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Autore: Nihal    14/02/2013    1 recensioni
«Come fai a saperlo?» la sua domanda era quasi una supplica.
Dimmi che non lo sai e che stai solo facendo ipotesi.
Ma Hinata dubitava che delle ipotesi l’avessero spinto a prendersi la briga di cercarla. Restava ancora l’interrogativo di come l’aveva trovata, ma pensò di riservare quella domanda a dopo, quando Hidan le avesse detto che non aveva nessuna prova fondata per sostenere la sua tesi.
«Sai, si prende la briga di dirmelo ogni notte, che vuole accopparmi.»
Adesso Hinata iniziava ad avere davvero paura. Perché allora i suoi sogni non erano dettati dall’ansia se non era l’unica a farli. Perché era sicura, anche senza chiederglielo, che anche Hidan doveva fuggire ogni notte. Aveva capito chi era con lei ogni notte, perché pensava al plurale. Erano in due che stavano fuggendo.
«Cosa succede nel sogno?» doveva comunque verificare.
«Corriamo. E la prossima volta non inciampare in quel cazzo di gradino, mi rallenti.»
[Sequel di 'High School of Death']
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Hidan, Hinata Hyuuga
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Owari made



Era buio. Non sapeva dove si trovava. L’unica cosa importante in quel momento era correre. Sapeva che doveva fuggire, ne intuiva il motivo, anche se non riusciva a formare il pensiero compiuto nella sua mente. Era l’istinto che le diceva di salvarsi la vita e lei lo ascoltava, anche se non sapeva dove stava mettendo i piedi. Colpì qualcosa di duro che la fece inciampare. Era uno scalino. Si rialzò, non aveva tempo di pensare al dolore che stava iniziando ad irradiarsi. Doveva andare. Non ce l’avrebbero fatta… lui gliel’aveva detto prima che li avrebbe uccisi.
«Hyuuga!»

«Hyuuga sama, si svegli! Hyuuga sama!»
Hinata si mise a sedere di scatto sul letto, madida di sudore.


Anche quel giorno la campanella della Keiren suonò, a decretare la fine delle lezioni. La Keiren Gakuen era una scuola privata femminile situata in un paese a qualche chilometro da Tokyo. Era lì che era stata trasferita Hinata Hyuuga, dopo l’increscioso incidente, come lo aveva definito suo padre, che era accaduto l’anno precedente. Era una scuola prestigiosa che nulla aveva a che fare con l’istituto che aveva precedentemente ospitato la ragazza. La distanza dalla sua vecchia scuola, però, non aveva tenuto lontano i pensieri che ormai le tenevano compagnia da quel giorno. Ovviamente le era stato vietato di fare parola con chicchessia di ciò che era successo: dal momento che lei era stata una delle prime persone ad essere indagata, Hiashi Hyuuga aveva deciso di seppellire tutta la storia nel dimenticatoio. La sua famiglia non poteva permettersi di sopportare una tale onta. Tutto ciò che le era stato concesso erano delle sedute dallo psicologo più prestigioso di Tokyo a cui ovviamente Hinata non poteva raccontare praticamente nulla. Dopotutto chi le avrebbe creduto se avesse raccontato che il suo migliore amico era stato posseduto da uno spirito che aveva tentato di ucciderla?
Ogni settimana nel suo studio, Matsushita san tentava di farla aprire, con il risultato contrario di farla rinchiudere sempre di più nel suo mutismo. Ormai non parlava quasi più con nessuno. Ed era per quello che non era riuscita a stabilire nessuna relazione nella sua nuova scuola. I suoi unici compagni erano gli incubi che ogni notte la perseguitavano, facendola svegliare tra urla angosciate. Ogni notte Kiba era davanti ai suoi occhi, morto. Ogni notte Shino tentava di ucciderla, prima che Hidan la salvasse.
Poi ultimamente quello strano sogno…
Hidan. Non sapeva che fine avesse fatto il ragazzo. Per quanto Hinata non provasse particolare simpatia per lui, si era spesso chiesta cosa sarebbe successo se lo avesse rivisto. Sapeva che la sua faccia l’avrebbe solo aiutata ad intensificare i ricordi di quella volta, ma d’altra parte era anche l’unica persona a cui avrebbe mai potuto parlare dell’intera faccenda.
Per quanto non avesse più proferito una parola riguardo l’accaduto, il bisogno pressante di parlarne si faceva sempre più vivo in lei, al punto da provocarle vere e proprie crisi d’ansia.
Le sua compagne di classe la superarono senza rivolgerle neanche uno sguardo, chiacchierando eccitate per la festa in programma quella sera.
Hinata era stata oggetto di attenzione per la prima settimana: quando era giunta l’informazione che una Hyuuga avrebbe frequentato la loro scuola tutte erano andate in fibrillazione, ma dopo aver scoperto che Hinata era soltanto una ragazzina timida che per di più sembrava aver perso la facoltà di parlare, la faccenda era presto caduta nel dimenticatoio.
Fuori pioveva, ma Hinata aveva dimenticato l’ombrello. La cosa non la infastidiva, comunque. Entro poco sarebbe arrivato un maggiordomo a scortarla a casa in macchina, quindi non avrebbe aspettato molto.
Si appoggiò al cancello della scuola, osservando distrattamente le studentesse affrettarsi fuori dalla scuola, molte strette in due o in tre sotto lo stesso ombrello.
«Hyuuga.»
Hinata chiuse un attimo gli occhi, cercando di scacciare quella voce dalla mente. Ultimamente la risentiva spesso e aveva sempre paura di ritrovarsi Hidan di fronte. Sapeva che era impossibile. Probabilmente il ragazzo non sapeva neanche in che scuola era stata trasferita e Hinata stessa non aveva mai avuto una particolare urgenza di dirglielo.
«Hyuuga!»
Hinata si voltò di scattò e trasalì quando si trovò Hidan proprio di fronte, un ombrello a nasconderlo parzialmente. La sua prima reazione fu di spavento.
Come mai era lì? Come aveva fatto a trovarla?
E se suo padre l’avesse vista insieme a lui?
Non era sicura dell’idea che Hiashi Hyuuga si fosse fatto si loro due, ma non appena era riuscito a parlare a quattr’occhi con la figlia le aveva espressamente vietato di rivedere quell’Hie. Hinata non se lo era fatto ripetere due volte visto che lei stessa non ne aveva intenzione, però in quel momento le parole del padre le erano ritornate alla mente.
«Cosa c’è? Perché sei così bianca? Non vuoi farti vedere insieme a me?» la stuzzicò. In tutto quel tempo non aveva pensato di offrirle un po’ di riparo sotto l’ombrello.
Lei rabbrividì per il freddo e anche per l’intuito del ragazzo. Tra poco sarebbero arrivati a prenderla e lei preferiva non superare un polverone. Per quanto la figura di Hidan fosse parzialmente nascosta dall’ombrello, un ragazzo vicino ad una scuola di sole ragazze si faceva notare. Senza contare che ormai intorno alla scuola erano rimasti in pochi, tutti si erano ormai diretti da un pezzo verso le loro case.
