Anime & Manga > Kuroko no Basket
Ricorda la storia  |      
Autore: redseapearl    15/02/2013    10 recensioni
{Aomine Daiki x Kise Ryota; AoKise}
Era come se Dio gli avesse mostrato il Paradiso abbastanza a lungo da farlo assuefare a quella beatitudine, per poi chiudere sadicamente i cancelli e farlo precipitare sulla Terra, nella crudele realtà. E poi c’era Ryota: un elemento altrettanto importante di quel Paradiso irraggiungibile.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Daiki Aomine, Ryouta Kise
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'The Dreamers'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

ATTENZIONE: questa shot è la terza della serie ‘The Dreamers’ di cui fanno parte ‘American Dream’ e ‘Dream in America

’ (in questo ordine).

Per una volta, potete essere voi lettori a decidere se accettare questa shot come sequel o meno, in quanto la trama, sebbene legata a quelle precedenti, può anche essere considerata una vicenda a parte. Una volta letta, confido che capirete cosa voglio dirvi.

 

 

Awakening

 

 

 

“Cambio per i New York Knicks.”

La voce metallica al megafono annunciò il suo tanto atteso ingresso in partita. Finalmente era arrivata la sua occasione.

Daiki diede il cambio al compagno di squadra più stremato che mai. Benché fossero in vantaggio di sei punti, mancavano ancora cinque minuti alla fine della partita. Perdere la concentrazione era un lusso che non potevano permettersi. Intimamente, Daiki fu grato per quella opportunità. Tra tutti i giocatori presenti era di sicuro il più inesperto, ma il coach gli aveva comunque concesso di scendere in campo e mostrare quello che sapeva fare.

Le luci erano ancora più intense viste dall’interno del campo. La folla sugli spalti era un solo ammasso indefinito di urla e ovazioni. Il ragazzo puntò lo sguardo verso un punto preciso, lì dove sapeva essere seduto il suo ragazzo: Ryota. Nonostante la lontananza, riuscì a scorgere un sorriso di incoraggiamento increspargli le labbra. Conoscendolo, Daiki era certo che fosse più emozionato di lui in quel momento.

“Non farci fare brutte figure, pulce!” lo canzonò LaFreak, porgendogli il pugno.

“Tu pensa solo a passarmi la palla!” ribatté il giovane, battendo le nocche contro quelle dell’altro.

La partita riprese.

Aomine Daiki stava ufficialmente esordendo nell’NBA.

 

 

Dello spumante stappato solo quindici minuti prima, ne era rimasto quel tanto che bastava per riempire a stento un mezzo bicchiere. Ryota non faceva altro che urlare dalla gioia e lodare all’infinito le prodezze sportive compiute dal compagno nei pochi minuti finali della partita: era felice come se avesse giocato lui stesso tra i migliori cestisti del mondo.

“Quella schiacciata! Dio, quella schiacciata è stata fenomenale! La prossima volta dovranno farti giocare dal primo minuto, per forza!”

Daiki, accasciato sul divano, non smetteva per un secondo di ridere. Guardava Ryota agitarsi e imitare gli stessi movimenti compiuti da lui poco più di un’ora prima.

“Lo spumante è finito” disse questi all’improvviso con una faccia da cucciolo bastonato. “Vado a prendere un’altra bottiglia dal frigo!”

“Ma quante ne hai comprate?”

“Tre. All’inizio volevo prenderne ancora un’altra, ma poi ho pensato che sarebbe stato troppo” urlò Ryota dalla cucina. Tornò due secondi dopo con una bottiglia ghiacciata pronta per essere aperta. Non appena questi gli aveva comunicato che avrebbe giocato in una partita ufficiale, Ryota aveva già previsto che avrebbe fatto faville sul parquet e si era attrezzato per festeggiare. Quella scorta di spumante acquistata solo quella mattina, era l’espressione più palese e sincera della fiducia che Ryota riponeva in Daiki.

Un po’ impacciato per via dell’alcol che aveva iniziato a manifestare i suoi effetti, Ryota stava soccombendo alla resistenza passiva offerta dal tappo di sughero.

Daiki non poté trattenersi dal ridere a quello spettacolo tragicomico. Richiamò il compagno e questi, una volta vicino, gli porse la bottiglia. Ma Daiki la ignorò spudoratamente. Afferrò il polso dell’altro e, facendogli perdere l’equilibrio, lo portò a cavalcioni su di sé.

Prima ancora che Ryota realizzasse cosa stava succedendo, si ritrovò le labbra di Daiki incollate alle prorpie. In breve, il bacio perse tutta la castità iniziale. Le lingue si strusciarono sinuose l’una contro l’altra, lanciando tante piccole scariche di piacere lungo la spina dorsale di entrambi, la cui meta era il centro pulsante della loro eccitazione.

