Dentro al negozio non c’era anima viva, per lo meno umana. Centinaia di animali, ma neanche un uomo. Forse il proprietario era uscito per qualche minuto. Hagridiano, come in cerca di qualcuno o qualcosa, alzò lo sguardo. Poi la sua espressione si illuminò d’improvviso.

- Ciao, Satollo! Da quanto tempo! Che si racconta?- Enriho rimase leggermente interdetto. Con chi stava parlando? Non c’era nessuno nel negozio! Dal bancone, dietro una pila di cibo per pipistrelli, provenne un forte grugnito. Era possibile sentirlo perché fu così forte da sovrastare gli altri versi. Dietro al bancone c’era un maiale abbastanza grasso con dei piccoli occhialini metallici appoggiati sul grosso grugno. Hagridiano si avvicinò al suino e gli mise un braccio intorno alla spalla. Il maiale ne sembrò contento.

- Come te la passi, amico?- chiese il guardacaccia all’animale. Quest’ultimo cominciò a grugnire soddisfatto. Hagridiano sembrò capirlo. Enriho era proprio super stupito: il maiale era il proprietario di quel negozio! Il mondo dei maghi lo meravigliava sempre di più, anche se, effettivamente, che un porco fosse amico di Hagridiano era una cosa del tutto logica.

- Senti, al ragazzo, qui, serve un animale, che ci consigli?- chiese Hagridiano a Satollo.

- Grunt grunt, smurf grunt borf sgrant grunt buff smurf!- rispose questo.

- Hai ragione!- poi si rivolse ad Enriho – Ha detto che l’animale deve piacere per primo a te. Dai un’occhiata in giro, intanto noi facciamo quattro chiacchiere.- tradusse Hagridiano. Enriho cominciò a passeggiare tra le gabbie e le teche di vetro. Dal fondo del negozio si sentivano le risate di Hagridiano e i grufoli rilassati del suino-venditore. Il negozio, che, dall’ingresso, sembrava più piccolo, era in verità un dedalo di gabbie che si snodava in lungo. Vedendo dei pipistrelli non poté trattenersi dal pensare allo zio Epiro. In fondo gli voleva bene, altrimenti non l’avrebbe pensato così di frequente. Tre criceti stavano facendo a gara a chi riusciva a far girare la rotella più velocemente, mentre un criceto arbitro presiedeva la competizione.

- No, i criceti non mi piacciono, poi sono troppo stupidi.- si disse, quindi proseguì. Uno dei criceti in gara cominciò a piangere, mentre l’arbitro tentava di consolarlo ricordandogli che tra una settimana sarebbe finalmente entrato nel mondo dei laureati. Per il negozio vagavano sciolti una decina di cani, ma per Enriho erano animali troppo comuni. Lui voleva qualcosa di abbastanza singolare, qualcosa per il quale non sarebbe passato inosservato. Passò davanti ad una grossa civetta bianca. Stava sonnecchiando sopra ad un trespolo con la testa calcata nel folto piumaggio. Era un animale abbastanza affascinante, ma non a sufficienza per Enriho.

- Non so perché, ma una civetta bianca come la neve mi pare fin troppo familiare…- pensò. L’avrebbe tenuta in considerazione, se non avesse trovato di meglio. Un addetto dell’ufficio Plagio si nascose tra le gabbie esposte. I rettili non li prese neanche in considerazione, non gli sembravano utili. Stessa cosa per i pesci. Adesso Hagridiano ed il maiale si stavano raccontando barzellette e, a vicenda, si sbellicavano dalle risate. Anche se il negozio era ampio, Enriho non aveva trovato un animale che gli piacesse veramente, quindi ritornò alla gabbia della civetta. Dopotutto non era così male, poteva anche essere carina. Allungò il braccio per prendere la gabbia e portarla al bancone. Ormai aveva deciso, quando nn piccolo rumore metallico attirò la sua attenzione verso il basso. Enriho vi rivolse lo sguardo senza pensarci. Cos’era stato? Fu quasi amore a prima vista. Enriho lo fissava e lui fissava Enriho. Quel ritmico su e giù del musetto, quelle zampe scattanti, quella piccola testa, quegli occhi vispi. E, soprattutto, quelle orecchie lunghe. – Un coniglio?- pensò tra sé e sé. – Perché no? È carino, corre veloce… poi mi guarda in quella maniera… e sia, aggiudicato il coniglio!- decise. Così ritrasse la mano dalla gabbia della civetta e prese quella del coniglio. Andò tutto contento verso il bancone e depositò la gabbia su di esso. Hagridiano si stava ancora asciugando le lacrime provocategli delle risate.

- Allora vuoi questo coniglio?- chiese il gigante.

- Si, mi piace un sacco!- rispose Enriho.

- Va bene.- poi si girò verso il maiale.- Lo prendiamo.- disse.

- Grunt bruff grunt smurf smurf, sgroan sgrunmpt grunf sgrunt!- aggiunse Satollo, soddisfatto.

- Dice che, a questo coniglio, non piace restare nella gabbia. Potrebbe dare problemi se ce lo lasci dentro.- tradusse il gigante.

- Non c’è problema.- disse Enriho, ed aprì la gabbia. Intanto Hagridiano stava pagando. Il roditore guizzò subito sul bancone e si guardò intorno. Il muso continuava col suo ritmico su e giù che piaceva un sacco al ragazzo. Gli si avvicinò saltellando e gli annusò a lungo la mano. Poi gli diede una breve leccatina.

- Si,- continuò Enriho – Mi piace tanto questo animaletto! Ormai ho deciso, tra noi è stato un vero e proprio colpo di fulmine, e un fulmine non cade mai due volte nel solito punto, no? – fuori dal negozio, un passante che aveva appena vinto alla lotteria venne folgorato da una saetta vagante e cadde a terra. Qualche secondo dopo venne folgorato di nuovo.

- Avrà bisogno di un nome!- disse Hagridiano, mentre il crepitio del terzo fulmine risuonava oltre la porta. Enriho annuì col capo e pensò ad un possibile nome. – Il giornalino di Gian Burrasca… no, Gian Burrasca non mi piace… la coscienza di Zeno… bruttissimo, Zeno! Dolores Claiborne… Dolores è per donne!… non mi viene in mente niente di… Il ritratto di Dorian Gray… Dorian? Si, non è male! Mi piace!- pensò tra sé e sé. Mentre il quarto fulmine si schiantava sul simpatico passante, Enriho fece una prova. Posò tutto il braccio sul bancone, come per fare da ponte al coniglio, invitandolo a salire sulla spalla.

- Su, Dorian. Sali!- gli disse. Il coniglio ebbe un momento di indecisione, forse per il rumore provocato dal quinto fulmine. Poi cominciò a saltellare sul braccio di Enriho e gli salì sulla spalla. Ormai era deciso, Dorian sarebbe stato il suo nome. Stava per uscire dal negozio quando vide un piccolo specchio appeso alla parete. In un istante, l’immagine della sagoma che aveva visto nella sua visione entrò nella sua mente e scomparve immediatamente. Uscì dal negozio e, dopo aver salutato il suino, uscì anche Hagridiano, evitando di calpestare il corpo del passante. Un bagliore illuminò le loro spalle mentre il sesto fulmine cadde con precisione millimetrica.

6

La partenza

- Bene, sembra proprio che abbiamo finito, per oggi.- disse Hagridiano, controllando la lista per l’ultima volta - Hai un posto dove dormire stanotte?- aggiunse. Enriho negò con la testa, l’unica soluzione gli sembrava ritornare dallo zio Epiro, ma non aveva affatto voglia di ritornare in quell’inferno. Mentre camminavano, Hagridiano veniva riconosciuto e salutato da tantissime persone. - Qui è una star!- pensò il ragazzo. Si immaginò il guardacaccia con degli occhiali da sole che sfila con la sua chitarra in mano, acclamato dalle ragazze. Forse l’unica volta che qualche ragazza aveva urlato qualcosa ad Hagridiano era per dirgli "togli immediatamente quella mano da lì". Questo flusso di pensieri fu interrotto dal gigante stesso.

- Lo immaginavo. Per questo ti ho prenotato una stanza al "Mago Rincoglionito"- disse.

- Ma non è un pub?- chiese Enriho.

- Si, ma affittano anche tre camere ai viandanti. Quel locale è frequentato anche da Babbazzi. Pochi, ma ci sono. Per questo invierò stasera tutto il tuo materiale didattico direttamente a Porkwarts.- aggiunse Hagridiano.

- No! Io voglio contemplare i miei acquisti stasera!- resistette Enriho.

- Questo è fuori discussione! Se qualche Babbazzo ti vede è finita, la colpa la daranno a me! Questo lo capisci, no?- chiese.

- Hai ragione.- rispose Enriho con rassegnazione. - Poi sarebbe un bel casino.-

- Bene, avevo paura che non avresti capito.- disse contento Hagridiano. dentro di sé Enriho pensò che, tra i due, quello che era facile immaginare che non capisse era Hagridiano, non lui. Mentre camminavano, il ragazzo non riusciva a fare a meno di guardare affascinato Dorian, che ricambiava lo sguardo. Ogni tanto gli dava anche una leccatina alla guancia o alla tempia. Effettivamente, come Enriho aveva pronosticato, era molto difficile trovare un ragazzo con un coniglio sulla spalla. Molte persone, infatti, si giravano a guardarlo e, per la prima volta in vita sua, non era per lo zio Epiro che tentava di comunicare coi cani imitandone il verso. A lui piaceva essere osservato da così tanta gente, piacerebbe a chiunque, dopo tredici anni di "reclusione" dagli zii. Appena arrivarono al centro della piazza da dove erano entrati a Cavol Alley, Hagridiano si fermò di scatto.

- Ecco qua l’uscita, ragazzo. Ci vediamo domani a Porkwarts.- disse il guardacaccia. Queste parole suonarono come - Eccoti un miliardo in regalo, ragazzo -. Era la cosa più bella che avesse mai sentito; finalmente via per sempre dal mondo dei, adesso poteva dirlo con superiorità, Babbazzi.

- Lui lo posso tenere?- chiese Enriho, indicando Dorian. Hagridiano ci pensò un momento. Non aveva obiezioni nella testa.

- Certo, perché no? Però io non mi sono informato bene, non so se questo coniglio ha poteri magici. Alla prima stranezza, lo metti dritto dritto nella gabbia, che gli piaccia o no. Intesi?- disse Hagridiano, in tono serio. Ne andava della sua carriera di difensore del segreto dei maghi, già minata dopo quella volta che aveva tentato di attraversare il fiume della città aprendone le acque; qualche fanatico religioso era caduto ai suoi piedi implorando il perdono dei propri peccati. Ancora una volta, il ragazzo annuì con la testa, ormai era un suo consueto gesto. Hagridiano lo guardò soddisfatto; in quel momento Enriho lo senti come un padre. Come il suo padre, quindi un idiota. Estrasse la "chiave" dal camice e la mosse come per piantarla in un muro invisibile. Effettivamente era una specie di muro invisibile, che poteva essere individuato solo dagli stura lavandini. Le scintille che produsse furono bianche, appena la presa fu perfetta, Hagridiano si preparò ad aprire, ma fu interrotto da Enriho.

- Sei sicuro che sia il punto giusto? Non vorrei ritrovarmi in un manicomio o roba del genere.- si volle assicurare. L’imbarazzo cominciò a montare sul volto dell’enorme guardacaccia.

- Non ti preoccupare, se la chiave viene usata da Cavol Alley, può portarti solo nel retro del "Mago Rincoglionito".- detto ciò, tirò con forza lo stura lavandini. Ancora una volta, un’invisibile porta si aprì, ruotando su altrettanto invisibili cardini, dietro la porta c’era il retro del locale.

- Vai dal barista e digli che ti mando io, è già tutto pronto, ti darà una stanza. Attento a questo coniglio, mi raccomando.- furono le sue ultime raccomandazioni. Enriho rivolse un’occhiata amorevole a Dorian, che ricambiò.

