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Autore: Tetrakis10    16/02/2013    0 recensioni
La mia prima fan fiction in assoluto. Genere romantico scolastico a base fantasy che è qualcosa di molto lontano dal gioco originale come sa chi conosce Dolce Flirt. I personaggi sono esattamente gli stessi, la storia è una versione inizialmente simile a quella ufficiale (ma poi man mano se ne discosterà sempre di più) in un universo parallelo in cui esistono esseri dotati di poteri magici. I commenti di ogni tipo sono ben accetti.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo
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CAPITOLO 1
 
“Questa non me l’aspettavo” pensai osservando l’edificio che avevo di fronte “le scuole non dovrebbero essere così”.
Era una grande costruzione moderna dai toni vivaci, con un ampio cortile sul davanti gremito di studenti, erano tantissimi,o meglio ero sicura che ce ne fossero veramente tanti perché sentivo un forte vociare di ragazzi e ragazze: voci eccitate, assonnate, irritate… dovevano essere migliaia ma non avevo il coraggio di alzare lo sguardo per controllare, evitare ogni contatto diretto, fosse anche incrociare lo sguardo, questa era la mia regola. Mi calai con forza il berretto sulla testa, spinsi gli occhiali sul naso, girai sui tacchi e mi allontanai con fredda determinazione dal cancello d’ingresso.
  • Danielle, ferma!
Mi sentii tirare la manica del giubbino. Era Adrianne, mia zia, la mia giovanissima zia come lei ci teneva a precisare, avevamo poco più di dieci anni di differenza, non sapevo la sua età precisa ma considerato che io avevo da poco compiuto 16 anni, lei sicuramente non era ancora nella trentina. Mi ero appena trasferita a casa sua, lei sembrava entusiasta della cosa, io un po’ meno. Non che non mi piacesse, chiariamo, adoravo Adrianne, ma non avrei voluto lasciare casa mia, ero arrivata in città da neanche due giorni e già mi mancavano i miei genitori e le mie montagne.
  • Devo incontrare la direttrice per finalizzare l’iscrizione, non puoi entrare da sola, è il tuo primo giorno.
Era vero, ma avrei tanto voluto che se ne fosse dimenticata. Non volevo trasferirmi in quella scuola, né in nessun’altra, ne avevo fatto a meno per 16 anni perché dovevo cominciare proprio ora?
Non ero mai entrata in un edificio scolastico prima di allora, tutta la mia istruzione era casalinga e c’era un’ottima ragione per questo, i Faire non potevano fraternizzare con gli esseri umani.
  • E se rimandassimo a domani? O anche dopodomani. Penso di aver bisogno di un paio di giorni per abituarmi all’idea.
  • Li hai già avuti. Adesso togliti questo cappello ridicolo e questi enormi fondi di bottiglia e seguimi dentro.
Si avviò decisa verso l’ingresso, io emisi un sospiro rassegnato e la seguii. Non mi tolsi né il cappello né gli occhiali però, era già abbastanza dura essere l’ultima arrivata, non c’era motivo di passare anche per un fenomeno da baraccone.
Ero una fée e come tale avevo i miei marchi di riconoscimento che non dovevano essere svelati.
Gli esseri umani erano sicuri di essere soli sulla Terra e che tutte quelle storie e leggende sulle fate che amavano raccontare ai bambini fossero appunto soltanto storie. Ma non era del tutto così, c’erano persone dotate di qualità particolari che non erano propriamente persone come tutte le altre, un’altra razza si confondeva con quella umana, i Faire erano individui speciali, ognuno con una sua caratteristica personale che i “normali” avrebbero definito sovrannaturale ma che in realtà era del tutto naturale, ed io, come tutti nella mia famiglia, ero una di loro. Ormai, però, eravamo una razza in via di estinzione, erano rimaste davvero poche famiglie di Faire sulla Terra, questo a causa degli accoppiamenti incrociati dalle specie, il gene che determinava la caratteristica “speciale” era recessivo, e la probabilità che da un matrimonio tra un normale e un fée nascesse un fée era davvero molto bassa. Per questo le poche migliaia di faire rimasti al mondo tendevano a rimanere tra loro e a non fraternizzare con gli altri.