Daikicchi… oh…” Le labbra di Daiki percorsero la dolce linea del collo diafano dell’amante. Arrivate alla spalla risalirono sino all’orecchio: si schiusero con un suono umido e succhiarono golosamente il lobo. Le geremiadi di Ryota mandavano Daiki letteralmente in estasi.

Fecero collidere i bacini più volte, godendo nel sentire l’uno l’erezione dell’altro desta e vogliosa. Si guardarono negli occhi ancora una volta: nelle iridi c’era il desiderio di festeggiare il successo di Daiki con un amplesso degno di questo nome.

“Dai…” La voce di Ryota si ammutolì all’improvviso, benché le labbra avessero continuato a muoversi. Sembrò che il ragazzo non si fosse accorto di nulla, al contrario di Daiki. Pensò fosse solo un brutto scherzo giocatogli dall’alcol.

“Cosa?”

“Ho detto…” Di nuovo la voce dell’altro non raggiunse le sue orecchie e questa volta un guizzo di luce bianca aveva accompagnato questa anomalia. Daiki iniziò ad allarmarsi. “Che ti prende?” chiese il compagno.

Un altro lampo accecò Daiki per un istante. Ne seguì ancora uno subito dopo e poi un quarto. Il viso di Ryota fu inghiottito dalla luce. L’ultima cosa che Daiki riuscì a vedere fu il suo viso preoccupato. Forse stava gridando, ma non riusciva a sentirlo. Poi, l’intermittenza luminosa cessò e la forte luce divenne fissa.

No, non era esatto. Ci mise qualche secondo a comprendere cosa fosse successo. Non era stata la luce a lampeggiare tutto il tempo. Essa era sempre rimasta accesa. Erano state le sue palpebre a muoversi velocemente per proteggere dal bagliore accecante le pupille dilatate.

Era steso su di un letto. Una lampada al neon lo sovrastava. Un forte odore di medicinale gli saturò le narici. Un sospetto prese forma nella sua mente: si era appena svegliato in un ospedale.

 

 

Cercò di sollevarsi un po’, ma gli risultò più difficile del previsto. Cercò di muovere le mani per puntellarle sul materasso e darsi una spinta, ma nella mancina avvertì qualcosa che gli impediva di stringere le dita a pugno. Abbassò lo sguardo. Una candida mano era stretta alla sua. Accanto, qualcuno dormiva seduto ad una sedia ma con la testa poggiata sul letto.

Attraverso le ciocche rosate scorse il volto di Sastuki.

“Ohi” chiamò, ma sentì la propria voce troppo flebile. Riprovò, questa volta più forte. “Ohi, Sastuki.”

La ragazza emise un respiro più profondo. Si mosse appena, ma non accennò ancora a destarsi.

Daiki prese fiato e, con inaspettato sforzo, gridò: “Sastuki, sveglia!”

La ragazza scattò sull’attenti come se fosse appena stata investita da una secchiata d’acqua, i capelli arruffati e gli occhi gonfi di sonno. “Che… che c’è?” disse d’istinto. Poi, ripresasi dallo stato di shock, abbassò la testa verso il ragazzo. Rimase immobile a fissarlo per quelle che parvero ore. Le iridi rosa si illuminarono e l’espressione sul suo viso manifestò incredulità, come se stesse ammirando un esemplare di bestia rara. “Dai-chan…” bisbigliò.

Un velo lucido di lacrime le fece brillare gli occhi. Il mento si contrasse per lo sforzo di mantenere i singhiozzi.

Daiki era più perplesso che mai. “Si può sapere che…”

“Dai-chan!” strillò la ragazza e si fiondò sul collo del ragazzo stringendolo così forte da mozzargli il respiro.

Daiki tentò di divincolarsi dalla presa dell’amica, urlandole contro i più coloriti ammonimenti, ma i suoi tentativi erano vani contro l’abbraccio degno di una piovra. “Finalmente! Finalmente ti sei svegliato! Ero così in pensiero. Non farlo più! Non farlo mai più! Mi hai fatto preoccupare così tanto!” disse ancora in preda alle lacrime di gioia che le bagnarono tutto il viso e il collo del ragazzo.

“Insomma, mi spieghi che accidenti sta succedendo?”

D’un tratto, Daiki cessò ogni protesta. Sentiva il corpo di Sastuki tremare violentemente contro il proprio, segno che la ragazza non riusciva a contenere le emozioni che la stavano travolgendo. Lasciò che si sfogasse, anche se moriva dalla voglia di scoprire per cosa. Era la prima volta che la vedeva in un simile stato e soprattutto che gli manifestava così apertamente il proprio affetto.

Sastuki, calmati ora.”

