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Autore: franceskik    16/02/2013    1 recensioni
La giacca verde gli stava grande, forse di una taglia in più. Gli arrivava fin sotto la vita, per non parlare delle maniche che coprivano le mani interamente.
Eppure quando era arrivato sembrava della sua misura, avrebbe giurato a se stesso di aver detto all'uomo di aver bisogno di una 44 da uomo. E infatti era così.
Adesso però sembrava un bambino dentro i vestiti del padre, ovvio: non mangiava un intero pasto da mesi, non dormiva un'intera notte da troppi giorni, era sfinito in ogni cellula del suo corpo.
Guardava il sole un po' sbiadito di quel cielo scuro, quando sarebbe arrivata la fine? Quando, diamine?
A volte, la sera, a letto nella sua brandina in metallo tremava, di quella paura indissolubile. E se non fosse mai finito tutto quello? Non era qualcosa da sottovalutare.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La giacca verde gli stava grande, forse di una taglia in più. Gli arrivava fin sotto la vita, per non parlare delle maniche che coprivano le mani interamente.
Eppure quando era arrivato sembrava della sua misura, avrebbe giurato a se stesso di aver detto all'uomo di aver bisogno di una 44 da uomo. E infatti era così.
Adesso però sembrava un bambino dentro i vestiti del padre, ovvio: non mangiava un intero pasto da mesi, non dormiva un'intera notte da troppi giorni, era sfinito in ogni cellula del suo corpo.
Guardava il sole un po' sbiadito di quel cielo scuro, quando sarebbe arrivata la fine? Quando, diamine?
A volte, la sera, a letto nella sua brandina in metallo tremava, di quella paura indissolubile. E se non fosse mai finito tutto quello? Non era qualcosa da sottovalutare.

Intorno a lui, c'era il silenzio, un silenzio cupo, nero, odioso. L'aria era fredda, entrava nei pori della pelle e sembrava perforare le ossa ad ogni soffio di vento.
Era seduto vicino a quel fuoco che avevano appena acceso, in quella specie di buco di due metri quadrati che avevano la presunzione di chiamare "stanza".
I suoi compagni, intorno a lui, stavano dormendo e allora li guardava, magari avrebbe preso sonno anche lui e finalmente avrebbe potuto chiudere occhio, ma niente.
Teneva le mani dentro le maniche della giacca in pelle, per ripararsi quel poco da qualche brivido di troppo. Aveva le ginocchia vicino al petto e la testa sopra le proprie gambe, in quel momento, nei suoi venticinque anni, sembrava un piccolo bambino messo in punizione dal padre.
Sentiva odore di chiuso, di solitudine, sentiva puzzo di morte intorno a lui e allora tremava.
Aveva un braccialetto nel braccio destro, piccolo, di stoffa, gli ricordava casa. Le mura della sua casetta inglese che dava su un giardino perfetto. Gli ricordava il profumo del dolce casalingo di sua madre la domenica mattina, i pomeriggi passati in bicicletta da piccolo, gli ricordava lui, in ogni sua forma.

Gli scarponi marroni erano aperti sul davanti, rotti e stinti. Troppi passi, troppe corse, troppi calci, troppo tempo su quei piedi.
Il cappello sulla testa era scucito ai lati, rovinato dalla pioggia, la neve, il vento e il tempo, era troppo tempo su quei capelli che lui, amava curare una volta, quando era a casa, nella sua casa, la sua vera casa.
Il braccialetto non avrebbe retto per molto, sembrava sofferente e lui sapeva che una volta perso, sarebbe stata la fine.

Entrò un uomo, all'improvviso, dalla porta in legno avanti a lui.
Aveva l'aria imponente, così autoritaria da far paura anche a loro, che teoricamente doveva proteggere.
Ma la teoria, in quel contesto andava a farsi fottere.
"E' per te." Lanciò una busta bianca sulle ginocchia del ragazzo, allungò un braccio per togliere la mano dalla manica verde, afferrò la busta e iniziando a sospirare a bocca aperta, l'aprì.
Si guardò intorno, i suoi compagni dormivano, meglio così: non l'avrebbero visto piangere.
Odiava mostrarsi debole, nonostante lo fosse più di chiunque altro. Odiava soprattutto sembrare un bambino impaurito davanti a loro: compagni, colleghi, aiutanti. Non erano amici, non gli era mai andato a genio di definirli così.

Iniziò a leggere, si spostò più vicino alla luce del fuoco, così le parole erano maggiormente risaltate e non doveva sforzarsi troppo per leggerle.

