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Autore: Para_muse    15/02/2013    2 recensioni
Elisabeth è una ragazza che sogna e poi realizza quello che vuole: va in America, lavora sul set di un telefilm abbastanza famoso e fa la fotografa. Quello che più ama fare nella sua vita è racchiudere in un click più soggetti. I soggetti che l'attirano. Uno in particolare lo ammira...sia con i suoi occhi che con il suo obbiettivo...una storia d'amore, d'amicizia, e di insicurezza che Elisabeth riuscirà, forse, a liberarsene.
*storia per metà betata*
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jared Padalecki, Jensen Ackles, Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '"The Second Chance" - Racchiusi in un...bookstory.'
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Premetto che io festeggio S. Valentino per la festa dei Single, quindi u.u eccovi il capito nel giorno del MIO S. Valentino u.u

La storia fa parte della serie: "The Second Chance" - Racchiusi in un...bookstory.
Dove fanno parte:
-Racchiusi in un... click. (FF)
- The Real Vanacy of Year (Missing Moment dal Cap 8)
- Fire in the Water (Missing Moment
Rossa dal Cap 21)

VI RICORDO ANCHE LA MIA ALTRA FF, DEDICATA A Jensen Ackles/Nuovo Personaggio. VISITATELA PURE QUI





Capitolo 27
 
Lady, you are…

 
Ottobre aveva spalancato le porte al mal tempo. E alle continue registrazioni giorno dopo giorno delle puntate di Supernatural. Quinta stagione, che andava alla grande, ma così sfiancante per tutti che non riuscivamo nessuno della crew a seguire la solita routine. Specialmente io che avevo ad una bambina ed un marito a cui badare. Non che prima Jensen mi fosse di peso, ma tornare a casa prima che lui finisse di registrare e preparare subito la cena non era una cosa facile da conciliare con Aurora che adesso richiedeva un po’ di tempo tutto per se.
Un’altra giornata stava svolgendo al termine, e sinceramente stavo letteralmente morendo di fame; ma continuavo a fare le foto per il sito e le solite still settimanali. Stavano finendo di girare l’ultima scena del nono episodio quando il mio telefono iniziò a vibrare.
Preoccupata, mi allontanai un attimo dal set, e lasciai andare al laccio la fotocamera, apprestandomi a rispondere.
- Pronto? – risposi.
- Pronto, mamma sono Aurora, chiamo dal telefono fisso di… - gracchiò la voce di mia figlia dalla cornetta.
Preoccupata iniziai a fare domande a raffica.
- Tesoro cosa succede? Stai male? Cosa hai? -.
- Calma mamma, sono okay! Il problema non sono io, ma il tempo. Mi vieni a prendere da Suzanne prima che inizi a piovere? Voglio tornare a casa… - borbottò con voce triste, facendomi rilassare solo un po’.
Mi porti una mano alla fronte ed emisi un respiro di sollievo, poi parlai: - Puoi aspettare due secondi? Io sto finendo qui a lavoro, cinque minuti e ti passo a prendere… - conclusi, voltandomi verso il set, notando che avevano smesso di girare. Finalmente!
- Tesoro abbiamo appena finito, veniamo io e papà. Arriviamo! – dissi, chiudendo la chiamata con un “Okay” felice.
Sorrisi e mi avvicinai ad un Jensen distrutto, seduto stancamente sulle sedia da regista.
- Cosa c’è? – domandò, afferrandomi un mano, avvicinandomi a lui con un strattone. – Andiamo a casa… - constatai, tirandolo giù dalla sedia. Mi fermò, stringendomi a sé di nuovo. – Io devo restare, ho da registrare ancora un po’… - disse, indicando il resto degli guest-starring!
- Oh, okay… avevo promesso ad Aurora che l’avremmo presa insieme! – esclamai, lasciandolo andare per tornare indietro. Le sue braccia mi strinsero di nuovo, e mi mormorò poche parole prima di lasciarmi andare con un bacio dietro l’orecchio.
- Prometto che appena finisco, arrivo. Promesso! -.
 