- A domani, Enriho. Buonanotte.- e i due si abbracciarono, per un istante. Enriho non seppe mai che quel gesto era dovuto al fatto che Hagridiano sperava di trovare altre caramelle nelle tasche del ragazzo. Poi la porta si richiuse e si ritrovò da solo col suo coniglio. Il cielo sopra di lui si andava scurendo, il sole si avviava già sonnacchioso ad illuminare un’altra parte di mondo; dovevano essere le sei o le sette, stimò sul momento. Le poche nuvole in cielo si stavano allontanando, soffiate da un debole e svogliato vento. Entrò dentro al pub e si diresse al bancone, dove si trovava ancora l’ometto che aveva visto prima. Era intento a preparare un cocktail, mentre chiacchierava con un cliente, l’unico cliente rimasto nel bar. Non c’erano tracce della professoressa Sabbrana né dei suoi peli. Meglio così.

- Mi scusi, mi manda Hagridiano. Dovrebbe esserci…- cominciò timidamente Enriho.

- Si, ho già preparato tutto.- rispose questo. Si chinò come per cercare qualcosa sotto al bancone, si rialzò poco dopo e depositò sul tavolo una pila di riviste osè alta almeno mezzo metro

- Ci sono tutte quelle che mi aveva richiesto, "Furia Cieca", "Gioco di Mano", "Manesco Solitario", "Eppur si Muove"…

Ehm… temo ci sia stato un piccolo equivoco… io parlavo della stanza per dormire stanotte.- Il barista sbiancò in volto. Con un gesto fulmineo rimosse dal bancone le riviste e girò le spalle ad Enriho, cominciando a pulire un bicchiere che già brillava come il diamante. Enriho attese qualche secondo, interdetto.

- Mi scusi…? - abbozzò il ragazzo, per interrompere quell’imbarazzante attimo. Il barista si voltò nuovamente verso di lui

- Buonasera giovanotto! Cosa desideri?- Enriho lo guardò negli occhi, non capendo.

- Come cosa voglio? Ma se un secondo fa…-

- Un secondo fa? Cosa è successo un secondo fa?- autentica curiosità nella voce del barman.

- Ma come, le riviste…-

- Riviste? Che riviste?-

Totalmente rosso in viso, Enriho cedette.

- Mi manda Hagridiano…- riuscì a sussurrare, seccato.

- Si ho già preparato tutto.- fece l’uomo, di nuovo. Frugò ancora sotto al bancone, e stavolta ne estrasse una piccola chiave metallica.

Vai in quella saletta là – cominciò a spiegare il barista – E sali le scale a chiocciola che troverai in fondo. La tua stanza è la numero due. Se hai bisogno di qualcosa, la notte, io sto nella numero uno.- disse.

Enriho non osava immaginare cosa sarebbe successo se avesse bussato nel cuore della notte alla porta del barista. Seguì un minuto di pausa, durante a quale il barista non gli staccò gli occhi di dosso.

- Ci devi fare uno spettacolo al circo, con quello?- chiese infine, indicando Dorian. Enriho rispose con un sorrisetto educato. – Imbecille!- pensò dentro di sé. Dopo aver dato la buonanotte al barista, il ragazzo si avviò alla sua stanza. La spalla sulla quale stava Dorian cominciava a fargli un po’ male, anche se il coniglio era abbastanza piccolo, aveva dei buoni artigli. Se la sua spalla avesse potuto parlare, in quel momento, avrebbe esclamato – Concordo!-

salì rapidamente le strette scale a chiocciola e raggiunse la sua stanza, dove inserì la chiave nella serratura e la ruotò. Accese la luce, entrò, chiuse a chiave la porta.

Era una piccola stanzetta rettangolare con le pareti pitturate di un giallo tonalità vomito. Enriho tirò un sospiro di sollievo: la carta da parati, qualsiasi genere di carta da parati, gli opprimeva il cuore. Meglio il colore del vomito che la più raffinata carta da parati: non le poteva sopportare. Tutto sommato, per una persona, quella stanza era più che sufficiente. Sul letto c’era il suo baule. Sulla parte superiore era leggermente macchiato di crema.

- Ottima consegna, ragazzo! Ti meriti proprio un nichelino!- pensò Enriho divertito. Dorian, con un balzo, scese dalla sua spalla. Attraversò con un paio di saltelli la stanza e salì su una poltrona, solo allora si sedette: Le zampe anteriori scomparvero sotto al corpo e le orecchie si abbassarono, rilassate. Ad Enriho piaceva un sacco stare lì ad osservarlo. Aprì il baule e ne estrasse il pigiama, dopodiché ripose il bagaglio sotto al letto, scostando un paio di manette pelose che trovò per caso lì sotto.

- A che ora parte il treno per Porkwarts?- chiese a Dorian. Per un secondo si aspettò anche che questo gli rispondesse, poi si rese conto dell’assurdità della cosa. Riprese la lettera in mano… undici e mezza; bastava svegliarsi alle nove e mezza, allora. Avrebbe preso l’autobus per arrivare in città e poi sarebbe andato a piedi alla stazione. Si, aveva tutto il tempo. Se tutto fosse andato liscio, sarebbe arrivato con una decina di minuti d’anticipo, anche qualcosa di più. Caricò la sveglia che aveva trovato sul comodino, antico omaggio di un numero di "Playwizard", poi si coricò. Adesso tutto era perfetto, nella sua vita. Finalmente. Si addormentò poco più tardi, nonostante fosse ancora presto. Fu svegliato, a tarda notte, dal barista che, da una settimana a quella parte, si allenava per l’annuale "gara di ululati e latrati".

Possibile che i peggiori idioti capitino a me?- si chiese Enriho, insonne. Ma tanto ci era abituato.

E sorse il sole del grande giorno, il più importante della sua vita. Si svegliò la mattina pochi secondi prima che la sveglia suonasse, il suo orologio interiore (aiutato da un migliaio tra ululati e latrati) era stato perfetto. Si vestì frettolosamente e, dopo essersi lavato, scese per fare colazione. A quell’ora il locale era ancora chiuso, avrebbe aperto solo alle dieci. La sera prima gli aveva fatto paura perché gli sembrava di essere da solo, adesso gli piaceva perché sapeva di essere da solo. La luce del sole filtrava da piccole finestrelle circolari, i lampadari erano tutti spenti. Andò verso il bancone. Dietro di esso il barista, ancora più assonnato d’Enriho, stava traccheggiando con la macchina del caffè. Continuava a tirargli pugni, ma quella non voleva proprio saperne di funzionare.

- Maledetto catorcio! (bum bum bum) muoviti! Lo sapevo che (bum bam bum) ti avrei dovuto buttare anni fa!- stava infuriando l’uomo. Enriho osservò divertito la scena, quel tanto che bastava per svegliarsi. Gli sembrava uno di quei clown che aveva visto in tv.

- Scusi, signore, potrei provare io?- azzardò Enriho.

- Certo.- rispose il barista, ormai rassegnato. Il ragazzo, senza spostarsi dalla sua postazione, allungò un braccio e spostò l’interruttore su "on". Il barman lo osservò imbarazzato.

- Volevo… volevo insegnare alla macchinetta ad accendersi da sola!- fu l’unica scusa che gli venne in mente, al momento, ed alquanto penosa. L’ometto era più imbarazzato che mai. Senza dire una parola, porse una bella tazza di latte fumante ed Enriho. Il caffè fu pronto pochi minuti dopo. Il barista aveva messo sul bancone biscotti e cereali di ogni tipo, Enriho scelse i cereali. Forse era la sua prima vera colazione da tanti anni, quindi se la godé a fondo. La sua prima colazione senza avanzi degli zii: che bellezza! Trangugiò tutto di fretta, quando si accorse di essersi attardato troppo, e salì in camera sua correndo come un puledro. Doveva sistemare le ultime cose e sarebbe stato pronto. Dorian stava ancora dormendo, anche mentre dormiva, parve ad Enriho, muoveva il muso in su e in giù. Lo svegliò accarezzandogli il dorso. Il roditore aprì gli occhi, fece un piccolo sbadiglio, mostrando i due incisivi piccoli ma lunghi, e si alzò in piedi. Enriho gli porse un pezzetto di mela che aveva prelevato dalla colazione, cosa che Dorian sembrò gradire, anzi, gradì sicuramente: Enriho si voltò per pochi secondi e la mela era già scomparsa. Chiuse il baule con il lucchetto e offrì il braccio a Dorian, come il giorno precedente. Questo vi salì di buon grado e, una volta in cima, dette la solita leccatina.

Enriho scese le scale trascinandosi il baule dietro, e si rivolse al barista.

- Quanto devo pagare?- chiese, già col fiatone.

- Non ti preoccupare, Hagridiano ha già saldato il conto.- poi, dopo un attimo di pausa, indicò Dorian. – Allora è proprio vero il detto "la notte porta coniglio"!- disse l’uomo, e si mise a ridere tremendamente. Ad Enriho pizzicò una fantasia in testa. Il barista rideva e rideva. Arriva Enriho che, dal nulla, estrae una sciabola acuminata e gli mozza la testa. Poi dice

- Ridi adesso, ma attento a non perdere la testa!-. Questa scenetta gli piaceva un sacco, e si mise a ridere anche lui. Ma non aveva tempo per ridere, o non voleva averne.

- Dov’è che posso prendere un autobus per andare in città?- chiese Enriho.

- Alla fermata dell’autobus!- rispose questo. Adesso la fantasia era migliorata. Dopo avergli tagliato la testa, gli infilava un candelotto di dinamite nella collo mozzato e la guardava saltare in aria. Solo un’altra battuta idiota ed Enriho avrebbe trasformato queste macabre fantasie in realtà.

- Non te la sarai mica presa?- chiese l’ometto, asciugandosi le lacrime.

- No, si figuri! (ricompongo i pezzi della testa e ci gioco a calcio)- rispose il ragazzo.

- Per andare alla fermata… esci dal locale e vai a sinistra. All’incrocio svolta a destra e poi sempre dritto. Quando arrivi alla fontana ci saranno tre stradine di fronte a te. Prendi quella di sinistra. In fondo c’è la fermata per la città.- spiegò infine il barista.

- Grazie mille, arrivederci!- salutò Enriho, lasciò la chiave della stanza e corse fuori prima che l’uomo potesse dire una delle sue battute odiose.

L’aria esterna stava già cominciando a riscaldarsi, ma, a quell’ora, era ancora piacevolmente fresca. Si girò a sinistra e cominciò a percorrere la strada indicatagli. Mentre camminava sentiva il ritmico respirare di Dorian. Tutte le persone, per strada, lo guardavano divertite, ma a lui non interessava. Camminando abbastanza velocemente, quanto velocemente gli concedesse il fardello del baule, arrivò alla fermata dell’autobus esattamente all’ora che aveva previsto. Diede un’occhiata all’orario di arrivo: perfetto, solo quattro minuti di attesa. Insieme a lui c’erano tre ragazzi e una signora anziana. I ragazzi continuavano a guardare Dorian e ridevano, La signora non se n’era neanche accorta. Mentre aspettava, Enriho fantasticava sulla scuola; chissà com’era? Grande? Accogliente? Nella sua mente, l’immaginava assolutamente perfetta, l’ottava meraviglia del mondo. Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto dal rumore del motore del bus che scendeva di giri, fino ad arrestarsi. Enriho salì per secondo, dopo la signora anziana. L’autista non aveva un’aria affidabile: aveva un naso rosso come un pomodoro e sembrava ubriaco. I sospetti del ragazzo vennero confermati, quando scorse che l’autista teneva una fiaschetta di liquore appesa al collo, come un San Bernardo. Poi, però, si accorse che era tutto a posto, l’autista si chiamava Bernardo, quindi aveva diritto a circolare con la fiaschetta appesa al collo. Enriho, sempre guardato con sorpresa da tutti, trovò un posto vicino all’ultima fila. Il viaggio fu abbastanza tranquillo, Dorian si era appisolato dopo pochi minuti. Mentre Enriho era stato in stato di dormiveglia per tutto il viaggio. Cinquanta minuti dopo, l’autobus varcò le porte della città, finalmente. Enriho guardò l’orologio: perfetto orario! Per la prima volta nella sua vita, aveva avuto fortuna, almeno fino a quel momento. Esattamente tre fermate prima di quella d’Enriho, salì a bordo il controllore.

