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Autore: Amy Tennant    15/02/2013    6 recensioni
John Smith e Rose Tyler sono insieme e un altro Tardis sta crescendo nel mondo parallelo, nei laboratori di Torchwood. John però sente che qualcosa sta cambiando ed è qualcosa di cui neanche il Dottore era pienamente consapevole.
Una fine può essere l'inizio di qualcosa di totalmente inaspettato.
Anche per Rose.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Le luci verdastre del corridoio rendevano il portello metallico, largo quasi come la parete di fronte, ancora più scuro e sinistro. Diversamente da altrove, le pareti di quel settore erano grigiastre e ruvide. Sembravano impregnate di qualcosa di oleoso.
John le guardò impensierito e poi le sfiorò con esitazione. La sostanza era liquida, inodore. A stento vinse la tentazione di portare le dita alle labbra e assaggiarla.
-          Che cos’è? – sussurrò uno dei ragazzi piuttosto inquietato. John abbassò gli occhi con espressione tesa.
-          E’ il segno che purtroppo ci siamo, le prigioni esistono e sono piene – disse con un velo di voce.
-          E questo…?
-          Credo si tratti di un residuo di solidazione. Siamo vicini ad ambienti isolati dall’esterno in modo speciale – i ragazzi lo guardarono interrogativamente e John sospirò nervosamente toccando ancora il muro – è ciò che accade in presenza di isolanti psichici. Non si tratta di schermi solo contro l’attività telepatica esterna. Alcune forme di comunicazione potrebbero avvenire in senso chimico e il residuo di solidazione è un sottoprodotto dell’azione delle spugne che trasformano le interazioni chimiche in materiale inerte e totalmente privo di connotazione psichica.
-          Quindi questa cosa è…?
-          Pensiero liquido e… gocciolante, sì – Lakil emise un debole gemito e lui lo guardò con comprensione.
-          È disgustoso… – mormorò Lena.
-          Non è disgustoso ma terribile – disse John abbassando lo sguardo e cercando di restare calmo. Ma non era facile.
Una volta era stato su una nave che sembrava sudare, visto lo stato delle sue prigioni.
Una nave che…
Si irrigidì. Il dolore tornava, non doveva pensarci. Non doveva pensare a sé stesso allora.
Si portò la mano al petto un istante, senza neanche rendersene conto, ma Lakil era vicino a lui e lo guardò con apprensione perché sapeva che sarebbe stato più debole di lui fisicamente; come lui sapeva che mentalmente Lakil avrebbe potuto avere un crollo e quindi doveva sostenerlo.
Certo non poteva farlo nessun altro.
Per l’ennesima volta John pensò che doveva concentrarsi maggiormente perché qualunque cosa lo toccasse emotivamente lo scopriva ad altre sensazioni. Solo Rose faceva eccezione ed ancora non comprendeva pienamente il motivo. Forse perché il suo pensiero era legato anche a qualcosa di fisicamente molto intenso e piacevole per lui e iniziò a considerare la cosa dal punto di vista razionale. Era interessante. Il dolore si allontanò del tutto e sorrise senza rendersene conto. Lo fece anche Lakil percependo in lui qualcosa che aveva respinto la sofferenza.
John però continuava a sentire quella nota profondissima, terrificante, dentro. E il ritmo di quel suono disturbava i suoi pensieri ma anche il suo respirare. Probabilmente anche l’aver preso una dose inferiore di farmaco aveva attutito gli effetti positivi, oltre che i collaterali. Il suo polso era accelerato. Non solo per la tensione istintiva. La sua temperatura corporea si stava alzando, di nuovo.
Sperò di non perdere la lucidità proprio nel momento in cui gli sarebbe stata più utile ma quel suono era al limite dell’insopportabilità.
Fu contento che Lakil lo ignorasse perché stava cambiano e cercando di seguirlo, la sua mente sembrava vagare, sprofondare in qualcosa che lo attraeva e spaventava. Non era qualcosa di umano, questo era certo.
Era il signore del Tempo ad esserne profondamente inquietato.
 
Aprire quella porta non era stato difficile e l’ultima delle cose troppo semplici, per i suoi gusti. Non avevano incontrato più nessuno, non sembrava che quella parte dell’edificio fosse sottoposta a particolari misure protettive o di custodia. Era tutto troppo calmo, tutto come in attesa di altro.
