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Autore: Agapanto Blu    14/02/2013    5 recensioni
Anno Domini 1234.
Chatel-Argent, feudo dei Montmayeur, Francia.
Quando Daniel Freeland decide, come ultimo tentativo di aiutare la figlia diciottenne, di portare la sua Alexandra nel passato, non si aspetta certo l'immensità di sciagure che, con più foga e sadismo del solito, Hyperversum gli scatenerà contro...
Tra un rapimento, segreti che tornano alla luce e giovani amori, sembra che tutto si stia rivoltando contro il gioco di maschere dei Ponthieu e perfino la morte potrebbe non essere così certa...
Ma chi si cela dietro tutto ciò?
**********
Quando i battenti furono aperti di nuovo, il Falco d’Argento non esisteva più e Ian Maayrkas veniva portato fuori dalla sala con i polsi incatenati dietro la schiena e due guardie ai fianchi.
Lo sgomento della corte francese fu totale.
*****
Daniel non voleva crederci, non riusciva a crederci.
Eppure davanti a lui, terribili nelle loro armature, l'una con un leone d'oro rampante in campo rosso e l'altra bianca con una croce nera centrale, stavano gli incubi più tremendi che Hyperversum gli avesse mai fatto incontrare.
Jerome Derangale sorrise.
"Chi abbiamo qui?"
Al suo fianco, il barone Gant rise.
"Una spia senza signore!".

Alcuni personaggi leggermente OOC.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Daniel/Jodie, Etienne/Donna, Geoffrey/Brianna, Ian/Isabeau
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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15. Diversi tipi di fedeltà