- Dannazione! Non ho il biglietto!- esclamò a bassa voce il ragazzo. Dorian, svegliato di soprassalto, cominciò a tremare e ad affondare gli artigli nella spalla di Enriho più che mai. Questo, preoccupato a trovare una soluzione, non ci fece neanche caso.

- Ormai ho tredici anni…- si disse a bassa voce – E devo cominciare a prendermi le mie responsabilità. Non ho comprato il biglietto e adesso devo pagare. È mio dovere rispettare gli altri e pagare…- senza neanche finire la frase, aprì il finestrino e, dopo aver gettato di sotto il baule, si lanciò a sua volta. L’atterraggio fu abbastanza duro, ma Enriho aveva temuto peggio. Fortunatamente il bus non viaggiava molto velocemente, a causa del traffico che andava congelandosi. Il ragazzo si rialzò, tentando di mantenere un’espressione dignitosa. Provate ad immaginare la scena. Un ragazzo salta dal finestrino di un autobus con un coniglio sulla spalla, e cade rovinosamente a terra. La dignità va a farsi una bellissima vacanza, in questo caso. Comunque si incamminò non curandosi degli sguardi della gente. Ormai c’era abituato. Anche se era "sceso" tre fermate prima, la stazione non era molto lontana. Per fortuna conosceva il percorso dell’autobus. Il baule fu trascinato a fatica, dopo la caduta non riusciva ad usare bene il braccio destro. Enriho sarebbe arrivato a quella stazione anche se gli avessero tagliato le braccia e le gambe. Quando attraversò la strada, rischiò di generare un super incidente: tutti gli automobilisti lo fissavano attoniti.

- Ormai ci siamo… sento già che mi tremano le braccia dall’emozione…- in verità le braccia tremavano per lo sforzo di portare il baule, ma ad Enriho piaceva pensare che fosse l’emozione. Un’ultima curva a sinistra ed ecco davanti a lui l’imponente stazione centrale.

Edificio gigante e monumentale, era stata un tempo una chiesa. Infatti i custodi dovevano fare gli straordinari per cacciare le vecchiette, quelle che non avevano ancora capito che la chiesa non c’era più da almeno trent’anni. Fortunatamente il comune aveva messo a disposizione dei fondi per trovare un rimedio; qualche mese prima, era stato installato il, ormai in tutta città, famoso "cannone SVR" ovvero "cannone Spara Vecchie Rincoglionite". Penso che sia anche inutile spiegare il suo funzionamento e la sua utilità. L’imponente stazione conservava ancora la facciata della chiesa, con le sue vetrate e i suoi pinnacoli. Le immagini sacre dipinte sui vetri erano state sostituite con i simboli della compagnia ferroviaria. La parte destra della stazione era in manutenzione, quindi era ricoperta da una ragnatela di impalcature. Il cannone SVR stava alla sinistra della facciata, proprio alla fine dei gradini. Enriho, ogni volta che passava davanti alla stazione, si fermava per qualche minuto a contemplarla. Raramente vi era entrato dentro. Mentre era arrivato a metà della gradinata, una sirena l’avvisò che il cannone SVR stava per sparare. Non vide la malcapitata, ma udì lo scoppio. Il cannone era una vera e propria attrazione cittadina. La domenica, dietro pagamento del biglietto, era possibile sperimentare il cannone con i parenti meno desiderati.

Appena Enriho varcò i pesanti portali della stazione, il personale stava già caricando altra polvere da vecchia (cioè povere da sparo stagionata). L’interno della stazione era un viavai di persone, una fontana di saluti, abbracci e lacrime. Ad Enriho sembrò che, per ogni persona che andava ai binari, ne tornavano indietro quattro. I negozi erano tutti aperti e in servizio frenetico. Il primato spettava al bar, ovviamente. Enriho non poté trattenere un gemito di meraviglia, di fronte a quel formicaio di uomini. Lì dentro nessuno alzava la testa per guardare divertito Dorian, nessuno ne aveva il tempo. Il ragazzo estrasse la lettera dalla tasca. Ormai ne toccava solo i bordi, per evitare di rovinarla, quasi si trattasse di un testo sacro.

- Binario… "Radice cubica di settantasettemilaottocentoquarantasette"? Ma dove cavolo lo trovo?- si chiese, per la prima volta. Il panico più totale prese Enriho: se non avesse trovato il binario sarebbe dovuto ritornare dallo zio Epiro. Agghiacciante prospettiva. Tentò di calmarsi e di essere ragionevole, ma era ben difficile.

- Ho passato tutto il giorno con Hagridiano e non gli ho neanche chiesto dove cavolo è questo binario! Maledizione!- si rimproverò Enriho, dandosi una sonora manata sulla fronte imperlata di sudore. Cominciò a guardarsi intorno, come aspettandosi che la soluzione gli sarebbe apparsa davanti agli occhi non appena si fosse girato. In un certo senso fu così. Poco più alla sinistra d’Enriho, c’era un altro ragazzo, girato di spalle. Ciò che fece gioire il nostro protagonista, fu notare che quel ragazzo indossava una tunica nera identica alla sua. Era fermo in un angolo, molto probabilmente stava aspettando qualcuno. Enriho gli si avvicinò lentamente e gli picchiò le dita sulla spalla, per farlo voltare. Questi si voltò.

Era un ragazzo della sua età, stimò Enriho, con i capelli scuri e corti e gli occhi marroni. I tratti del viso erano abbastanza duri, ma cordiali, ad un secondo sguardo.

- Scusami, tu sei in partenza per Porkwarts?- chiese Enriho. Il ragazzo rimase un po’ interdetto per la domanda.

- Ehm… no.- disse questo, balbettando a più non posso. - Io… io devo prendere il treno regionale che va… va…- era chiaro che si stava inventando tutto al momento.

- Sono anch’io un mago, non ti preoccupare!- lo rassicurò Enriho. Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo e la sua faccia si fece più rilassata.

- Meno male! sai questi Babbazzi sono imprevedibili!- tese la mano ad Enriho – Io mi chiamo Aleon Wartley. Tu come ti chiami?- gli chiese. Aleon sembrava gentile e simpatico. Enriho ne conosceva solo il nome, eppure già gli piaceva un sacco.

- Io sono Enriho Pottero.- rispose. Fece una piccola pausa, tanto ci sarebbe stata di sicuro l’esclamazione stupita per la sua fama. Infatti questa non tardò ad arrivare. Aleon sgranò gli occhi.

- Enriho Pottero? Non ci posso credere! Il famoso Enriho Pottero? Lo sai che sei un mito per tutta la mia famiglia? Non ci posso credere! Posso stringerti la mano?- cominciò a chiedere, al massimo livello d’eccitazione. Enriho gli fece un sorrisetto, era una domanda stupida: gliela stava letteralmente stritolando. In ogni caso annuì.

- Che bello, a scuola con il famoso Enriho Pottero!- ribadì Aleon.

- Non sono niente di che… senti, come si arriva a questo binario…- e sfilò la lettera di tasca, perché non si ricordava il nome.

- "Radice cubica di settantasettemilaottocentoquarantasette"!- lo anticipò Aleon.

- Già, proprio quello- rispose, riponendo la lettera in tasca ancor prima di averla consultata.

- Se aspetti un paio di minuti, puoi venire con noi!- propose Aleon.

- Non chiedo di meglio! Grazie mille!- rispose contento Enriho. aveva visto giusto: Aleon era gentile e simpatico.

- Ma figurati… carino questo coniglio! Come si chiama?- chiese Aleon, avvicinandogli la mano al muso.

- Si chiama Dorian… su, Dorian, saluta Aleon!- incitò Enriho. Il roditore allungò la testa per annusare la mano del ragazzo. Poi diede una leccatina d’approvazione. Aleon ne fu contento. Enriho continuò.

- Te ce l’hai un animale?-

- Certo, gli animali sono utilissimi a Porkwarts! Ho il mio pipistrello, Muffa!- rispose. Quando nominò il suo pipistrello, gli occhi di Aleon si illuminarono. Anche lui teneva al suo animale quanto Enriho teneva al suo.

- Ma chi stiamo aspettando?- chiese Enriho guardandosi l’orologio. Mancavano cinque minuti all’arrivo del treno e quaranta minuti alla partenza.

- Mia madre e mio fratello. Ogni volta sono sem… ecco laggiù la mamma!- disse, improvvisamente. Il ragazzo indicò l’entrata, accanto al cannone SVR.

- Nella mia famiglia siamo maestri nel tenere nascosta la nostra identità di maghi!- disse Aleon. Enriho guardò nella direzione indicatagli. Vide una donna abbastanza alta con i capelli neri e mossi, lunghi fino alle spalle. La donna si girò verso l’esterno ed urlò a squarciagola:

- Darwin! Ti vuoi muovere! Il treno per Porkwarts non aspetta mica te! Poi non ci sarà nessuna magia che ti ci porterà.- Enriho si girò verso Aleon, che era rosso dall’imbarazzo. Un paio di persone avevano alzato la testa per guardare la donna, ma solo per pochissimi istanti, poi, ognuno continuò per la sua strada, dimenticandosi le frasi appena sentite.

- Beh, forse non siamo poi così bravi…- aggiunse Aleon, sempre più imbarazzato. Enriho scoppiò in una sonora risata che contagiò anche il nuovo amico. Dalla porta spuntò anche il fratello di Aleon, Darwin. Era un ragazzo sicuramente più grande di loro, aveva i capelli ritti in testa, tenuti su da almeno sette litri di gelatina. Le braccia erano abbastanza muscolose, come le gambe. La madre lo guardava furente e, mentre si avvicinavano ai due, stavano parlando animatamente. Di sicuro era una predica della madre perché Darwin non faceva altro che sbuffare e guardarsi in giro.

- Eccoci qui, Aleon caro.- cominciò la donna, rivolgendosi al figlio - Scusaci il ritardo ma tuo fratello, come suo solito… e tu chi sei, ragazzo?- chiese la madre, notando Enriho. Non ebbe neanche il tempo di rispondere, ci pensò Aleon.

- Mamma, non ci crederai mai, questo è Enriho Pottero!- non riporto le reazioni della mamma e di Darwin, tanto furono le stesse identiche di Aleon. – Dev’essere di famiglia!- pensò Enriho tra sé e sé.

- Allora, andiamo?- chiese la madre. La risposta fu allegra e unanime. Enriho posò il proprio baule sul carrello portabagagli spinto dalla signora Wartley. Nella sua mente si immaginava un cancello dorato ed incantato, attraverso il quale si accedeva al binario. Dopo aver superato l’edicola e il cartolaio, arrivarono ad un trivio, davanti al quale la comitiva si arrestò. Enriho non riuscì più a trattenere la curiosità.

- L’entrata al binario è super segreta ed incantata, vero Aleon?- chiese concitato Enriho - Scommetto che nessuno sa e ha mai saputo dell’esistenza di quel binario!- Aleon annuì leggermente.

- Beh, non proprio…- disse, indicando col dito in alto. Sopra al trivio c’era un cartello d’indicazione, che indicava di proseguire diritto per il binario in questione. Non una dissimulazione, niente di niente che nascondesse il magico binario.

- Ma è possibile che in questo mondo magico non ci sia niente di magico?- chiese Enriho, scocciato. Effettivamente, il ragazzo non aveva tutti i torti, ma quello era il mondo dei maghi: prendere o lasciare. Sapendo che, dall’altra parte, lo attendeva una vita con lo zio Epiro… chiuse un occhio su quest’aspetto.