«Va beh, me ne vado. Se vuoi farti ammazzare non sono problemi miei. E io che ero venuto fin qui per avvisarti…» borbottò. Ma non sembrava particolarmente scocciato.
Anzi, sembrava vagamente divertito alla reazione della Hyuuga. Il suo volto era ulteriormente sbiancato – per quanto già prima fosse già stato molto più pallido del normale – e il cuore aveva iniziato a battere con insistenza.
Era quello che succedeva ogni volta che qualcuno tirava fuori quella storia. Era quello che succedeva ogni martedì pomeriggio nello studio di Matsushita san, ma con Hidan era centuplicato perché lui era stato lì con lei. Lui le ricordava chiaramente l’accaduto. Non poteva mettere su una maschera di indifferenza come faceva con lo psicologo, non ci riusciva.
Hidan fece per andarsene.
«Io… no, non andartene!» lo fermò.
Razionalmente sapeva che non se ne sarebbe andato, non dopo essere arrivato fin lì, ma non appena aveva detto ‘se vuoi farti ammazzare’, la sua razionalità era sparita. La paura aveva preso il posto della logica.
«Cos’è, se entra in gioco la tua vita non te ne frega se il tuo paparino ci vede?» chiese Hidan.
Hinata fece per replicare ma si fermò. Non sapeva proprio cosa dire.
Ferma lì, in mezzo alla pioggia, a cercare di trattenere una persona che in primo luogo non avrebbe neanche voluto vedere, si sentiva una stupida.
«Vai a dire al tuo maggiordomo che ti fermi a mangiare con delle amiche.»
Quando Hidan nominò il maggiordomo, la Hyuuga si rese conto che un’anonima macchina nera si stava avvicinando a loro. Lo Hie si fece da parte giusto in tempo, mettendosi al lato del cancello.
Prima che la macchina si avvicinasse troppo Hinata le si fece incontro e andò dal lato del guidatore. Nishikado, il maggiordomo, abbassò il finestrino e guardò la ragazza con perplessità.
«Hyuuga sama, non stia sotto la pioggia, prenderà un raffreddore. Venga in macchina.»
Hinata, senza sapere perché dava retta a Hidan – l’unica cosa che voleva in quel momento era dimenticare cos’aveva detto – fece cenno di no con la testa.
«Oggi preferirei fermarmi a pranzo con delle amiche. Vo-volevano aspettarmi, ma gli ho detto di andare avanti intanto che io informavo casa» spiegò, cercando di non arrossire. Non era mai stata capace di mentire e se doveva farlo su due piedi la situazione non poteva che peggiorare.
Fortunatamente Nishikado non ci vedeva molto bene.
«Se è così, allora informerò io Hyuuga sama. Si diverta, è da tanto che non esce con degli amici.»
Cadde un silenzio imbarazzato. Nishikado ovviamente aveva fatto riferimento a Shino e Kiba, gli unici due amici che Hinata poteva dire di aver avuto. Non era stato intenzionale, ma il solo ricordo aveva fatto sobbalzare Hinata.
Impacciato, Nishikado salutò Hinata, non senza essersi premurato di prendere il suo ombrello dal sedile posteriore per porgerlo alla ragazza.
«Stia attenta a non prendere un raffreddore» si congedò, prima di partire.
Hinata gli sorrise in risposta. Aveva sempre provato un particolare affetto per quel maggiordomo, forse perché lavorava a villa Hyuuga già da prima che lei nascesse e lei aveva ricevuto più affetto da lui che dal vero padre.
Non appena la macchina si fu allontanata abbastanza, Hidan le si avvicinò.
«Grazie a te ho dovuto anche chiudere l’ombrello per nascondermi» si lamentò.
«Scusa.»
Non sapeva neanche perché si stava scusando. Non era stata lei a chiedergli di venire fin lì, dopotutto. Ma come al solito non aveva il coraggio di far valere il suo pensiero, soprattutto con lui che l’aveva presa di mira prima che accadesse l’incidente.
«Andiamo a mangiare, basta che paghi tu che ho finito i soldi.»
Hidan fece per avviarsi, ma si fermò subito. Non conosceva il luogo.
«Vedi tu dove andare» concesse.
Hinata sapeva che avrebbe dovuto dirgli di andarsene, invece lo precedette, facendo strada verso un ristorante molto appartato dove avrebbero potuto parlare. La Hyuuga sapeva che avrebbe dovuto lavorare sul quel lato arrendevole della sua personalità – glielo diceva sempre anche Matsushita san – ma era più forte di lei. Era stata educata ad essere gentile. Anche con Hidan.


Il cameriere li lasciò dopo aver preso le loro ordinazioni. Hinata aveva chiesto un tavolo appartato in modo che nessuno sentisse cosa avevano da dire. Erano stati quindi portati in una stanzetta adiacente a quella principale, dove avrebbero goduto di una certa pausa.
«Basta che paghi tu, eh.»
Hinata annuì senza protestare.
Si fissarono in silenzio per qualche secondo. Hidan immerso nei suoi pensieri e Hinata in attesa che si spiegasse meglio. Quel finire ammazzata rimbombava ancora nella sua testa e non riusciva a pensare ad altro.
Quando si rese conto che Hidan non avrebbe detto nulla almeno che lei non glielo avesse chiesto esplicitamente, si fece forza.
«Senpai, cosa intendevi dire prima?»
Contro ogni sua aspettativa Hidan le scoppiò a ridere in faccia, tra lo sdegno degli altri clienti che si girarono nella loro direzione. Era vero che si trovavano in un luogo appartato, ma questo non voleva dire che era insonorizzato.
«P-puoi abbassare la voce per favore?» lo supplicò quasi Hinata.
«No, e che… ma sei stupida? Penso che tu sia l’unica sulla faccia della terra ad avermi mai chiamato senpai. Soprattutto dopo che ti ho ammazzato il collezionista d’insetti davanti.»
Hinata trasalì. Cercò di trattenere le lacrime al ricordo di Shino, ma Hidan non sembrava consapevole di cosa aveva provocato.
Quando si rese conto di ciò che gli stava succedendo davanti sembrò fare due più due e decise saggiamente di non nominare più nessuno dei due ragazzi che erano morti quel giorno. La Hyuuga sembrava ipersensibile all’argomento.
«Ora non piangere!» l’ammonì.
«Scusa» pigolò Hinata, prima di rendersi contò che si stava scusando di una cosa per cui lei non aveva colpa. Era stato lui a tirare fuori tanto insensibilmente l’argomento poco prima.
Tentò di calmarsi, prima di riprendere l’argomento.
«Sen-» iniziò, ma adesso si sentiva stupida a chiamarlo così, dopo che Hidan glielo aveva fatto notare. Solo che lei non sapeva come avrebbe dovuto chiamarlo e anche se la cosa forse non aveva tanta importanza, in quel momento per lei contava.