- Com’è andata oggi la giornata? Tutto apposto a scuola? – domandai, appena Aurora si fu sistemata sul sedile davanti, poggiando lo zaino nel sedile posteriore.
- Tutto apposto. La madre di Suzanne è stata molto cortese. Abbiamo mangiato un bel hamburger… - iniziò a gesticolare. Risi divertita, e pensai ai gusti di suo padre, a quando fossero “simili”.
- Hamburger eh? Quando volte ti ho detto di mangiare cibo sano? Ah, tesoro mio… - borbottai, scompigliandole i capelli, mentre con una mano tenevo fermo il volante per la strada lunga e dritta davanti a me.
- Oggi ho preso una A! – esclamò felicissima, saltellando sul posto. Lanciai un urletto di felicità anch’io, fiera che mia figlia sia così intelligente.
- Uh, guarda sta iniziando a piovere! – disse, toccando le gocce d’acqua che da fuori lasciavano lunghi segni sul vetro chiuso.
Attivai i tergicristalli e le gocce andarono via per far spazio a quelle nuove, grandi e numerose. Quello era un bel temporale. Meno male che stavamo arrivando.
- Mamma cosa c’è per cena? – domandò d’un tratto Aurora, voltandosi a fissarmi. Presa dalla strada, in un primo momento non pensai a cosa avessi preparato per cena, perciò dovetti fare inversione di marcia, per andare dritta al supermercato di fiducia, dove io e Aurora ci bagnammo in parte perché riuscii a parcheggiare proprio davanti la porta, o quasi.
- Cosa preferisci tesoro? – domandai alla piccolina, mentre camminavamo tra i vari reparti. Sembrava che avessi dovuto comprare solo un paio di cose. Infine uscii da li dentro con più di tre buste della spesa piene, e una piccola l’aveva tra le braccia Aurora, mentre io tenevo tutto, compreso l’ombrello mezzo rotto.
Comunque tutto, riuscimmo ad arrivare in auto, dove accessi fino in fondo l’aria condizionata.
Riuscimmo a riscaldarci le dita fredde e bagnate, e le punte dei capelli mezzi bagnati.
- Meno male che ho pure comprato le pasticche per il mal di testa e il raffreddore. Sicuramente tra un paio di giorno l’avremmo già beccato! – borbottai irritata, fissando la strada quasi deserta.
Finalmente ci dirigemmo a casa senza problemi. Che poi arrivarono quando posteggiai al bordo del marciapiede, non di certo sul giardino, posto più vicino per far scendere almeno Aurora.
Purtroppo non fu così, perciò iniziai a fare da corriere.
- Andiamo Aurora, scendi prima tu! – dissi, scendendo dall’auto, chiudendo subito dopo la portiera. Correndo verso la portiera mezza aperta dall’altra parte, la pioggia mi colpi in pieno, perché tagliente solo da un lato. Afferrando Aurora per un braccio per la portai avanti, riparandola alle spalle, dove avrebbe preso tutto l’acquazzone. Perciò a passo di formica, inciampando qualche volta, sul ciottolo per arrivare fin al portone di casa. Quando l’aprii e disattivai l’allarme, portai Aurora fin al bagno. Le indicai il phone e l’asciugamano. – Asciugati per bene, io sto arrivando! – esclamai, correndo verso l’auto, lasciando l’ombrellone dietro la porta. Avrei fatto in fretta, perciò afferrando tutte le buste della spesa. Mettendo lo zaino dietro la spalla, e afferrando la borsa, chiusi l’auto con un sonoro – ti,ti – e corsi verso casa, mentre un primo tuono in lontananza si faceva sentire. Saltai in aria per lo spavento. Avevo una paura matta dei tuoni. Cazzo!
- Mamma sei tu? – domandò Aurora dal bagno. Bagnata fradicia mi diressi in cucina dove il pannello di controllo per i riscaldamenti della casa erano spenti. Li accessi e li misi al massimo. – Si, sono io. Sono in cucina! – urlai, lasciando le buste scivolarmi dalle braccia, per far cadere tutto sul tavolo. Le mele caddero a terra. Mi abbassai per raccoglierle, e di colpo mi ritrovai a scivolare, con il sedere a terra e le gambe in aria. – Porca puttana! – esclamai, arrabbiata. E meno male che Aurora aveva il phone accesso. Stava imparando troppe di quelle parole che una fanciulla non avrebbe dovuto sapere.
- Mamma? – mi chiamò mia figlia una seconda volta.
- Cosa c’è? – esclamai frustrata, raccogliendo le mele per una buona volta, alzandomi da terra.
- Cosa ci facevi a terra mamma? – domandò Aurora con gli occhi vispi, dalla porta della cucina, dove la trovai in pigiama e bell’asciutta.
- Niente – sbruffai, lasciando tutto nel ripiano del tavolo, dirigendomi in bagno per asciugarmi. Afferrai un asciugamano e sfregai per bene i capelli, che lasciai umidi su una spalla. Poi mi tolsi i vestiti di dosso e infilai il pigiama, lasciando i vestiti zuppi tra i panni sporchi che avrei lavato l’indomani.
Tornata in cucina, iniziai a preparare la cena, tra le mani inesperte della pasticcione di appena sette anni.
 