- Noi sappiamo che il binario "radice cubica di settantasettemilaottocentoquarantasette" conduce al nostro mondo, mentre i Babbazzi vedono solo un’indicazione insensata! Logico, no?- spiegò la signora Wartley, anticipando Aleon. Enriho si rese conto della labile logicità della cosa, ma obbiettò. Dorian, sulla sua spalla, stava facendo pulizia, leccandosi. Era incredibile come riusciva sempre a mantenere l’equilibrio sulla spalla del ragazzo. Il corridoio che stavano percorrendo era adornato di mattonelle marroni e ogni sorta di volantino pubblicitario, poteva essere trovato sul pavimento. Un paio di volte la compagnia si dovette fermare per rimuovere i pezzi di carta che si incastravano tra le ruote del carrello portabagagli. Arrivarono in fondo al corridoio. C’era una stanza rettangolare, sempre marrone. Sul fondo si trovava un lungo muro, del quale Enriho non riuscì a vedere gli estremi.

- Ecco laggiù l’entrata per il mondo dei maghi, proprio dietro quel muro!- strillò la signora Wartley. Aleon rivolse nuovamente una faccia imbarazzata ad Enriho. A quanto pare, la discrezione non era di casa, tra i Wartley. Qualche secondo dopo, Enriho realizzò che si trovava di fronte al mistico ingresso del mondo dei maghi. Raccolse tutte le sue forze e cominciò a correre verso il muro.

- Se il mondo dei maghi è dietro quel muro, allora devo per forza passarci attraverso!- pensò il ragazzo, non sapendo nemmeno perchè. La sua emozione fu al culmine quando raggiunse il muro e lo toccò… ma fu meno intensa quando incontrò il solido contatto con i mattoni, cadendo rovinosamente a terra, dopo aver sbattuto. Tutto era alquanto imbarazzante ed irritante.

- Enriho, stai bene? Tutto a posto?- chiese Aleon. Rispose con un debole "si" che sembrava voler dire "stavo meglio prima". Dorian stava saltellando a destra e a sinistra. Era saltato dalla spalla prima dell’impatto, quindi non si era fatto niente, bastò tendergli il braccio, come di consueto, per farlo salire sulla spalla.

- Enriho, tesoro, tutto a posto? La prossima volta potresti trovare più comodo usare la porta, caro.- aggiunse la signora Wartley, indicando una porticina ad un’estremità del muro. Era quasi impossibile da vedere perché era anch’essa marrone e intagliata a forma di mattoni. Enriho desiderò saltare sulla signora Wartley e fare scempio della sua faccia, ma si trattenne. Si limitò a rialzarsi e ad accodarsi ad Aleon. Stavolta non immaginò un modo spettacolare per aprire la porta, tanto sapeva che si sarebbe aperta al semplice tocco. Fu cosi.

- Scusate l’insistenza, ma chiunque può entrare nel mondo dei maghi, attraverso questa porta?- chiese, sicuro di aver trovato un punto debole nel fantastico mondo.

- Stavolta ti sbagli!- lo corresse Aleon – Solo i maghi possono vedere quella porta. I Babbazzi vedono solo un muro!-

Almeno in quello, si sentiva sollevato. Tutti entrarono, lasciando Enriho per ultimo. Spinse la porta che si spalancò. Dall’altra parte non si vedeva niente. Era come se quella porta desse su una stanza senza finestre e senza luce. Il ragazzo si fece forza ed entrò.

La porta si chiuse con un tonfo e, tutt’intorno a lui, cominciò a materializzarsi il marciapiede di una stazione. I suoni delle chiacchiere gli cominciarono a giungere in seguito, come avvolgendolo lentamente. Era affollato da tantissime persone, gabbie, valigie e bauli. I bambini correvano su e giù mentre i genitori chiacchieravano tra loro. Vide moltissime bacchette magiche, ma ormai non si stupiva più, il binario era ancora vuoto, incredibile ma vero: erano in anticipo. Il gruppo si fermò in un angolo e la signora Wartley cominciò a fare le solite raccomandazioni da mamma ai figli, che l’ascoltavano annoiati o non l’ascoltavano affatto. Il marciapiede era perfettamente tenuto da incantesimi. Quattro scope, piazzate in diversi punti, stavano spazzando da sole, mentre i cestini provvedevano a svuotarsi da soli. Un gruppetto di uomini in divisa verde stavano parlando in un angolo, concitatamente. Tra di loro c’era un ometto smilzo vestito alla bell’e meglio con una salopette nera e sporco di fuliggine, molto probabilmente doveva essere un macchinista. Un fortissimo fischio fece ammutolire tutti i presenti. Una stupenda locomotiva a vapore nera si avvicinò al marciapiede, sbuffando vapore dappertutto. Questo vapore, una volta in aria, assunse le forme più strane e fantasiose, innescando l’applauso generale dei presenti. Arrivata alla fine del binario, la locomotiva si arrestò, con un forte stridore dei freni. Appena fu completamente ferma, le porte si aprirono e scesero centinaia di persone. Due uomini scesero sui binari e si diressero tra la locomotiva e il primo vagone. Enriho sapeva cosa stavano facendo, la stavano sganciando. Infatti il treno, appena arrivato dalla sinistra del marciapiede, non poteva più continuare perché, oltre quella stazione, il binario si interrompeva. Quindi, il ragazzo, pensò che, a momenti, sarebbe arrivata un’altra locomotiva che sarebbe stata agganciata all’atra estremità del treno. Appena tutte le persone furono scese, una grossa voce parlò, da invisibili altoparlanti.

- Attenzione! È pronto l’espresso per Porkwarts!- a quelle parole moltissime persone si diressero verso un punto imprecisato, lontano dal marciapiede. La voce riprese.

- Per espresso intendo il treno, non il caffè, imbecilli! Allontanatevi dal bar.- e tutte le persone ritornarono dov’erano, deluse. Ma solo per prendere i bagagli, poi si diressero tutti al treno. Intanto, dall’estremità verso la quale si sarebbe diretto il treno, giunse lentamente una locomotiva verde che sarebbe stata agganciata al treno e l’avrebbe trainato a Porkwarts. Il macchinista, che era sporto dalla porta, rientrò dentro e frenò. La nuovo locomotiva si arrestò a pochi metri dal resto del treno. Due uomini scesero sui binari per agganciarla. Per la signora Wartley era arrivato il momento dei saluti finali; abbracciò e baciò i figli, ed anche Enriho. I tre, dopo aver salutato la donna, salirono sul treno, le carrozze erano molto belle. Avevano dei parquet e le pareti tappezzate di immagini che si muovevano salutando questo o quel ragazzo e ragazza. Gli scompartimenti erano per sei persone, fortunatamente, trovarono uno scompartimento vuoto e se ne impossessarono all’istante, stendendo i bagagli sui sedili. Dopo aver sistemato il tutto, Enriho ed Aleon decisero di scendere dal treno, per godersi un po’ d’aria fresca, prima della partenza. Infatti, sulle carrozze, c’era un’afa insopportabile ed opprimente, peggiorata dagli sbuffi di fumo che la locomotiva, di tanto in tanto, produceva. Adesso il marciapiede era sgombro di ragazzi. Erano rimasti solo genitori e parenti vari che salutavano e piangevano. Dalla locomotiva uscivano getti continui di vapore sempre più frequenti. Enriho vide l’uomo che aveva reputato un macchinista, arrampicarsi sulla locomotiva ed andare al posto di manovra: aveva indovinato! Quattro o cinque uomini dalla divisa verde erano a terra, a fianco del treno. Il ragazzo notò che il convoglio era esageratamente lungo. Minimo trenta carrozze, pensò. A quanto pare, gli uomini a terra, si stavano preparando per dare il via al treno. Aleon, che stava chiacchierando con Enriho, salì a bordo, seguito dall’amico. Tutto era pronto. Il primo uomo in divisa verde si girò verso la coda del treno e fece un cenno con il braccio. Il secondo uomo fece lo stesso, finché il segnale giunse all’ultimo uomo. Questi, controllato che fosse tutto a posto, ripeté il gesto al penultimo, così il segnale ritornò al primo uomo in divisa. Adesso era tutto a posto. L’uomo estrasse la propria bacchetta e la puntò al cielo, sussurrando qualche parola assolutamente non udibile. Una piccola sfera rossa ne scaturì dalla punta, e cominciò a correre verso il cielo, come un fuoco di artificio. Arrivata in quota, scomparve per un istante. Solo uno, poi il tutto esplose in un meraviglioso fuoco d’artificio verde intenso, un altro applausò partì immediatamente. Il macchinista, in attesa del via libera, entrò in cabina e chiuse la porta. un fortissimo getto di vapore attraversò tutto il treno. Il fumo dalla ciminiera si fece nero come la pece e le ruote cominciarono a slittare sulle rotaie. Il treno cominciò a muoversi… all’indietro. Il primo uomo, quello che aveva lanciato l’incantesimo di via libera, si portò le mani alla bocca per amplificare la propria voce.

- La destra è quella con cui scrivi, idiota!- rivolgendosi evidentemente al macchinista. Il treno si fermò, poi ripartì nella direzione giusta, tra gli sguardi attoniti dei presenti. Sbuffando e sferragliando, il convoglio abbandonò il binario "radice cubica di settantasettemilaottocentoquarantasette" lasciando, come unica traccia del proprio passaggio, un sentiero di fumo nero a forma di cavalli al galoppo. La fuliggine vagò nell’aria per qualche minuto, poi si disperse del tutto.

7

Lo smistamento

I sedili erano molto comodi ed imbottiti, e la compagnia era stupenda. Aleon stava raccontando alcune tremende gaffe della madre: assolutamente divertenti! Inoltre Aleon era bravissimo a mimare le espressioni di imbarazzo della madre, più che altro, fu questo che costrinse Enriho a distendersi sui sedili per non crollare, da quanto stava ridendo. Darwin era andato a chiacchierare con alcuni alunni del quarto anno, quindi del suo stesso corso. Adesso era il turno d’Enriho a parlare, decise di raccontare la storia della propria vita. Quasi si commosse quando vide Aleon ondeggiare tra rabbia e tristezza, a seconda del racconto. Almeno un paio d’ore trascorsero tra chiacchiere e risate. Dorian aveva preso a giocare con il pipistrello Muffa, e i due davano l’impressione di divertirsi molto. Stavano facendo una specie di nascondino, era molto carino starli a guardare. Ovviamente, grazie alla sua facoltà di volare, Muffa dominava il gioco, ma al roditore non interessava affatto. Aleon era veramente un ragazzo molto simpatico, sembrava che gli venisse naturale, far ridere la gente, complice il suo volto aperto e cordiale: era impossibile non ridere, quando ne raccontava una delle sue. Mentre il treno attraversava uno stupendo paesaggio di montagna, Aleon fu colto da un improvviso attacco di fame.

- Che ore saranno?- chiese ad Enriho, senza lasciargli il tempo di una risposta – Io ho fame! Aspettami qui mente vado a fare rifornimento al vagone ristorante!- si alzò, dirigendosi al corridoio – Torno subito!- aggiunse sulla porta, e si avviò alla carrozza ristorante.

Enriho chiuse la porta dello scompartimento e si risedette. Dorian gli saltellava sulle gambe chiedendo la sua razione di coccole, e non dovette aspettare molto per essere accontentato. Muffa stava riposando appeso alle sbarre della mensola porta bagagli. Enriho scoppiò a ridere ripensando allo zio Epiro. Enriho prese a ridere, ignaro che aveva scampato per un pelo l’ultima mania dello zio: la maionese. Adesso casa Pottero era più farcita di un Hot Dog e un bambino, incrociando la zia Agrippina per strada, le aveva dato un morso alla gamba credendola "Vladimira il Salsicciotto Umano". Il treno stava viaggiando molto veloce tra le montagne, una velocità che Enriho stimò incredibile per una locomotiva a vapore. Oltre a viaggiare molto veloce, stava cominciando a sobbalzare, tanto che Muffa dovette rinunciare alla siesta, se non voleva dondolare come un pazzo. Enriho prese la bacchetta per non più di un minuto, lanciandole un’occhiata ammirata, poi la ripose.

