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Autore: Emerlith    16/02/2013    0 recensioni
[In realtà, se dovessi classificare questa shot, non saprei neppure farlo. In verità parte da un post che ho letto su internet. Ho solo immaginato un'ipotetica ragazza, piena di dubbi, che si identificava nella domanda letta e perciò, nel tentativo di rispondervi, raccontava confusi spezzoni della sua vita a questo ipotetico "ragazzo del post", un volto a lei sconosciuto.]
"Livia vorrebbe sapere dove guardi tu, questa mattina, ragazzo del post. Vorrebbe sapere se rincorri una nuvola o una farfalla che vola fuori dalla finestra mentre sei a scuola annoiato, come hai riposato stanotte, se hai avuto un incubo, se hai sognato anche tu le ics. Vorrebbe sapere se anche Teo, sogna. Vorrebbe poterlo abbracciare di nuovo, vorrebbe spingere ancora quella sedia lungo un corridoio con le pareti azzurre e ridere, ridere mentre le suole di gomma delle scarpe da ginnastica e le ruote stridono, e i bidelli urlano."
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Castelli di neve.

You can't prepare for a sudden impact. You can't brace yourself. It just hits you. Out of nowhere.
 And suddenly, the life you knew before is over. Forever.
-Grey’s Anatomy, Suddenly-

 
“…I’d tell you that I loved you
before I even knew you
cause I loved the simple thought of you.


If our hearts are never broken
well there’s no joy in the mending
there’s so much this hurt can teach us both.

Though there’s distance and there’s silence
your words have never left me
they’re the prayer that I say every day...”


-Snow Patrol, New York.-
  

Ai bambini che siamo stati.
Ai bambini che saranno.
A chi è alla disperata ricerca di un perché.
A chi non ce l’ha fatta e a chi ce la farà.
A Dì, sempre la mia D. preferita.

 

 
Ragazzo del post,
Livia non ti conosce, e tu non conosci lei.
Non vi incontrerete mai, non vi vedrete mai in faccia. Livia non conoscerà il colore dei tuoi occhi, né quello dei tuoi capelli. Non saprà qual è il tuo libro preferito, né si meraviglierà del modo in cui arricci le labbra quando sorridi. Non saprà dove vivi, non saprà neppure se vi siete già intravisti per strada. Forse sì. Chi può dirlo? Magari, vi siete imbattuti l’un l’atra in un centro commerciale, vi siete incrociati di fretta alle casse, o in una corsia del supermercato. O forse sei stato quello che le ha fregato il posto sull’autobus, mentre aveva i sacchetti della spesa rotti e le mani spaccate dal freddo.
Ragazzo del post, Livia non sa quanti anni hai, quando sei stato bambino.
Ma sa per certo che lo sei stato, anche se ora tu non lo ricordi, e se lei non sa immaginare i disegni in cui hai creduto, non conosce quali sono stati i tuoi sogni e quali sono stati i momenti in cui li hai persi, non sa chi è stato a portarteli via, non sa se mai qualcuno si è soffermato a fotografare tutto questo per te. Non conosce le tue ferite, anche se immagina che sicuramente ce n’è una che ha lasciato una cicatrice più profonda delle altre, dove il tessuto connettivo si è prepotentemente esteso al di là dei limiti iniziali, più del dovuto, a voler rimarcare le tue battaglie in mancanza di una cornice che le riuscisse a contenere.
 