- Mamma, tutto apposto? Vuoi un’altra aspirina? – domandò, accarezzandomi la fronte bagnata dall’acqua fredda che Aurora continuava a mettermi con il panno per far abbassare la febbre che sembrava non abbassarsi mai.
- No, tesoro. L’ho già presa… - sussurrai, con occhi semi aperti, vedendo la forma di mia figlia sfocata. Poi un colpo di sotto mi scosse da sotto le coperte bagnate, anche quelle, dal sudore.
- Wow. Scotti! Devi prenderla un’altra… mamma! – gridò quasi. La zittii voltandomi di spalle, e fissai la parte vuota del letto. I miei occhi si chiusero e stanca, mi abbandonai al calore stressante della febbre.
 
- Mamma! Mamma, svegliati! -, la voce squillante di Aurora, mi risvegliò dal sonno agitato. Aprii gli occhi e la luce dal soffitto mi ferii gli occhi.
- Ho chiamato papà, ha detto che sta arrivando il dottore! – esclamò, di fronte al mio viso, smuovendomi una spalla.
Sembrò avesse smosso il mondo. Una forte nausea mia attaccò la pancia, scesi di corsa dal letto, e per poco non ruzzolai a terra. La testa iniziò a girarmi forte e la stanza sembrava in balia delle onde.
Riuscii comunque ad arrivare al wc, e inginocchiandomi a terra, cercai di vomitare qualcosa senza risultato.
Era intossicazione, aggiudicare dai continui sputi a vuoto che facevo. A mamma veniva sempre.
- Mamma! Tutto okay? –. A quelle urla, la testa rispose con un colpo di martello secco. Che dolore.
- Non urlare! – esclamai, con voce secca, tossendo forte.
- Scusami…vieni andiamo a letto… - mi prese per una mano, mentre l’altra stringeva il coniglietto di peluche con cui dormiva da quando era arrivata qui in America. Non lo abbandonò nemmeno un secondo anche quando, mi aiutò a salire sul letto, per rimboccarmi le coperte pesanti. Stavo morendo dal caldo.
- Tieni mamma, misurati la febbre. Fra un po’ arriva il medico… - borbottò a bassa voce, cogliendo così il mio consiglio.
- Quanto amore? Che ore sono? – domandai, poggiando il termometro sulla tempia. Pochi secondi e iniziò a suonare. 37.9 “Perfetto”, pensai irritata, stringendomi sotto le coperte.
- Sono le due e mezza del mattino…-. E cosa ci faceva lei ancora alzata?
- Dovresti andare a letto tesoro! Domani hai scuola! – dissi, chiudendo gli occhi per la forte luce che proveniva dal tetto.
- Mamma domani è sabato. Non ho scuola! – esclamò ridendo piano, posandomi la benda umida sulla fronte. La tolsi, via, e mi voltai verso di lei.
- Non ne ho bisogno tesoro, vai a letto. Quando viene il medico vado io, tu stai tranquilla… - dissi, cercando di persuaderla. Ma non ci riuscii. Fino all’arrivo del medico.
Fu allora, che il Dottor Shapperd riuscii a persuaderla, mandandola in camera sua. Voleva visitarmi da solo. Anche se ero da sola con un medico, avrei preferito avere a fianco qualcuno, visto che era anche un uomo. E che non conoscevo.
- Suo marito mi ha chiamato dicendomi che lei stava male, ma non sapendo cosa le fosse successo. Mi spieghi lei per favore… - disse, sedendosi sul bordo del letto, tirando fuori dalla borsa di pelle, lo strumento per misura la pressione. Mi tirò fuori il braccio, e posizionando la fascia sulla parte alta, lo strinse, iniziando a pompare e a controllare la bolla con i numeri.
- Durante l’acquazzone di questa sera, mi sono bagnata tutta. Purtroppo non sono riuscita ad asciugarmi del tutto, dovevo preparare la cena a mio marito… che non è tornato a casa. E non so dove sia… sono andata a letto, non ricordo, forse per il mal di testa. Poi mi sono svegliata con la febbre alta; mia figlia mi ha aiutata con l’impacchi di acqua fredda… e ho preso una compressa dell’influenza credo ormai sette ore fa? Non lo so dottore… - borbottai, fissando il braccio stretto nella fascia.