- Ma il cibo lo sta comprando o costruendo?- si chiese. Ormai erano venti minuti che l’amico mancava. Più che altro, stava cominciando a preoccuparsi.

- Forse è meglio se lo vado a cercare, vieni, Dorian?- chiese al coniglio. Per tutta risposta, il coniglio si limitò a rincorrere Muffa per lo scompartimento, quindi Enriho sorrise e lasciò i due ai loro giochi. Si voltò verso destra e cominciò a risalire il treno, in cerca del vagone ristorante.

- Risalgo come un salmone!- si disse il ragazzo. Mentre camminava, aveva estratto nuovamente la bacchetta magica. La esaminava con estrema attenzione, affascinato da un così potente mezzo. Quando stava quasi per accenderla, sbatté la testa contro qualcosa. Non aveva visto di cosa si trattasse, ma era qualcosa di metallico, perché sentì il rimbombo della sua botta, come quando si da una botta contro una campana. Non ebbe il tempo né di reagire né di capire cosa gli fosse successo: in meno di un secondo cadde pesantemente a sedere. Cadendo, un dolore accecante lo colpì: aveva sbattuto la parte di sedere dove lo zio gli aveva mollato il calcio, faceva un male infernale. Tanto male, che strillò dal dolore. Nello stesso istante sentì una voce femminile provenire dall’alto. Una voce nuova e abbastanza secca.

- Quante lagne, per un bernoccolo! Sei proprio un bambino! Come fa a farti così male se sei caduto da in piedi? Aspetta…- Enriho non la vide in faccia, ma la voce sembrò dubbiosa.

- Tu hai gli occhiali, sei un po’ curvo, ti fa male il sedere…- la sua voce si riempì di sbalordimento alla stato puro.

- Non sarai mica Enriho Pottero?- chiese infine.

- Piacere di conoscerti. Sono proprio io.- rispose, tendendo la mano senza neanche alzare lo sguardo e, rialzandosi, poté vedere contro cosa aveva sbattuto. Era un grosso calderone, simile a quello che aveva comprato a Cavol Alley. La ragazza era sbalordita, adesso Enriho lo poteva leggere sulla sua faccia, oltre che nella voce. Era una ragazza abbastanza alta, anzi, molto alta, in confronto alla statura minima di Enriho. Il viso non era bello, leggermente carino, ma decisamente affascinante. Gli occhi erano verdi e profondi, di un colore estremamente bello; inoltre, notò immediatamente Enriho, il colore di questi cambiava a seconda di come la luce si rifletteva su di essi. I capelli castani erano mossi sulle spalle e una piccola treccina spuntava dal lato sinistro. Indossava anche lei la lunga tunica nera. Il nostro protagonista la guardò imbambolato per qualche secondo; Non poteva sbagliarsi, quella era la ragazza che aveva visto nella biblioteca-libreria; era la ragazza che leggeva i libri del terzo anno. Chiunque fosse passato di lì in quel momento, non avrebbe esitato a chiamare un manicomio, e anche di corsa: la ragazza fissava a bocca aperta Enriho, con i suoi bei occhioni, Enriho fissava a bocca aperta la ragazza, calcandosi una mano sul sedere. Il ragazzo si rialzò mentre lei gli tendeva la mano. Riuscì a fatica a parlare, e le uscì una voce dolcissima, stavolta.

- Hermilla Gregge, è un grandissimo…- un ragazzo, carico di caramelle, stava passando nel corridoio, e aveva sentito l’inizio della frase di Hermilla.

- Gregge?- disse questo sconosciuto, divertito, - E dove sono le tue pecore?- chiese, scoppiando a ridere. Gli occhi della ragazza si socchiusero dalla rabbia. Si voltò con uno scatto fulmineo e, afferrato il ragazzo per il collo, lo sollevò da terra di almeno dieci centimetri. Enriho rimase di sasso, gli era sembrata una ragazza tanto introversa!

- Prova a prendere in giro il mio cognome un’altra volta. Ti ritroverai a gracidare in uno stagno ancor prima di aver capito cosa ti è successo.- gli disse, con una voce così minacciosa, che avrebbe fatto fuggire un orso lunatico il lunedì mattina. Detto ciò, mollò la presa, lasciando scappare il ragazzo. Poi si girò verso Enriho e gli rivolse un sorriso da brava bambina.

- Dicevo…- riprese - È un grandissimo onore conoscerti! Chi l’avrebbe mai detto? Voglio sapere tutto di te, come hai fatto a sconfiggere Colui-Che-Non-Deve-Essere-Annusato?- chiese, al colmo della felicità.

- Io… non lo so. Comunque non ho voglia di parlarne. Ti va di venire nel mio scompartimento? Potremmo chiacchierare un po’…- fece una breve pausa, temendo di essere preso in giro. - Sempre se ti va.- aggiunse. Non sapeva assolutamente come ci si dovesse comportare con una ragazza, dato che il suo unico rapporto col mondo femminile era stata quella volta che, secondo lo zio Epiro, uno sgombro dal fiume della città stava flirtando con lui, e lo zio aveva passato una buona mezz’ora ad ammiccare a dare pacche sulle spalle al nipote, nemmeno avesse conquistato la Schiffer. Solo in seguito si scoprì che si trattava di uno sgombro maschio.

Se ad Hermilla avesse detto di accettare in regalo un paio di miliardi, non sarebbe stata così contenta, come in quel momento, superfluo dire che accettò l’invito di buon grado. I due entrarono nello scompartimento e chiusero la porta.

- Carinissimo questo coniglio, come si chiama?- chiese Hermilla, appena vide Dorian.

- Si chiama Dorian, ti piace?-

- Davvero carino!- Dorian ringraziò la ragazza con la consueta leccatina alla mano. Cominciarono a parlare come buoni amici, ormai lo erano diventati. Lei era molto aperta: il giudizio di Enriho, stavolta, era stato totalmente errato. Dopo circa dodici minuti che parlavano, la porta dello scompartimento si aprì. Aleon entrò camminando all’indietro, quindi non vide la ragazza.

- Ehi, Enriho, guarda qui! Quell’antipatica della barista non mi voleva dare niente, ma io le ho fregato il carrellino dei dolci e sono scappato! Dovessi vedere… però, hai notato che belle chiappone sode che ha la barista? Se non avesse novant…- in quel momento, Aleon si voltò e notò la ragazza. Divenne così rosso che quasi Enriho non lo riconobbe più.

Con un gesto fulmineo, Aleon uscì dallo scompartimento e si richiuse la porta alle spalle. Un minuto dopo la porta si riaprì e Aleon fece nuovamente il suo ingresso

- Stavo discutendo di filosofia epicurea con un ragazzo- cominciò Aleon, sempre entrando nello scompartimento di spalle – Quando ho notato il carrello dei dolci, e di fronte a cotanta grazia mi sono accinto a pagare la summentovata barista, lasciandole, dall’alto della mia grande munificenza, una lauta mancia. Le stavo impartendo la mia benedizione quando…- come se la stessa scena non si fosse presentata poco più di un minuto prima, Aleon si voltò e "notò" la ragazza. Hermilla fece finta di niente e, come aveva fatto con Enriho, gli tese la mano.

- Piacere, Hermilla Gregge. Tu chi sei?- chiese, educatamente. Quando la ragazza aveva detto il proprio cognome, la faccia di Aleon si era illuminata, era chiaro che si preparava ad una battuta. Enriho, che si trovava alle spalle di Hermilla, adesso girata verso la porta dello scompartimento lanciò un’occhiataccia all’amico facendogli il gesto del "tagliagola", per impedirgli di fare battute, che avrebbero potuto essergli fatali. Aveva già visto l’effetto devastante di queste ultime. Aleon, per sua fortuna, stava guardando Enriho, capì, e si astenne dai commenti.

- Molto piacere.- rispose Aleon – Io sono Aleon Wartley.- e cosi nacque subito una solida amicizia tra i tre. Un paio di volte Aleon rischiò la vita per via del cognome di Hermilla. Fortunatamente Enriho sovrintendeva all’umorismo dell’amico e seppe lanciare le occhiate giuste al momento giusto. Loro tre non lo seppero mai, ma ci fu un momento, quando Aleon aveva finito di raccontare un aneddoto sulla sua famiglia, che, tutti e tre nello stesso momento, pensarono a quanto stavano bene con gli altri due. Comunque non c’era bisogno di parole, su quell’argomento. La giornata passava veloce, tra le risate dei tre. Il sole, come per riuscire a spiarli dal finestrino del treno, si abbassò sempre più, per dare il cambio ad una bella mezza luna. Il treno si fermò ad una stazione di posta per fare rifornimento di carbone e acqua, ma ci vollero poco meno di dieci minuti, Correva e correva divorando i binari sotto le ruote. Le bielle salivano e scendevano come il tracciato di un elettrocardiogramma di una persona che ha faticato, Il vapore avvolgeva le ruote, la ciminiera marchiava nel fumo il passaggio della macchina a vapore. Giunse presto la sera, annunciata dalla comparsa delle prime timide stelle. Adesso il treno viaggiava più lento, avendo accumulato un notevole anticipo. Enriho ed Aleon si stavano sfidando ad un’appassionante battaglia navale, mentre Hermilla leggeva un libro. Proprio quando una corazzata di Enriho stava affondando, il treno cominciò a frenare. Dorian, che stava dormendo, cadde dal sedile. I tre presero a ridere, mentre Lunghi sbuffi di vapore uscivano ormai dappertutto. Lasciarono perdere le rispettive occupazioni e si precipitarono al finestrino, affacciandosi, come praticamente tutti gli altri passeggeri in tutti gli scompartimenti. Il treno viaggiava a passo d’uomo mentre entrava nella stazione. Entrava nel vero senso della parola, dato che la stazione, attraverso un portale, accoglieva il treno dentro di se, essendo una stazione con i binari al coperto. La facciata, della quale era impossibile notare i particolari, era illuminata da almeno un centinaio, forse un migliaio, di candele che levitavano a mezz’aria. Moltissimi volatili planavano qui e lì, intorno ad un grandissimo cartello che diceva "Somma Accademia di Magia, Stregoneria ed Affini----Porkwarts". Il cuore di Enriho cominciò a martellare nel petto; finalmente era arrivato. Lentamente, il treno superò il portale. L’interno della stazione era di mattoni rossi scarlatti, moltissime panchine e cestini dei rifiuti l’adornavano. Sul marciapiede c’erano una cinquantina di persone, tutte con le mani incrociate dietro la schiena; tra queste non era difficile notare Hagridiano. I freni sferragliarono, stridettero, poi le ruote finirono la loro corsa. La locomotiva accolse la fine della propria impresa con un’abbondante sbuffo di vapore da sotto i pistoni. Le persone sul marciapiede aprirono le porte del treno, fecero scendere gli uomini in divisa verde e le richiusero. Hermilla, Enriho ed Aleon raccolsero le loro cose e chiusero i bagagli. Dorian saltò emozionato sulla spalla del padrone. Una voce parlò.

- Benvenuti a Porkwarts, studenti. Adesso scendete ordinatamente dal treno e radunatevi intorno all’addetto a voi più vicino.- seguì una breve pausa – visti gli incidenti degli anni precedenti, la direzione della stazione consiglia caldamente di aprire le porte, prima di scendere.- i tre si guardarono, stupiti.

- Adesso potete scendere!- le porte del treno si spalancarono, permettendo a centinaia di ragazzi di scendere. Nonostante il saggio suggerimento della voce, qualcuno usò un ragazzino del primo anno per fare da ariete e sfondare la porta del treno. I tre amici decisero di aspettare qualche minuto prima di scendere, per non essere travolti dalla massa; appena tutto fu calmo, scesero anche loro. L’aria della sera, in quel luogo, era carica d’umidità ed abbastanza fresca, per essere estate. I versi dei vari animali erano coperti, solo parzialmente, dalle grida concitate dei vari padroni. Dorian si limitava a sonnecchiare, mentre Muffa era un po’ agitato. Enriho si diresse verso un uomo della scuola, seguito dagli amici. Hagridiano si trovava un po’ più distante, quindi non ci poté andare, si limitò a salutarlo con la mano, gesto che il guardacaccia ricambiò schiaffeggiando maldestramente due spauriti alunni alla sua destra e sinistra, nel gesto.