«Hidan, cazzo, va bene Hidan. Non mi piace quando la gente ci mette tutti quei suffissi» le venne in aiuto lui, mentre iniziava a mangiare dal piatto che il cameriere aveva portato poco prima.
«Hidan» iniziò allora lei «cosa intendevi prima?»
«Che secondo me quello vuole ancora ammazzarci» spiegò, come se nulla fosse.
Ad Hinata quelle parole fecero venire i brividi, ma lo Hie non sembrava spaventato. O lo dissimulava troppo bene. La calma che lo pervadeva era inquietante. Era come se stessero parlando del tempo.
«Co-come fai a dirlo? Dopo che hai…» ucciso Shino il demone non aveva più un posto dove andare.
«Troverà un altro corpo, è questione di poco tempo» spiegò, evitando alla ragazza la fatica di terminare la frase che non avrebbe neanche voluto iniziare.
«Ma tu avevi detto che i demoni possono possedere solo un corpo» protestò lei, cercando qualsiasi cosa a cui aggrapparsi. Qualsiasi scusa che decretava che era tutto finito quella volta e che lei poteva andare avanti con la sua vita, per quanto fosse difficile farlo.
«Sì, beh, non sono una cazzo di enciclopedia, mi sarò sbagliato» borbottò lui tra un boccone e l’altro.
Hinata aveva lo stomaco chiuso e non era riuscita ad ingoiare neanche un boccone.
«Come fai a saperlo?» la sua domanda era quasi una supplica.
Dimmi che non lo sai e che stai solo facendo ipotesi.
Ma Hinata dubitava che delle ipotesi l’avessero spinto a prendersi la briga di cercarla. Restava ancora l’interrogativo di come l’aveva trovata, ma pensò di riservare quella domanda a dopo, quando Hidan le avesse detto che non aveva nessuna prova fondata per sostenere la sua tesi.
«Sai, si prende la briga di dirmelo ogni notte, che vuole accopparmi.»
Adesso Hinata iniziava ad avere davvero paura. Perché allora i suoi sogni non erano dettati dall’ansia se non era l’unica a farli. Perché era sicura, anche senza chiederglielo, che anche Hidan doveva fuggire ogni notte. Aveva capito chi era con lei ogni notte, perché pensava al plurale. Erano in due che stavano fuggendo.
«Cosa succede nel sogno?» doveva comunque verificare.
«Corriamo. E la prossima volta non inciampare in quel cazzo di gradino, mi rallenti.»
Non riusciva a crederci. Per quanto il sovrannaturale fosse entrato nella sua vita nel peggiore dei modi, non riusciva comunque a credere che quel sogno potesse essere un avvertimento. Si rifiutava di dare anche una minima possibilità a quello che Hidan stava dicendo.
«Non potrebbe essere solo un sogno?» tentò.
Hidan scosse la testa.
«Perché sei venuto fin qui?»
Sebbene all’inizio fosse stata reticente a parlare, adesso le domande le uscivano una dopo l’altra, spinte dall’ansia e dalla paura.
«Dove sarei dovuto andare? Dubito che andando alla polizia si sarebbe scatenata la caccia al demone.»
In quel momento la Hyuuga capì che la calma simulata e il tono di voce beffardo nascondevano soltanto la paura che anche Hidan provava. Quando aveva capito che non era finita aveva avuto bisogno di qualcuno con cui parlarne e trovare una strategia per sfuggirne. Peccato che Hinata non credeva di essere la persona adatta.
«Come hai fatto a trovarmi?» domandò, cercando di portare la conversazione su un piano che poteva gestire di più. Dopotutto era una domanda che l’aveva assillata dal momento in cui l’aveva visto davanti al cancello sebbene gli avesse dato scarsa importanza.
«Ho le mie conoscenze» si vantò Hidan.
Per un po’ i due non parlarono. Hidan ritornò a mangiare come se non avesse visto cibo da giorni e Hinata si sforzò di prendere qualcosa dal piatto ancora intatto.
Dopo un po’ decise di rompere il silenzio.
«Quindi cosa facciamo?» chiese, sperando che Hidan fosse venuto da lei con un piano, per quanto fosse la prima a dubitarne. Se avesse avuto qualche idea di sicuro non sarebbe andato a cercarla.
«Guarda, detta chiaramente, non è che sia venuto qui solo per te. Devo cercare una persona.»


Hinata si strinse nel cappotto. Il tempio di cui parlava Hidan si trovava alla periferia della città, così non aveva molti visitatori. Superarono una grande statua del Buddha e l’immagine che gli si presentò davanti fu quella di un tempio un po’ trasandato, come se neanche il custode si prendesse la briga di curarlo.
«Sei sicuro che il tuo amico conoscesse il custode di questo tempio?» domandò Hinata un po’ dubbiosa.
«Sì» rispose Hidan secco, per poi avviarsi con passo sicuro e varcare l’ingresso.
«Amico di Shisui, ci sei?»
Non si ricordava neanche il nome?
Hinata credeva che non sarebbe arrivato nessuno, ma con sua grande sorpresa un giovane sui trent’anni, vestito con un kimono, uscì da una porta laterale per farsi loro incontro.
Anche nella penombra del tempio, Hinata non ebbe dubbi. Anche se vestito in kimono era completamente diverso da quando indossava il suo completo giacca e cravatta, l’altezza fuori dalla media e gli occhi dall’espressione profonda nascosti dietro una montatura sobria non davano adito a dubbi.
«Matsushita san!»
«Hyuuga san!»
Si riconobbero quasi nello stesso istante. Hinata era stupita di trovare il proprio psicologo lì, in quel tempietto trasandato a fare le veci di sacerdote. Se sapeva che seguendo Hidan avrebbe trovato lui probabilmente non sarebbe partita in partenza. Non aveva nulla contro Matsushita san, ma loro erano andati lì per un consulto su come eliminare i demoni e non era convinta che quello fosse il campo del razionale Matsushita san.
«Vi conoscete?» chiese Hidan, che sembrava parecchio scocciato di essere tagliato fuori da quella piccola riunione. Hinata fece cenno di sì con la testa, senza perdersi in ulteriori spiegazioni.
«Lei è il sacerdote di questo tempio?» domandò incerta.
Matsushita san scoppiò a ridere.
«No, no… è mio padre. Mi ha solo chiesto il favore di guardarlo per qualche giorno» spiegò con naturalezza.
«Comunque cosa ci fai qui?»
«Veramente ce l’ho portata io. Comunque piacere, Hidan. L’amico di Shisui, ma visto che tu sei il figlio del proprietario e quindi probabilmente sei inutile torniamo un altro giorno.»
Detto ciò prese Hinata per un braccio e fece per uscire, ma lui li fermò.
«Ah, quindi sei tu quello che aveva bisogno di un consulto per un demone persistente?»