“Scusa… è che…” ma le parole non volevano saperne di venir fuori, soffocate dagli spasmi dei singhiozzi.

Passarono un paio di minuti ancora senza che Daiki tentasse di allontanarla e senza che Sastuki manifestasse la minima intenzione di farlo. Infine, sciolse l’abbraccio lentamente. Il volto di lei era madido di lacrime e così anche la maglietta bianca di Daiki, su cui ora spiccava una chiazza umida all’altezza della spalla sinistra.

“Mi spieghi una buona volta che cosa significa tutto questo?”

Sastuki prese un fazzoletto da una scatola sul comodino lì vicino. Quando si fu asciugata gli occhi e le guance, riuscì a parlare senza balbettare troppo. “Un mese fa, dopo essere uscito da scuola, hai avuto un incidenti. Una macchina ti ha investito e hai perso conoscenza. Pensavamo che fossi semplicemente svenuto in seguito al trauma, ma i dottori ci dissero che invece eri caduto in coma. Ti saresti potuto svegliare dopo giorni o mesi o anni. Abbiamo vissuto quest’ultimo mese con la continua speranza di vederti riaprire gli occhi. È stato terribile non poter sapere quando questo sarebbe successo. Ma oggi… ma oggi tu…” Le lacrime ripresero a scendere, andando a bagnare il sorriso di pura gioia che le arcuò le labbra.

Daiki non mostrò alcuna emozione apparente. Sembrò che stesse finendo di elaborare le frasi appena udite. Il pensiero corse al sogno: l’America, l’NBA, Kise… nulla di tutto ciò era reale, dunque. La delusione non tardò a manifestarsi.

Sastuki si allarmò. “Scusa, lo so che è sconvolgente, ma non sapevo come dirtelo in modo più gentile di così.”

“È tutto a posto” cercò di tranquillizzarla il ragazzo, ma non fu molto convincete. Per un attimo, aveva desiderato di sprofondare nuovamente in quel sonno innaturale, lì dove i suoi desideri più nascosti avevano preso forma. Aveva creduto di vivere un’esistenza meravigliosa, coronata di successi, ma nulla era vero di ciò che aveva creduto di vedere e provare, come se fosse uscito da un cinema dopo aver assistito alla proiezione di un film sulla sua possibile vita futura.

Tutto si era dissolto, come accade per ogni sogno.

 

 

Era strano rivedere i membri della Generazione dei Miracoli di nuovo tutti insieme. Tra loro vi erano due estranei: Kagami Taiga e Himuro Tatsuya. Il primo aveva fatto credere che fosse andato lì solo per ‘accertarsi che Aomine si fosse svegliato davvero’, ma era evidente che in realtà voleva fargli visita per un profondo senso di rispetto nei confronti di un rivale, anche se non sapeva cosa dire. Il secondo, che non aveva mai giocato contro Aomine ma lo conosceva solo di fama, aveva candidamente dichiarato di aver accompagnato Murasakibara per timore che si perdesse nei corridoi dell’ospedale. Fu proprio Himuro a togliere d’impaccio Kagami, invitandolo ad uscire insieme dalla stanza per lasciare Daiki in compagnia dei suoi soli ex compagni di squadra..

Sastuki sprizzava allegria da tutti i pori per quella rimpatriata, anche se, si rendeva conto, il motivo non era dei più lieti. Per la maggior parte del tempo era rimasta incollata a Kuroko, nella più totale indifferenza di quest’ultimo.

Era incredibile come nella disgrazia le persone si mostrassero più unite che mai. A modo suo, ogni ex compagno di squadra aveva augurato a Daiki una pronta guarigione.

Ma la persona a cui Daiki prestava più attenzione, era Kise.  Tra tutti i presenti, era quello che aveva parlato meno, persino meno di Kuroko, e si era mantenuto in disparte salvo intervenire quando esplicitamente interpellato. Un comportamento del tutto estraneo al suo carattere solare e, a tratti, logorroico.

Daiki avrebbe dato qualsiasi cosa per poter leggere i suoi pensieri o, quanto meno, per restare solo con lui; ma entrambe le opzioni erano impossibili da realizzare. Si limitò ad osservarlo discretamente. Era evidente che Kise evitava a tutti i costi di incrociare il suo sguardo, come se su quel letto si trovasse qualcosa di orripilante. Non era a suo agio, per niente: di sicuro si trovava lì solo perché obbligato moralmente.

Guardandolo, le immagini del sogno si sovrapponevano alla realtà. Ad ogni secondo, Daiki si rendeva conto che non riusciva più a pensare a lui come ad un semplice ex compagno di squadra. Mentre era privo di coscienza, le sue inibizioni e le sue vergogne si erano annichilite e ogni desiderio si era materializzato in modo nitido ed inequivocabile. Prima di quel momento non ci aveva mai fatto caso, ma adesso la sua stessa mente gli aveva mostrato i suoi pensieri più reconditi, rimasti a lungo soffocati nei remoti anfratti del suo animo: Ryota gli piaceva davvero, e non come amico o avversario.