- Seguitemi, prego. State attenti a non perdervi.- disse l’uomo, con aria seccata, e cominciò a camminare. Chissà da quanti anni quell’uomo ripeteva il rito.

- E i bagagli?- chiese una ragazza.

- Quelli verranno trasportati alla scuola in seguito.- nessuno ebbe altre domande, e la comitiva partì.

- Hai visto che stazione?- disse Hermilla agli amici. – Se la stazione è così, chissà come deve essere il castello!- aggiunse.

- Il castello ha più di cinquecento anni…- cominciò Aleon. – Le sue mura racchiudono trabocchetti e labirinti, ma niente che uno studente deve temere. Una volta, un centinaio di anni fa, un intruso tentò di entrare…-

- E come gli è finita?- chiesero in coro Hermilla ed Enriho

- Beh, nessuno lo sa. Sapete, non si capisce molto, quando si trova solo un frammento d’unghia di un millimetro…- concluse Aleon, noncurante. Enriho deglutì rumorosamente. Chissà cos’era successo all’intruso.

- Non so voi, ma io sto tremando dall’emozione!- disse Enriho.

- A chi lo dici!- rispose Aleon.

- Guardate!- disse Hermilla, indicando un punto davanti a loro. C’era un’immensa distesa d’acqua che riluceva svogliatamente sotto il disco della luna.

- E questo? Non sapevo ci fosse il mare a Porkwarts!- esclamò Aleon.

- Se permetti…- cominciò Hermilla, con aria saccente – Questo è l’enorme lago di Porkwarts. Se, per puro caso, qualche Babbazzo dovesse arrivare fin qui (ed è già successo) troverebbe solo questo lago. Non so bene come, ma questa distesa d’acqua conduce alla scuola solo se, ad attraversarla, sono persone con poteri magici; d’altronde…- non poté finire la frase, che un grande rumore di acqua rimescolata echeggiò tutt’intorno. L’uomo che guidava il gruppo chiarì tutto, prima di andarsene.

- Adesso arriveranno le imbarcazioni che vi condurranno a Porkwarts. Dati gli incidenti degli anni precedenti, consiglio caldamente di aspettare che le imbarcazioni arrivino, prima di saltarci sopra.- e, detto ciò, se ne andò. I tre amici si guardarono in faccia, stupiti, ancora una volta. Enriho pensò dentro di sé che solo un uomo poteva arrivare a tale stupidità: lo zio. Comunque, non era certo il momento per pensare allo zio. Il rumore si fece sempre più forte, mentre, quasi dal nulla, spuntarono centinaia di gondole. Ogni imbarcazione, tipicamente in stile veneziano, era corredata di relativo nocchiero che cantava struggenti canzoni, sempre veneziane. Enriho, Aleon ed Hermilla saltarono sulla prima imbarcazione disponibile e partirono. La traversata cominciò lenta, scandita dal canto del gondoliere.

- Il signor Pottero, che indossa un lungo manto nero!- cantava il nocchiero, mentre assestava all’acqua saccenti colpi di pagaia – Poi c’è il signorino Aleon, che fa rima solo con la parola "non"!- continuò il gondoliere, deviando leggermente a sinistra. Poi commise il più grande errore della sua vita. Continuò a cantare. - Infine la signorina Gregge, che con le pecore…- non terminò neanche la frase, o meglio, non riuscì a terminarla, che si tramutò in rana.

- Che uomo simpatico!- disse Hermilla, in tono ironico. Stava riponendo la bacchetta sotto alla tunica, dopo averla spenta, né Aleon né Enriho si erano nemmeno accorti della rapidità del suo gesto. Poi prese in mano un remo. – Forza, animo! Enriho, prendi l’altro remo, e tu, Aleon, vai al timone. Seguiamo le altre gondole.- disse, calma.

- Che donna!- sussurrò Aleon all’orecchio dell’amico. I tre si diedero da fare, per tenere il passo delle altre imbarcazioni. Inoltre il gondoliere non faceva altro che gracidare, e questo non semplificava le cose.

- Puff… se solo… Anf… non ti fossi… Anf… offesa, a quest’ora,… Puff… era lui che remava!- disse Enriho, indicando la rana. Lo sforzo per muovere i remi era immane. Ciononostante, riuscivano a tenere il passo delle altre gondole. Fino a quel momento, il lago era stato calmissimo. Improvvisamente, un’onda gigantesca si alzò, senza nessun motivo. Non un filo di vento poteva esserne la causa, neanche una leggera brezza. Sembrava che l’onda fosse sempre stata lì, come per aspettarli. Man mano che avanzava, inghiottiva tutte le gondole. Urla si levarono da quasi tutte le imbarcazioni. Aleon rimase pietrificato, con la leva del timone in mano. Hermilla lanciò uno strillo così acuto, che Enriho si aspettò di vedere i propri timpani uscire dalle orecchie ed appendere il cartello "chiuso per lutto". Il colossale cavallone travolse anche i nostri tre amici. Ma non successe niente. La gondola non affondò, neanche si smosse. Nessuno si sentì gli abiti bagnati addosso. Nessuno si rese conto all’istante che tutte le barche erano semplicemente passate attraverso l’onda, senza subire alcun danno. Tutti videro la maestosa mole del castello di Porkwarts.

Da quella distanza, ancora considerevole, se ne poteva scorgere soltanto la sagoma, ma era quanto bastava, per far rimanere tutti a bocca aperta. Un castello di proporzioni esageratamente grosse si stagliava verso il cielo, le mura, a prima vista possenti, erano bucherellate da tantissime finestre, la maggior parte delle quali, illuminate. Almeno venti torrioni potenziavano la cinta muraria irregolare, mentre Le guglie ed i pinnacoli non potevano essere contati. Qua e la, faceva capolino qualche catapulta, Enriho contò da lontano, almeno sette balestre d’assedio. Inoltre, il riflesso del castello sull’acqua, rendeva l’atmosfera veramente fantastica, assolutamente senza precedenti.

- È tutto così… adesso è proprio il caso di dirlo… è tutto così magico!- esclamò Enriho ad alta voce. Anche Dorian, dall’alto della spalla, era sull’attenti a rimirare il panorama. Fu quasi un peccato, secondo Hermilla, che le barche si avvicinassero sempre di più. Ampi pezzi di castello scomparvero dalla visuale dei ragazzi, mentre si avvicinavano. Anche alzando la testa, non era possibile vedere la cima della costruzione, tanto era alta. Aleon, tramite un sapiente uso del timone, accostò vicino ad un paio di barche già arrivate ed ormeggiate. Il gondoliere-rana saltò nel lago e scomparve sott’acqua. I tre scesero dalla barca e si accodarono al crocchio di persone già presenti. Di fronte a loro, centinaia di fiaccole levitavano nell’aria ed illuminavano un sentiero di terra battuta, delimitato da un intricato groviglio di alberi. Qualche animaletto fuggì tra la vegetazione, spaventato dall’avvento dei ragazzi.

- Questo deve essere senz’altro l’incantesimo "sentiero fatato"- prese a spiegare Hermilla – lo so perché, dato…- non fece neanche in tempo a finire la sua spiegazione, che tutte le fiaccole si spensero. Dagli alberi uscì un omino dalla divisa blu e il simbolo di un fulmine cucito sopra.

- Maledetti idioti!- si lamentò l’ometto. - Gliel’ho detto di non sovraccaricare, ma loro devono per forza accendere tutti gli elettrodomestici contemporaneamente, figurati…- si lamentava l’omino. Aprì una scatolina per terra e spostò un interruttore. Le fiaccole si riaccesero tutte. L’omino, come era comparso, sparì dietro alla vegetazione. Enriho ed Aleon si avvicinarono ad una fiaccola e la osservarono: era una luce elettrica.

- Questo dev’essere senz’altro l’incantesimo "sentiero fatato"- disse Aleon, facendo il verso ad Hermilla, pensando di non essere sentito, invece Hermilla era proprio dietro di lui. Se mai vi capitasse di incontrare Aleon, in vita vostra, guardate il suo zigomo sinistro: troverete quattro segni. Quei quattro segni, converrete con me, hanno tuttora una somiglianza sorprendente con le nocche di Hermilla. Dopo quell’imitazione, quei segni furono visibilissimi per una settimana. Comunque il ragazzo non protestò per due validi motivi: sapeva della suscettibilità dall’amica, ferita dalla sua imitazione; aveva paura di prendere il doppio delle botte. La massa di ragazzi cominciò a muoversi nella direzione che le fiaccole indicavano, fino ad arrivare ad un immenso portale spalancato. Si ritrovarono così nell’anticamera del castello.

Era questa un’immensa sala di forma irregolare. Molti lampadari la illuminavano proiettando una tenera luce soffusa, le finestre circolari non lasciavano filtrare i deboli raggi della luna. Di fronte a loro c’erano cinque porte mentre ai lati si ergevano due rampe di scale, una per lato accanto alle porte più esterne. Delle cinque porte centrali, solo una, quella centrale, non era fregiata. Sulle altre quattro erano intarsiati, uno per ogni porta, i simboli araldici che Enriho aveva visto sulla lettera. Appena tutti i ragazzi furono entrati, l’enorme portale si chiuse, senza che nessuno lo spingesse. Per quanto i ragazzi fossero migliaia, entrarono tutti nell’enorme hall. Placati gli ultimi commenti concitati, il silenzio trionfò nella sala. Una voce proveniente dall’alto fece risaltare tutti i presenti.

- Benvenuti, ragazzi miei!- tutti alzarono lo sguardo. Al piano superiore, col busto che si ergeva dal parapetto intarsiato c’era un vecchio. Aveva lunghi capelli bianchi e, per quello che si poteva vedere, indossava una tunica rosso fuoco. Portava un paio di occhiali che sembravano cannocchiali, da quanto erano grandi, la faccia era rilassata in un grosso sorriso.

- Ma quel vecchio… lo zoo…- pensò Enriho, ma non riuscì bene a connettere le due cose. Il vecchio cominciò a camminare verso le scale, mentre parlava.

- Benvenuti a Porkwarts. Io sono il preside della scuola, il professor Album D’Uovo. Per tutto…- non riuscì a finire la frase, perché inciampò nel primo gradino e cominciò a rotolare. Fece tutte le scale rotolando e imprecando, i ragazzi lo guardarono attoniti, nessuno escluso. Appena raggiunse, sempre rotolando, la fine delle scale, si alzò come se niente fosse accaduto. Aveva sempre la solita espressione.

- Bene, sembra che, anche per quest’anno, la mia dignità sia andata a farsi benedire anzitempo. Pazienza.- disse Album, con tranquillità. Mi sento in dovere di riportare gli incidenti che occorsero al vecchio negli anni precedenti, all’arrivo degli alunni al castello. Un anno il preside aveva deciso di farsi alzare i capelli con il gel, per imitare la moda in voga tra i ragazzi. Fu un’idea infelice, in quanto i capelli, lunghi quasi un metro, si impigliarono nel lampadario. Il vecchio preside era rimasto per un’ora e mezzo a penzolare come un verme all’amo. Un’altra volta aveva deciso di levitare dal piano superiore fino al piano dei ragazzi, in modo da lasciare tutti a bocca aperta. Aveva appena scavalcato il parapetto del piano superiore, che la sua bacchetta magica aveva esaurito la batteria, interrompendo l’incantesimo. D’Uovo era volato fino a terra facendo una figura ignobile. L’anno ancora precedente il vecchio aveva deciso di accogliere gli studenti nel modo più naturale possibile. Dopo settimane e settimane passate in biblioteca, era riuscito a trovare un incantesimo che facesse al caso suo. Aveva lanciato sul proprio corpo un sortilegio che lo fece profumare di tutti gli odori del bosco contemporaneamente. Effettivamente, almeno per i primi quattro secondi, l’idea si era rivelata azzeccata. Poi, proprio mentre si stava preparando a cominciare il suo discorso di benvenuto, erano entrate nell’atrio una quantità spropositata di vespe, attirate dagli odori del bosco. Il povero professore era stato trovato in un alveare poco distante dal lago di Porkwarts, completamente immerso nel miele. Forse è meglio che mi fermi qui, non vorrei compromettere più di tanto la figura del preside, per adesso. Appena le risatine si furono placate e nella sala tornò a regnare il silenzio, il preside cominciò a parlare.