Quando entrarono in quello che secondo le informazioni della squadra che aveva al seguito era il laboratorio, John sperò che la sua mente, in quel corpo più fragile, riuscisse a sopportare la sollecitazione che stava per affrontare. Sapeva infatti che quel che avevano sentito era nulla, rispetto a ciò che poteva travolgerli. E il pensiero andò anche al bambino alieno, molto più sensibile di un signore del tempo. Soprattutto ai lamenti della propria specie.
La tensione lo stava stritolando dentro e quel dolore al petto si era fatto più pressante, come ancora più sordo e profondo quel suono misterioso.
Perché iniziava a sentire chiaramente che quel suono aveva un odore?
Era una strana sinestesia. Lo turbò più di quel che ammise a sé stesso.
 
Entrò per primo d’istinto sebbene gli altri fossero armati, lui no. Non era neanche riuscito a prendere in mano la pistola che Lakil gli aveva porto solo toccarla lo aveva disturbato. E ancora una volta pensò che l’effetto di Rose sulla sua natura, era stato più veloce di quanto potesse credere anche il Dottore.
Entrando purtroppo fu come pensava. Dominò il suo limite fisico con apparente freddezza e dopo qualche istante. Non Lakil.
Gli stava letteralmente addossato e ad un tratto lo aveva preso per mano, proprio come un bambino umano. Sarebbe potuta sembrare una situazione imbarazzante ma non lo era per nessuno dei due. Era giovane, terrorizzato a morte e considerava, per forza di cose, lui l’unico adulto. Gli chiedeva quindi protezione istintivamente ed istintivamente lui si sentiva in dovere di dargliela.
Chiaramente aveva intravisto più di qualche sguardo ironico, da parte della squadra. Lena era visibilmente imbarazzata dal suo comportamento.
Era il problema della specie di Lakil. Fisicamente poco forti. Mentalmente molto complessi ma dallo sviluppo lento, in certi sensi. Altrove, nell’universo da lui conosciuto, questo aveva causato loro una serie di problemi; dove si trovavano invece, evidentemente ne avevano avuti altri.
La gente cui apparteneva Lakil aveva quella che veniva definita capacità di generazione, ossia quella di creare da qualunque traccia biologica un corpo ospite in grado di essere il loro per sempre, se non aveva incidenti. Il processo però era doloroso. Soprattutto se la matrice, quella che loro consideravano l’anima, era stata rimossa dal primo corpo e danneggiata. Magari per essere buttata nella spazzatura.
Lakil doveva essere uscito da quel laboratorio come rifiuto. E John sapeva che il suo essere quasi umano dipendeva dal fatto che era stato gettato con resti non alieni.
Voleva dire che lì dentro non solo gli alieni venivano fatti a pezzi.  
Si chiese allora se la missione di salvataggio cui avevano accennato non fosse per costoro più che per gli altri. A lui non importava di certo. Chiunque fosse torturato e ucciso in quel luogo era una vittima. E basta.
Si sentiva in colpa solo di non essersene reso conto prima.
In ogni caso lì non venivano fatti a pezzi solo i corpi ma anche le menti.
Il pensiero di Catherine lo assalì prepotentemente.
Chissà se stava già succedendo, se stava già accorgendosi di qualcosa di strano. L’aveva percepito in lei, toccandola. Lo scollarsi della sua coscienza da quel che restava della donna precedente.
Come avrebbe potuto definire quella donna? Tragicamente umana in un nuovo senso, quello di quel mondo così sinistro da aver concepito da sé la minaccia dei Cyberuomini.
Intanto, vista la situazione aveva allargato il raggio di protezione del dispositivo d'ccultamento incanalando parte del segnale su uno dei loro. Il ragazzo robusto l’aveva guardato abbastanza seccato.
-          Io ero sicuro che avresti potuto sistemarli tutti subito – gli aveva detto acidamente ma poi aggiunto un sorrisetto. Simile a quello che gli aveva rivolto lui come ammissione.
Una delle cose che gli era stata chiara da subito era il fatto che quel ragazzo non fosse stupido, che Lakil e Lena fossero abbastanza incompetenti e spaventati e che invece quello che pensava di essere a capo, fosse certamente il più pericoloso e ottuso del gruppo. Una cosa che tra gli umani succedeva troppo spesso per i suoi gusti.
-          Avete uno schema del circuito di sorveglianza, vedo – disse guardando di sfuggita una delle mappe osservate dai ragazzi.