Perso in quella muta contemplazione, Daiki non sentiva cosa gli altri stessero dicendo, fino a che la voce squillante di Sastuki non richiamò l’attenzione di tutti, compresa la sua.

“Il dottore ha detto che tra quattro giorni Aomine-kun potrà uscire dall’ospedale, ma si è raccomandato di non fargli fare sforzi fisici eccessivi. È stato fermo un mese, dopotutto. Quindi niente basket per almeno…”

Sastuki, non dare retta alle stronzate dei medici! Un mese non è così tanto tempo. Una volta uscito da qui, tre giorni saranno più che sufficienti per rimettermi in forma.”

Aomine-kun! Non capisci che c’è in gioco il tuo futuro di giocatore? Potresti rischiare di compromettere per sempre le tue gambe! Considera che hai avuto un incidente. In ogni caso, avviserò anche tutti i ragazzi del Touhou.”

Sastuki…”

Daiki, lei ha ragione. Non fare sciocchezze e ascolta chi ne sa più di te” disse Akashi facendo appello alla sua autorità di ex capitano del Teiko per quietare l’animo burrascoso del degente.

Discutere con lui era inutile. In risposta, Daiki emise un suono stizzito con le labbra e con ciò l’argomento sembrò risolversi.

 

 

Passarono solo due giorni dopo che Daiki fu dimesso dall’ospedale. Sastuki lo aveva tartassato fino allo sfinimento affinché non si fiondasse a giocare a basket alla prima occasione. Ma lui aveva ben altri progetti in mente.

Non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine di Kise a braccia conserte, in piedi nell’angolo della stanza d’ospedale che fissava il pavimento con aria disagiata. Nessun altro dei suoi ex compagni aveva manifestato un simile atteggiamento, anzi: si erano tutti mostrati più solidali di quanto si aspettasse. Aveva bisogno di risposte, e subito anche.

Probabilmente vedersi da solo con Ryota non era l’ideale, non dopo il lungo sogno che aveva vissuto. Realtà e immaginazione avrebbero rischiato col fondersi e confonderlo. Tuttavia, non accettava l’idea di essere stato ignorato così.

Prese il cellulare e gli inviò un sms con su scritto: ‘Alle 16. Campetto di sempre’. Era certo che Kise non avrebbe mai declinato un invito a giocare un one-on-one contro di lui e, da parte sua, Daiki non vedeva l’ora di prendere tra le mani un pallone da basket e sentire il suono dei suoi rimbalzi sull’asfalto. Due piccioni con una fava, si disse.

Appena un minuto dopo, Kise gli rispose. Daiki si era preparato a leggere una conferma, invece il messaggio ricevuto lo spiazzò. ‘Mi spiace, ho già un impegno, ma ricorda che Momoicchi ti ha detto di restare a riposo’.

Per poco Daiki non buttò il cellulare sul pavimento per romperlo in mille pezzi. Kise non aveva nessun dannato impegno. La scusa era patetica e lui solo un vigliacco. Perché lo evitava? Che maledetto problema aveva? Di certo non lo faceva per rispettare la parola data a Sastuki, e allora cosa lo tratteneva?

“‘Fanculo!” Daiki prese il pallone e si diresse comunque verso il luogo del  mancato appuntamento, ovvero il suo campetto preferito. Non aveva bisogno di un avversario per giocare. E soprattutto non aveva bisogno di quel damerino di Ryota: comunque lo avrebbe battuto, sai che divertimento! E a nulla valeva tentare di soffocare quella voce interiore che gli ripeteva che incontrarsi per una sfida era solo una scusa per incontrarlo, vederlo, parlargli e magari far sì che il suo sogno si trasformasse, almeno in parte, in realtà.

Ma ormai, dopo quel rifiuto, era chiaro che quel sogno era destinato a rimanere tale. “Va’ all’inferno, Kise!”

 

 

Dopo i primi palleggi, i primi salti e le prime due schiacciate, il suo fisico sembrò non accusare minimamente il mese di inattività forzata. ‘Alla faccia dei medici e delle loro raccomandazioni’ pensò, persino. Come aveva potuto Sastuki, anche solo per un momento, sperare di tenerlo lontano dal basket? Era come togliergli l’ossigeno, anche se, specie nell’ultimo anno, la mancanza di validi avversari gli aveva succhiato via tutto l’entusiasmo dei tempi delle medie.

