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Autore: Ulver    14/02/2013    1 recensioni
Estate, un ragazzo, una ragazza e un disturbo borderline di personalità a dividerli.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dicevamo. In un oratorio, niente di nuovo sotto il sole, se non che quelli del paese vicino venivano, per così dire, a trovarci. Al contrario di noi, loro avevano una specie di capo, a cui tutti, più o meno indirettamente, ubbidivano; e oggi, il suo capriccio era appunto questo trasferimento, se così lo vogliamo chiamare.
 
Li odiavo. Tutti, indistintamente, se non fosse forse per qualcuno che mi pareva interessante ma con il quale non avevo mai parlato seriamente. Che errore, a ripensarci oggi; se c’è una cosa che rimpiango di quel periodo è il non parlare molto, ecco.
 
Il gruppo stava scendendo le scalinate. Accodate dietro ai soliti rompicazzo ed egocentrici leccaculo del capo, stavolta, c’erano delle ragazze che non avevamo mai visto nei paraggi, ok, forse qualche volta a scuola, ma distrattamente, senza che la loro presenza ci avesse, mi avesse particolarmente turbato. Pareva essere così nemmeno quella volta. E mi sbagliavo!
 
Noi eravamo su delle panchine giusto in fondo alla scalinata, Diedi poco peso al loro passaggio, voglio dire, che mi importa di vedere persone che mi stanno sul cazzo? 
Però poi, qualcosa accadde. 
 
Non c’è spiegazione, sono cose che succedono senza ragione, senza motivo. Magari è una cosa del cervello, dell’inconscio, un movimento anomalo nel campo visivo, un imprevisto sulla tabella di marcia cerebrale. Magari, chi lo sa, è destino, e quel momento era stato descritto già da tempo nell’enorme pergamena delle “cose che devono succedere”, compilata da un Dio Improbabile e trovabile in qualsiasi edicola del sopracielo a soli nove euro e novantanove (sempre che si usi ancora l’euro, lassù).
 
E dicevo, alzai lo sguardo. Davanti a me c’era una ragazza, occhi verdi universo, capelli lunghi e ricci, maglietta a righe stile marinaio (mah, queste mode) e pantaloncini cortissimi.
Lei si era fermata, e anche io in un certo senso.
Ci stavamo guardando, i suoi occhi contro i miei. Cristo, dì qualcosa! Qualunque cosa, ciao, come va, chi sei, cazzo vuoi, qualsiasi cosa! Ma niente, nella mia mente c’erano solo frasi confuse, scene di film e indicazioni metronomiche, troppo poco per intavolare una discussione in quella situazione.
Il fatto che quegli attimi stavano diventando secondi, e i secondi potevano diventare minuti, e così via.
Era chiaro che entrambi eravamo imbarazzati, anche se cercavamo di non dimostrarlo; era comunque bellissimo vedere che lei provava le mie stesse preoccupazioni, in quel momento.
L’imbarazzo era diventato interesse, e poi stupore, poi meraviglia e poi reale interessamento. Tutto nel giro di secondi e senza che nessuno tra i due muovesse le sopracciglia. Adesso, però bisognava fare qualcosa.
 
Feci la cosa più naturale che potessi fare: scattai in piedi e, coi miei modi un po’ impacciati, la salutai. Doveva essere un po’ stupida come presentazione, ma sempre meglio del silenzio assoluto, pensai.
Contraccambiò al saluto.
Merda! Che devo dire adesso? Sono un po’ in panico.
 
-Ti va di fare un giro?
Ti va di fare un giro. No davvero, brillante idea, la prima cosa che si chiede a una ragazza quando la vedi. Vieni a fare un giro, ma cazzo, sono davvero intelligente, a quanto pare.
Ecco, vedi? L’hai messa in imbarazzo! Adesso vedrai che scappa, vedrai che se ne va, o magari trova una scusa. No, davvero, complimenti!
 