-          Sì… dobbiamo disattivare …
-          Ho isolato le telecamere prima – disse con un sorrisetto. Si guardarono perplessi. In effetti aveva vagato per gli angoli della stanza un paio di minuti. Sempre con Lakil per mano, ovviamente.
-          Si tratta di quattordici punti video…!
-          Quattordici e due derivazioni, per essere precisi – puntualizzò.
-          Ma davvero tu…?
-          Oh, forte il Dottore… ! – disse Lena e le lui sorrise. Sorrise in un modo che la fece arrossire e quindi abbassò gli occhi mentre Lakil la guardava perplesso.
-          Hai usato sempre quel coso?
-          Questo coso mi ha salvato la vita innumerevoli volte! – protestò quasi offeso. Certo sarebbe stato corretto anche aggiungere che non si trattava propriamente del medesimo oggetto e della stessa vita, visto che entrambi erano per lui nuovi di zecca, ma si trattava pur sempre di sofismi. Quelli che potevano calmarlo in quel momento.
-          Lakil… hai un comportamento imbarazzante… – mormorò il ragazzo a capo del gruppo guardando sia lui che John con un certo disprezzo.
-          E stai tremando come una foglia! – aggiunse l’altra ragazza con tono ironico.
-          Ecco, io…  -  Lakil sentì che la mano alla quale si aggrappava l’aveva stretto con più forza e rivolse uno sguardo riconoscente a John.
-          Siamo nell’anticamera dell’inferno, per questo trema – disse John con lo sguardo fisso su quell'ultima porta che aspettava di essere aperta e i ragazzi cambiarono subito espressione  – già da qui… io sento provenire delle urla orribili quindi… - sorrise ironicamente – se per caso mi vedrete tremare sarà anche per la paura perché fanno, paura. E siete fortunati ad essere così sordi.
 
***
 
Rose guardava le mani della dottoressa Lane muoversi velocemente su quello strano oggetto come solo avrebbe pensato di vedere quelle del Dottore. Sembrava che sapesse esattamente come fare, nonostante avesse detto di non avere idea di come procedere. In dieci minuti aveva smontato tutto e in due rimontato ogni cosa in modo che quella sveglia non sembrava neanche essere stata aperta per guardarvi dentro. Era decisamente incredibile. Rose non poteva fare altro che osservare la donna con ammirazione.
In realtà si sentiva a disagio, e lo era anche Catherine. Solo che oltre dieci anni tra le due facevano la differenza e la dottoressa sembrava molto più calma della ragazza.
Quando finì di sistemare i fili rivoltando ogni cosa, Rose notò una cosa che la colpì: sembrava utilizzare gli strumenti esattamente come John. Persino il cacciavite che aveva utilizzato per chiudere l’oggetto, l’aveva impugnato in quel suo strano modo e fatto ruotare tra le dita come faceva lui quando era soprapensiero.
Aveva compreso chiaramente a chi sembrava somigliare. A lui. In modo incredibile, in certi istanti.
Ma c’era anche dell’altro, che non riusciva a comprendere; e quella sensazione particolare, quando le era vicino.
-          Non capisco… è perfetto. Dovrebbe funzionare benissimo – disse dubbiosa. Catherine poggiò tutto sulla scrivania guardando il congegno di John per un istante. Il congegno completo – in ogni caso ha fatto bene a non registrare nulla su supporti preesistenti, il messaggio poteva essere intercettato.
-          Davvero pensa che anche qui…?
-          Non posso escluderlo. Comunque con questo ho finito, vediamo che succede! – Catherine le lanciò tra le mani la sveglia. Proprio come avrebbe fatto John. Rose la guardò turbata ma il momento non permetteva riflessioni troppo lunghe in proposito. Catherine spense la luce e Rose premette il pulsante della sveglia.
L’ologramma di John apparve nella stanza.
Rose vide come gli occhi chiari della dottoressa avessero avuto, nonostante la penombra, una scintilla. I suoi occhi ammettevano ogni cosa, ogni cosa sentisse. Rose cercò di concentrare la propria attenzione sul momento. L’ologramma era più stabile di come non le fosse apparso la prima volta, più concreto. Ma appena iniziò il messaggio, si resero conto che non era in sincrono. L’audio però era abbastanza percepibile.
Fu quello il momento in cui Rose si ricordò che nel messaggio John parlava anche di Catherine.
Ebbe un attimo di panico ma anche quello non poteva permetterselo.