- La pressione sembra bassa, molto bassa. Forse è virus… Ma non ne ho sentito parlare… cosa ha mangiato per cena? – domandò, prendendo lo stetoscopio. Mi fece segno di mettermi seduta. Mi alzai con qualche difficolta tra le coperte. Si tirò indietro, e mi alzò la maglia, scoprendomi la schiena nuda. Rabbrividii per il freddo.
- Ho mangiato solo una fettina di petto di pollo impanata. Non avevo molta fame, mi era passata per una nausea… - borbottai, prendendo un bel respiro. – Di nuovo per favore. Inspiri con il naso, ed espiri con la bocca -, disse, poggiando lo strumento di fero freddo sulle ossa della colonna. Sobbalzai di colpo.
- Ferma per favore… - mi richiamò, appoggiando una mano sulla spalla.
Feci come mi aveva ordinato, ed effettuando la respirazione, più volte, poco dopo mi ordinò di tossire. Sentii quanto fosse secca, perciò mi disse che mi avrebbe prescritto uno sciroppo.
Da quanto tempo non ne prendevo uno? E adesso invece…
- Ha vomitato? – domandò dopo avermi infilato una stecca di legno in bocca, controllando le tonsille.
- Diciamo di si. Non ho vomitato nulla perché non avevo niente in pancia se non la saliva in gola… - borbottai disgustata delle mie stesse azioni.
- Ho notato le tonsille rosse appunto. Aveva già digerito quindi la cena? Ho ha vomitato prima di cena? – domandò, posando gli strumenti dentro la borsa, prendendone altri.
- In realtà non ricordo, dottore. Avevo la febbre, ho avuto momenti di sonno. Dovrebbe chiedere a mia figlia – sussurrai piano.
- Guardi il dito per favore… - mi puntò il fascio di luce giallo, prima in un occhio poi nell’altro. Infine mi invitò a fare un test all’urina.
- Perché? – domandai, scendendo dal letto lentamente.
- Devo portarlo in clinica. Devo fare dei controlli – sintetizzò, portandomi fino al confine del bagno, dove mi chiusi e feci pipì con qualche difficoltà. Risi di quella scena quasi divertente. Un dottore sconosciuto fuori dalla porta del bagno di casa mia, con me dentro tutta sola, insieme a mia figlia che chissà cosa starà pensando.
“ Mia madre si sta facendo il dottore! Dovrei dirlo a papà!”. Che mente perversa la mia. Sarà la febbre.
- Eccola! – esclamai quasi, porgendogli il contenitore quasi a forma di bicchiere dove c’erano quasi tre dita di “cosa” gialla.
- Può mettersi sotto le coperte, abbiamo finito la visita – disse, accanto al comodino, dove afferrò una stecca che fece girare come un cucchiaio nel liquido dentro il bicchiere.
- Cos’ho? – domandai allora, stringendomi addosso il piumone tiepido. Avevo di nuovo freddo.
- Allora, febbre. Semplice febbre da raffreddamento! Forte, ma passerà con del paracetamolo che le prescriverò. E tosse, che passerà con lo sciroppo. Due volte al giorno, ma le scriverò qualcosa perché non se lo dimentichi. E poi tante vitamine B e C soprattutto, e ferro anche, perché lei è incinta… - disse, corrugando la fronte, mostrandomi il bastoncino bianco con segno positivo.
Fissai con occhi sgranati, e bocca aperta. Ma no, non poteva essere. Era improbabile.
“Meglio impossibile”, pensò la mia vocina soddisfatta.
- Sono incinta? – domandai a bassa voce, fissando adesso il dottore che gettava via il bastoncino nel cestino dietro la porta del bagno.
 