Caro ragazzo del post,
qualche giorno fa Livia fissava un altro bambino.
Lui rideva e le indicava lo schermo piatto della tv, altri colori riflessi si rincorrevano nei suoi occhi grandi e sorridenti.
Come tutte le volte Livia era rimasta irretita dalle sue iridi screziate di verde, cercando di definirne con esattezza il colore, arrovellandosi il cervello sui processi della maturazione dei pigmenti della melanina, mentre si rigirava una matita fra le mani, e arricciava le pagine ingiallite del pesante libro posato pigramente sulle sue gambe. Probabilmente era un libro che conosci anche tu.
Giulio, di cinque anni, rideva e si dondolava sulla sedia, mentre nel cartone animato una famiglia di maialini saliva su un pulmino per recarsi al mare, anche se erano circondati da montagne piene di neve.
Livia aveva corrugato la fronte, aveva sbuffato e chiesto a Giulio di cambiare canale, quantomeno di abbassare il volume, ma il bambino aveva cominciato a strepitare. Allora Livia si era indispettita, come una sciocca, e gli aveva detto che era davvero un cartone animato stupido, era privo di senso che si andasse al mare con tre metri di neve. Il bambino l’aveva guardata quasi rammaricato, poi aveva alzato le piccole spalle e aveva riso di nuovo.
-Faranno i castelli di neve!- Aveva esclamato un secondo dopo, con la convinzione inattaccabile dei suoi cinque anni ancora perfettamente intatti.
Livia era rimasta con la bocca semiaperta, sul punto di ribattere, ma poi si era zittita. Non l’aveva più ripreso per il volume troppo altro, né gli aveva ribadito di andare a lavarsi le mani. Era rimasta impalata a fissarlo, ancora, per diversi minuti. Mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime, e i suoi respiri accelerati rincorrevano un battito del suo cuore perso nel ricordo indefinito di un giorno troppo lontano.
-Hai ragione. Io li facevo, i castelli di neve, Giulio.-  Gli aveva sussurrato, con la voce rotta e la gola secca.
Giulio aveva spalancato gli occhioni tondi e aveva arricciato il musetto come un criceto.
-E quando?- Aveva chiesto, continuando a ridacchiare con fare improvvisamente cospiratorio.
Livia gli aveva sorriso tristemente, si era tolta gli occhiali e li aveva poggiati accanto ai quaderni stracolmi di appunti.
-Quando ero piccola, come te. Quando anche qui nevicava tanto. Mi ero portata un secchiello qui, nel giardino.- Con un cenno gli aveva indicato la vetrata alle loro spalle. Giulio l’aveva fissata incredulo, rapito, dimentico ormai del suo cartone animato.
-Il secchiello era blu. E la paletta era gialla.- Aveva continuato Livia.
-Eri triste, quando hai fatto il castello?- Le aveva domandato Giulio, posando la mano paffuta sulla sua.
-No.- Aveva ribattuto Livia, frettolosamente.
-E ora sei triste perché si è sciolto, allora? O perché non nevica come nel mio cartone?-
Livia aveva morso l’interno delle guance.
 
Quando Livia ha letto la tua domanda, stamattina, avrebbe voluto davvero risponderti, come voleva rispondere a Giulio.
Ma non sapeva farlo, non sapeva davvero farlo, perché lei sta cercando la stessa risposta, alla tua stessa identica domanda. La sta cercando da tanto tempo, ragazzo del post.
Ma in questo momento, Livia vorrebbe domandarti se tu hai mai fatto un castello di neve. Probabilmente no, o forse, sei nato sulle Dolomiti, e al contrario di molti non ne hai mai visto uno di sabbia.
Livia vorrebbe porti queste domande.
Domande senza nessuna ics, senza opzioni a risposta multipla.
Livia odia la matematica, e odia profondamente le ics.
Non sa mai dove metterle.
Eppure, se ti incontrasse, in questo momento, probabilmente ti racconterebbe che tutto, o forse niente, per lei, è proprio racchiuso in una ics.
Livia si ricorda la prima volta in cui ha visto una ics. Non era proprio una ics, però le assomigliava, e la fece sorridere. Era colorata, era disegnata su un tomo enorme, che aveva tirato giù di nascosto, dallo scaffale.
 
Quando ci si innamora, ragazzo del post? Di che cosa ci si innamora? Di un’idea, di un’immagine allo specchio, di un ideale? Quando ti sei innamorato tu, per la prima volta? Quando hai capito quale peso volevi accollarti per tutta la vita?
 
