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Autore: dearjoseph    14/02/2013    6 recensioni
Danae prese la pesante macchinetta fotografica appesa al collo e la puntò appena più in alto.
Ecco, era quella la lente in grado di ricordarle che non poteva essere sempre tutto nero, bianco e grigio.
La conferma che di colori il mondo ne offre in quantità, ma che spetta ad ognuno scegliere su dove puntare l’obiettivo; se sul rosso fuoco di un papavero, il blu profondo del mare, o il bianco candido della neve.
Irrilevante, freddo, noioso bianco.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter Eight
 
 
lo so che un biglietto ti sembrerà infantile, ma tu non    Mi chiedo se un giorno di questi ti piacerebbe  VUOI USCIRE CON ME?“
 
Danae guardò di nuovo il foglio tra le mani.  Alternò a quelle lettere scarabocchiate di un fucsia brillante (e quelle perfino cancellate freneticamente), l'immagine di Joe che ora sembrava più vicino di quanto in realtà non fosse. La sua immaginazione si stava prendendo gioco di lei, evidentemente. Una biondina tutta fiocchi e rosa confetto pretese indietro il pennarello che Joe aveva ancora in mano, distogliendolo dall'ipnotico sorriso ammaliatore con il quale aveva rapito Danae, lasciandogli ben poche probabilità di insuccesso.
Ha una figlia.
Danae ripetè il suo mantra. Una, due volte, come a trovare la forza per fare quello che era giusto fare.
Ha una figlia. Ha una figlia. Ha una figlia.
Forse, se l’avesse ripetuto all’infinito si sarebbe finalmente convinta del guaio in cui si sarebbe certamente cacciata accogliendo quella proposta assurda. E poi, non lo conosceva nemmeno.
Nonostante quegli occhi color caramello le sembrassero la cosa più pura e familiare che avesse mai avuto il privilegio di ammirare, non sapeva niente sul suo conto. Si ritrovò a fare una breve lista delle informazioni che aveva su quel moro: si chiamava Joseph, aveva una figlia di quattro anni, quando si trovava a disagio o in una situazione di confusione muoveva le sopracciglia in modo strano, ma carino.
Danae riuscì a spuntare mentalmente solo tre dita; era tutto lì quello che conosceva della sua vita.
Avrebbe potuto conoscere più cose, man mano, magari uscendo con lui. Ma per fortuna il suo mantra allontanò quel pensiero, come se qualcuno si fosse messo a schiaffeggiarla per farle riprendere i sensi. Ad un tratto si rese conto di non sapere nemmeno il suo cognome e questo le bastò per convincersi del tutto che non avrebbe mai potuto accettare quell’appuntamento (ammesso che lo fosse).
Quando guardò di nuovo Joseph, questa volta non era più intimidita come prima. Senza staccare lo sguardo dai suoi occhi, chiuse a pugno la mano facendo della proposta del giovane padre un inutile pallina di carta. Poi la gettò per terra, incrociando le braccia al petto con aria di sfida.
Joe sembrò dapprima confuso. Lei notò anche che aveva sollevato le sopracciglia nere come lo aveva visto fare spesso e, per quel poco che ne sapeva, poteva esserne certa: era confuso.
Tu hai già abbastanza problemi, Danae.
Così, facendo affidamento a quella che doveva essere la sua coscienza, non tentò nemmeno di fermarlo quando il moro uscì da quella porta, portandosi dietro anche quella poca felicità che Danae aveva provato nel leggere le sue parole.
Ma era davvero quello il motivo? Era la situazione familiare di Joe, era Jennifer, che la spaventava?
Prima che quella stessa coscienza potesse impedirglielo, raccolse il biglietto e lo infilò presto nella tasca posteriore dei jeans.
Quando si voltò, incontrò lo sguardo complice di Maila a qualche metro di distanza. Soffocava un sorriso, nascondendolo con la mano, ma Danae si ripromise di concentrarsi solo su lavoro. Almeno per quella mattina.
Prima di abbandonare completamente quel pensiero, però, si chiese se avesse dovuto accettare. E per un attimo le parve di leggere la richiesta che si celava dietro le parole scarabbocchiate su quel foglio: Danae capì dove lo avrebbe potuto trovare.
Il problema fondamentale, ora, era che non era più tanto sicura che ci sarebbe stato.
Si odiò con tutta se stessa perchè, in fondo, lei sapeva che non era davvero il fatto che avesse una figlia, a spaventarla.
Lui la spaventava.
 