Il tono di scherzo fece capire a Hinata che aveva fatto bene a non aprirsi fino a quel momento. Matsushita san era la tipica persona che non sarebbe riuscita a credere il sovrannaturale neanche se lo avesse avuto davanti agli occhi.
«Sì, proprio lui. E quel tono del cazzo te lo puoi anche risparmiare» ribatté.
«Hyuuga san, anche tu sei qui per il demone?» le chiese, ignorando la provocazione dell’Hie e addolcendo un po’ il tono. Era quel tono pacato che usava con lei ogni volta che avevano una seduta.
Hinata non sapeva come rispondere. Lì ferma nella sala centrale del tempio non riusciva a fare altro che fissare l’altarino per la divinità locale, posto dietro lo psicologo.
Non voleva dirgli perché era venuta, ma non poteva neanche evitare di rispondere. Aveva accuratamente evitato di portare a galla la storia in ognuna delle sue sedute perché sapeva quale sarebbe stata la reazione di Matsushita san e non voleva sembrare pazza. Adesso però sapeva che se lei non avesse detto qualcosa lo avrebbe detto Hidan e comunque non avrebbe potuto fare finta di niente nella sua prossima seduta.
Alla fine si limitò a un non compromettente cenno affermativo, conscia del fatto che se non fossero andati via Hidan gli avrebbe raccontato tutto.
«Qual è il vostro problema con questo demone?» per quanto cercasse di essere gentile nel tentativo di non ferire Hinata, quest’ultima riusciva a capire facilmente che l’uomo non avrebbe creduto neanche ad una delle loro parole, credendole il delirio visionario di due pazzi.
Hinata avrebbe voluto dire a Hidan di tornare indietro, ma il ragazzo non sembrava intenzionato a spostarsi di lì – forse perché era scocciato di aver fatto tutta quella strada senza motivo e voleva ottenere qualche risultato – e lei non era mai riuscita a imporre il suo volere. Non aveva mai il coraggio di proporre qualcosa se non era prima l’altra persona ad accennare una sua volontà.
«Vuole ammazzarci» riassunse Hidan spiccio.
Matsushita san inarcò le sopracciglia perplesso.
«D’accordo. Perché non andiamo a sederci e ne parliamo davanti a un tè?» così dicendo fece loro segno di seguirli e li porto in una stanzetta laterale, quasi del tutto spoglia eccezion fatta per un tavolino basso al centro della stanza e uno scaffale ricolmo di libri addossato ad una parete.
Hinata si sedette di fronte al tavolino in ginocchio sui talloni, mentre Hidan si posizionò in una più comoda posizione con le gambe incrociate, mentre Matsushita san li lasciava soli per andare a preparare il tè.
«Ok, l’ho capito che questo ci crede scemi. Comunque com’è che vi conoscete?» domandò a Hinata che avrebbe voluto trovarsi in qualsiasi altro luogo che non fosse quello.
«È il mio psicologo» spiegò lei.
«Comunque non penso che possa aiutarci» continuò, in un vano tentativo di convincere il ragazzo ad andarsene.
«Beh, qualcosa dal padre l’avrà pur imparata. Insomma, meglio lui che niente, io non voglio finire accoppato, sai com’è» affermò lui, mettendosi un po’ più comodo.
In quel preciso momento arrivo Matsushita san con un vassoio su cui erano posate tre tazze di tè. Le posò sul tavolo per poi prendere posto anche lui lì, proprio di fronte ad Hinata che stava facendo di tutto per non pensare che lo psicologo fosse la loro ultima speranza. Non potevano farsi aiutare da qualcuno che non li avrebbe mai creduti.
«Raccontatemi cos’è successo» lì invitò con calma.
Hinata prese un sorso di tè, decisa a non dire nulla.
Ci pensò Hidan a riempire il silenzio.
«Vuoi la storia lunga o il riassunto?» domandò beffardo.
Prima di rispondere Matsushita san lanciò uno sguardo alla Hyuuga che stava tentando con tutte le forze di non ascoltare. Sapeva che Hidan avrebbe raccontato cos’era successo e lei se poteva evitarlo avrebbe preferito non sentirlo. Era già troppo continuare ad avere la consapevolezza di quel fatto dentro di sé, senza che qualcuno lo esternasse.
«Gradirei ascoltare tutta la storia. Ma prima che cominci mi piacerebbe fare una domanda a Hyuuga san.»
Hinata alzò lo sguardo intimidita.
«La storia che sta per raccontare corrisponde per caso al fatto di cui non vuoi parlare nelle nostre sedute?»
L’acume di Matsushita san era innegabile, anche se Hinata si disse che dalla sua reazione quando Hidan aveva tirato fuori l’argomento sarebbe stato difficile non intuire che quello di cui l’Hie voleva parlare era la stessa cosa che turbava Hinata ormai da un anno a quella parte.
Annuì soltanto, senza proferire parola.
Gli occhi di Matsushita san si illuminarono impercettibilmente, come se avesse atteso da tanto di sentire quella storia.
Fece cenno a Hidan di procedere.
«Grazie per il permesso» si lamentò Hidan irritato. Non gli piaceva quando la gente non gli prestava attenzione. In realtà non gli piaceva proprio Matsushita san, ma quella era un'altra storia. Se poteva evitare di essere accoppato, se lo sarebbe anche sposato, lo psicologo.
In breve raccontò tutta la storia dall’iniziò. Dalla possessione di Shino alla tragica fine che lui e Kiba avevano fatto e di come loro erano convinti di essersi liberati dal demone una volta per tutte. Poi gli raccontò del sogno ricorrente che lui e Hinata condividevano. Più il racconto procedeva, più le sopracciglia di Matsushita san si inarcavano.
Quando Hidan ebbe finito di raccontare, il tè era ormai freddo.
«Quindi un demone si è impossessato di questo vostro amico» riassunse alla fine.
Hidan e Hinata annuirono.
Matsushita san sospirò prima di parlare. Gli sembrava di capire, ora, perché la Hyuuga non riusciva a parlare di ciò che era successo. Come probabilmente tutti in Giappone, anche lui aveva sentito del caso in cui uno studente delle superiori, impazzito, aveva ucciso un suo amico, per poi tentare di uccidere anche altri due studenti, prima che fosse ucciso a sua volta da uno di questi due – Hidan – che tentava di difendersi. Hinata, in cura da lui, si era sempre rifiutata di parlare di quell’episodio e lui si era chiesto se non ci fosse qualcosa sotto. Ora immaginava che era solo perché la ragazza aveva paura di essere ritenuta pazza che non si era aperta fino a quel momento, quando aveva iniziato a sviluppare anche quella che sembrava una specie di mania di persecuzione.
«Hyuuga san, Hidan san, non potrebbe essere che per proteggervi dallo shock di ciò che è successo abbiate inventato questa storia, per poi iniziare a crederci?»
Hinata si era aspettata una reazione del genere. Era ovvio che uno psicologo non avrebbe mai creduto ad un racconto infarcito di occulto, pensando subito a qualche allucinazione da parte dei suoi pazienti. Però se la risposta di Hinata fu un rassegnato silenzio, quella di Hidan non lo fu altrettanto.