Ian riaprì piano gli occhi ma il suo incubo si rivelò la realtà.
Chatel-Argent era un castello splendido e molto più accogliente di quello di Dunchester ma, per quanto riguardava le segrete, non aveva nulla da invidiare al maniero inglese: la cella era piccola e quadrata, senza finestre a parte una piccola feritoia in alto, sopra la testa del prigioniero, e alle pareti di pietra scura stavano attaccate delle pesanti catene di ferro; il giaciglio del prigioniero non era che un tavolaccio di legno con un po’ di paglia attaccato al muro e quindi sospeso dal terreno.
Ian aprì e chiuse le mani più volte cercando di stimolare la circolazione, quasi bloccata dalle cinghie che gli bloccavano i polsi ad una catena sopra la testa.
Traditore.
Dopo tutto quello che aveva fatto per difendere la sua famiglia, il suo Re e quella che era diventata a tutti gli effetti la sua patria, sarebbe morto così: da traditore. Non che si fosse aspettato nulla di diverso quando aveva iniziato la sua confessione.
Ian non aveva mai lottato, né contro le guardie né contro il carceriere. Aveva chinato la testa sotto le accuse di Dammartin, si era dichiarato l’unico colpevole di un intrigo nel quale, a dirla tutta, si era ritrovato invischiato contro la sua volontà, almeno all’inizio, e nessuno avrebbe preso le sue difese: chi avrebbe voluto farlo erano coloro cui Ian aveva fatto giurare di tacere; chi avrebbe potuto erano coloro cui lui aveva mentito e che si sentivano traditi.
Etienne e i due Henri lo avrebbero probabilmente odiato.
Martewall no, lui sapeva da tempo parte della verità: Ian se lo immaginò facilmente che lottava, solo contro tutti, perché gli fosse almeno risparmiata la vita in nome di ciò che aveva fatto per il paese. Però sperava che il barone non facesse nulla, almeno non sapendo che era suo preciso volere chiudere le indagini prima che qualcuno si rendesse conto di come fosse impossibile che Ponthieu e forse anche altri fossero all’oscuro dell’intrigo.
No, Guillaume doveva uscire immacolato da quella storia e con lui Isabeau, Marc e Michel. Con un po’ di fortuna, anche Daniel, Jodie e Alex sarebbero rimasti al sicuro dallo scandalo ma, comunque, per loro c’era Hyperversum: l’indispensabile era mettere al sicuro i Medioevali. Donna invece non era per nulla collegabile a lui, perciò sarebbe rimasta al sicuro, e anche se non aveva giurato,  Ian era quasi del tutto certo che avrebbe capito le sue motivazioni vista
 la giovane figlia da proteggere.
La porta della cella si aprì e Ian sollevò la testa, sorpreso.
“Che ora è?” chiese, quasi intontito: non poteva essere già l’alba, o sì?
“È notte fonda.”
Solo allora, sentendo la sua voce, Ian riconobbe il suo ospite.
“Sir Martewall?” chiese, sorpreso, tornando ad usare istintivamente i modi di un famiglio.
Martewall sollevò un sopracciglio, scrutandolo.
“Mi sono forse dimostrato indegno della tua amicizia?” chiese, scontroso.
Ian fu molto sorpreso di sentirsi chiamare ancora con modi familiari, ma rispose.
“No, mio signore…”
“Allora perché mi tratti così?” chiese acido il barone avvicinandosi a lui, in mano una ciotola di qualcosa.
Ian rimase in silenzio e Martewall lanciò un’occhiataccia alla catena che gli costringeva i polsi sopra la testa. Il barone si sfilò dalla cintura un mazzo di chiavi che di certo non avrebbe dovuto possedere e posò la ciotola sulla panca per allungarsi verso i lucchetti delle cinghie.
Ian si oppose.
“No, Sir!” cercò di dire, pur tenendo la voce bassa per non farsi sentire, “Sono già abbastanza nei guai io, non mettete a rischio anche la vostra posizione!”
“Non penso che le guardie se la prenderanno, visto che me le hanno date loro.” commentò Martewall ignorandolo e infilando le chiavi nel lucchetto.
Ian tentò di dimenarsi e di convincerlo a non fare follie, ma il barone inglese lo bloccò, rinunciando per un attimo a liberarlo, e lo fulminò con un’occhiataccia.
“Non ho intenzione neanche di ascoltarti finché continuerai a chiamarmi ‘Sir’, sono stato chiaro?” sibilò.
Ian contrappose uno sguardo confuso.
“Già sapevo chi fossi, ricordi?” gli disse l’inglese lasciandolo andare per rimettersi ad armeggiare con i lucchetti.
Ian chinò il capo.
“Sì, ma ora sai la storia.” commentò, “Se prima pensavi che fossi un famiglio, ora sai che ero solo un viandante.”
In quel momento Geoffrey finì il suo lavoro e si sedette al suo fianco mentre lui si massaggiava i polsi indolenziti.
“Come stai?” chiese il barone.
Ian, lasciatesi cadere le braccia in grembo, scrollò le spalle e appoggiò la nuca contro il muro.
“Aspetto.” rispose sincero, “La mia unica certezza, ora, è che dopo la mia morte le indagini smetteranno.”
Martewall gli porse la ciotola che aveva portato con sé. Ian la prese, confuso.
“È solo acqua.” sbottò l’inglese, “Purtroppo è il massimo che abbia potuto portarti.”
Ian bevve piano, godendosi la sensazione di frescura sulla gola secca, poi guardò l’amico negli occhi.
“Ho scatenato un putiferio, vero?” chiese, serio ma con un sorriso mesto.
Geoffrey sorrise a sua volta.
“Credo proprio che saresti sorpreso nel vedere come la corte si é ammutolita: perfino Etienne parla solo se chiamato in causa direttamente, e anche in quei momenti è così sgarbato che la gente preferisce farlo tacere.” commentò, “Il tuo nome, entrambi i tuoi nomi, viene evitato con cura maniacale da tutti e gli unici Ponthieu che si vedono in giro sono i tuoi figli, per ordine del Re credo perché dalle loro facce mi è parso di capire che non ne sono entusiasti. Di tuo fratello e tua moglie non so dirti: se ne stanno ostinatamente rinchiusi nei loro appartamenti e non vogliono vedere nessuno se non Daniel e Jodie.”
Ian chiuse gli occhi e, mentalmente, ringraziò il suo signore e il suo amore per il loro affetto fedele poi annuì.