Io avevo sempre vissuto ai margini di un piccolo villaggio di montagna, non avevo mai avuto modo di socializzare quasi con nessuno al di fuori della mia cerchia familiare, ci ero abituata ed ero contenta così. Avevo i miei genitori e i miei fratelli più piccoli e questo mi bastava.
Ma a quanto pareva questo non bastava a mia madre. Diceva che stavo crescendo come un’eremita, che non avevo contatti umani al di fuori della famiglia e che non poteva andare avanti in questo modo, che avevo diritto a farmi una vita normale come un’adolescente normale, ad andare a scuola e farmi degli amici.
Eppure io un amico ce lo avevo:  Ken. Ken era, in effetti, quello che poteva definirsi un amico, il mio unico amico. Ci conoscevamo da sempre, faceva parte dell’unica altra famiglia faire che abitava nei pressi di casa nostra nel giro di chilometri. C’era sempre per me, per qualsiasi cosa avessi bisogno, da piccoli giocavamo agli esploratori e facevamo finta di essere dei moderni Indiana Jones che andavano alla scoperta del mondo. Ora che ero partita mi mancava davvero molto, preferivo non pensarci.
  • Ancora con quella roba addosso? Non succede niente anche se te la togli.
Adrianne si fermò appena prima di varcare i grandi cancelli che conducevano al cortile guardando con disappunto il mio cappello e gli occhiali.
Era vero, non ne avevo strettamente bisogno, non era una giornata fredda e ci vedevo benissimo, però dovevo indossarli.
Tutti i fée avevano un proprio potere, ma oltre a ciò avevano un segno distintivo che andava oltre il potere speciale che li rendeva tali, un elemento fisico che svelava la loro vera essenza a chiunque li guardasse. Questi segni erano del tutto individuali, legati alla personalità, ed erano più o meno evidenti a seconda dei casi. La maggior parte aveva le orecchie a punta, si diceva che questo fosse sinonimo di una personalità eclettica e vivace, e di certo non era il mio caso. Il mio problema erano i colori, ero bianca come il latte, ma a parte questo avevo i capelli di un rosso acceso, non un rosso umano e neanche la tipica tonalità da tintura, era il colore del fuoco ardente che non avrei mai potuto far passare per naturale, ed anche i miei occhi erano strani per chiunque li guardasse, erano viola, non blu scuro, ma un viola luminoso, sembrava avessi due grosse luci al led nei bulbi oculari. Gli occhiali erano due spesse lenti leggermente oscurate che facevano sì che gli occhi sembrassero più piccoli e spenti, di un banale azzurro scuro tendente al grigio. I capelli erano ben legati in una stretta crocchia (ed era una pratica molto complicata dato che erano tanti e parecchio mossi) ed erano ben nascosti sotto al berretto. Tutto doveva rimanere così. Era un’enorme seccatura dover effettuare quella mascherata ogni volta che dovevo mettere piede fuori di casa mentre per Adrienne era una pacchia, le bastava coprirsi le orecchie con i capelli e non aveva bisogno di nessuna preparazione, io invece non potevo farne a meno(tinture e lenti a contatto non funzionavano), sulle sue montagne ero libera di essere me stessa senza essere giudicata, in quella scuola invece sarei diventata un freak, un caso strano, sarei sicuramente stata derisa e additata da tutti, il mio scopo invece era di passare il più possibile inosservata. Avevo fatto un patto con mia madre, dopo le urla, gli strepiti e i pianti eravamo giunte ad un compromesso: un anno, non di più, se mi fosse trovata male (come ero sicura sarebbe stato) alla fine dell’anno avrei fatto i bagagli e sarei tornata a casa.
  • Sai che non posso, non voglio farmi prendere in giro da tutti sin dal primo giorno.
  • Ma che dici! Sei bellissima! Chiunque farebbe carte false per essere come te. Togliti questa roba e basta.