Non passai una notte facile. Al sorgere del sole, la febbre era diminuita, ma le nausee erano arrivate. Jensen invece no.
Mi alzai per l’ennesima volta sulle ginocchia, e gettai la testa fuori dal bordo del water. Ero stanca di vomitare il vuoto. Dovevo mangiare qualcosa, e forse sarei riuscita a vomitare qualcosa tipo una ciambella, o un bicchiere di the caldo. Non prima però di aver fatto il test che il dottore mi aveva lasciato, per vedere se davvero ero…incinta. Bhè lo ero e come.
Aurora dormiva tranquilla nella parte vuota di Jensen, stringeva il suo peluche, e il mio cuscino con una mano, sospirando ogni tanto in sogno. Almeno lei mi metteva il sorriso.
Dopo fiumi di lacrime che erano sgorgate dopo che il dottore era andato via e per l’ennesima volta mi aveva affermato che si, ero incinta, e che era stato possibile anche se quasi un anno indietro ebbi l’incidente.
Mi aveva prescritto una visita dalla ginecologa di fiducia per i primi di novembre. Forse allora si sarebbe già visto il sesso del bambino.
Di quanti mesi ero allora? Mi portai davanti al lungo specchio vicino all’armadio, e mi fissai dalla testa ai piedi, dietro il pigiama di lana pesante, che mi nascondeva le forme. Lo alzai appena, scoprendo la pancia nuda, e notai un rigonfiamento sul davanti e un po’ sui fianchi. E io che avevo pensato fosse solo un po’ di chili presi in grassi, visto che mi muovevo poco, a parte sul set, dove camminavamo invece di girare in auto.
- C’è qualcuno qui dentro e nemmeno me ne sono accorta… - sussurrai allo specchio, più che a me stessa.
Mio Dio, sarei diventata madre per la seconda volta, senza che me ne fossi accorta. Chissà quanto è stato concepito… forse durante la luna di miele. Rossa di vergogna pensai quante volte io e Jensen ci avevamo dato dentro, all’insaputa di una giovane Aurora. Poverina.
La mia piccola Rory.
Chissà come l’avrebbe presa… sicuramente avrebbe fatto un po’ la parte delle sorella maggiore, poco accudita, e dimenticata dai genitori. Ma non sarebbe stato così, perché sapevo quanto lei avesse bisogno di affetto. Non gliel’avrei sottratto per donarlo al bebè in arrivo. Erano pari. Erano entrambi miei figli.
Mi spostai dallo specchio, e mi ritrovai a pochi passi in cucina, dove mi preparai una tazza di thè che bevvi con qualche difficoltà, ritrovandomi d’un tratto lo stomaco chiuso.
I miei pensieri viaggiarono in una meta senza fondo quando, la parola o meglio, il nome Jensen mi si presentò davanti.
Cosa gli avrei detto? “Ehi, sono incinta!”. “Ho una bella notizia, sono incinta!”. “Sai il dottore ha detto che sono incinta! Felice?”. “Sono incinta!”. “Aspettiamo un bambino!”. “Siamo incintiiiii!”. “Prendila come te pare: sono incinta, ed è tuo!”. “Sono incinta! Non svenirmi ahahaha… E’ uno scherzo! No aspetta non tranquillizzarti, dicevo sul serio…sono incinta!”.
Scossi la testa e cerca di risvegliarmi da tutte quelle fantasie poco attraenti. Quelle non sarebbero stata mai un modo per dire a Jensen che aspettavo un figlio, o figlia, insomma un bebè. Sicuramente avrebbe preso un colpo, e poi… lui doveva essere con me. Doveva essere a casa, che fine aveva fatto? Mi aveva lasciato da sola tutta la notte, con la febbre a picchi così alti da poter toccare i 40° e di lui nemmeno l’ombra. Solo una telefonata al dottore. Così lui fa promessa al “in salute e in malattia”?
Afferrai il telefono e fissai l’ora. Le sei e trenta del mattino e di lui nemmeno l’ombra di uno squillo, di un messaggio in posta, o di un messaggio in segreteria telefonica. Son of the…
Cercai di trattenere tutta l’ira che mi assalii fino all’ultimo neurone del cervello.
Cercai il suo numero negli ultimi chiamati, e premetti INVIO.
Suonò all’infinito, poi scattò la segreteria: Sono Ackles, lasciate un messaggio. Staccai la chiamata, e riprovai di nuovo.
Sono Ackles, lasciate un messaggio.
- Son of the bitch! -, esclamai alla cornetta, dopo l’usuale segnale acustico.
Quella fu solo l’inizio di una lunga ascesa.
 