Livia s’innamorava dei libri proibiti, dei libri che non poteva toccare. Delle risposte che non le bastavano mai. Da bambina, Livia si era innamorata di Teo. Teo aveva i capelli ritti sulla testa, gli occhi neri come la pece e la pelle bianchissima, talmente bianca che Livia aveva quasi paura a toccarla, tanto sembrava trasparente. Ma Teo non era trasparente, era solo fragile, come un cristallo, come la neve. Teo non poteva correre, non poteva stare sulle sue gambe per troppo tempo. La prima volta che l’aveva visto, ragazzo del post, l’aveva persino trovato antipatico. Era seduta su una scalinata di pietra, in un giardino, e non voleva giocarci. Aveva un coccodrillo di gomma verde, con una pancia gialla, lo strisciava sul bordo del tavolo di legno, e poi lo faceva saltare in aria. Livia aspettava sua madre. E lui non voleva parlarle. Non le sorrideva. Non la guardava. A scuola, aveva un grembiule con un drago ricamato sopra. Livia l’osservava con circospezione, mentre camminava lungo il corridoio, poggiandosi al muro. Nessuno gli si avvicinava, e lei pensava avessero ragione. Teo era troppo antipatico.
 
Sai, ragazzo del post, Livia oggi sente la mancanza di Teo. Questa mattina, mentre fissava le foto affisse alla bacheca della sua scrivania, si è accorta che di lui non c’è neppure una foto. Dei loro pomeriggi a giocare, delle loro mattinate a scuola, in banco insieme, non c’è neppure una foto. Poi ha pensato che non era possibile, che doveva esserci per forza, ed ha passato almeno mezz’ora a rovistare nei suoi cassetti per cercarla. L’ha trovata, e poi ha continuato a fissare la neve che cadeva fuori dalla finestra. E si è accorta di non sapere, di non ricordare. Non ricordava se a Teo piaceva la neve. Probabilmente non gliel’aveva mai chiesto. E sa che adesso è troppo tardi per farlo.
 
Giulio aveva spento la televisione, era corso in cameretta, slittando sul pavimento.
Livia si era messa ad urlargli contro.
-Rimetti le scarpe, scivoli!-
-Voglio fare un puzzle!- Aveva urlato lui per tutta risposta, dalla sua cameretta. Livia gli era corsa dietro. Aveva imparato che avrebbe potuto passare un’intera giornata a pensare a tutti i possibili modi in cui avrebbe potuto farsi male, e quest’ultimo si sarebbe fatto male sempre nel modo in cui lei non aveva previsto. Giulio si era messo a saltellare, urlando di prendergli la scatola. Livia l’aveva afferrata, ma poi l’aveva fatta cadere, lasciando che i tasselli finissero sulle teste di entrambi. Giulio aveva continuato a ridere, si era accovacciato a terra e aveva incominciato a raccogliergli per rimetterli nella scatola. Livia si era inginocchiata a sua volta, aiutandolo a raccattarli, velocemente, come se potessero volatilizzarsi per magia. Poi aveva iniziato a comporre il disegno del Supereroe sul pavimento, senza neppure badare ad una precisa tecnica.
Giulio aveva continuato a girare per la stanza, a controllare sotto al letto.
-E se ho perso i pezzi?- Le aveva chiesto, sull’orlo delle lacrime.
 
