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Autore: Melian_Belt    15/02/2013    3 recensioni
"Ho sempre guardato gli altri dall’alto in basso, disgustato dalla loro semplicità, dai loro aspetti banali, chi è questa creatura che in un momento di mia simile debolezza mi sta davanti?
Accenna un sorriso sulle labbra sottili, gentilezza ed eleganza solo nel modo in cui mi tende la mano guantata. Dev’essere l’alcool che mi fa sentire così in soggezione, che fa battere il cuore contro la cassa toracica, proprio a me che sono un’inarrestabile macchina da guerra, fatta per schiacciare gli altri sotto le scarpe."
Per chi mi conosce, prima ero Melian92! Buone feste a tutti!
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Richard rimane immobile per un istante, prima che una lieve risata gli scuota le spalle.
“Baby blues? Questo non me lo avevano mai detto”.
Scrollo le spalle e mi accorgo solo ora di avere un sorrisetto sulle labbra. Vorrei fare una battuta, in genere ho la lingua biforcuta, ma non ci riesco. La mia mente torna ad un piccolo foglio in un altrettanto piccolo cassetto e mi irrigidisco. Richard mi osserva di sottecchi e lo intravedo mordersi il labbro inferiore, poi socchiudere le labbra in un sospiro.
Apre il portone, un ampio braccio a tenerlo fermo per me. Sorride, ma non gli raggiunge lo sguardo e lo vedo che si sforza: “Bella giornata davvero, non trovi?”.
Annuisco, senza nemmeno guardare il sole che tinge le foglie degli alberi e il celeste del cielo tra i rami. Camminiamo in silenzio sul marciapiede, in questo strano giorno di Natale. Piano, Richard si rilassa e le sue ampie spalle si fanno meno rigide. Le mani nascoste nel cappotto, gli occhi assurdamente blu che si poggiano sulle acque fredde del fiume, ha un sorriso accennato sulle labbra. Intavola una conversazione e inizialmente io non riesco che a rispondere per monosillabi, ma col passare dei minuti la sua voce calda mi si deposita nel petto e comincio a parlare anche io, pur se solo per sentirlo rispondere. Non me ne accorgo nemmeno quando l’argomento diventa la mia famiglia e mi interrompo di colpo, occhieggiando una panchina illuminata dai riflessi dorati degli alberi.
“Vogliamo…”.
Gli faccio un cenno con la mano e lui annuisce, sedendosi con un’eleganza stanca e compassata, ma soprattutto incosciente. Poggia i gomiti sulle gambe e mi rivolge un sorriso non appena sono accanto a lui.
Nasconde appena la bocca tra le mani e scuote il capo con un cipiglio divertito. Corrugo la fronte:
“Cosa c’è?”.
“Nulla…è solo tutto…strano”.
Dovrei commentare qualcosa, ma la mia mente è momentaneamente ovattata. Devo avere un’espressione molto seria, ma sono solo concentrato nello studiare come le sue guance tendono ad arrossarsi per il freddo, a come le sue occhiaie, pur su una carnagione di neve, non sono scure.
Si schiarisce appena la gola e solleva lo sguardo verso l’alto, prima di nasconderlo nel cemento. Sorrido, pur con perenne malinconia: “Ti metto a disagio?”.
Si strofina le mani, le labbra piegate in una linea tra l’imbarazzato e l’umoristico: “Fissi sempre le persone in questo modo?”.
“Nah…” piego il collo, continuando a puntarlo con lo sguardo. “…solo chi mi interessa davvero”.
Accenna un risolino, che nasconde dietro un palmo: “Onorato, allora”.
Non sto a pensarci troppo sopra e allungo una mano, poggiandola sulla sua guancia fredda. Spalanca appena gli occhi e vi affondo, avvicinando il viso per baciarlo piano, per sentire il suo respiro interrompersi contro la mia bocca. Chiudo gli occhi e poggio la fronte contro la sua. Prendo un’ampia boccata d’aria e mi divido per qualche centimetro, la mano che sale nei suoi capelli.
Di nuovo vorrei fare qualche battuta, ma quando apro le palpebre l’attenzione mi cade sul suo stomaco. L’emozione mi corruga il viso e poggio piano il palmo sul suo busto. Le sue mani sono fredde, quando si stringono entrambe intorno alla mia.
Ho paura, io che mi ritenevo un uomo dall’anima d’acciaio. E a farmi cadere dalla mia torre di indifferenza è stato uno sconosciuto, nel breve lasso di tempo tra la Vigilia e il 25. Ho paura di vederlo scomparire, come se fosse uno dei fantasmi di Dickens, mandato solo per riportarmi sulla strada dell’umanità. Per poi andarsene, una volta terminato il proprio compito.
Diavolo, non è così che dovrebbe essere il primo appuntamento con una persona simile. Non dovrebbe farmi sentire senza età, l’emozione che provo solo a sentirlo vicino a me? Invece mi da la sensazione di essere un granello in una clessidra, in attesa del turno per cadere giù, verso lo scadere del tempo.  

  
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