I piedi di Joseph quasi non toccavano terra. Volavano e sfioravano appena qualche ciuffo d'erba con la punta anteriore della scarpa, per poi scattare di nuovo in avanti in una corsa che, per il momento, non sembrava avere fine. Il moro guardava dritto, d'avanti a sè, durante quello che doveva essere circa il suo settimo giro del parco. Le gambe iniziavano a crollare ad intervalli irregolari, il cuore batteva all'impazzata e sentiva che la vena del collo poteva esplodere da un momento all'altro. Il familiare e dolce dolore negli arti inferiori era tutto ciò che lo spingeva a correre ancora e ancora.
Era da un paio di settimane che non correva. Da quando aveva incontrato Danae al Regents Park, lo stesso che stava attraversando ora per la prima volta dopo quell'avvenimento. Non sapeva bene perchè non correva da così tanto tempo; correre era l'unica cosa che riusciva a distrarlo un po', che faceva staccare la mente, l'unica cosa che poteva fare per se stesso. Ogni tanto ne aveva un disperato bisogno, come quel pomeriggio. Aveva lasciato la piccola Jennifer nelle affettuose mani dello zio Kevin e di sua moglie, Danielle. Ora poteva godersi un po' di tranquilla solitudine.
Mentre divorava il terreno a grandi falcate, un pensiero balenò nella sua mente, troppo scomodo per essere ritenuto veritiero.
Lui andava a correre quando aveva bisogno di dimenticare, staccare, sfogarsi, stare da solo, ricaricarsi. E in quelle ultime settimane non aveva provato il desiderio di fare nulla di tutto questo. Ora, però, era tutto diverso.
Non si voltò mai, neanche una volta.  Per paura di vederla. O forse di non vederla, nonostante lui sapesse benissimo che non l’avrebbe mai incontrata lì. Non dopo il modo in cui si era rifiutata di uscire con lui, ma soprattutto perchè non aveva senso: lei non sapeva che l’avrebbe trovato di nuovo tra gli alberi del Regents Park. E allora, perchè pensarlo? O meglio... perchè sperarci?
Era strano tutto quello che stava accadendo nella sua mente, così strano che non preferì non impegnarsi troppo ad analizzarlo.
Quando capì di essersi spinto troppo oltre, si fermo e poggiò una mano sulla corteccia ruvida di un albero, mentre con l'altra spostava tutto il suo peso sulle ginocchia piegate. Ci volle un bel po' prima che riuscisse a respirare anche solo decentemente. Passarono altri 10 minuti perchè la nausea allo stomaco scomparisse e il volto paonazzo ritornasse alla normalità, seppur ancora fradicio di sudore.
Decise che per quel pomeriggio aveva corso abbastanza.
Quando correva, di solito, non prestava troppa attenzione alla gente che superava, al paesaggio che aveva attorno, tranne forse fatta qualche eccezione. Di solito, quando correva esistevano solo due cose: Joseph e il terreno sotto i suoi piedi. Così, quando si sedette ai piedi di quello stesso albero, iniziò finalmente a percepire tutti gli altri stimoli del mondo circostante: l’erba sul quale si era seduto era bagnata, forse per la pioggia leggera che c’era stata durante la mattinata, ma lui non si preoccupò troppo dei pantaloncini lunghi fino al ginocchio che sicuramente aveva sporcato di fango. Anche nell’aria si sentivano i postumi della pioggia, nell’odore di umido che le foglie bagnate degli alberi emanavano. Insieme a tutto questo, per la prima volta da quando era arrivato cominciò anche a sentire la pelle delle braccia fremere sotto al tocco leggero del vento fin troppo freddo. Tocco che, pur con addosso solo una maglia a maniche corte, prima era passato indifferente a causa dell'attività fisica continua e frenetica.