A te piacevano i puzzle, quando eri un bambino, ragazzo del post?
Quel pomeriggio, mentre Livia fissava Giulio sistemare i tasselli meticolosamente,  con la fronte aggrottata per lo sforzo, si meravigliava della sua caparbietà e della sua testardaggine. Era così buffo che gli aveva scattato una foto, anche se sapeva che Giulio, dopo molti anni, non avrebbe visto in quel riquadro lucido neppure l’ombra di ciò che Livia vi aveva voluto imprimere.
Se Livia potesse parlare con te, ragazzo del post, ti racconterebbe che in quella foto vi è tutto ciò che Livia ha perso da tempo. Ti racconterebbe che è triste, che si sente sola, persa, e che nessuno riesce a capirlo realmente, nessuno riesce a toccarla con mano da molto tempo, forse perché tutti hanno paura di romperla, perché anche Livia, come Teo, è diventata fragile. Se Teo fosse accanto a Livia, come quando erano bambini, starebbero ancora seduti su un tappeto, impegnati anche loro in un puzzle, in quel gioco che non richiedeva uno sforzo muscolare. Perché Livia l’aveva imparato, che i muscoli di Teo non potevano rispondere prontamente ai comandi del suo cervello. E quando l’aveva scoperto, aveva pensato che sicuramente c’era una soluzione, che sicuramente era una cosa temporanea. Teo sarebbe guarito. Aveva chiesto, fiduciosa, quale fosse la cura, perché un giorno si era fermata a parlarci, e non le era risultato poi così tanto antipatico. Ma si era sentita dire che non per tutto c’era una soluzione, non per tutto c’era un tassello da rimettere a posto. In un corpo umano, c’ erano alcuni tasselli troppo piccoli, che componevano curiosi pezzetti chiamati cromosomi, e se si combinavano male, gli errori che ne venivano fuori erano troppo grandi. Aveva imparato la crudele e spietata perfezione dei dettagli. L’aveva conosciuta a sette anni, l’aveva imparato da quel tomo dove aveva incontrato per la prima volta la ics. Quel tomo che aveva preso di nascosto, arrampicandosi sugli scaffali, e che le era caduto addosso, facendole  urtare la nuca sul pavimento, con un impatto violento, che l'aveva fatta star male per tutto il pomeriggio. E quando, per la prima volta, non era riuscita a rialzare Teo, e quando con il passare del tempo  aveva visto le sue gambe cedere e passare nei tutori e poi su una sedia a rotelle, Livia aveva perso un pezzo. Ma in silenzio, ogni volta che lui si tendeva verso di lei, ogni volta che si chinava a raccogliergli una penna da terra, che ridevano, che gli scriveva i compiti sul diario, Livia si era fatta una promessa, senza neppure rendersene conto.
                                                                                         
Le promesse si mantengono, ragazzo del post. E’ una delle prime regole che ti insegnano, fin da bambino. E Livia scommette che l’hanno insegnato anche a te. Da piccola Livia credeva nelle promesse, Livia inventava storie e credeva in un sacco di cose.
Ma ora, se la incontrassi, che cosa vedresti?
Se vi ritrovaste sotto la pioggia, alla fermata del tram, in mezzo al traffico e al caos, che cosa le chiederesti? Che cosa cercheresti di carpire, in un solo sguardo? Ti soffermeresti su una cicatrice in rilievo? Le chiederesti come se l’è procurata? Saresti in grado di reggere la risposta? E Livia, Livia cosa vedrebbe in te, quale particolare sceglierebbe di portare con sé, che cosa vi legherebbe, in una frazione di secondo? Una promessa in bilico, una promessa fatta nel corso di una vita troppo caotica anche solo per soffermarsi a pensare, a cercare di captarne una qualche scintilla in mezzo al trambusto di una città spenta? Livia vorrebbe chiederti qual è il tassello di cui senti maggiormente la mancanza. Qual è il pezzo di te che hai perso e disperatamente non riesci a ritrovare. Livia vorrebbe conoscere qual è la promessa che avevi fatto al bambino che eri, e quando hai capito che non saresti stato in grado di mantenerla, che l’avresti vista crollare, proprio come un castello spazzato via dalle onde della marea. Livia vorrebbe che tu ti fermassi, e glielo chiedessi a tua volta. Probabilmente, non saprebbe risponderti, o ti risponderebbe che si era fatta troppe promesse. Ma altrettanto probabilmente, s’innamorerebbe di te. Ci si innamora sempre di tutto ciò che si perde. Livia vorrebbe chiederti, ragazzo del post, se sei innamorato anche tu del bianco, vorrebbe chiederti cosa realmente ti spinge a rincorrere quelle ics.
 