“Ne sono contento…” e avrebbe anche concluso la frase se il suo interlocutore non fosse saltato in piedi, sconvolto.
Ian si rese conto troppo tardi di essersi lasciato scappare le parole sbagliate con Geoffrey Martewall: lui aveva visto Guillaume minacciarlo di sbatterlo in una segreta e poi ripudiarlo dopo un dissapore, probabilmente non credeva più nel sincero affetto fraterno che legava i due uomini, il servo e il padrone.
“Ne sei felice?!” esclamò infatti l’inglese con rabbia, “Quell’uomo tira un sospiro di sollievo consegnandoti al boia!”
Ian scosse la testa.
“No, Geoffrey.” rispose, placido eppure determinato, “Il mio signore sta solo facendo ciò che è meglio per tutti.”
“Tranne che per te!” ribadì ancora Martewall.
Ian sorrise, in un certo senso lusingato dalla determinazione dell’amico a trovare un colpevole con il quale prendersela per togliere a lui le responsabilità dei fatti.
“Anche per me.” lo corresse poi, vedendo l’amico ancora pronto a ribattere, lo interruppe, “Guillaume sta facendo solo ciò che gli ho chiesto di fare io.”
Martewall sgranò gli occhi ma Ian continuò.
“Ho fatto giurare a lui, Isabeau, Daniel, Jodie e Alexandra di non raccontare la verità: io devo apparire come l’unico colpevole di questa storia.” spiegò.
Martewall non riuscì a rispondere per un lungo momento.
Alla fine, scattò.
“Perché?!” esclamò, sgomento, e avrebbe aggiunto ancora qualcosa se Ian non lo avesse fermato.
“Per mia moglie, per i miei figli, per i miei fratelli e per i miei amici!” ribadì duramente alzando un po’ il tono di voce, Geoffrey rimase paralizzato ma Ian lo incalzò, “Non permetterò a nessuno di far del male alla mia famiglia e il Re, ora come ora, non risparmierebbe né i miei figli né mia moglie, figurarsi mio fratello che è l’ideatore di questo piano! No, Martewall: a costo di morire, proteggerò i miei cari e coloro che mi hanno aiutato quando ero in difficoltà.”
Geoffrey, poco propenso a cedere, provò di nuovo a ribattere ma Ian lo fermò ancora.
“Se tu fossi al mio posto, faresti lo stesso!” dichiarò, sicuro.
Martewall rimase in silenzio per un minuto buono fissando il terreno, incapace di replicare, ma poi rialzò gli occhi, incrociò lo sguardo chiaro dell’amico e capì cosa gli sarebbe stato chiesto.
“No!” esclamò, rabbioso, “Non avrò parte in questa storia, se non per aiutarti! Non mi unirò a quelli che vogliono la tua testa! Non puoi chiedermi di inventarmi menzogne che ti facciano passare per un bastardo traditore! Non io! Non puoi chiedermi di…”
“Posso ed è esattamente quello che sto facendo!” si impuntò Ian.
Dannazione, Geoffrey: perché non ti sforzi neanche di capirmi?!, pensò ma non riuscì a dirlo ad alta voce perché sapeva che, in realtà, l’amico doveva aver pensato al padre e agli amici morti nell’assedio di Dunchester avvenuto anni prima.
“Se davvero provi amicizia per me,” tentò allora sentendosi meschino solo per quel colpo basso, “allora, fuori da qui, odiami e compatisci i miei familiari.”
Martewall lasciò cadere le spalle, sconfitto, capendo che Ian non avrebbe accettato un ‘no’.
A sua volta, però, era deciso a riportare l’amico sulla strada della ragione.
“Marc sembra odiarti.” sussurrò, “E Michel pare non sapere nemmeno di essere al mondo: si guarda attorno come se stesse vivendo in un incubo e non parla nemmeno con me.”
Ian sospirò e chinò il capo.
“Ho rovinato la vita ad entrambi.” mormorò, “Adesso si porteranno dietro per sempre la vergogna di essere figli miei.”
Dopo un attimo di silenzio, Martewall parlò scegliendo accuratamente le parole da dire.
“Il Re vuole loro molto bene, sono cresciuti insieme in fondo, quindi non penso che gli farà del male o permetterà ad altri di farlo.” esordì, “Il problema sei tu: cosa intendi fare?”
Ian rialzò la testa lentamente e lo fissò con decisione.
“Giurami che manterrai il mio segreto, che non dirai a nessuno ciò che sai su di me.” implorò.
Martewall alzò le mani e indietreggiò, quasi si fosse trovato davanti, di colpo, una belva feroce.
“Ian, ti ho già detto che non voglio farlo!” esclamò.
“Ti prego!” lo incalzò l’altro, “Siete rimasti tu e Donna: lei so che non parlerà, ma tu faresti di tutto per tirarmi fuori dai guai, lo so, e, se non giuri, io non avrò mai la certezza di aver messo al sicuro la mia famiglia!”
“E tu?!” esclamò Geoffrey tentando di non cedere, “Che amico sarei se lasciassi che ti ammazzassero così?!”
“E che amico saresti se contribuissi a condannare a morte i miei cari?!” replicò Ian, “Isabeau ha sempre saputo tutto, Guillaume ha ideato questa storia e Daniel, Jodie, Alex e Donna recitano una parte tanto quanto me! Il Re li ucciderebbe tutti!”
Martewall indietreggiò, incapace di accettare, ma alla fine, dopo un tempo apparentemente infinito, lasciò cadere ogni resistenza e crollò.
“Ti giuro che non denuncerò la tua famiglia.” sussurrò sentendo le parole bruciargli in gola come carboni ardenti, farlo star male come veleno, “Su ciò che mi è più caro, farò sempre il possibile per difenderla.”
Un sorriso stanco affiorò alle labbra di Ian.
“Grazie…” disse, sincero.
Martewall gli tornò vicino e si sedette al suo fianco, sconfitto.
“Davvero non hai intenzione di lottare?” chiese piano guardandolo in viso, “Jean Marc de Ponthieu si arrende così?”
Ian sospirò ma riprese subito il suo sorriso tranquillo, a beneficio dell’amico che altrimenti avrebbe capito il suo tormento.
“È finita, Geoffrey.” ammise poi i suoi occhi, come tante volte in passato, si illuminarono della luce minuscola che li accendeva sempre quando scherzava o faceva una battuta, “Non ho più assi nella manica.”
Martewall, come previsto, aggrottò la fronte non potendo capire quel modo di dire.
“Tu non farai mai niente di normale, vero?” chiese all’amico a bruciapelo.
Ian sorrise un po’ più sinceramente poi scosse la testa.
“Probabilmente no.” ammise tranquillamente.
 