- Le lezioni di magia cominceranno tra pochissimi giorni, prima vi daremo il tempo di orientarvi un po’ nel castello. Io stesso ci ho messo un po’ per impararne la pianta, che adesso è perfettamente impressa nel mio cervello- disse, indicandosi la testa. – Comunque, è bene che i nuovi arrivati conoscano l’organizzazione della scuola. Tutti voi, sarete divisi in quattro gruppi. Sarebbero una specie di squadre, contrade, fazioni, insomma: come le volete chiamare. Convenzionalmente, a Porkwarts, le chiamiamo "case". Ogni alunno diligente fa guadagnare punti alla propria casa. A fine anno verrà fatta la somma dei punti accumulati, la casa a maggior punteggio vincerà "la coppa del Trisavolo", un’importante onorificenza. Dopo che avremo mangiato, i nuovi arrivati verranno smistati nelle quattro case. Esse sono…- e si avvicinò alle quattro porte con i simboli impressi. Indicò la prima col disegno del maiale – Porcondoro!…- e si sentì un urrà, presumibilmente degli appartenenti a Porcondoro. Poi indicò la porta col disegno col grosso topo – Sorcionero!…- altro boato di gioia. Poi fu la volta della porta con la figura umana che si martellava la testa – Idiotaverde!…- e ancora un boato. Per ultima, indicò la porta con la conchiglia attorcigliata – E, infine, Pagurorosso!- ultimo boato.

- Ma adesso basta con le chiacchiere,- si affrettò ad aggiungere - Tutti a cena! E, ancora, benvenuti!- e la porta centrale, quella senza stemmi, si aprì. Album la imboccò, seguito da tutto il gregge (speriamo che Hermilla non mi abbia sentito) di ragazzi. Si apriva un corridoio abbastanza lungo, adornato di armature, quadri ed arazzi. L’unica cosa che non si muoveva, in quel corridoio, erano le armature; il resto, si muoveva tutto. Fu molto suggestivo, per Enriho, camminare mentre veniva salutato da ogni quadro. Anche Hermilla ed Aleon, pur essendo abituati più di Enriho alla magia, rimasero a bocca aperta dallo stupore. Arrivati in fondo al corridoio, una porta si aprì rivelando una grossa sala da pranzo. C’erano lunghi tavoli messi a spirale, carichi di ogni ben di Dio. Tutti i ragazzi si avventarono sui cibi, distribuendosi sulle panche. Di fronte a loro, i professori, li guardavano sorridendo, mentre mangiavano. Tutti sorridevano, tranne uno. Rosson. Quel labbro… Enriho distolse lo sguardo per non incrociare quell’orribile labbro. Ai lati della stanza si trovavano due grossi camini in mattoni che emanavano un calore confortante. Nonostante fosse agosto, in quel posto c’era freddo. I fuochi crepitavano mentre le mascelle di tutti lavoravano. La cena fu fantastica, soprattutto dopo anni e anni andati avanti a forza di avanzi, come Enriho. Alla fine del pasto, Album si alzò in piedi.

- A tutti gli studenti, attenzione. Ha adesso inizio la cerimonia di smistamento. In piedi, per favore.- tutti si alzarono in piedi mentre una professoressa, agitando la bacchetta in aria, cambiò la disposizione dei tavoli. Vennero messi quattro lunghissimi tavoli, paralleli tra loro. A loro volta, questi tavoli erano paralleli al lato lungo della sala grande. Poi Album riprese a parlare.

- Tutti gli studenti non nuovi, si siedano al tavolo della propria casa ed espongano lo stendardo. Quelli nuovi rimangano in piedi, presto si procederà con lo smistamento.- a queste parole, le porte della sala si spalancarono, lasciando entrare Hagridiano. Appena entrato, fece un sorriso ad Enriho. Il guardacaccia aveva qualcosa in mano. Enriho aguzzò la vista. Sembravano… erano mutande! Che cosa ci faceva Hagridiano con un paio di mutande in mano? Il guardacaccia depositò le mutande su una sedia e si fece da parte. La donna che aveva fatto cambiare disposizione ai tavoli, si avvicinò e si rivolse al gruppo di ragazzi.

- Adesso avrà inizio la cerimonia dello… (wie sagt man auf Italienisch?…) smistamento. A turno indosserete le… (wie sagt man auf Italienisch?…) Mutande Parlanti, che vi smisteranno nella casa per voi più appropriata.- appena ebbe finito, le mutande si alzarono, come indossate da un uomo invisibile. Erano boxer. Si muovevano come se dovessero aprire delle labbra.

- Bene…- continuò la professoressa, facendo il "taglio" con le mani – Dopo la tradizionale… (wie sagt man auf Italienisch?…) filastrocca delle mutande, potremo… (wie sagt man auf Italienisch?…) cominciare con lo smistamento.- annunciò la donna, e la filastrocca cominciò.

Eccomi a voi, vispo e pimpante,

perché io son una Mutanda Parlante!

Come ogni anno, a denti stretti,

devo dividere gli scolaretti.

Ma è bene non indugiare,

e il mio lavoro cominciare.

Tutti attenti, io parlo lento,

perché faccio lo smistamento.

Già, lo smistamento,

a quale casa starai attento?

Se ti metto in Porcondoro,

dovrai stare attento a loro,

che sul coraggio e la resistenza,

fondan la loro esistenza.

Se ti metto in Sorcionero,

devi esser saggio invero,

mai, infatti, questa casa contesta,

ciò che hai nella tua testa.

Se ti metto in Pagurorosso,

devi avere un cuore grosso grosso,

devi far dell’aiutare,

il tuo modo di pensare.

Se ti metto in Idiotaverde,

devi seguire chi non perde,

chi ha forza dentro e fuori,

come invincibili motori.

Ecco qui le quattro case,

scelgo io la tua insegna;

comincia ora la delicata fase,

vediamo la sorte a chi ti assegna!

Seguì uno scroscio di applausi, che le mutande accolsero ringraziando ed accennando inchini qui e lì.

- Adesso, quando vi chiamo, indossate le… (wie sagt man auf Italienisch?…) Mutande, ed andate a sedervi nel… (wie sagt man auf Italienisch?…) tavolo della vostra casa, che vi verrà riferita. Cominciamo!- esclamò, estraendo una grossa pergamena dalla tasca destra. La srotolò e cominciò a leggere.

- Casier Jomanes!- chiamò la professoressa. Un ragazzo abbastanza alto e con i capelli neri avanzò ed indossò le mutande.

- Idiotaverde!- strillarono queste, ed il ragazzo andò a sedersi nel tavolo degli Idiotaverde, accolto dagli applausi di questi.

- Illy Veltsand!- - Sorcionero!-

- John Flinterin!- - Pagurorosso!-

- Lucertolo Ciccioy!- - Idiotaverde!-

- Magoyle Ferms!- - Idiotaverde!-

- Hermilla Gregge!- Hermilla, totalmente rossa dell’imbarazzo, avanzò con piccoli passi. Sotto la tunica, teneva tutte le dita incrociate, sperando di non essere assegnata ad Idiotaverde. Tutti i più grandi idioti, ai tempi della scuola, erano stati Idiotaverde. Non voleva fare la stessa fine. Lentamente, indossò le Mutande Parlanti.

- Mmhhh…- sussurrarono le mutande alla mente della ragazza – Vediamo… picchi i ragazzi… trasformi in rane gli uomini… semplice!… Porcondoro!- strillò ad alta voce. Ad Hermilla sembrò di essersi tolta un macigno dalla schiena. Si sedette al tavolo dei Porcondoro, contentissima per la scelta, tra gli applausi e le strette di mano dei Porcondoro. Adesso doveva vedere dove sarebbero stati messi i suoi amici. Dopo una ventina di ragazzi, fu il turno di un’altra nostra conoscenza.

- Enriho Pottero!- chiamò la professoressa. La sala s’ammutolì, adesso tutti lo fissavano. Ad Enriho ghiacciò il sangue nelle vene. Cominciò a sudare freddo, mentre le mani perdevano sensibilità lentamente. Fece piccolissimi passi verso le mutande e le afferrò. Le sentì vibrare sotto le dita. Le indossò. Anche ad Enriho, le mutande parlarono alla mente.

- Mmhhh… da quant’è che non ti dai una lavata, qua sotto?- gli sussurrarono.

- Fatti i cavoli tuoi e smistami.- pensò Enriho. Forse le Mutande potevano sentire il pensiero. Era così.

- Ok, ok, non ti scaldare… dunque… ma guarda che idiota è tuo zio. Devi aver avuto una grande forza per sopportarlo…-

Il cuore gli si fermò per un istante. La filastrocca diceva che la forza era premiata dagli Idiotaverde… ma Hermilla gli aveva detto che gli Idiotaverde erano la peggiore casa. Enriho tentò di plagiare le mutande.

- Forza? Per sopportare lo zio ci vuole del coraggio, dovessi vedere…- tentò Enriho.

- Anche la saggezza è dalla tua… e la bontà…- insistette la Mutanda.

- Insomma, ti decidi?- pensò Enriho spazientito.

- La forza. È quella che trionfa in te.- fu l’ultimo tentativo della biancheria parlante.

- Se ti azzardi a mettermi in Idiotaverde, non mi lavo per tre mesi e poi ti indosserò. Attento che lo faccio.- minacciò Enriho.

- Questo è coraggio! Come ti permetti? Io ti metto in… Porcondoro!- sbraitò. Enriho si sentì ancora più sollevato di Hermilla, mentre gli applausi lo accolsero al tavolo dei Porcondoro. Era nella migliore casa di Porkwarts, era lontano dagli zii. Non poteva essere più felice. Adesso mancava solo Aleon a chiudere il quadro. Passarono un’altra trentina di ragazzi, poi fu il turno di Aleon.

- Aleon Wartley!- Aleon ebbe la stessa reazione degli amici. Panico totale. Si avvicinò ed indossò le mutande. Queste non esitarono neanche un istante, nello smistare Aleon. Enriho ed Hermilla attesero con ansia il "Porcondoro". Sarebbero stati tutti e tre insieme. Cominciava una grande avventura, insieme.

- Sorcionero!- gridò, invece, la Mutanda. Tutti e tre gli amici rimasero pietrificati. Ecco che venivano divisi. Aleon andò al tavolo dei Sorcionero rassegnato e deluso, mentre i Sorcionero lo accolsero con cordialità e sorrisi. Lo smistamento continuò. Aleon guardò gli amici nel tavolo accanto al suo. Poi fece un bellissimo sorriso ed alzò le spalle, come per dire "pazienza, non è finito mica il mondo!". Enriho ed Hermilla si guardarono.