"Ciao amore,
Ho preso la mia penna con l'intento di scriverti, probabilmente non concretizzerò niente di sensato, ma ho bisogno di sapere che posso starti vicino in un modo o nell'altro. Vorrei dirti molte cose, raccontarti ogni singola novità, ma tutto ciò che vorrei poter fare è parlarti con la forza di un abbraccio, ma sembra che non ne abbia il diritto.
Mi manchi, tesoro. Mi manchi ogni giorno di più, ogni giorno in cui mi sveglio e non ci sei, qua accanto a me, nel nostro letto.
Mi manchi quando sorseggio l'acqua dalla bottiglia e tu non sei qua, a brontolarmi di versarla nel bicchiere. Mi manchi quando ho bisogno dei tuoi occhi, delle tue labbra, di un tuo 'ti amo' per star meglio.
Quando riesco a dormire, se ci riesco, ti sogno. T'immagino ancora tra le mie braccia, come una volta, ricordi?
Poi apro gli occhi, passo una mano sul tuo cuscino: il vuoto. Passo una mano sul mio, è bagnato di lacrime che ormai verso anche quando sono cullato da Morfeo.
Ieri Sophie mi ha chiesto dove fosse suo padre, l'ho presa in braccio e le ho raccontato che sei in viaggio per lei, alla ricerca di un regalo bellissimo da farle, allora si è attaccata al mi collo e ha detto 'Voglio che torni, sarebbe un regalo bellissimo, papà.' Ho finto che qualcosa mi fosse entrato in un occhio, non potevo dirle che stavo piangendo.
Soph ha i tuoi occhi, sono azzurri come il cielo in primavera, come il mare di quella località in cui andavamo d'estate. Ha il tuo sorriso quando mi racconta del suo fidanzatino dell'asilo e ha le tue lacrime fragili, quando mi confessa che le manchi.
Sai, amore, ogni mattina mi sveglio chiedendomi se un giorno potrò vederti, ancora. Sperando che quel giorno sia vicino. Ogni mattina apro gli occhi con la paura che tu.. tu, possa averci abbandonato. Non potrei far niente, non potrei baciarti, non me lo perdonerei, tesoro.
Guardo il cielo ogni volta che mi sento solo, spero tu lo stia guardando anche tu, dall'altra parte del mondo cosicchè i nostri sguardi, inconsapevolmente, potrebbero scontrarsi come quando per vedere i tuoi occhi mi bastava voltarmi.
So che sei forte, tesoro mio, so che ce la farai, so che tra poco mi abbraccerai forte baciandomi la fronte e allora starò bene e sarò felice, davvero.
Ma ora no, non posso esserlo, non ora che tu sei a lottare contro la morte, a ore e ore da me, non ora che potrei perderti da un momento all'altro.
Ora non posso esser felice, tesoro. Ora posso fingere: far finta di esser forte per poi chiudermi in camera e piangere, mentire che tutto vada bene per poi iniziare a tremare da solo sotto le coperte.
Mi manchi tesoro, sembro scontato, ma non so cosa dire.
Nessuna parola comparerebbe ad un abbraccio, quindi posso solamente star zitto e aspettare di stringerti al mio petto.
Torna presto tesoro o Sophie sarà troppo grande per sedersi sulle tue ginocchia.
                                   Ti amo,
-Il tuo cucciolo."


Con la manica verde della sua giacca in pelle, si asciugò una lacrima che silenziosa stava dipingendo il profilo del suo volto.
Uno dei suoi compagni, il più anziano lì, era seduto sul suo letto, appena svegliatosi da qualche oretta di sonno.
"Perchè piangi?" Domandò, con la voce ferma, inflessibile.
Il ragazzo non alzò lo sguardo, mostrare i suoi occhi arrossati e gonfi sarebbe stato troppo vergognoso, si limitò ad alzare la lettera, come risposta alla sua domanda.
"Ah, capisco." Commentò allora l'uomo, sospirando.
Quella giacca verde un po' grande era diventata improvvisamente utile per nascondere i singhiozzi, per nascondere la foto di Sophie nella tasca interna. L'avrebbe avuta sempre vicino al cuore, sempre con sè, in ogni momento, anche quelli peggiori, sarebbe stato il suo angelo custode.
Sophie era bella, bella davvero. L'adottarono pochi mesi prima che partisse e ormai era diventata una bambina grande, troppo grande pensò lui.
Aveva i capelli rossi, le lentiggini sulle guance candide, gli occhi color nocciola, era perfetta, perfetta per loro.

Quella giacca, era la giacca di un ragazzo costretto alla guerra, ogni giorno, ogni momento a rischio con la morte nera.
Quella era la giacca verde di un soldato un po' inesperto.
Quella era la giacca verde che aveva conosciuto lacrime, sudore, urla, sangue.
Una giacca grande, sapiente, impaurita dalla vita, dal pericolo di perderla con ogni soffio di vento, ogni pallottola, sparo che potrebbe toglierti la possibilità di riabbracciare tuo marito e la tua bambina.

Dalla porta sbucò uno spiraglio di luce bianca, le maniche della giacca verde asciugarono le sue lacrime da bambino.
"Tomlinson, preparati. Partiamo per la prima linea."
Il ragazzo dagli occhi blu si alzò, posò la lettera dentro il bauletto pieno delle altre inviategli da Harry, suo marito.
Strinse una mano al petto, là, dove c'era la foto di Soph, la sua piccola.

Quella, alla fine, era una grande giacca di un piccolo ragazzo costretto a fare il grande guerriero.
Quella era una giacca che pochi mesi dopo, fu gettata in una fossa con altre mille uguali. Non era nessuno di speciale, Tomlinson della prima linea di guerra.
Uno dei tanti, uno dei tanti sconfitti, uno dei tanti che non avrebbero riabbracciato la propria famiglia.
Harry, dirà a Sophie che papà non tornerà, cercherà il regalo perfetto all'infinito, solo da grande la bambina dai capelli rossi scoprirà che la perfezione non esiste e che papà starà lottando per lei anche da lassù, insieme a quegli angeli speciali.





Buongiooorno, allora non pubblico una storia dai tempi di guerra (ahhh, ha fatto la battuta!)
Oggi avevo voglia di scrivere e sinceramente non so perchè ho deciso di scrivere su questo contesto, ma è andata così!
Volevo un finale allegro, ma non sono la tipa da finali allegri, mi dispiace!
Detto questo, spero vi sia piaciuta. Lasciatemi un commento, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate!
Grazie per aver letto,
-Fra!

  
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