«Risparmiami tutte ‘ste stronzate psicologiche. Non siamo venuti qui per una terapia di gruppo. Poi se fosse un’allucinazione dove lo metti il sogno identico che abbiamo fatto?»
«Probabilmente vi siete condizionati a vicenda quando ve lo siete raccontati. Non è raro tra individui che hanno avuto esperienze simili alla vostra» spiegò calmo.
«Senti, parliamoci chiaro. Io sono venuto qui perché voglio un sacerdote che mi faccia un esorcismo, non uno psicologo del cavolo. Quindi dov’è tuo padre?» venne al punto Hidan, che non aveva intenzione di ascoltare un’altra sola parola da quell’individuo. Quando sua madre gli aveva consigliato di vedere uno psicologo dopo quello che era successo lui c’era andato e gli aveva raccontato tutto. Non gli aveva creduto e lui lo aveva mandato a quel paese. Poi si era fregato pure una penna dallo studio, tanto per pareggiare i conti. Insomma, non aveva una particolare simpatia per quella categoria di individui e se quello in particolare non poteva essergli d’aiuto non aveva intenzione di passarci neanche un altro minuto insieme.
«Mi dispiace, mio padre sarà assente per qualche giorno. È per questo che mi ha chiesto di venire qui» chiarì.
L’espressione di Hidan diceva che non era affatto contento di quell’imprevisto. Gli avevano detto che il sacerdote di quel tempio era molto ferrato negli esorcismi, ma lui cosa se ne faceva del figlio psicologo?
«A me serva un esorcismo.»
«Portatemi il demone da esorcizzare e ve lo faccio io» si offrì lui, sotto gli sguardi stupiti di Hidan e Hinata. «Mio padre avrebbe voluto che lo succedessi come sacerdote qui» spiegò, come se la prospettiva non lo allettasse minimamente.
«Quindi puoi fare l’esorcismo?» domandò Hidan.
«Sì. Anche se sono convinto che non è di questo che voi abbiate bisogno» gli fece presente, lanciando uno sguardo verso Hinata.
«Rimanda le terapie a dopo, se non ti dispiace.»
Sebbene quella fosse la loro unica speranza, Hinata non era molto felice che Matsushita san avesse accettato di aiutarli. Non era neanche sicura che l’esorcismo di una persona che non credeva nei demoni avrebbe potuto funzionare.
«Non sappiamo neanche dove sia adesso il demone» protestò debolmente.
«A scuola» asserì prontamente Hidan, per poi spiegare la sua teoria dal momento che nessuno degli altri due sembrava particolarmente convinto.
«Ogni volta che vado a scuola lo sento. E non guardarmi con quella cavolo di faccia. Poi è morto lì, quindi mi sembrerebbe strano se ce lo ritrovassimo di fronte al supermercato, sai com’è.»
Lo psicologo inarcò un sopracciglio, senza cercare di nascondere il suo scetticismo. Evidentemente l’antipatia era reciproca.
«Se resta nella scuola come può uccidervi?» chiese pacatamente, con un tono che a Hidan non piacque neanche un po’. Per quanto avesse accettato di fare l’esorcismo continuava a comportarsi come se avesse di fronte due pazzi.
«Può possedere qualcuno. Secondo te com’è che ha tentato di ammazzarci l’ultima volta? Dubito che l’aria possa accopparmi» replicò stizzito.
«E perché finora non l’ha fatto?»
«Non lo so. Magari deve riprendersi dall’ultima volta che l’ho ammazzato?» chiese sarcastico.
A Hinata non sembrava che lo psicologo volesse davvero fare l’esorcismo. Aveva più l’impressione che accondiscendesse alle loro richieste nel solo tentativo di farli parlare. Voleva conoscere tutto della loro allucinazione, probabilmente.
«Hidan, forse è meglio andare» lo esortò timidamente, evitando di incrociare lo sguardo di Matsushita san.
Ma anche quel tentativo di lasciare il tempio andò a vuoto. Come se Hinata non avesse parlato, l’uomo rispose a Hidan.
«Allora come fai a sapere che proprio adesso vuole uccidervi?»
«Senti, me lo sono sognato. E anche lei. Adesso, hai intenzione di aiutarci o possiamo andarcene?» così poteva dire a Shisui che il suo cavolo di amico non l’avevano neanche visto, ma che in compenso il figlio era un idiota. Poi probabilmente sarebbe stato ucciso nell’immediato futuro, ma nell’impeto della situazione gli sembrò meglio quello che continuare a discutere sul niente con quel tal Matsushita san.
«Ho già detto che sono pronto a fare l’esorcismo. Dobbiamo soltanto decidere il giorno.»


Hinata avrebbe preferito non essere presente, ma Matsushita san l’aveva esortata ad andare con loro, asserendo che le avrebbe mostrato una volta per tutte che non c’era nessun demone in modo che avessero potuto riprendere le loro sedute in maniera più proficua. Aveva inoltre fatto intendere velatamente che se lei non fosse stata presente non avrebbe praticato nessun esorcismo.
Ovviamente erano dovuti andare lì in tarda serata, perché il personale scolastico non avrebbe visto di buon occhio uno psicologo-sacerdote e i ragazzi invischiati nelle due morti dell’anno prima che tentavano di esorcizzare l’edificio scolastico. Il preside aveva acconsentito all’esorcismo, ma solo perché era stata Hinata a chiederglielo e lui non sapeva che aveva tenuto il padre all’oscuro di quella faccenda. Non gli era sembrato saggio rifiutare qualcosa alla Hyuuga, dal momento che la sua famiglia aveva elargito molte donazioni alla scuola e continuava a farlo dal momento che sebbene Hinata ormai non fosse più una studentessa di quell’istituto, Hanabi, sua sorella, continuava ad esserlo.
Alla vista della sua vecchia scuola la Hyuuga rabbrividì. Era la prima volta da quel giorno che vi rimetteva piede e come allora era ormai buio. Aveva dovuto inventare una scusa per uscire a quell’ora di casa e sperava che nessuno si premurasse di telefonare a casa di Sakurai san, che non l’aveva mai invitata a dormire da lei.
La notte prima aveva rifatto quel sogno e la cosa non aveva contribuito a farla rimanere calma. Di fianco a lei, vicino all’entrata, c’era Hidan con la sua solita espressione beffarda. Hinata notò che dalla tasca della felpa usciva il manico di un coltello a serramanico. Sebbene sapesse che contro uno spirito non ce ne sarebbe stato bisogno si diede della stupida per non aver portato un’arma.
Erano appena arrivati e mancava Matsushita san, ma non era ancora arrivata l’ora in cui dovevano incontrarsi quindi non potevano fare altro che aspettare.
«P-pensi che ti servirà?» chiese Hinata indicando il coltello.
«Non si sa mai.»