Giulio non lo sa, mentre riordina i suoi tasselli, ma i suoi cinque anni, in realtà, non sono più intatti da molto. Non può ricordarlo, Giulio. Non può sapere che c’è una ragione, se si mette le mani sulle orecchie quando ci sono i fuochi d’artificio. Ma Livia lo ricorda. Livia ricorda quel giorno, perché Livia quel giorno ha fatto un’altra promessa. Una delle tante, o forse una delle ultime, non lo ricorda con certezza. Ma ricorda ancora quel libro, lo stesso che tutt’ora ha lasciato in cucina, dove la televisione con il cartone animato è ancora accesa. Era seduta allo stesso tavolo, parlava e si lamentava, Livia. Perché non era giusto, amava consolarsi dicendo che non era davvero giusto. E mentre parlava e piagnucolava, il girello di Giulio ruzzolava giù dalle scale. Chi aveva lasciato la porta aperta, Livia non smetterà mai di chiederselo, ragazzo del post. Non scorderà mai quel rimbombo assordante, e quel silenzio spettrale che aveva avvolto l’intera casa immediatamente dopo, squarciandola in maniera ancora più terrificante di un urlo. Non avrebbe mai scordato i suoi passi pesanti, come macigni, verso la porta d’ingresso. E il tonfo del libro scaraventato sui gradini, assieme a quello del suo cuore, mentre impietrita fissava quella rotella che continuava a girare, e intravedeva un piedino che non si muoveva. E non avrebbe scordato il suo respiro bloccato nella trachea, mentre implorava ai suoi occhi di non vedere, e allo stesso non riusciva a serrare le palpebre. Non avrebbe mai più avvertito un freddo così intenso da scuoterle le viscere, mentre si chinava verso quel corpicino immobile, mentre fissava il visino imbrattato di sangue. E non avrebbe scordato le sue ginocchia sbucciate, i suoi occhi verdi spalancati e fissi su di lei, la sua mano a fasciargli la nuca, mentre lo sollevava da terra. Non avrebbe mai scordato la volta in cui gli aveva puntato contro per la prima volta una torcia con un Diddl stampato sopra, per vedere se le sue pupille erano reattive. E non aveva scordato quegli scongiuri, mentre pensava ad una commozione cerebrale, ad un trauma cranico, mentre lo implorava di piangere, di non vomitare. E mentre gli piegava le braccia, e le gambe, per verificare che non vi fosse nessuna frattura, aveva pregato. Aveva pregato un Dio in cui non credeva, aveva barattato di nuovo quelle ics, in cambio di un pianto. E Giulio aveva finalmente cacciato uno strillo.
 
Chi ti ha salvato la vita, almeno una volta, ragazzo del post? A Livia l’hanno salvata in tanti. Gliel'ha salvata Giulio, quando l’ha tenuto in braccio la prima volta, e ha ascoltato il battito lieve del suo cuore. Ma il cuore di Giulio neppure funzionava bene, c’era un soffietto che sussurrava tra le sue camere. Livia l’aveva guardato, nella culletta, e aveva avuto paura che quel soffio leggero glielo portasse via. Aveva avuto paura, che come Teo, l’avrebbe visto accartocciarsi su se stesso, e poi sparire dalla sua vita. Gli aveva comprato un orsacchiotto azzurro, e gliel’aveva messo vicino, affinché ascoltasse quel soffio e gli sussurrasse in risposta all’orecchio. Era rimasta ad accarezzargli la testa, i capelli radi e il nasino tondo. Gli aveva chiesto di restare con lei, perché stava perdendo i pezzi, stava perdendo tutto. Giulio aveva aperto gli occhi. Erano ancora velati, di un celeste incerto come il cielo al mattino. Livia gli aveva preso una manina, lui aveva serrato le piccole dita attorno al suo indice. Ed era restato.
 
Era restata anche Nadia, ragazzo del post. Nadia che l’aveva sollevata da terra, in un bagno lurido e impregnato di fumo. Che le aveva pulito il sangue incrostato sulle labbra, che le aveva tenuto il ghiaccio sulla fronte. Nadia che le aveva preso la mano, sentito il polso. Nadia che l’aveva sorretta quando era svenuta, e aveva cozzato la fronte contro un lavandino di ceramica sporca. Nadia che l’aveva protetta, che l’aveva ascoltata, e a cui Livia non era mai stata in grado di rivelare il suo vero tormento. Nadia che aveva aspettato, sempre. Nadia che aveva creduto ogni giorno in lei. Nadia che era la ragione per cui Livia aveva tentato di non mollare. Nadia con cui aveva fatto a palle di neve, e a cui Livia aveva strappato un giorno quella promessa del bianco. E Nadia che annuendo le aveva detto “insieme”.  Ma Livia aveva scosso la testa, aveva guadato da un’altra parte.
 