Poi, dopo una serie di veloci cambi di mano, provò a saltare per andare di nuovo a schiacciare, ma la gamba non resse lo sforzo. Non appena aveva caricato i muscoli per il salto, qualcosa sembrò spezzarsi. La fitta di dolore fu acuta e lancinante.

La palla rotolò placidamente verso il bordo del campo, indifferente spettatrice della sofferenza del suo padrone.

Il ragazzo cadde in ginocchio. Una vampata di calore gli investì il viso facendolo sudare e ansimare pesantemente. Per miracolo aveva trattenuto un urlo. Era come provare quattro crampi simultanei. Si afferrò la coscia, ma non sapeva cosa fare per far passare quel dolore. Strinse i denti più forte che poté per non gridare, facendosi persino sanguinare le gengive per lo sforzo. Batté il pugno sull’asfalto più volte e con una forza tale da spaccarlo quasi, nella vana speranza di scaricare così un po’ della sofferenza.

Dopo secondi che parvero eterni, lentamente, troppo lentamente, l’agonia iniziò a placarsi. Daiki si spinse con la sola forza delle braccia verso la recinzione in metallo che delimitava il campo, così che, se fosse passato qualcuno, avrebbe pensato che si stesse semplicemente riposando.

Il pensiero corse a Kise e alla sua assenza. Che umiliazione sarebbe stata farsi vedere strisciare per terra come un verme! Inspirò a fondo, come se fosse rimasto in apnea per diversi minuti.

Si guardò la gamba. E se fosse successo qualcosa di più grave di un semplice crampo? Possibile che avesse davvero rischiato di buttare la sua carriera di giocatore per un capriccio? Tremò all’idea che una simile catastrofe potesse avverarsi.

Non si accorse del sopraggiungere di qualcuno. Solo quando questi gli rivolse la parola, Daiki si rese conto di non essere solo. “Aominecchi, non ti senti bene?”

L’interpellato sollevò la testa, allarmato. L’ultima cosa che voleva era mostrarsi in tutta la sua debolezza e pateticità davanti a qualcuno e in particolare proprio Kise, che ora lo fissava più preoccupato che mai.

‘Almeno ora si degna di guardarmi’ pensò Daiki come unica consolazione.

“Mi sto solo riposando” si affrettò a giustificarsi. “E il tuo impegno?” chiese pungente. Per fortuna il dolore era quasi svanito, ma comunque fece appello a tutto l’ autocontrollo che possedeva per evitare di tremare.

Ryota parve credere alle sue parole, anche se non completamente. “Scusa, non avevo nessun impegno, in realtà.”

Proprio come Daiki aveva immaginato, ma questo non servì a quietare l’ira che lo pervase a quelle parole. “E allora mi spieghi perché cazzo mi stai evitando? Anche all’ospedale sembrava che preferissi stare in qualsiasi altro posto che là!”

“Mi dispiace, ma… non è facile… per me.”

“Per te? Non è facile PER TE?” Daiki si sollevò in piedi di scatto con l’intento di aggredire Kise come una pantera inferocita, ma la gamba, non ancora ripresasi, frenò la sua collera con una nuova fitta. “Cazzo!” gridò e, se Ryota non lo avesse afferrato, sarebbe rovinato in terra come prima.

“Lo sapevo: non ti stavi riposando! Ma perché non hai ascoltato quello che ti ha detto Momoicchi?”

“Lasciami, ora passa!”

“Ti accompagno a casa e qualunque cosa tu faccia o dica non me lo impedirà.”

Daiki conosceva meglio di chiunque altro la testardaggine di Ryota e quanto fosse difficile farlo desistere da qualcosa. In quel momento non aveva le forze di protestare, per cui accettò il suo aiuto anche se con non poche riserve.

Kise gli prese il braccio e se lo passò attorno alle spalle. Lo afferrò per un fianco e lo aiutò a camminare in direzione di casa sua.

“Perché sei venuto dopo avermi detto di no?” domandò Daiki. Così vicino poteva ammirare ogni singolo dettaglio del volto di Ryota. Non riuscì a trovare neanche un difetto e non si stupì affatto che faceva il modello ed era pure piuttosto famoso. Persino il suo profumo era buono ed avvolgente.

“Ti sembrerà stupido ma… avevo un brutto presentimento. Ti conosco e sapevo che saresti andato a giocare anche da solo. Visto le continue raccomandazioni di Momoicchi ho pensato che era meglio verificare che non ti succedesse niente. L’intento era quello di osservarti senza farmi vedere, ma quando sono arrivato eri già per terra e non potevo certo far finta di niente.” Kise sorrise tristemente, sperando che Daiki lo perdonasse almeno un po’.

Dunque non aveva visto tutta la scena. Daiki si sentì rincuorato. “Prima non hai risposto alla mia domanda. Hai detto solo che per te non è facile.”