- Non sarà certo questo, ad ostacolare la nostra amicizia.- disse la ragazza. – Inoltre ho letto che la saletta di ritrovo esterna è comune ai Porcondoro e Sorcionero ed ai Pagurorosso e Idiotaverde. Se fosse stato Pagurorosso l’avremmo visto difficilmente! Non ci dobbiamo preoccupare!- Enriho si sentì immediatamente sollevato da quella notizia. Aveva ragione Hermilla: quell’avvenimento non avrebbe mai e poi mai ostacolato la loro amicizia. E fu proprio così. La serata procedette senza ulteriori intoppi. Dorian venne lasciato nella stanza degli animali, insieme ai suoi compagni roditori, cosa che lo fece molto contento. Lo stesso avvenne a Muffa. Tutti i Porcondoro seguirono il loro Capocasa, un certo Mike, fuori dalla sala, per entrare nella grande porta dell’atrio, quella con l’insegna dei Porcondoro. Si ritrovarono in una stanza ottagonale arredata da arazzi, tavolini e poltrone. Insieme a loro, c’erano anche i ragazzi del Sorcionero. Per un istante, scorsero Aleon, ma fu proprio un momento: Mike non aveva intenzione di fermarsi e neanche il Capocasa dei Sorcionero. In fondo a questa stanza, chiamata sala comune esterna, che era in comune, come già detto, a Sorcionero e Porcondoro c’erano due porte, anche queste fregiate dai due simboli Porcondoro e Sorcionero. Enriho ed Hermilla imboccarono la loro porta, dando un ultimo saluto ad Aleon. Dietro quella, si trovava un piccolo corridoio che curvava immediatamente sulla sinistra. La curva era ostacolata, in fondo, da un’armatura. Mike vi si avvicinò e disse:

- Io sguazzo nel fango!- a quelle parole l’armatura, che era puntellata sulla propria spada, si spostò, camminando.

- Ecco perché puzzi in questa maniera!- disse un ragazzo del quarto anno, scherzando. Mike, che non se l’era presa per niente, gli rispose con un sorriso e un amichevole calcio nello stomaco, che fece rantolare per parecchie ore il malcapitato.

- Questa, ragazzi, è la parola d’ordine per quest’anno.- spiegò Mike – Ogni volta che volete accedere alla sala interna dei Porcondoro, dovete ripetere la parola d’ordine all’armatura. La parola non deve essere rivelata a ragazzi di altre case, altrimenti verrete puniti severamente.- quindi si voltò e, oltrepassato il corridoio, giunsero alla sala comune interna, riservata ai soli Porcondoro. La stanza era identica alla sala comune esterna, anche questa con tavoli, sedie e poltrone; anche questa con due porte in fondo, ma, al contrario della precedente, e "neutra", sala comune esterna, questa era piena, in ogni angolo, dei colori e dei simboli Porcondoro.

- Sinistra, dormitorio femminile, destra, dormitorio maschile. I ragazzi seguano me, le ragazze seguano Lena- una ragazza emerse dal gruppo per guidare le ragazze al loro dormitorio. Hermilla salutò Enriho con un gesto della mano, augurandogli buonanotte. Il dormitorio consisteva in un corridoio con porte numerate su tutte e due i lati. Enriho Pottero, Jerome Phillips e Richie Tameson vennero assegnati alla stanza sette. Tutti i loro effetti personali erano già nella stanza, dove li attendevano tre comodi letti a baldacchino. I tre erano troppo stanchi per presentarsi, così rimandarono al giorno successivo i convenevoli. Si buttarono sui letti e si addormentarono immediatamente, quasi che fossero stati incantati.

I quattro giorni che seguirono, i quattro giorni prima dell’inizio delle lezioni, furono totalmente dedicati all’esplorazione. Insieme, Hermilla, Aleon ed Enriho perlustrarono buona parte del castello; Enriho, che non godeva di un’ottima memoria, disegnò una veloce cartina del castello. Per darsi una sommaria idea del dedalo dei corridoi della scuola di Porkwarts.

Molte altre ali e piani del castello erano disseminate, un po’ dappertutto, di cartelli ed indicazioni, quindi Enriho poté fare a meno di disegnare le cartine. I quattro giorni di cui vi parlavo, servirono ad Enriho anche per conoscere meglio i suoi due compagni di stanza, entrambi simpatici e cordiali, ma mai al livello di Aleon. Il quarto giorno Enriho, Aleon ed Hermilla perlustrarono i giardini. Trovarono la capanna di Hagridiano, ma non vi potettero entrare perché il proprietario non era a casa; esplorarono inoltre le serre per Erbologia e una grossa struttura chiusa a chiave, della quale nessuno capì lo scopo. Quella sera la cena fu ben più allegra del solito, in previsione dell’inizio delle lezioni. Come ogni sera, i tre amici si salutarono nella sala comune esterna, prima di prendere tutti e tre direzioni diverse. La notte successe qualcosa degno di nota.

Mentre Enriho fantasticava su cosa sarebbe successo il giorno seguente, la porta della stanza si aprì. Ebbe paura, quindi non si mosse dal letto, fingendo di dormire. Sentì dei passi, ma molto brevi. Non erano proprio passi, sembravano più saltelli. Già, sembrava proprio

- Dorian, che ci fai qui?- sussurrò, per non svegliare i compagni di stanza. Enriho osservò l’animale alla luce della luna, non voleva rischiare di essere notato, accendendo una candela. Legato alla zampa del roditore, c’era un piccolo foglietto.

- E così gli animali fanno da postini, qui a Porkwarts!- si disse. Enriho prese la lettera e la aprì. Prima di cominciare, diede un’amorevole carezza a Dorian. Lui ricambiò nel modo consueto, poi andò via.

"Ehi, Enriho, sono Aleon!

Ti devo dire assolutamente una cosa che è successa stanotte, forse è roba da niente, ma io te la devo dire lo stesso. Appena ti arriva questo biglietto, vai nella sala comune esterna, ci vediamo lì. Porta la bacchetta con te, non si può mai sapere. Se trovi qualcuno che ti potrebbe vedere, quindi non puoi venire, accendi la bacchetta, agitala in aria facendole fare due giri in senso antiorario e pronuncia il mio nome. Capirò che non puoi venire. Ci vediamo (spero) tra qualche minuto. Ciao!"

Enriho ripose la lettera e si mise le pantofole. Uscì dalla stanza in punta di piedi, per non svegliare nessuno. Jerome stava russando leggermente, Richie un po’ di più del compagno. Sembrava che tremassero i vetri, da quanto russava (o tremavano veramente?). Enriho aprì la porta che dava alla sala Porcondoro: nessuna anima in giro. Meno male, era troppo curioso di sapere cosa stesse accadendo. Sempre in punta di piedi, oltrepassò la saletta decorata di rosso e oro. Per sua fortuna l’armatura non ostacolava il corridoio, ma era da parte a dormire. Se avesse dovuto farla spostare, avrebbe fatto un rumore troppo forte. Quella sera, stranamente, gli stava andando tutto bene. Arrivò in pochi minuti nella sala comune esterna. In un angolo vide una figura, tutta rannicchiata.

- Aleon? Sei tu?- chiese, con voce leggerissima.

- Enriho? Meno male che sei venuto! Hai avuto problemi?- chiese Aleon, avvicinandosi all’amico.

- No, non ho incontrato anima viva. Te?- chiese Enriho a sua volta.

- È stato un incubo! In sala comune c’era il mio Capocasa che leggeva, mi sono dovuto fingere una poltrona finché non ha finito!- rispose Aleon, seccato.

- Perché mi hai chiamato?- chiese Enriho, al culmine della curiosità.

- Ah, già. Prima, ero a letto, crogiolandomi nel pensiero di rivedere domani Her… ehm… voi due,- sembrava leggermente arrossito – Quando, d’improvviso ho sentito dei rumori provenire dalla sala grande. Erano…- Enriho l’interruppe.

- Come fai a sapere che i rumori provenivano proprio dalla sala grande?- gli chiese.

- Il dormitorio dei maschi del Sorcionero è a fianco della sala grande, quindi…- Enriho gli fece cenno di proseguire.

- Insomma, ho sentito un rumore come di pietre spostate. Ho pensato a qualche animale, forse un topo. Ma chiunque stesse spostando le pietre, doveva essere un uomo, perché ne avrà spostate una decina. Poi un topo non ha tutta questa forza.- Enriho annuì alla logicità del ragionamento. Aleon proseguì

- Poi ho sentito un forte rumore, come di ali che frullano. Il rumore si è andato sempre più affievolendo, fino a ridursi a pochi battiti, costanti. Mi stavo quasi addormentando quando ho sentito nelle ossa un senso di disagio indescrivibile. Tremavo tutto senza un apparente motivo. È stato terrore allo stato puro, peggiorato dal fatto che non c’era niente di cui aver paura, in quel momento.- Enriho annuì – Allora mi sono alzato e sono andato alla porta. ho sentito, almeno mi è parso, dei passi. Dopo dieci minuti, circa, tutto si è ripetuto alla rovescia. Di nuovo la sgradevolissima sensazione, i passi, il frullio delle ali e le pietre spostate. Dopo essermi accertato che tutto fosse finito, ho mandato Muffa a cercare Dorian per chiamarti, ed ecco tutto.- Enriho stava riflettendo senza riuscire a giungere a qualche conclusione.

- Non saprei proprio che dirti,- disse Enriho – Io non me ne intendo molto di magia, lo sai. Tienimi informato se la cosa dovesse ripetersi nelle prossime notti, eventual…- ma fu interrotto dalla foga dell’amico.

- Cosa? Adesso andiamo dritti dritti in sala grande ad indagare!- disse Aleon, avviandosi all’uscita della sala comune esterna, totalmente deserta. Mentre i due stavano per uscire, la porta alle loro spalle si aprì. I ragazzi saltarono subito nei due angoli più bui della stanza, sperando di non essere visti. Piccoli passi avanzarono dalla porta.

- Luces!- esclamò la figura misteriosa, e una piccola luce si accese all’estremità della sua bacchetta magica. Enriho scattò dal suo nascondiglio ed andò in quello di Aleon, evitando di essere visto per un istante.

- È una ragazza, di sicuro dovrei riuscire a bloccarla. Adesso ci provo.- sussurrò quasi impercettibilmente Enriho. La figura era arrivata ormai alla loro altezza. Enriho tentò il tutto per tutto. Si acquattò alle spalle della figura, e tentò il bloccaggio. Veloce come una saetta, passò un braccio intorno al collo della ragazza per fermarla e mise l’altra mano sulla sua bocca, per impedirle di urlare. Ma qualcosa non andò come stabilito. In meno di un secondo, Enriho si ritrovò a volteggiare nell’aria ed a cadere pesantemente ai piedi della ragazza. Lei gli stringeva il braccio. Non ci poteva credere: era stata così abile da proiettarlo in avanti. Un momento. Quale ragazza è così poco femminile da non spaventarsi e, inoltre, ti scaraventa per terra? Potrebbe essere

- Hermilla? Sei tu?- chiese Enriho, dolorante alle spalle per la caduta.

- Enriho? Che diavolo ci fai qui? Aleon? Ma che stavate facendo?- Hermilla porse una mano ad Enriho per aiutarlo ad alzarsi.

- Ma dove hai imparato ad…- cominciò il nostro protagonista.

- È una lunga storia. Ho sentito dei rumori e sono venuta a vedere. Che ci fate qui?- chiese ancora Hermilla. Aleon le raccontò i fatti, dalla sua sensazione all’arrivo nella sala esterna d’Enriho. Hermilla disse di volersi unire agli amici, e tutti e tre uscirono dalla sala comune. Superarono velocemente il salone d’ingresso e presero il corridoio per la sala grande. Enriho, improvvisamente, si arrestò impedendo il passaggio agli amici con le braccia tese ed aperte. Sussurrò all’orecchio teso dei due.

- Chi è quello?- disse, indicando una sagoma, di fronte a loro. Sembrava si trattasse di una persona tarchiata, con una ramazza in mano. Un’altra sagoma, che sembrava proprio quella di un gatto, seguiva questa persona, trotterellandole alle caviglie

- Oh, dannazione!- proruppe Hermilla – Quella è Florza, la custode. Ha con se il suo gatto, Mrs. Purè! È meglio se ce ne andiamo, quella ci fa espellere a vita!- esclamò, seriamente preoccupata. Dopo un rapido consulto, i tre tornarono in sala comune.

- Che delusione! Vabbè, ci vediamo domani!- disse Aleon, e se ne andò attraverso la porta dei Sorcionero. Enriho ed Hermilla si salutarono nella sala Porcondoro, poi ritornarono a dormire.

  
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