Jensen’s tiredness
 
Aprii la porta di casa con qualche difficoltà. Gli occhi volevano chiudersi da soli, ma cercai comunque di essere “sveglio”. Dovevo fare piano, erano solo le sette, e molto probabilmente entrambe le mie donne stavano dormendo.
Passai con passo felpato dalla cucina dove non trovai nessuno, nemmeno Elisabeth per la colazione mattutina. C’era solo la fetta di pollo impanata, che toccai e sentii fredda, quasi stecchita. Sarebbe stato la mia cena dal ritorno lavoro, ma ormai era immangiabile, perciò sempre con assoluto silenzio, tolsi di mezzo tutto, buttando la cena nel fusto della spazzatura.
Sparecchiai e mi ritrovai di nuovo con passo felpato a girovagare per casa. Mi avvicinai alla porta della camera di Aurora ma non sentii quel lieve respiro da bambina che di solito sentivo ogni mattina, quando mi alzavo e mi accertavo che tutto fosse okay. Perciò girai la maniglia e osservai l’immacolata stanza tinta beige, ordinata, con il letto in ordine, e i peluches al loro posto. A parte uno.
Mi diressi dunque nella stanza da letto, dove trovai, strette una all’altra, mamma e figlia, in un sonno abbastanza profondo. Il fiato di El si sentiva roco e disturbato dalla tosse, o dal muco per la febbre che forse ancora aveva. Quello di Aurora era invece tranquillo, e stanco.
Avevano passato sicuramente una notte abbastanza insidiosa, forse inevitabile, visto quello che era successo a Lei.
Mi avvicinai dal suo lato del letto, e la osservai, notando quando fosse bagnata per il sudore, e arrossata sulle guance. Sembrava molto stanca, e spossata dalla febbre.
Non volevo disturbarla, ma volevo avvertila che ero a casa. Poi che se ne sarebbe accorta o meno che ero a letto, o meglio che stavo per mettermi a letto, era un’altra cosa.
- Ehi, piccola… - le scossi appena la spalla, e le lasciai un bacio sulla tempia umida. – Elisabeth, amore – mormorai, stringendola un poco.
- Mmh, Jensen… vattene via – borbottò, tenendo gli occhi chiusi, stringendosi Aurora tra le braccia. Quel comportamento mi stupì. Perché adesso non mi degnava nemmeno di uno sguardo? Cosa le avevo fatto?
- Sono a casa, Elisabeth. Stai bene? Ehi, tesoro… - poggiai una mano sulla fronte, e notai che era quasi fresca. Sembrava che la febbre fosse scesa.
- Lasciami in pace, vattene via – borbottò di nuovo, lasciandomi un’altra volta di stucco. Cosa le prendeva adesso?
- Mi spieghi cosa c’è? – borbottai appena, irritato com’era da quella scena troppo strana ad occhi degli altri e miei soprattutto; parlavo con mia moglie che mi dava le spalle e continuava a fare finta di dormire, senza degnarmi nemmeno la minima considerazione.
- Non succede niente, vattene da Jared. Non voglio vederti, anzi non ti voglio in casa mia -.
Che cosa?
- Voltati, aprii gli occhi e spiegami cosa succede! – sbraitai quasi. Elisabeth si voltò di scatto e mi voltò un destro decisivo sul petto. Aurora si svegliò quasi di colpo.
- Mamma? Cosa c’è? Stai male? – balbettò con occhi semi chiusi e assonata. Poi alzò la testa, fissandomi, e sorridendomi appena. – Papà, sei tornata a casa! – si tolse di dosso la coperta, e si lanciò tra le mie braccia, calpestando sua madre. Elisabeth le urlò contro.
- Aurora non si fa così! Non si sale addosso alle persone! – urlò, puntandole un dito contro, mentre le mie braccia la stringevano in una morsa a koala.
Fissai il volto della bambina che sembrò più che mortificato, quasi addolorato dalle lacrime che spuntarono negli angoli degli occhi.
Abbassai lo sguardo su mia moglie alquanto arrabbiata, e scorbutica. Le lanciai uno sguardo di avvertimento, e sempre tra le mie braccia, portai la mia baby nella sua camera da letto, infilandola sotto le coperte fredde.
- Ti accendo lo scaldasonno, quando torno dal bagno, vengo a spegnerlo. Dormi ancora un po’ tesoro… - sussurrai, accarezzandole i ciuffi di capelli che le erano caduti sulla fronte, all’indietro.
- Va bene papà, ti aspetto qui – borbottò, stringendo Dean tra le braccia.
Stavo socchiudendo la porta alle mie spalle, quando mi sentii richiamare da Rory.
- Dimmi, tesoro… -.
- Non te la prendere con la mamma. E’ solo frustrata, tutto qui… -, sussurrò piano, nascondendo il viso sotto la coperta, per il freddo o per la timidezza di quelle parole.
Non so come avesse capito il motivo per il quale l’avessi portata nella sua camera, ma capii quanto Aurora, una bambina di appena sette anni, fosse intelligente.