Ryota sembrò in imbarazzo. Forse aveva sperato che Daiki si fosse dimenticato di quella risposta e non insistesse oltre sull’argomento, ma si rese conto che era ingenuo pensarlo. Sospirò e infine trovò il coraggio di confessarsi. “Ho iniziato a giocare a basket solo grazie a te. In pratica, si può dire che sei il mio idolo, la persona che più di tutte ammiro. Quando ho saputo del tuo incidente rimasi sconvolto. Era come aver perso la propria fonte d’ispirazione e il proprio obiettivo insieme. Quest’ultimo mese è stato terribile. Ho persino saltato molti allenamenti e qualche partita. Era come se il basket non avesse più senso. Poi ti sei svegliato e quando ho ricevuto la telefonata di Momoicchi ero al settimo cielo, ma sapevo che tu non saresti stato più lo stesso di prima, non subito almeno. Per quanto bravo, è logico che il tuo fisico abbia pesantemente risentito dell’incidente e del mese di coma. Io non potevo sopportare l’idea di vedere te incapace di giocare a basket. Sarebbe stato un trauma per me. Per questo non sono venuto oggi. Il pensiero che sei uscito da poco dall’ospedale mi avrebbe annebbiato la mente e non sarei riuscito a giocare decentemente. Io so quanto detesti gli avversari che non si impegnano al massimo contro di te. E l’ultima cosa che vorrei è essere detestato da te.”

“Idiota” disse solo Daiki, di getto. Ryota lo guardò con espressione interrogativa ma non offesa, convinto di  non aver fatto nulla di male da doversi meritare un simile insulto. “Non capisci che rifiutandoti di giocare è anche peggio di giocare senza impegno?”

Ryota si arrestò di colpo (e con lui, per forza, anche Daiki), come colto da un’improvvisa illuminazione. Non ci aveva minimamente pensato. Così facendo aveva involontariamente offeso i sentimenti e l’orgoglio di Aominecchi. Idiota era anche poco, pensò.

“Mi dispiace, non ci avevo proprio pensato.”

“Non saresti un idiota, altrimenti” ribadì Daiki, ma senza vera cattiveria. Sciolse l’abbraccio, ormai certo di poter proseguire a camminare senza bisogno di una stampella umana.

“Ah, sei sicuro che…”

“Sì, sì, ce la faccio!” Fece un paio di passi e la gamba non gli diede alcun problema.

“Comunque ti accompagno lo stesso!” disse Ryota e Daiki lo lasciò fare. Non mancava molto per arrivare a casa sua.

Il discorso era stato illuminante, ma deludente. Kise gli aveva esplicitamente detto che per lui non era altro che un esempio da seguire: in pratica non riusciva a vedere in Daiki qualcosa di più di un giocatore di basket. In fondo, cosa si aspettava? Prima di quel momento non aveva mai dedicato a Ryota alcun tipo di attenzione che esulasse dalla pallacanestro, e adesso si aspettava persino che gli mostrasse dei sentimenti che lui per primo non aveva mai pensato di provare?

Il suo viso si adombrò e Ryota lo guardò più preoccupato che mai. “Aominecchi…”

“Ho detto che ce la faccio!” lo interruppe aspro Daiki. Persino essere chiamato per cognome gli dava fastidio, come se, nonostante il vezzeggiativo, Ryota ergeva una barriera insormontabile tra di loro.

Arrivarono alla meta. Le luci alle finestre erano tutte spente. “Non c’è nessuno a quest’ora?” chiese Ryota.

“No. Ultimamente i miei stanno facendo un sacco di straordinari a lavoro.” Anche se non glielo avevano detto, Daiki aveva compreso che il suo incidente era costato molto in termini economici. Per questo, le finanze domestiche andavano risanate con parecchie ore di lavoro in più. Ciò si traduceva in notti trascorse a dormire da solo in casa e in cene fredde da riscaldare nel microonde con le scuse di sua madre scritte su un bigliettino. Anche il fatto che al suo risveglio ci fosse Sastuki ne era una prova. L’amica gli aveva spiegato che sua madre sarebbe rimasta ventiquattro ore su ventiquattro al suo capezzale, ma era umanamente impossibile. Per questo, Sastuki si era proposta di darle il cambio e permetterle di riposare.

“Allora è meglio che rimanga con te.” Daiki gli lanciò un’occhiata carica di perplessità e Ryota si apprestò a chiarire la sua proposta. “Nel caso ti sentissi male di nuovo.”

Quel ragazzo non conosceva mezze misure: era passato dall’evitare completamente Daiki al volergli restare appiccicato tutto il tempo. Non che l’idea in sé dispiacesse poi tanto a quest’ultimo, ma si sentiva trattato più come un invalido incapace di intendere e di volere che come un amico infortunato.

