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Autore: likeadiamonds    14/02/2013    2 recensioni
“Primo taglio
Perché sono un mostro.
Secondo taglio.
Perché me lo merito.
Terzo taglio.
Perché non sarei dovuto nascere.”
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 “Primo taglio
 Perché sono un mostro.
 Secondo taglio.
 Perché me lo merito.
 Terzo taglio.
 Perché non sarei dovuto nascere.”


Questo era quello che mi ritrovavo a fare seduto sul pavimento freddo del mio bagno, insieme alla mia migliore amica, la lametta,da due lunghi e dolorosi anni. Ero vittima di bullismo fisico e psicologico. Perché? Perché ero omosessuale. Amavo una persona del mio stesso sesso, ero un mostro .

Tutto iniziò al mio secondo anno di liceo, ero etero allora, ero felice, amavo la vita e tutte le sue sfaccettature, ero fidanzato da due anni con una persona che amavo, andava tutto bene. Cambiò tutto  un giorno , era il compleanno  del mio migliore amico, ed ero a casa sua per festeggiare l’avvenimento. Mi ricordo che mi portò in cucina per dirmi una “cosa importante”. Era molto agitato, gli tremavano le mani e sudava, iniziai a preoccuparmi così gli strinsi le mani per incoraggiarlo a parlare, sospirò e sorrise lievemente intrecciando i suoi occhi azzurri ai miei marroni scuro. Rimanemmo per un po’ di tempo a fissarci quando lui interruppe il silenzio imbarazzante che si era creato tra noi.
< beh.. io, vedi i-io , io credo di amarti > sussurrò rivolgendo lo sguardo ai suoi piedi, aspettando una mia reazione.

Ero immobile, non sapevo a cosa pensare, per me lui era solo un amico.. o forse provavo davvero qualcosa per lui? E se mi rifiutavo di crederci? Dovevo schiarirmi le idee. Strinsi la presa che avevo sulle sue mani e lo strattonai verso di me, facendo incontrare le nostre labbra. Fu un bacio timido, spensierato, uno di quei  baci lunghi e dolci.
< i-io sono confuso > balbettai portandomi entrambi le mani tra i capelli.
< scusa … non dovevo > rispose incastonando i suoi occhi ai miei.
In quel momento notai il delle lacrime minacciare di uscire dai suoi occhi. Sentii una forte fitta al petto quando iniziò a singhiozzare. Istintivamente mi avvicinai a lui e lo strinsi in un forte abbraccio. Alzò il capo sorpreso dal gesto che avevo appena fatto, gli scostai un ciuffo che cadeva ribelle e lo baciai dolcemente sulla fronte.
<  non hai fatto male > sospirai cogliendo la sua attenzione < anzi > continuai, provocando in lui uno sguardo misto tra la curiosità e la speranza.
 Lo baciai di nuovo. Anche io lo amavo.
 
Purtroppo non eravamo soli in quella stanza. Quello fu l’ultimo giorno felice da due anni a questa parte.

Ogni giorno ero costretto a subire insulti, violenze fisiche e morali. Non potevo difendermi perché ero debole, inferiore e, soprattutto, solo.  Mi odiavo. Volevo morire.

Commisi l’errore più grande della mia vita quando iniziai a lesionarmi. Non riuscivo ad essere me stesso e diedi la colpa al mio corpo e al mio cuore, perché amava chi, per la società, non avrei dovuto amare.

 Ero malato.

Tentai il suicidio svariate volte, senza successo.

Quando una volta esagerai, ero così debole, mi buttai dalle scale, ebbi una commozione cerebrale.
Mi ricordo solo il viso di mia madre, la sua espressione addolorata, affranta, tremendamente triste. Lei mi teneva la mano, in una sala bianca, ero disteso su un letto. Cercai di muovermi, inutilmente, non riuscivo a fare niente fin quando mi si chiusero anche gli occhi. Riuscivo a sentire solo delle voci, non era mia madre, erano tre voci maschili, molto familiari. All’inizio non riuscii a decifrarle. Poi capii, erano i ragazzi che ogni giorno mi picchiavano, si stavano scusando, stavano piangendo. Erano stati loro a portarmi lì, loro mi avevano ucciso dentro lentamente, era tutta colpa loro. Ma li avrei perdonati, se solo avessi potuto.

Solo allora capii che avevo commesso un errore. Avevo sottovalutato l’importanza della mia vita, non avevo lottato abbastanza per essa, mi ero fatto condizionare, avevo creduto a tutto quello che mi veniva detto, non ero stato forte abbastanza da farmi valere. Capii finalmente che dovevo battermi per la persona che amavo, avevo il diritto anche io di essere felice. La mai vita finalmente aveva un senso, e non l’avrei sprecata.

Cercai inutilmente di proferir parola, dovevo essere forte. Riuscii finalmente ad aprire gli occhi, misi a fuoco le sagome che si trovavano a entrambi il lati del letto. Sorrisi scorgendo il mio amore, seduto sul bordo del lettino dove ero sdraiato. Mossi leggermente le dita della mano destra accarezzando il suo fianco. Attirai subito la sua attenzione, un enorme sorriso si fece spazio sul suo volto, formando delle adorabili fossette.

Richiusi gli occhi istintivamente quando una fitta al cranio mi fece  lanciare un gridolino stridulo.
Sentivo delle voci e qualcuno  scuotermi le spalle. Il mio corpo non rispondeva ai miei comandi. Un altra fitta più forte della prima mi attraversò  le tempie e finì per farmi svenire di colpo.

Stropicciai gli occhi accecati dalla luce del sole che penetrava prepotentemente da una finestra.
Dove mi trovavo?
Aprii lentamente gli occhi riducendoli a due fessure, cercai di alzarmi ma una forte fitta alla testa mi costrinse a rimanere sdraiato. Mi guardai intorno, c’erano dei ragazzi che non avevo mai visto prima d’ora e mia madre seduta su uno sgabello con la testa tra le mani, stava piangendo.

< che succede? > bisbigliai.

L’attenzione si rivolse subito su di me.

< amore! > urlò un ragazzo
< non capisco; chi siete voi? > esclamai
< non ti ricordi? > urlò lui spalancando gli occhi sorpreso.
< dovrei? >.
 
 
 
“Nessun cuore ha mai provato sofferenza quando ha inseguito i propri sogni.”
Paulo Coelho
  
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