Hinata aveva una brutta sensazione riguardo tutta la faccenda, ma ormai da un anno a quella parte riusciva solo ad avere brutte sensazioni riguardo a tutto, quindi non le sembrava il caso di fare troppo affidamento sulle sue sensazioni.
Un suono ruppe il silenzio e Hinata sussultò. Anche Hidan sembrò sobbalzare leggermente, ma cercò di non darlo a vedere.
Era solo una macchina che si era parcheggiata nelle vicinanze. Hinata la riconobbe come la macchina dello psicologo che infatti un secondo dopo uscì dalla macchina e si avvicinò a loro.
«Siete pronti?» chiese.
La calma che emanava sembrava fuori luogo alla Hyuuga che era tesa come una corda di violino. Annuì comunque e senza dire un'altra parola i tre varcarono il cancello.
Avevano deciso di agire nella vecchia classe di Hinata, perché era lì che era avvenuta la possessione. Ogni passo che la portava più vicina a quel luogo la rendeva sempre più nervosa. Non appena avevano varcato la soglia si erano trovati immersi nel buio, ma Matsushita san aveva previdentemente portato una torcia che accese proiettando un cono di luce davanti a loro. I loro passi rimbombavano nel corridoio vuoto e il cuore della Hyuuga batteva ad un ritmo frenetico. Aveva paura e tutti i suoi sensi le dicevano di andarsene da quel luogo che era stato il teatro di una tragedia. Tutto ciò su cui si posavano i suoi occhi le evocava ricordi spiacevoli e doveva farsi forza per proseguire.
«Hyuuga san, non c’è bisogno di essere così nervosa. Questo luogo ti evoca brutti ricordi, ma non c’è nulla da temere» cercò di rassicurarla Matsushita san, da dietro di lei.
Hidan, che le era di fianco, sbuffò sonoramente.
«Sì, niente, tranne un demone che vuole farci fuori. Vai tranquilla Hyuuga.»
I battiti di Hinata accelerarono. L’ultima cosa al mondo che avrebbe voluto fare era rimettere piede in quella scuola e, peggio ancora, nella sua classe. Hidan stava solo dicendo a parole quello che Hinata continuava a pensare e questo non la aiutava a trovare la determinazione per continuare.
«Hidan san, non c’è nessun demone» replicò lo psicologo, con lo stesso tono rassicurante che aveva usato prima con Hinata.
«Senti, cerca di convincerci che siamo pazzi in un altro momento, ok?» lo rimbeccò Hidan, che stava iniziando a esternare il nervosismo che anche lui doveva aver avuto dall’inizio.
Quando arrivarono davanti alla porta della sua vecchia classe, Hinata si rese conto che aveva fatto metà della strada come in trance, immersa nelle sue paure. Non si era neanche resa conto di aver salito le scale e ora si trovava lì, neanche più la distanza di un piano a proteggerla.
Hidan tirò fuori dalla tasca le chiavi che aveva preso quella mattina. Era forse la prima volta in vita sua che prendeva qualcosa dalla scuola con il permesso e la cosa gli aveva provocato un certo fastidio. Solitamente lui prendeva, non chiedeva.
Girò la chiave nella toppa e poi spinse la porta in avanti che si aprì con un cigolio. Hinata notò che era diversa dalla porta che c’era prima e poi ricordò cos’era successo a quella precedente.
«Entriamo» lì esortò Matsushita san, ma Hinata non era intenzionata a muoversi. Era troppo terrorizzata per avanzare anche di un solo passo ed era sul punto di girarsi e tornare indietro.
«Entra prima tu» lo esortò Hidan, facendogli un cenno con la mano.
Per quanto non lo esternasse come la Hyuuga, anche lui non sembrava particolarmente propenso ad entrare.
Con un sospiro Matsushita san li precedette e dopo essere entrato accese la luce. Posò la torcia su un banco e attese che anche gli altri due entrassero.
Dopo aver esitato un attimo anche Hidan entrò, ma Hinata rimase ostinatamente dall’altro lato della porta, in conflitto con se stessa.
«Hyuuga san, non c’è nulla qua dentro. Puoi entrare» la esortò Matsushita san.
«Datti una mossa che così la facciamo finita.»
Con uno sforzò di volontà enorme anche Hinata varcò la soglia e si posizionò ad un lato della porta, non intenzionata ad andare più avanti di lì. Non appena era entrata i suoi occhi erano corsi ai banchi di Kiba e Shino e una nuova ondata di ricordi l’aveva assalita. Voltò lo sguardo verso la porta e il ricordo, vivido, di Shino che uccideva il loro migliore amico la spinse a spostarsi.
Trattenne a stento le lacrime. Essere in quel posto per lei era troppo. Tutti i ricordi che cercava di mantenere al limitare della memoria le affioravano più intensi che mai e l’impulso di rannicchiarsi a piangere era fortissimo.
«Hyuuga san, ti chiedo solo un ultimo sforzo» la incoraggiò lo psicologo.
Hinata annuì tremante e si asciugò le lacrime.
Hidan si fece più vicino a lei, forse con l’intento di marcare una distanza tra loro e lo psicologo.
«Adesso reciterò il nenbutsu» spiegò, il tono di voce gentile, ma l’espressione non riusciva a nascondere che lui si trovava lì solo perché doveva adempiere a quello che doveva essere un lavoro del padre.
Hidan e Hinata lo guardarono, con aspettativa. Da una parte erano sul punto di fuggire, dall’altra l’idea che dopo quella notte tutto sarebbe davvero finito, che avrebbero potuto dormire sogni tranquilli, li portava ad una speranza che avevano paura di provare.
Perché non solo Hidan, ma anche Hinata – se ne era resa conto solo in quel momento – non aveva mai davvero creduto che quella notte fosse finito tutto. I sogni erano troppo frequenti e troppo vividi per essere solo incubi causati dall’ansia. Soprattutto l’ultimo condiviso con Hidan…
Si resero conto troppo tardi che Matsushita san non stava affatto recitando il nenbutsu. La faccia rivolta verso terra e le spalle scosse da tremiti sembrava più che altro che stesse ridendo. Quando sollevò il volto l’espressione che aveva non lasciava adito a dubbi.
«È da un po’ che non ci si vede, vero?»
Hinata si lasciò sfuggire un urlo e arretrò di un passo.
Non poteva essere. Aveva passato tutto quel tempo a convincersi che non sarebbe successo niente, che avrebbero risolto tutto, non potevano trovarselo di nuovo davanti. Aveva la verità davanti agli occhi, ma il suo cervello non riusciva ad accettare di trovarsi di nuovo in una situazione del genere.
Matsushita san li guardava con un sorriso che prospettava solo sofferenze.
«Vi siete divertiti quest’anno?»
Hidan e Hinata non risposero.
Sapevano entrambi che avrebbero dovuto fuggire, ma sembrava che i muscoli non rispondessero ai loro comandi. L’unica cosa che riusciva a pensare Hinata era che quel tono di voce non combaciava con quello solito dello psicologo.