***
 
Quando la porta della cella si aprì di nuovo, era l’alba.
Ian aspettava, aveva passato la notte a rivangare per sé tutti i ricordi più belli del suo passato ed era arrivato alla conclusione di dover fare ancora una cosa.
Quando il carceriere entrò con una ciotola d’acqua, Ian gli sorrise mestamente.
L’uomo esitò ma poi gli si avvicinò.
“Per quello che può valere, siete stato un ottimo feudatario: la popolazione vi è grata.” sussurrò poi si voltò e fece per andarsene.
“Vi prego!” lo chiamò Ian, “Vi prego, devo chiedervi un favore.”
L’uomo si voltò, evidentemente spaventato e incerto.
Ian si alzò in piedi e si portò le mani dietro il collo.
Piano, sentendo qualcosa spezzarsi anche dentro di sé, Ian si tolse la collana regalatagli al suo matrimonio da Isabeau.
La prese in mano e osservò ancora un istante i diaspri verdi e l’argento scintillante che simboleggiavano la fedeltà eterna di sua moglie poi porse il gioiello al carceriere.
“Vi prego, consegnatelo a mia moglie e ditele…” esitò.
“Signore?” chiese l’uomo incerto prendendo la collana.
“Ditele che…”
 
***
 
“…la libero da ogni vincolo, morale o materiale, che ella può sentire nei miei confronti, augurandole ogni bene possibile e un nuovo matrimonio migliore del primo.
Isabeau era impietrita.
Fissò la collana di diaspro che il carceriere le porgeva, incapace di prenderla.
Stava entrando nel salone per l’udienza con il Re riguardo Ian quando l’uomo l’aveva raggiunta portandole il messaggio del suo sposo.
Ora gli occhi di tutti erano puntati su di lei e nella sala regnava il silenzio più assoluto.
Contegno, Isabeau, o andrà tutto a monte!, si disse.
Poi, con un gesto fulmineo, afferrò la collana e la lanciò contro il muro del corridoio fuori dalla stanza.
“Quando uscirò da qui non voglio doverla vedere più!” ordinò e Chailly, chinando la testa, uscì dal salone prima che le porte venissero chiuse.
A quel punto, Isabeau prese un respiro profondo e si voltò verso Luigi, in piedi ad attenderla accanto alla finestra.
“Madame, sono davvero dispiaciuto di dovervi disturbare in questo momento difficile ma, come mi è stato giustamente fatto notare da Sir Martewall, sarebbe molto più corretto chiedere il vostro parere sulla questione, visto che siete la più danneggiata, e ascoltare il vostro volere per limitare i danni di questa terribile vicenda.” le spiegò il giovane sovrano con un’espressione sinceramente contrita cui Isabeau contrappose una gelida e algida.
Nella sala, il silenzio di chi osservava era totale.
“Desidero da voi solo una concessione, mio sire, per risanare il mio onore ferito.” esordì la dama, seria e implacabile, con un tono deciso, “Lasciate a me la possibilità di organizzare la sua morte.”




Dunque, io per prima trovo questo capitolo particolarmente terrificante.
Lo odio, non è venuto come speravo ma le altre prove che ho fatto per questa scena erano ancora peggiori perciò...
Non so che dirvi, Geoffrey Martewall è un personaggio per me difficile da "replicare" e spero solo di non aizzarmi contro una folla inferocita e urlante "All'eretica!" o qualcosa di simile :)
Boh, nonostante tutto vi consiglio di stare attenti a questo capitolo: un paio di cose dette e fatte da Ian potrebbero rivelarsi importanti nel futuro! ;)
A presto!
Ciao ciao!
  
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