La lascia con gli occhi chiusi e dirigendosi in bagno mi feci la barba, e poi una veloce doccia che mi riscaldò dalla freddura presa sul set per tutto il giorno e per tutta la notte. Kripke ci aveva dato forte stanotte. E quello che era successo a casa…cos’era successo? Ancora non l’avevo capito, ed Elisabeth non me l’avrebbe spiegato. Forse. L’avrei costretta, doveva spiegarmi cosa gli aveva detto il dottore. E perché Aurora avesse detto quelle parole…
Arrotolandomi un asciugamano alla vita, mi apprestai raggiungere di nuovo Aurora, dove addormentata si era già tolta una coperta. La ricoprii e spensi la coperta elettrica ormai calda. Uscito fuori nel corridoio, mi chiusi piano la porta alle spalle raggiungendo poi quella della camera da letto, socchiusa con la luce che tagliava il buio soffocato nel corridoio.
Vi entrai e chiusi anche quella piano, voltandomi a fissare Elisabeth che ad occhi chiusi respirava troppo velocemente.
- So che sei sveglia – borbottai, togliendomi l’asciugamano, restando nudo per indossare la solita canotta e gli boxer neri puliti. Velocemente corsi in punta di piedi sotto le coperte, dove portai le mie braccia e le miei gambe tra le sue.
Nemmeno un secondo di più, ed Elisabeth si allontanò e scese dal letto. Quasi cadde a terra e si aggrappò al suo comodino facendo cadere a terra la sveglia.
- Elisabeth attenta per favore! – borbottai a bassa voce, cercando di non urlare la mia rabbia.
- Me ne vado sul divano, non ci resto con te Ackles! – parlò tra un colpo di tosse e un altro, scappando via, portando con sé la trapunta che copriva il lenzuolo sul letto.
- Ehi! – esclamai, saltando giù dal letto, correndole incontro, afferrandola per la vita!
- No, Jensen, no! – gridò quasi, svincolandosi, togliendomi le mani da dosso.
Sgranai gli occhi quasi spaventato. Cosa succedeva?
- Elisabeth che ti prende? – domandai. Il suo sguardo spaventato quando il mio, si riempii di lacrime e corse a nascondersi in bagno prima ancora che esse potessero uscire.
Mi avvicinai la porta esausto.
- Tesoro, per favore mi spieghi cosa succede? Aprii la porta e parliamo da persone civili? Da marito e moglie? Da amici? Insomma “nella saluta e nella malattia” per te non vale? – domandai quasi certo ormai che non sarebbe uscita per nulla al mondo. Poco dopo sentii la porta aprire, e vidi il suo viso di un rosso scarlatto, bagnato da qualche gocciolina d’acqua, ma più sereno quasi.
- E’ tutto okay Jensen. Voglio solo dirti che mi scuso per questo strano comportamento, ma non ho intenzione comunque di perdonarti per quello che mi hai fatto! Insomma, abbandonarmi tutta sola, di notte, con la febbre, e una bambina di appena sette anni che mi aiutava…se non fosse stato per lei, a quest’ora sarei potuta andare in ospedale per la forte febbre! E per favore non mettere il musino perché non ci riesci a convincermi! E per favore (di nuovo) stanotte, sta’ dalla tua parte del letto, perché voglio dormire a pieni polmoni, grazie. – concluse, avvicinandosi al letto con quella maglia larga e lunga, che di solito usava per la notte. Sembrava non potesse essere sexy, ma la mia immaginazione mi lasciava pensare che fosse nuda sotto…
“Jensen ma che cazzo stai pensando? E’ tua moglie!”. “Ovvio che è mia moglie! Forse dovrei essere più gentile con lei…ha ragione!”. I miei pensieri andavano  e venivano mentre Elisabeth si mise a letto, rannicchiandosi dalla sua parte. Io salii dalla mia, e mi distesi supino fissando il soffitto illuminato dalle luci, che spensi poco dopo, facendo piombare la stanza in un buio sconcertante, e troppo silenzioso.
- Elisabeth? – chiamai a bassa voce, sperando che non si fosse già addormentata.
- Sono stanca Jensen! Sono quasi le sette e mezzo del mattino, vorrei semplicemente riposare la mente, solo quella! Se poi mi addormento è meglio… - borbottò con voce irritata, quasi isterica. Mi preoccupai un po’, e d’istinto mi avvicinai a lei poggiando una mano sul fianco che sembrava leggermente gonfio.
Elisabeth si scostò. Ed io ritornai dalla mia parte. Non voleva farsi toccare, e non capivo ancora il perché. Ma aveva appieno tutte le ragioni al mondo per starmi anche lontano per un semplice tocco. Era stata male, ed io non c’ero stato. Maledetto lavoro; domani Kripke mi avrebbe sentito! Ed Elisabeth mi avrebbe perdonato, forse.
 