Livia vorrebbe sapere dove guardi tu, questa mattina, ragazzo del post. Vorrebbe sapere se rincorri una nuvola o una farfalla che vola fuori dalla finestra mentre sei a scuola annoiato, come hai riposato stanotte, se hai avuto un incubo, se hai sognato anche tu le ics. Vorrebbe sapere se anche Teo, sogna. Vorrebbe poterlo abbracciare di nuovo, vorrebbe spingere ancora quella sedia lungo un corridoio con le pareti azzurre e ridere, ridere mentre le suole di gomma delle scarpe da ginnastica e le ruote stridono, e i bidelli urlano. Vorrebbe tornare indietro nel tempo, ragazzo del post, e vorrebbe cambiare quel giorno. Vorrebbe correggere un errore, un errore così piccolo che l’ha portata ad un dolore così grande. Semplicemente, forse, in maniera molto infantile, Livia vorrebbe ricominciare daccapo. Vorrebbe legare i lunghi capelli biondi in un’alta coda di cavallo, e vorrebbe andare al mare, nuotare, mostrare le gambe. E’ tanto che Livia non mostra le gambe, ragazzo del post. Livia aveva letto un mucchio di fesserie, ragazzo del post. Aveva letto che bastava un rasoio da barba, come quello che userai tu tutti i giorni. Livia non l’avrebbe detto mai a nessuno, neppure a te, ma probabilmente le forbici con la punta arrotondata sapevano fare più male.
 
Mentre Giulio continuva a giocare con il suo puzzle, Livia restava seduta sul pavimento.
-Io e un mio amico, costruivamo sempre i puzzle.-
-Come si chiamava questo tuo amico?-
-Si chiamava Teo.-
Giulio batteva prepotentemente sulla testa di Spiderman.
-Sei ancora triste, Livia?-
Livia scosse la testa, asciugò l’angolo delle ciglia prima che una lacrima colasse giù.
-Ho solo nostalgia, Giulio. Tu non hai mai nostalgia?-
Giulio sollevò la testa, mise da parte il gioco.
-Hai nostalgia del tuo amico?-
-Ho nostalgia delle cose che ho perso.-
 
Tu cosa hai perso, ragazzo del post?
Livia a volte crede d’aver perso se stessa. Non riesce a ricomporsi, non riesce a ritrovarsi.
Livia aveva dei grandi Amori. Uno di questi, probabilmente, è anche il tuo.
Ne senti già la mancanza, ragazzo del post?
Livia vorrebbe incontrarti, ragazzo del post.
Vorrebbe dirti che ha combinato un macello, per quest'amore. Vorrebbe dirti che ha raccontato una bugia. Vorrebbe dirti che dietro alla bontà, nasconde una buona dose d’egoismo. Vorrebbe spiegarti che vedere il dolore, ogni giorno, forse l’avrebbe aiutata a dimenticarsi del suo. L’avrebbe confuso, fino a renderlo invisibile, insignificante. Livia avrebbe voluto essere una persona migliore, ragazzo del post. Livia, invece di scrivere, avrebbe voluto sorridere, parlare. Parlare, come parlava con Teo.
 
Livia avrebbe voluto chiedergli perdono, ragazzo del post. Avrebbe voluto essere in grado di proteggerlo, di mettergli una mano sugli occhi neri e salvarlo da ogni impatto. E avrebbe voluto proteggere Giulio. Che sapeva non avrebbe avuto che due mani per difendersi dal mondo. E avrebbe voluto continuare a tenerlo in braccio, portarlo al mare e lanciarlo in acqua, fra le onde agitate. Avrebbe voluto promettergli che il dolore, anche se l’avrebbe trascinato a fondo, l’avrebbe poi riportato a galla.
Livia avrebbe voluto dirgli che i suoi sogni sarebbero rimasti fermi ad aspettarlo, che il vento non li avrebbe prepotentemente sparsi lontano.
 
Tu cosa ne pensi, ragazzo del post?
Cosa avrebbe risposto, Teo, a Livia?
Dove sarebbe andato Teo?
 