“Come vuoi” gli rispose semplicemente.

Entrati in casa, Daiki si diresse verso il soggiorno, dove si sdraiò mollemente sul divano e stese la gamba per rilassarla.

“Hai bisogno di qualcosa?” chiese servizievole Ryota con il suo sorriso da copertina.

“No” rispose tranquillo l’altro.

“Vuoi un po’ d’acqua?”

“No” ripeté Daiki e questa volta un velo di irritazione trasparì dalla sua lapidaria risposta.

Ryota non se ne curò. “Hai fame?”

Kise, piantala! Non voglio niente, ok? Smettila di trattarmi come se fossi un handicappato!”

Ryota stava cercando di rendersi quanto più utile al compagno, ma stava ottenendo solo l’effetto contrario, di nuovo. Non poteva sapere cosa si provasse a trovarsi nelle condizioni di Aominecchi, ma di certo doveva trattarsi di una prova psicologica ardua. Per questo, nonostante l’atteggiamento poco carino dell’altro, Ryota non si sentiva offeso. Era certo che la rabbia di Daiki non fosse rivolta a lui, ma al suo infausto destino.

“Cavoli, Aominecchi! È come giocare un uno-contro-uno con te: qualsiasi cosa faccia non va mai bene” disse, grattandosi la testa.

Daiki si portò il braccio destro sugli occhi. Ryota non aveva colpa, eppure stava sfogando tutta la sua frustrazione su di lui.

Ripensò a tutti gli allenamenti saltati. A tutte le partite non giocate. Il destino lo stava punendo per la sua superbia, togliendogli la capacità di muoversi libero come vorrebbe. Avrebbe dato qualsiasi cosa per ritornare a saltare, correre, dribblare, schiacciare senza paura di stramazzare al suolo in preda a dei dolori allucinanti. Si ripromise che, una volta guarito, non avrebbe mai più snobbato gli avversari o i suoi stessi compagni.

“Quando ero in coma ho fatto un sogno” esordì all’improvviso. Ryota rimase impalato davanti a lui pronto ad ascoltarlo. “Ero diventato un giocatore dell’NBA. Ero ancora un novellino, in verità, ma poco prima di svegliarmi ero riuscito ad esordire nel campionato americano e fare persino una schiacciata. Questo è sempre stato il mio più grande desiderio, ma adesso, per colpa di questo incidente…” si interruppe. La rabbia e l’impotenza gli strozzavano la gola impedendogli di continuare.

Era come se Dio gli avesse mostrato il Paradiso abbastanza a lungo da farlo assuefare a quella beatitudine, per poi chiudere sadicamente i cancelli e farlo precipitare sulla Terra, nella crudele realtà. E poi c’era Ryota: un elemento altrettanto importante di quel Paradiso irraggiungibile.

Aominecchi.” La voce di Ryota era morbida e calda come una carezza. Lo sentì più vicino e, quando scostò il braccio, lo vide seduto accanto a sé sul divano.

In un impeto di tenerezza, Ryota lo abbracciò. Probabilmente, pensò, anche questo gesto avrebbe suscitato una reazione negativa nell’altro, noto predicatore della bellezza dei seni prosperosi: troppo etero ai suoi occhi per concedersi di godere di un abbraccio tra maschi. Ma tutto ciò non aveva alcuna importanza per lui. Voleva solo fargli sentire il proprio affetto e alleviare un po’ le sue pene. “Le tue gambe guariranno, ma non devi commettere sciocchezze. Per questi giorni riposati. Avrai tanto tempo dopo per poter giocare e realizzare i tuoi sogni.”

Ryota era una tentazione irresistibile. Le sue parole erano come miele e il suo profumo inebriante. Sapeva che lui non ricambiava i suoi sentimenti e che quello era solo un gesto di solidarietà tra vecchi amici, ma non riuscì comunque a trattenersi. Lo strinse a sé, così forte da schiacciarlo contro il proprio corpo fino a sentire il battito del suo cuore.

Veloce.

Possibile che l’altro si fosse emozionato? No, probabilmente era solo disorientato dal suo gesto.

“Riesci sempre a sorprendermi” gli disse Ryota, per nulla dispiaciuto da quel contatto così intimo. Anzi, ne sembrò persino felice.

Era davvero possibile che…

Si scostarono quel tanto che bastava per potersi guardare dritto negli occhi. Stranamente, quello più incredulo dei due era proprio Daiki. Eppure, Ryota aveva detto che lui era solo un idolo da seguire, che gli piaceva come giocatore, non come ragazzo. Allora perché lo stava guardando in modo quasi languido, come se per tutta la vita non avesse aspettato altro che quel momento?