  • No, mi rifiuto. L’accordo riguarda il venire ogni giorno a scuola e non anche come mi devo conciare per venirci.
Adrianne mi guardò con occhi severi e la bocca serrata per qualche secondo, sembrava volesse aggiungere qualcosa, poi cambiò idea ed oltrepassò l’ingresso.
Recitai mentalmente qualche parola di incoraggiamento e la seguii. Non feci in tempo a fare due passi che qualcosa o meglio qualcuno mi finì addosso facendomi cadere sedere a terra. Tutte le persone intorno scoppiarono a ridere, non ebbi il coraggio di alzare il viso, ero rimasta lì a terra impietrita a fissarmi le converse sperando di sparire.
  • Scfa ti fei fatta mafe?
Una ragazza mi si parò davanti e mi afferrò con forza le spalle.  Aveva i capelli castano chiaro raccolti in una treccia spettinata, gli occhi azzurri, e un toast in bocca. Era evidente che andava molto di fretta.
  • Come?
Lei buttò giù velocemente l’ultimo boccone di toast e disse:
  • Mi dispiace di esserti piombata addosso. Devo consegnare una relazione e al prof. Faize e sono in ritardo – mi tirò il braccio con una forza tale da rimettermi in piedi in un baleno – ci vediamo.
Corse via all’interno dell’edificio. Io ero più confusa che mai ed ancora sentivo delle alle mie spalle. Basta, non ero certo il tipo da starmene zitta in una situazione del genere. Mi guardai intorno e vidi una crocchia di ragazze ridacchianti sedute su una panchina, quella al centro, la tipica bionda alla moda dall’aria perfida, era la più rumorosa di tutte. Stavo per ringhiarle contro di darci un taglio quando vidi qualcosa che mi bloccò di colpo. Nel vasto gruppetto di studenti, maschi e femmine, che circondava quelle tre oche c’era un ragazzo dai capelli lunghi, in realtà non riuscivo a capire bene se stesse con loro o no, era più distaccato, era appoggiato ad un muretto in una posa tremendamente annoiata, indossava una giacca di pelle nera con anfibi dello stesso colore e jeans scuri. Ma non era stato il suo look a sorprendermi, erano stati i suoi occhi. Erano scurissimi e privi di ogni emozione, sembravano quasi disumani, mettevano i brividi. E guardavano me.
  • Danielle e muoviti! Devo essere a lavoro tra poco!
Adrianne mi faceva segno dalle scale che portavano all’ingresso dell’edificio. Distolsi a fatica lo sguardo dal ragazzo sconosciuto e la raggiunsi.
L’interno della scuola era più banale della zona esterna, una lunga fila di armadietti su entrambi i lati delle pareti portava ad una serie di porte che dovevano essere classi o uffici. Non sapevamo bene dove bussare ma alla fine trovammo una porta con una targhetta con su scritto “Direzione”. Era spalancata così la varcammo. La stanza era piuttosto ampia, c’era una lunga tavola ovale al centro, doveva forse essere adibita alle riunioni, a destra c’erano altre due porte, su una c’era scritto “Sala Professori” e sull’altra “Ufficio della Direttrice”, da quest’ultima ne uscì una donna di mezza età, con capelli bianchi legati in una pettinatura complicata sulla nuca, occhiali squadrati ed un completo elegante di colore rosa pallido.
  • Ah, tu devi essere la nuova studentessa – mi disse con un sorriso gentile.
  • Esatto lei è Danielle – disse subito Adrianne porgendole la mano – ed io sono sua zia Adrianne Leblanche, lei è la direttice?
  • Sì, sono Miss Croix. Vi stavo aspettando. Piacere di conoscerti Danielle,sono sicura che ti troverai benissimo qui con noi al liceo D.A., so che sei nuova della città e che quella scolastica è una nuova esperienza per te, per qualsiasi problema rivolgiti pure a me o ai segretari. Perché non vai a completare gli ultimi documenti mentre scambio due chiacchiere con tua zia nel mio ufficio? Nathaniel – aggiunse ad alta voce rivolgendosi a qualcuno all’altro capo della stanza – aiuta Danielle a completare il suo modulo di iscrizione.