L’unica cosa in cui Livia credeva, neppure sapeva darle una risposta.
La verità, ragazzo del post, è che non c’è una risposta.
Livia vorrebbe solo dirti che non sarà colpa tua.
E vorrebbe dirlo anche a Giulio, quando sarà più grande.
Quando la vita lo travolgerà, come ha travolto lei e te, e Nadia.
Livia avrebbe continuato a scattargli fotografie ancora per un po’, e in ogni fotografia, avrebbe catturato tutto ciò che poi Giulio avrebbe perso.
Non per creare un attimo di pura e violenta nostalgia.
Ma per imprimere su carta la determinazione.
La determinazione e la dignità nel rialzarsi, nel camminare a carponi, nel cercare, nel costruire, nel lottare.
 
Livia avrebbe bevuto una tazza di tè, ragazzo del post. Avrebbe fatto una doccia.
E poi avrebbe detto a Nadia di portarla a fare un giro in macchina.
Avrebbe guardato la pioggia scendere, picchiettare contro i finestrini, avrebbe pianto, e le avrebbe chiesto perché. La pioggia le avrebbe risposto di sbrigarsi, ogni goccia le avrebbe sussurrato un segreto appena prima di tornare in una pozzanghera. Livia non l’avrebbe afferrato, e avrebbe chiuso gli occhi pensando alle onde impetuose del mare, impetuose come lo sguardo fiero di Teo. Avrebbe sussurrato un grazie, e poi avrebbe raccontato anche a Nadia dei suoi castelli di neve da piccola. Nadia avrebbe riso, e Livia si sarebbe di nuovo lasciata cullare da quella struggente nostalgia.
E poi per un attimo, solo per un attimo, avrebbe creduto che forse Giulio aveva ragione. E che avrebbe dovuto dirglielo. Avrebbe dovuto insegnargli ciò che lei aveva dimenticato. Avrebbe dovuto insegnargli a credere. E a non scordare la determinazione del mare, che imperterrito tornava sempre ad infrangersi sugli stessi scogli e a levigare lo stesso vetro.
Avrebbe dovuto scrivere la parola testardaggine dietro alla fotografia in cui Giulio componeva il suo puzzle, per rammentargli di ricercare sempre i pezzi della sua anima, nel momento in cui si fosse accorto di avvertirne la mancanza. E avrebbe dovuto insegnarli a non rimpiangerli, se non li avesse visti tornare indietro.
 
Livia avrebbe voluto dirlo anche a te, ragazzo del post. Avrebbe voluto raccontare molto di sé. A sua madre, e a tutti gli occhi che incrociava ma in cui non riusciva più a immergersi per paura del loro riverbero. Neppure tu, ragazzo del post, hai realmente perso un pezzo della tua anima. Tutto ciò che hai amato,  che ora ti sembra perduto, è solo volato insieme al vento da un’altra parte. Non è colpa tua. Non era un sogno irraggiungibile. Era soltanto un sogno che poteva camminare senza che tu lo tenessi per mano. Livia vorrebbe avere l’illusione di riuscire a strapparti questa promessa.
 
Fa’ in modo che una parte di te rimanga ancorata alla tua infanzia.
Le tue ferite non sono ciò che sei.
Non smettere di costruire castelli sabbia e desiderare quelli di neve. Puoi avere tutti e due, amare tutti e due.
Sempre all’acqua ritorneranno. Dovrai solo scegliere quali dei due è in grado di mantenersi da solo, di resistere più crudelmente alle intemperie del mondo. Dovrai solo capire quale dei due necessita di fondamenta più solide.
Livia lo dirà a Giulio, lo porterà in giardino, sotto alle falde larghe come candide piume. Lo guarderà correre e non gli urlerà di stare attento.
Livia ha imparato presto come disinfettare una ferita.
E Teo … se Teo avesse potuto restare accanto a lei, le avrebbe risposto che sarebbe caduta sempre altra neve, e che doveva solo ritrovare le orme che voleva percorrere.
E anche se Livia non era stata in grado di cristallizzare il dolore di entrambi e aveva imbrattato la neve, forse l’avrebbe perdonata, un giorno.
 


“…The lone neon nights, and the eke of the ocean,
And the fire that was starting to spark.
I miss it all, form the love to the lightning,
And the lack of it snaps me in two
Just give me a sign,
There’s an end with a beginning
To the quiet chaos diving me mad … “
 

  
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