«A me le cose incompiute non piacciono, quindi che ne dite di arrivare fino alla fine quello che avevamo iniziato?»
Quelle parole sembravano aver decretato l’inizio di un’eterna nottata.
Come se non avessero atteso altro, Hidan e Hinata lasciarono la stanza di corsa, non pensando di prendere la torcia a pochi metri da loro. Ma non avevano tempo.
Il demone li aveva implicitamente invitati a scappare. Perché se aveva aspettato un anno tanto valeva divertirsi.
Non appena lo spiraglio di luce che usciva dalla loro classe scomparve, Hidan e Hinata si trovarono completamente al buio, tranne per qualche raro fascio di luce che la luna faceva penetrare dalle serrande delle finestre.
Continuarono a correre. Hinata cercava di ricordare possibili ostacoli lungo il cammino, ma non ne aveva tempo per pensare.
Svoltò un angolo, seguendo il rumore delle scarpe da ginnastica di Hidan. Sperava che almeno lui sapesse dove stava andando.
Ad un tratto colpì qualcosa di duro che la fece inciampare.
«Hyuuga! Muoviti!» sentì un esortazione.
E poi, mentre il suo corpo ricominciava a correre, ricordò. Il sogno. Era esattamente quello che stava succedendo in quel momento. Si diede mentalmente della stupida per non aver capito che il luogo che visitava praticamente ogni notte era la sua vecchia scuola. Se l’avesse capito prima sicuramente non ci sarebbe tornata.
Ma non aveva tempo per biasimarsi. Continuava a correre per le scale, con il terrore che da un momento all’altro la mano di Matsushita san gli afferrasse la maglia.
Doveva fuggire a tutti i costi.
Ad un certo punto gli scalini terminarono e si ritrovarono su uno stretto pianerottolo.
«Cazzo, ci siamo fregai da soli» mormorò Hidan, dando uno spintone a quella che doveva essere una porta.
Una ventata di aria fredda li investì.
Erano arrivati sul tetto. L’unico punto in cui non c’era nessuna via di fuga. Hinata seguì Hidan, sapendo che tornare indietro era impossibile. La luce della luna illuminava scuola e Hinata riusciva a vedere le scale da cui erano appena saliti a tentoni.
Matsushita san le stava salendo con una calma innaturale, consapevole anche lui che i due non avevano via di fuga.
I due ragazzi indietreggiarono e la Hyuuga sentì Hidan sbattere contro qualcosa e imprecare. Era un vecchio banco che qualcuno aveva portato lì. Un rumore di oggetto che cade fece capire a Hinata che il coltello doveva essergli caduto dalla tasca, ma non si voltò a guardare. Non riusciva a distogliere lo sguardo da Matsushita san, che ora aveva varcato la porta e si trovata a qualche metro di fronte a loro.
«Dai, prendilo» la esortò lui.
Hinata non capì a cosa si riferiva. Poi pestò qualcosa mentre indietreggiava e abbassando lo sguardo comprese che stava parlando del coltello.
«Prendilo» il suo tono di voce ora era suadente.
«Cazzo!»
Hidan doveva essersi reso conto di averlo fatto cadere. Fece per andare a raccoglierlo ma il demone lo bloccò.
«Non ci provare o ci metto due secondi a buttarti di sotto. Ho detto a lei di prenderlo.»
Per quanto solitamente Hidan non era il tipo che faceva docilmente ciò che gli veniva richiesto, questa volta si bloccò dove si trovava, consapevole del fatto che il demone avrebbe davvero fatto quello che aveva detto. Avrebbe potuto ucciderli quando si trovavano nell’aula, ne aveva tutte le possibilità. Erano vivi soltanto perché voleva continuare il suo gioco malato, quindi se volevano restare vivi ancora per un po’ dovevano sottostare alle sue regole.
«Prendilo» adesso sotto la calma c’era un filo di irritazione appena percettibile.
Hinata si piegò tremante, senza abbassare lo sguardo. Aveva paura che se avesse lasciato andare il contatto visivo lui l’avrebbe uccisa seduta stante.
Non appena ebbe afferrato il coltello si rialzò, tenendolo stretto tra le mani. Non capiva dove volesse arrivare e il suo cervello sembrava aver smesso di funzionare. L’unica cosa che riusciva a fare era continuare a sussurrarle stai per morire in una litania che non sembrava aver fine.
«Aprilo»
Hinata tirò fuori la lama del coltello dall’incavo come le era stato ordinato, operazione a cui dedicò più secondi possibili, cercando di prendere tempo. Per fare cosa non lo sapeva. Sapeva solo che anche i secondi erano preziosi in una situazione del genere.
«Adesso. Visto che l’ultima volta per colpa sua non sono riuscita a ucciderti, ho deciso di essere clemente» così dicendo fece un cenno verso Hidan.
Hinata non riusciva a trovare la logica in quello che stava dicendo.
Cosa voleva dire che visto che non era riuscito a ucciderla voleva essere clemente?
«Se lo uccidi ti lascio andare.»
Dietro di lei, Hinata sentì Hidan sussultare.
Per qualche secondo mantenne la calma. Era come se ciò che aveva detto Matsushita san non avesse fatto davvero breccia nel suo cervello. Non le aveva chiesto di uccidere Hidan.
«No!»
L’urlo dell’amico la fece risvegliare.
«Però non ho tutto il giorno, eh. Devi deciderti. Guarda, non è difficile. Se lo uccidi vivi, altrimenti vi uccido io. Lui muore comunque» spiegò divertito.
Il peso di quello che le era stato chiesto di fare si scaraventò tutto su di lei. Non poteva uccidere Hidan, lei non sarebbe mai stata capace di uccidere qualcuno. Però era terrorizzata dall’idea di morire.
Il sorrisetto di quello che ormai non era più il suo psicologo faceva intendere che sapeva bene cosa stava passando per la mente di Hinata.
La Hyuuga sentì dietro di lei Hidan muoversi lentamente, ma fu subito bloccato.
«Io fossi in te non mi muoverei. Vedi, ho detto che tu morirai, ma se lei non ti uccide non ho ancora deciso come. Se non mi ascolti potrebbe essere in modo molto doloroso.»
Lacrime iniziarono a fuoriuscire dagli occhi di Hinata. Sapeva di non poter uccidere l’amico, ma non riusciva a lasciar andare così la sua vita. L’ultima volta la sua morte era sembrata inevitabile e quello le aveva dato una sorte di pace. Adesso il demone le aveva dato una scelta. Poteva salvarsi, togliendo la vita ad un’altra persona.
Il demone sapeva che quel tipo di scelta l’avrebbe fatta impazzire ed era per questo che gliel’aveva proposta. Era quella la parte divertente. Cos’avrebbe fatto?
«Hyuuga non starai mica pensando di ammazzarmi, vero?» le chiese Hidan.
Hinata si voltò con le lacrime agli occhi. Lo Hie non le era mai stato particolarmente simpatico, ma non poteva – non voleva – toglierli la vita.