Un ragazzo biondo dall’aria seria ma gentile mi si avvicinò. Malgrado la mia irritazione non potei fare a meno di pensare che fosse incredibilmente carino.
  • Ciao Danielle – mi disse sorridendomi – mi chiamo Nathaniel, sono uno dei segretari del liceo. Seguimi da questa parte.
Mi condusse ad un lungo bancone all’estremità opposta della stanza, dietro era pieno di archivi e armadietti. Prese un plico di fogli da un cassetto e si mise a controllarlo con aria attenta.
  • Bene, vedo che in effetti qui c’è quasi tutto, manca solo una foto tessera.
  • C… Come? – balbettai sorpresa, bene era la prima parola che gli rivolgevo e già riuscivo a fare la figura della stupida.
  • Beh sì sai, ne serve una per il tuo file personale. Non ne hai?
  • No.
  • Non ti preoccupare – mi disse sorridendomi gentilmente - c’è una macchinetta automatica qui nel corridoio accanto, ti accompagno.
Mi fece strada fuori dalla stanza.
  • Allora, come mai un’iscrizione così tardi? Siamo già a metà ottobre.
  • Decisione dei miei genitori – risposi nervosamente, non volevo fare conversazione, non sapevo cosa dirgli senza fare la figura della sfigata, e probabilmente era del tutto inutile, era il segretario, aveva il mio file, probabilmente l’aveva anche già letto, certo non c’era scritto che ero una fée e qual era il mio potere ma di sicuro doveva aver letto che non ero mai stata in una scuola prima di allora e che venivo da un paesino di montagna sperduto per il mondo.
  • Ecco qui – disse indicandomi l’aggeggio infernale, odiavo farmi fotografare. Una volta Ken mi aveva scattato una foto all’improvviso con la macchina fotografica che gli avevano regalato per il suo compleanno. Non gli avevo rivolto la parola per due settimane.
  • Ehm… devo proprio? Non sono molto fotogenica.
  • Certo – rispose con un sorriso gentile – non vergognarti non la vedrà nessuno, sarà solo nel tuo fascicolo. Vuoi toglierti il berretto?
  • No! – risposi quasi urlando – scusa, no, no va bene così – ed entrai di corsa nella macchina sedendomi sullo sgabello. Inserii una moneta nella fessura ed attesi. Niente.
  • Sai non credo che funzioni – dissi con un briciolo di speranza che andava formandosi in petto.
  • Davvero? Eppure ieri funzionava benissimo – disse affacciandosi – sei sicura di aver …
Proprio mentre si avvicinava a me per dare un’occhiata partì il primo flash, fece uno scatto indietro richiudendo la tendina e ne partirono altri tre uno dietro l’altro.
Alla fine quando mezza accecata (perché le spesse lenti che indossavo facevano un brutto riverbero) uscii da lì vidi Nathaniel sorridente che guardava la sottile strisciolina di foto che era stata sputata fuori dalla macchinetta.
  • Non è vero che non sei fotogenica, sei venuta benissimo  – strappò l’ultima della fila e mi porse le altre – vado ad aggiungerla al fascicolo. Questo è il tuo orario – mi diede un foglio e nel prenderlo le nostre mani si sfiorarono – la tua prima lezione è Algebra aula 5C. Scappo, tra 5 minuti ho storia. Per qualsiasi problema sai dove trovarmi.
Si avviò in fretta nella direzione da cui eravamo venuti. Poi si bloccò, girò sui tacchi e con occhi gentili sorridendo aggiunse – Benvenuta Danielle – e rientrò nella Direzione.
Io avevo caldo, ero sicura di essere rossa come un peperone e mi sentivo leggermente frastornata. Guardai la striscia di foto, nella prima c’ero io d profilo che con aria imbarazzata e sorpresa guardavo il viso di Nathaniel che mi era comparso accanto e osservava dritto nell’obiettivo.
Continuai a guardare quella foto ancora per un po’. Forse, dopotutto, quest’anno non sarebbe stato poi un inferno come immaginavo.
  
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