-          C’è… modo di andare oltre questo punto? – disse Rose con tono urgente. Catherine le rivolse uno sguardo dubbioso, nell’ombra – dottoressa, devo andare avanti con il messaggio, questa è l’introduzione… - Catherine le si avvicinò e iniziò a trafficare con le rotelle dell’oggetto, proprio come avrebbe fatto John. Trovò incredibilmente come fare e il messaggio andò avanti. Ma non abbastanza. La voce di John risuonò nella stanza più chiara.
… Catherine è una vittima. Spero sia la sola ma ne dubito. L’ho toccata, Rose. L’ho voluta toccare per capire esattamente fino a quanto, fino a dove… si erano spinti. E ho avuto paura…
Le si gelò il sangue. Non era andato abbastanza avanti.
Vide Catherine impallidire a quelle parole, tremare. Stringere la scatola di plastica che emetteva il raggio di luce più forte, forse per non farla cadere dalle sue mani.
-          Dottoressa Lane…!
-          Allora… avevo ragione …  – disse in un sussurro e Rose la guardò sorpresa e turbata. Catherine le mise una mano su una spalla, come cercasse sostegno – … lui sa … ! – Rose comprese che qualunque cosa alla quale si riferisse John nel messaggio, stava diventando evidente anche per Catherine ma in modo che lei non riusciva a comprendere. Doveva essere successo qualcosa in quelle ore, qualcosa di sconvolgente.
Ecco il motivo per il quale la dottoressa era tornata indietro. Per parlare con lui di quello.
Ciò spiegava l’aria stravolta della donna, quella che Rose aveva notato appena l’aveva vista, prima di essere distratta da tutto il resto. Presa dall’urgenza del momento, Rose aveva solo pensato al messaggio e non si era chiesta di altro. Qualcosa che però sentiva essere importante.
-          Dottoressa, lei cercava John per … questo? – lei annuì.
-          Rose, non riesco neanche a spiegare cosa mi stia accadendo è assurdo … – il filo di voce della donna si era perso in un soffocato singhiozzo di tensione. Ma gli occhi di Catherine Lane, nonostante tutto, brillavano risoluti, sebbene si sentisse stravolta.
Era in gamba e coraggiosa. Rose lo ammise schiettamente a sé stessa.
-          Io vorrei poterla aiutare. Ma non so nulla.
-          So che è così, lo so. So che John invece ha capito. Ha capito tutto…
-          La prego…! Ora dobbiamo pensare a lui, io devo… - Catherine la prese per le spalle. Non vide i suoi occhi, la luce era poca, ma intuì il suo sguardo come fosse il proprio.
-          Rose… dove si trova John? – Rose esitò. Non era del tutto certa di poterglielo dire. Anche se il suo istinto le diceva di farlo. Catherine lo intuì – va bene… vuoi proteggerlo e devi capire che puoi fidarti di me – fece un lungo sospiro. Rose non sapeva una cosa importante – il dispositivo in laboratorio, quello a cui John lavorava, non ha niente a che fare con il Tardis – Rose si irrigidì per la sorpresa.
-          Ma io credevo che …  – lei scosse il capo.
-          Lo ha lasciato nel laboratorio perché l’attenzione si concentrasse sull’oggetto sbagliato - la dottoressa Lane ancora una volta sapeva qualcosa che lei ignorava. Rose si sentì ferita. Ma ciò che in quel momento le parve più evidente era il fatto che John si fidasse assolutamente di quella donna, più di quanto lei credesse - John ha nascosto i suoi progressi a Tashen. Tashen ha in mente qualcosa per il Tardis, qualcosa che io so fino ad un certo punto. Dovevo… riferire del progetto di John, era il mio compito.
-          Doveva spiarlo?
-          Aiutarlo e riferire del suo lavoro. Ma… Appena ho compreso cosa fosse il Tardis per John… io non ho potuto rovinare ogni cosa ne valeva… della sua vita – disse in un sussurro.
-          Al Torchwood non tengono alla vita di John. Probabilmente neanche mio padre – aggiunse con amarezza.
-          Non giudicare male tuo padre. Teme per voi. Tashen vuole impossessarsi di quella nave a qualunque costo ma non conosciamo il suo piano se non nei dettagli che ci riguardano. Noi siamo responsabili solo della parte scientifica del progetto. Tuo padre non è suo complice, non completamente e non più di me – aggiunse amaramente.
-          Cosa può avere in mente quel mostro? – Rose la sentì sorridere.