Distolse lo sguardo, non riuscendo a sostenere quello del compagno. Il terrore si stava impossessando di lui e lei non riusciva a reggere l’idea che era proprio lei a instillarglielo, con la sua mancanza di una risposta.
Osservò il coltello, come se potesse dargli una terza via di fuga.
Non voleva uccidere Hidan e non voleva essere uccisa, ma le due cose non si conciliavano.
Poi, mentre osservava la lama, capì qual era la sua terza scelta. Quella che aveva avuto in mente fin dall’inizio, ma che il suo cervello aveva avuto paura anche di formulare.
Poteva scegliere la morte. Non sarebbe stata uccisa dal demone e non avrebbe ucciso Hidan. Avrebbe lasciato questo mondo di sua spontanea volontà, sottraendosi dal gioco in cui era stata involontariamente invischiata.
Quella decisione le diede una sorta di calma interiore. Avrebbe fatto la fine che le sarebbe toccata l’anno prima. Sarebbe dovuta morire con Kiba e Shino.
Riuscì quasi a sorridere. La parte peggiore era passata.
Per la prima volta nella sua vita sperimentò una forza che non avrebbe mai pensato di poter avere. Fu quasi con sfida che parlò.
«Ho deciso.»
Le sembrava di sentire il fiato sospeso di Hidan dietro di lei. Terrorizzato ma impossibilitato a fuggire.
Il demone le sorrise.
«Allora, cosa farai Hinata Hyuuga?»
Senza una parola, si incise la gola in profondità con il coltello. Sussultò per il dolore e poi si accasciò per terra.
«Hyuuga!» era ancora viva quando Hidan si precipitò vicino a lei, incredulo di fronte a quanto era successo, ma aveva già lasciato questo mondo con uno spasmo quando il ragazzo si voltò verso il demone, l’espressione a metà tra lo scosso e il terrorizzato.
Anche l’espressione del demone era cambiata. Doveva ammettere che non si sarebbe aspettato il gesto della ragazza, ma a vedere l’espressione disorientata dell’amico si disse che ne era valsa la pena. Anche se non aveva potuto ucciderla lui, la sua morte aveva avuto un certo effetto.
Hidan indietreggiò, quando la pozza di sangue lo raggiunse. Il volto di Hinata era diventato esangue e la ragazza aveva gli occhi fissi al cielo, senza vederlo. La sua espressione non denotava paura, quanto piuttosto una pacata accettazione. Aveva deciso lei del suo destino alla fine e questo sembrava bastarle.
«Allora, siamo rimasti io e te, Hidan. Sai l’ultima volta mi hai giocato un brutto scherzo. Io ti avrei davvero lasciato andare» il tono sembrava quasi di rimprovero.
Hidan non rispose. Fino a quel momento non era riuscito a distogliere lo sguardo dal corpo della Hyuuga, ma l’istinto di sopravvivenza riprese il sopravvento e si concentrò nuovamente sullo psicologo.
«Vorrei ucciderti lentamente, ma non so per quanto ancora possa possedere questo corpo.»
Una speranza si accese in Hidan. Poteva tenerlo occupato finché fosse stato costretto ad andarsene?
«Ne ho comunque abbastanza per eliminarti, non preoccuparti» riprese lui, come se gli avesse letto nel pensiero.
Per un istante l’Hidan spericolato tornò a farsi sentire. Ce l’avrebbe fatta a prendere il coltello e piantarlo nello stomaco dello psicologo prima che lui lo uccidesse? Il suo sguardo si rivolse in quella direzione per un solo istante, ma non sfuggì al demone.
«Se vuoi puoi provarci» tanto non serve a niente.
Ma quale altra scelta aveva? Non voleva togliersi la vita e non voleva neanche essere ucciso senza fare niente. Il tentare di portarsi dietro quello psicologo demone da strapazzo gli sembrava un buon compromesso in quel momento.
Si rendeva conto di non ragionare con le sue piene facoltà mentali, ma senza essersene quasi reso conto aveva già afferrato il coltello e preso la rincorsa verso Matsushita san.
Non sentì neanche il colpo penetrare sotto la sua costola, infatti di primo acchito si chiese come mai la sua felpa si fosse bagnata di sangue. Non capiva neanche come il coltello fosse finito in mano al demone.
«Mi dispiace, Hidan. Sei troppo umano. Però apprezzo il tentativo. Guarda, mi sento gentile. Non ti faccio neanche soffrire.»
«Vaffanculo» fu l’ultima parola di Hidan, prima di crollare a terra, il coltello infilzato a livello del cuore.
«Ancora un po’ e mi scappavi di nuovo» affermò il demone rivolto al cadavere, prima di dover lasciare il corpo di Matsushita san, che si accasciò per terra vicino a quello del ragazzo.


«… pare che Hie Hidan, diciassette anni, dopo il terribile incidente dell’anno scorso in quella stessa scuola, non abbia recuperato la ragione. Secondo la ricostruzione della polizia ha prima tentato di uccidere la compagna, Hyuuga Hinata che si è difesa ferendolo ad una costola prima di soccombere, per poi togliersi la vita sotto gli occhi sbigottiti di Matsushita Shun, psicologo di trentadue anni, che non è riuscito a fermarlo. Lo psicologo è adesso ricoverato in ospedale in stato di shock. I due avevano precedentemente assistito…»
Matsushita Shun spense il televisore, sotto lo sguardo di rimprovero dell’uomo che condivideva la stanza con lui.
Ricordava perfettamente cos’era successo da quando non era stato più padrone del suo corpo, il demone non gli aveva neanche concesso di essere incosciente.
La punizione per il tuo scetticismo, psicologo.



Questa dovrebbe essere il seguito di High School of Death.
Detto ciò, partiamo con le spiegazioni!:) Sono abbastanza convinta che le porte delle scuole giapponesi siano scorrevoli, ma non lo ero altrettanto l’anno scorso quando ho parlato di una porta molto occidentale, quindi per esigenze di trama ho tenuto quella.
Per quanto riguarda il nenbutsu, è l’invocazione al Buddha Amida. Poi non sono convinta che un esorcismo si faccia con il nenbutsu, ma non ho trovato informazioni di sorta, quindi prendetelo per buono e se vi capita di trovare qualche praticante buddista chiedete a lui!:)
Il titolo, Owari made significa ‘fino alla fine’.
Detto ciò, ho volontariamente tergiversato sul fatto che è praticamente un anno che non scrivo su Naruto e che avrei altro da continuare invece di una one shot che doveva essere autoconclusiva, ma purtroppo sono a corto di ispirazione e di tempo, quindi quando mi è venuta quest’illuminazione (restiamo in ambito buddista!XD) l’ho presa al volo.
Detto ciò, fuggo!:)
Ho appena notato di aver scritto circa una ventina di ‘detto ciò’, ma confido nel fatto che nessun essere sano di mente legga le note!XD

  
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