Daiki dovette lasciare l’iniziativa a Ryota, sperando che ciò che vedeva nelle sue iridi d’ambra non fosse una nuova, spietata illusione.

Il volto di Ryota si fece più vicino al suo. Sentiva sulle labbra il suo respiro rovente. Si specchiarono l’uno negli occhi dell’altro, poi, guidati da un istinto ancestrale, entrambi li chiusero per meglio assaporare il bacio che seguì.

Ryota era decisamente più esperto: chissà quante ragazze aveva baciato prima di quel momento. Da prima casto, il bacio divenne più appassionato quando percorse con la lingua il contorno delle labbra di Daiki, per poi intrufolarsi tra di esse.

Ogni pensiero, ogni frustrazione, ogni dolore si dissolse come una bolla di sapone. Rimase solo il desiderio di annegare in quel piacere e sfiorare ancora una volta quel Paradiso che gli era stato negato.

Quando Ryota si sollevò appena per riprendere fiato aveva un bellissimo sorriso stampato in faccia. Daiki si chiese invece che espressione avesse lui in quel momento.

Kise, tu…”

“Non pensi che sia il caso di chiamarmi per nome adesso, Daikicchi?” Nel sentirsi chiamare così, la mente di Daiki recuperò alcuni frammenti di sogno sovrapponendoli alla realtà, quasi a voler fare un confronto.

“Credevo che ti interessassero solo le ragazze.”

“Potrei dire la stessa cosa di te” rilanciò Ryota e in effetti non aveva tutti i torti. “In realtà, si può dire che è da quando ti ho conosciuto che le ragazze non mi interessano più come prima. Mi apparivano tutte uguali e noiose. Non è facile da spiegare, ma alla fine ho capito che l’unico che mi piaceva davvero eri tu, e non soltanto nell’ambito del basket.”

Daiki invidiò la naturalezza con cui il compagno esprimeva i suoi sentimenti. Dal canto suo, avrebbe potuto raccontargli ciò che aveva sognato su loro due, ma non era più necessario ormai. A Ryota bastava sapere che i propri sentimenti erano ricambiati, e di questo Daiki fu grato.

Ryota si abbassò di nuovo per baciarlo, ma Daiki gli premette due dita sulle labbra per fermarlo. “Non pensare che questo sia sufficiente a farti perdonare: mi devi ancora un one-on-one.”

Ryota non poteva chiedere niente di meglio di giocare ancora una volta con il suo Daikicchi, ma solo dopo la sua completa guarigione.  

 

 

Note dell’autrice

Come prima cosa, devo dire che l’idea per questa shot mi è stata ispirata da un’altra storia, ovvero questa:   Sono tornato di AomineTetsuya_chan  la diretta interessata neanche lo sa XD

Mi sembrava doveroso puntualizzarlo!

Non c’è stata alcun tipo di premeditazione riguardo questa che ormai è diventata una serie vera e propria. Quando scrissi la prima shot avevo pensato di fermarmi lì, poi è arrivata l’ispirazione per la seconda ed eccomi qui con una terza shot (penso che molto probabilmente sarà l’ultima, ma chi può dirlo: l’ispirazione è una chimera). Si potrebbe benissimo pensare quindi che usare la parola Dream nei titoli delle due precedenti storie avesse solo lo scopo di anticipare subdolamente quella che poi si sarebbe rivelata la realtà, ma, come detto, non lo avevo minimamente pensato!

All’inizio del capitolo ho scritto che potete accettare o meno questa storia come il finale delle due shot precedenti, ma potete anche leggerla come storia a sé, slegata dalle altre due. Considerate questo, da parte mia, solo come una proposta di finale: a voi se accettarlo o meno ^^””

Per questa volta ho sorvolato su una possibile scena lemon, poiché volevo incentrare l’attenzione di più sull’introspezione di Aomine: per una volta, volevo descrivere un lato più debole di lui e immaginare come potrebbe reagire se gli venisse tolto il basket che ama ma che negli ultimi tempi aveva ignorato per superbia. Non credo di aver reso bene quello che volevo dire (quando mai, poi), ma non credo avrei potuto fare meglio di così D:

Per quanto riguarda Momoi, preciso che non c’è alcun tipo di riferimento ad una qualche possibile relazione sentimentale tra lei e Aomine: come personaggio mi è indifferente in realtà, ma volevo tanto scrivere qualcosa sul tipo di legame che c’è tra lei e Aomine, in cui mostrare una scena di autentica amicizia tra ragazzo e ragazza.

Commenti, critiche, riflessioni e quant’altro (non mi stancherò mai di dirlo) sono sempre molto graditi!

   
 
Leggi le 10 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Kuroko no Basket / Vai alla pagina dell'autore: redseapearl