-          Qualunque cosa sia non ha fatto i conti con il Dottore – Catherine le prese una mano e la strinse forte. Rose la guardò nella penombra – fidati, Rose… fidati di me, io tengo molto a John. E so che purtroppo hai anche capito quanto – la lasciò e vi fu un istante di silenzio. Nessuna delle due disse nulla perché sarebbe stato inutile – bene allora, se ora ti fidi di me, cerchiamo di aiutare John e poi… io penserò al resto – aggiunse Catherine più piano. Rose esitò ancora ma appena un attimo.
-          John si trova al Torchwood – disse tradendo la tensione fino in fondo.
-          Cosa?  - la voce di Catherine si era nuovamente incrinata – perché… lui…?
-          Ha a che fare anche con lei, dottoressa. Quel che… diceva nel messaggio. Non so come ma ciò che fanno al Torchwood sembra riguardarla direttamente e lui si trova lì perché pensa che stiano facendo qualcosa di terribile nei laboratori, qualcosa che non può accettare continui.
-          Ho sempre sperato si trattasse di voci… – sussurrò Catherine.
Cosa poteva c’entrare con lei? Cosa poteva aver capito John soltanto toccandola?
-          Dottoressa, nel messaggio John dice che il Tardis sta per aprirsi e che ha bisogno che lo raggiunga dove si trova ora!
-          Al Torchwood…! – gemette. L’ultimo posto dove avrebbe voluto vederlo con il Tardis.
-          Mi ha detto che si aprirà in due momenti di cui solo il secondo stabilmente. Ma questo dispositivo deve essere accordato su qualcosa  – Rose ebbe un fremito di nervosismo.
-          Ascoltiamo John …  – Catherine riattivò il dispositivo. Entrambe rivolsero lo sguardo all’interfaccia.
Che improvvisamente tremò in modo strano.
E fu allora che per un istante, un istante lunghissimo, a fissare gli occhi Catherine furono quelli di un altro uomo. Un uomo anziano, vestito elegantemente, con un lungo mantello nero. Con gli occhi che erano quelli di John anche se non lo erano.
Degli occhi che sembravano paradossalmente più giovani.
-          Ma cosa…? – gemette stupita e spaventata insieme. Rose la guardò dubbiosa.
-          Dottoressa, sta bene…?
-          Non hai visto? – chiese allarmata.
-          Cosa intende…?
-          Non hai visto l’immagine olografica? – insistette. Rose rimase in silenzio. Non capiva. L’immagine aveva appena tremato ma non capiva cosa si riferisse la dottoressa – tu… non hai visto allora! – concluse con tono turbato Catherine scuotendo il capo – Rose…
-          Non capisco. Io vedo l’immagine tremare, l’immagine non è stabile…
-          Ma non lo è perché è come se sopra ce ne fosse un’altra – mormorò Catherine spaventata -  anzi… più di una… - fluttuava in un disturbo complesso, come vi fossero almeno una decina di sovrapposizioni, tutte contemporanee. Tutte presenti.
-          Ora l’immagine sembra ferma – disse Rose. Catherine annuì. Lo era perché in quel momento tutto sembrava essersi normalizzato. Ma era apparenza, qualcosa di instabile e glielo diceva l’istinto.
Sentiva quella sensazione crescere sentiva sussurri sommessi dentro, si sentiva circondata.
Si fece forza allora. Se John era in pericolo doveva aiutarlo e doveva aiutare Rose.
Deglutì a fatica cercando la parete con la mani si addossò proprio accanto alla porta. Rose la guardava turbata. Non sapeva cosa fare.
-          Rose…- mormorò con sforzo – continua con il messaggio.
-          Dottoressa… - Rose sentiva molto concreto il turbamento della donna ma la paura di non fare in tempo per John mise da parte ogni cosa per l’ennesima volta – andrò da lui. E’ la cosa migliore, non dovevo coinvolgerla non…
-          Non farai niente del genere, Rose Tyler… – disse con voce malferma ma tono deciso Catherine – ora facciamo come ha detto il Dottore. E’ la cosa migliore. E lo sai anche tu – Rose si irrigidì per il rimprovero e per come l’aveva fatto. Le era parso, nuovamente, di sentire John. Tuttavia aveva ragione.
Rose pensò che qualunque cosa stesse accadendo a Catherine Lane era davvero strana e inquietante.
Vide gli occhi lucidi della donna rivolti verso l’immagine di John che brillava nella stanza, come davvero potesse esserle di conforto in qualche modo.
 
  
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