A malincuore dovette ammettere che anche quell'anno l'inverso era arrivato. Dicembre era iniziato e presto avrebbe portato con sè la festa tanto amata dalla sua bambina. Tra poco sarebbe stato il quinto compleanno di Jennifer, e Joseph sapeva bene cosa portava il suo compleanno: sofferenza.
Come avrebbe fatto Joe a spiegare per l'ennesima volta che neanche quel compleanno avrebbe portato la visita di sua madre? Come avrebbe potuto spezzarle il cuore in quel modo, di nuovo?
Il pensiero che magari nel nuovo anno Elizabeth si sarebbe fatta viva, almeno per un giorno, risultava troppo inverosimile. Doloroso. Senza rendersene nemmeno conto, Joe si ritrovò infuriato.
No, non avrebbe mai permesso che Elizabeth si avvicinasse a sua figlia... loro figlia. Non dopo tutto quel tempo. Non per abbandonarla di nuovo.
Troppo perso nei suoi pensieri, non sentì nemmeno il suo nome pronunciato alle sue spalle. Una, due, quattro volte.
Quando si voltò, sperò quasi di vedere un’ondata di capelli mogano dai riflessi rosso incendiati dal sole che splendeva nonostante il cielo che si era rabbuiato di nuvole grigie. Quel pensiero svanì alla vista del suo amico Marcus.
"Joe, amico, mi hai fatto spaventare" Joe alzò un sopracciglio, come tacita domanda sul perchè di tale comportamento.
"Ti ho chiamato un centinaio di volte e non ti sei mosso neanche di un centimetro" si giustificò Marcus.
Il riccio si trattenne dall'alzare gli occhi al cielo davanti l'esagerazione dell'uomo sulla trentina che ora si era piazzato proprio di fronte, oscurando qualsiasi altra visuale. Marcus continuò a parlare.
"Ti ho visto e ho colto l'occasione per chiederti se eri disponibile, domani"
Joe pensò di rispondere che era sempre disponibile, ma il suo orgoglio glielo impedì.
"Si" rispose "Domani si" disse poi, alzandosi in piedi. I due si guardarono per un po', poi Marcus scomparve dietro le sue spalle dopo un saluto appena accennato col capo.
Joe era pronto a ripartire e tornare a casa, quando si sentì sfiorare una spalla.
Questa volta, quando si voltò di nuovo verso quel flebile stimolo, si trovò totalmente disarmato dalla sorpresa che seguì la vista di quei boccoli incendiati dal sole che tanto aveva agoniato.
 

 
Non so come scusarmi. Prima di tutto per l’enorme ritardo. Secondo, per lo schifo che siete state costrette a leggere (sempre se lo abbiate letto). Io sono sempre molto critica rispetto a quello che scrivo, raramente sono soddisfatta, il più delle volte ho la sensazione che tutto ciò sia banale, scontato. Ma con questo capitolo credo di aver toccato il fondo .
Non abbiate paura di essere troppo dure. Anzi, sarei immensamente grata di ricevere delle critiche tanto per capire cosa non va in questo capitolo.
Purtroppo il blocco dello scrittore (anche se io non mi definisco tale) ha colpito anche me, e da un pò non riesco proprio a sedermi e far uscire qualcosa di sensato.
Grazie per le recensioni. Sappiate che per me è tantissimo sapere che qualcuno impiega un pò del suo tempo a dirmi il suo parere SOPRATTUTTO se ha delle critiche costruttive da farmi.
Un bacione, bellezze
  
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