“E se ti dicessi che ti conoscevo bene, cosa risponderesti? Beh,conoscendoti probabilmente rideresti e diresti che eravamo in mondi separati. Ma,per conto mio,ricordo ancora com'era prima e sto frenando le lacrime. Ti amo.”

Paul sedeva sul pavimento di legno antico a gambe divaricate, come un bambino concentrato nella costruzione di un puzzle. Tra le sue mani, nessun tassello colorato. Nella sua mente, nessun enigma da risolvere.

Il suo cuore batteva forte. Forte come quando baciava Linda.
O forse di più.

James, come al solito, si era intrufolato di soppiatto nel suo studio. Una stanzetta minuscola, fredda, umida. Non vi erano che scatoloni di cartone impilati, una scrivania ed una chitarra. Una lampadina impolverata pendeva dal soffitto. Sfiorava con la sua luce giallognola ed opaca la schiena ricurva di Paul, immobile.

Si era diretto lì, perché aveva bisogno di rifugiarsi nel suo piccolo angolo di universo. Come se varcando la soglia di quel triste sgabuzzino riuscisse a scivolare in un mondo parallelo. Solo in quel modo sarebbe riuscito ad ideare la canzone giusta. Quell’album sarebbe dovuto essere diverso. Perfetto.
Come ai vecchi tempi.

Ma, entrato nella piccola sala, si trovò faccia a faccia con il solito caos causato dall’irruzione furtiva del piccolo James. Spartiti per terra, scatoloni aperti, portapenne rovesciati. Rise, pensieroso. Non aveva di certo preso dal padre. 
Si inginocchiò, paziente. Raccolse un mucchio di scartoffie, probabilmente provenienti da uno degli scatoloni. Le esaminò. Una lettera di Linda, un disegno di Stella, una poesia di Heather. Sospirò, sovrappensiero. Fece per alzarsi, quando sollevando lo sguardo posò gli occhi su una foto, distante circa mezzo metro.
Il suo cuore per un secondo cessò di battere.
Avrebbe riconosciuto il suo volto tra milioni, miliardi.
Tese il braccio destro per afferrarla. Con delicatezza la face scivolare sul pavimento, tirandola a se. Così, la raccolse.
Affondò lo sguardo nei suoi occhi verdi, come se ci potesse trasferire l’anima. Sfiorò con le dita l’immagine piatta del suo naso. Rise, silenziosamente. L’aveva sempre odiato. Ma, chissà per quale stranezza, era proprio la cosa che più amava di lui.
Si portò l’immagine al petto. La strinse a se, come se potesse sentire il suo calore sulla pelle, sentire il suo profumo, ancora una volta.
Si morse le labbra, per trattenere l’imminente pianto, invano. Fu scosso da forti singhiozzi, che fecero tremare ogni fibra del suo corpo.  Osservò ancora la fotografia. Una pesante lacrima solcò il suo viso, scivolando dal suo mento alla foto. Frettolosamente la asciugò con la manica del maglione, come se quella goccia d’acqua potesse fargli del male.
Respirò profondamente, cercando di calmarsi. Sentiva il viso accaldato. Sicuramente si era riempito di macchie rosse, come ogni volta che piangeva così intensamente. Non gli succedeva da tanti, tanti anni ormai. 
Alzò il viso, chiuse gli occhi. Gli sembrò di sentire il suo tatto leggero sugli zigomi, il suo respiro, il suo sapore. 
Aprì le palpebre.
-If you were here today..- tirò su col naso.
-I love you, John.