*spazio autrice*
 
Allora…non venitemi contro u.u
Ci sarà un motivo se Elisabeth non avrà voluto dire nulla a Jensen. E se questo è il terz’ultimo capitolo, ancora c’è tempo per chiarire tutto no?
Forse direi … ma vabbè sono dettagli u.u
Per il resto, finalmente sta benedetta ragazza resta incinta, ed è possibile u.u per di più è riuscita a prendere la febbre durante la gravidanza, e non preoccupatevi, mi sono documentata prima di poterne parlare, e purtroppo può avvenire. Quindi se restate incinta, e vi viene la febbre, state attenti che questa non superi i 38.1 max. Può portare cose brutte al bambino D: e non p una bella cosa appunto… come siamo fatti strani eh?
Passando al capitolo, niente, la quinta stagione va a gonfie vele, Aurora va a scuola, Elisabeth è incinta, Jensen non lo sa, e per la PRIMA VOLTA C’è STATO UN JENSEN POINT OF VIEW *-* vi sono piaciuti i pensieri di Jensino carino?
Per me è stato strano, ma devo abituarmi, almeno per l’altra storia! U.u
Ve lo siete scordati già? Alla fine di questa magnifica FF a mio parere (buuu sei di parte, direte voi xD) sto pubblicando una NUOVA! DI FF OVVIAMENTE!
PROTAGONISTI: Jensen & Sybil
Vi piacerà, è molto…travolgente :3
Non vi dico altro. Il link lo trovate di sopra :D
Al prossimo capitolo. Il penultimo!
 
Xoxo Para_muse

 
 
   
 
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