-Certo.
E’ difficile spiegare il modo con cui pronunciò quella parola. Inizia, un po’ imbarazzata, tipo ragazza indifesa, non so se mi spiego, e finisce con una leggerissima, quasi impercettibile accentazione di sicurezza sul finale.
Una cosa tenerissima, davvero. Indescrivibile.
 
Come da accordi, quindi, andammo a fare un giro. Lì scoprii che si chiamava Sofia, che aveva la mia età, stesso anno intendo,  che ascoltava i Beatles e che aveva appena subito un operazione chirurgica al polmone destro a causa di qualche malattia dal nome più o meno impronunciabile. Disse che aveva ancora i punti dell’intervento, me li fece vedere, io dissi, wow, insomma, una delle mie solite risposte da coglione, e lei si mise a ridere. Ridere! Una delle cose più improbabili che sarebbero mai potute accadere in quel momento. Io pensai, cazzo, questa è fusa davvero! E non poteva che essere altrimenti, nessuno avrebbe potuto attrarmi più di lei, in questo senso.
 
E così, passammo un pomeriggio in compagnia di quella che era la persona che entrambi cercavamo da tempo, e alla quale non avevamo la forza, il coraggio, di dichiararlo.
 
Ci salutammo. Così come tutto era iniziato, finimmo con un “ciao”. Poi mi ricordai, strano, che avrei voluto rivederla a tutti i costi, e magari, perché no, anche il prima possibile. Lei mi diede il suo numero, e mi disse: “Mandami un messaggio, domani mattina, alle 9. Sempre che tu...”; lei sapeva che morivo dalla voglia di risentirla, ma per qualche sua sfumatura caratteriale che non avevo ancora percepito mi disse comunque quella frase, che mi sembrava a metà tra il bellissimo e la cazzata.
“Te lo manderò. Sempre che tu lo voglia ancora”
Sorrise. Poi mi salutò, veramente, e se ne andò con gli altri.
 
 
 
 
Il giorno dopo, venni a sapere che si era suicidata la sera stessa.
Sofia in realtà era affetta da schizofrenia aggravata da un disturbo borderline che la affliggeva sin dalla tenera età. Evidentemente, l’incontro con il sottoscritto aveva avuto un impatto devastante sulla sua già fragilissima psiche, la quale, bombardata da continue e nuove emozioni, non è riuscita a reggerne il peso ed è andata in panico. Lì, in preda alla disperazione,  Sofia è andata a prendere una lametta, regalo di un suo amico emo, e si è tagliata le vene; sfortunatamente, il suo exitus è tardato ad arrivare, e la poverina ha dovuto subire enormi sofferenze, probabilmente anche di alcune ore, prima che la morte le sopraggiungesse. Per lei non c’è stato nulla da fare quando suo fratello di 9 anni l’ha ritrovata stesa in quel laghetto di sangue, men che meno quando i genitori hanno ritrovato a terra sia la ragazza che il bambino, svenuto probabilmente a causa delle numerose circostanze anomale di quella situazione.
 
Per chi se lo stesse chiedendo, sì, ho questa morte sulla coscienza. Non la conoscevo, o almeno, l’avevo vista solo una volta, eppure mi dispiaceva che per colpa mia una vita fosse stata stroncata  in tal modo e nel pieno della sua giovinezza.
 
Molti mi hanno detto che non avevo colpe in questa storia, e forse avevano ragione, tuttavia non ne ero sicuro; quasi a farlo apposta, proprio in quei giorni mandavano la replica di quei tristissimi episodi di Scrubs della quinta serie: a ripensarci, la mia vita, in quel momento, era molto simile a quella di JD e compagni, ma la cosa proprio non mi faceva andare su di giri. Forse è per questo che odio chi dice “voglio una vita da sitcom”, perché vivere in un telefilm solo raramente porterebbe reali soddisfazioni.
 
C’è una morale in tutta questa storia? Si, ed è una cosa che ancora oggi mi fa tirare avanti, e che non avrei mai capito senza la prematura morte di Sofia: ho capito di avere un fascino micidiale. E dico sul serio.
  
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