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Autore: dontblinkcas    16/02/2013    2 recensioni
Chiuse gli occhi e lasciò che la sua mente fosse libera di vagare tra i ricordi. [...]
«Questo è sempre stato il tuo problema: hai troppo cuore, sei troppo umano e questo sarà la tua rovina», forse Kali aveva davvero ragione.
[CoFA]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera cari lettori.
Mi dispiace per avervi fatto aspettare tanto per questo ultimo ricordo. Sì avete capito bene, è l'ultimo ricordo spero che non siate troppo tristi per questo.
Dopo questo ci sarà un piccolo epilogo per far tornare Magnus alla realtà.
Probabilmente non avrete visto, ma ho cambiato divinità perchè Aditi era troppo sconosciuta, così l'ho scambiata con Kali.
Sono un po' preoccupata per la fine: spero di essere riuscita a rimanere IC con il personaggio di Magnus, dopotutto lo stesso Alec afferma che il suo ragazzo soffre di sbalzi d'umore.
Credo di avervi detto tutto quello che dovevo dire, perciò vi lascio liberi di leggere.
Come tutte le altre volte un commento o una critica è ben accettata, sono sempre curiosa di sapere le sensazioni che le mie storie suscitano.
Buona lettura
Dany.




Spectrum

 

 
La fitta foresta tropicale era un turbine di suoni, colori e odori attorno a Magnus.
Alberi secolari alti decine di metri, felci gigantesche e piante rampicanti di un verde brillante si affollavano attorno al sentiero naturale nella speranza di accaparrarsi un posto privilegiato illuminato dal sole; fiori dai colori sgargianti facevano a gara per attirare l'attenzione dei viaggiatori grazie ai loro profumi ammalianti e alle loro forme intriganti.
Il canto degli uccelli risuonava fra le fronde della vegetazione producendo una melodia perfetta come strumenti accordati in una sinfonia; gli urli delle scimmie riecheggiavano lontani come se provenissero da un altro pianeta. Migliaia di insetti e piccoli animali rendevano il paesaggio in continuo movimento come se fossero caotici abitanti di una grande metropoli.

Magnus percorreva con sicurezza il sentiero: nonostante i suoi sforzi di dimenticare, ricordava il tragitto come se fossero passati pochi giorni invece che centinaia di anni.
Il senso di colpa causato dalla menzogna raccontata ad Alec continuava a tornare, come un campanello che suonava a intervalli regolari dal fondo della sua mente. Si sforzò per tenerlo sotto controllo ripetendo a sé che quello che stava per fare non centrava nulla con il suo ragazzo.
Ma sapeva di mentire a se stesso: ormai tutto nella sua vita riguardava Alec e sopratutto questa questione lo riguardava personalmente. Si costrinse a pensare ad altro, al paesaggio così famigliare e così lontano nello stesso tempo.
In poco tempo raggiunse la sua meta.
Alla sua destra un torrente scendeva impetuoso trasportando acqua cristallina, ma lo stregone fissava davanti a sé, verso una parete di roccia frastagliata, scrutando l'origine di quel fiume: a dieci metri di altezza l'acqua si tuffava nel vuoto formando una piccola cascata.
Magnus si avvicinò pericolosamente al bordo di essa: l'acqua zampillante bagnava il suo volto e i suoi capelli, in cui le goccioline rimanevano imprigionate dalla grande quantità di gel.
 
Si inginocchiò sulla terra scura e tracciò con due delle sue lunghe dita un cerchio in cui aggiunse all’interno diversi complicati simboli. Quando ebbe finito passò l’indice della mano destra sul suo polso aprendo la pelle e lasciando sgorgare il sangue rosso brillante dentro le linee fino a che queste non furono riempite. Iniziò a sussurrare una formula nella sua lingua madre facendo divampare le fiamme entro il cerchio, come se il suo sangue fosse stato cherosene; sempre cantando, con un gesto della mano, fece cadere l’acqua della cascata sul disegno estinguendo le fiamme.
Appena il rituale fu completato alla sinistra di Magnus si aprì un'apertura, quasi nascosta dalla fitta vegetazione; lo stregone sorrise soddisfatto e si avventurò nella cavità.
Si ritrovò completamente all'oscuro per qualche secondo, ma prima ancora che i suoi occhi da gatto potessero abituarsi al buio la caverna si accese e numerose fiaccole color rubino illuminarono a giorno la grotta.
«Non è cambiato nulla dall'ultima volta, a quanto vedo»disse lo stregone con voce forte e chiara e sorridendo nell'osservare la caverna.

La piccola fessura si apriva su una grande sala rettangolare. Il pavimento era un intricato puzzle di tappeti riccamente decorati e raffiguranti le grandi imprese degli dei induisti. Due file di colonne finemente intagliate, che raffiguravano terrificanti divinità dai colori sgargianti, erano disposte così da formare tre navate. In fondo alla principale si stagliava un'elegante lettiga con soffici cuscini delle tonalità della terra. Ai suoi piedi, sdraiata come una sfinge, una tigre dal manto sorprendentemente lucido fissava lo stregone con i suoi occhi gialli e le fauci appena spalancate. 
«Magnus Bane», il nome risuonò nella grotta mentre quelle parole venivano pronunciate con un tono sorpreso, malinconico e ammaliante nello stesso tempo, come se la voce che le aveva pronunciate le stesse assaporando come un frutto estremamente succoso.

Una figura sgusciò da dietro la colonna e si sedette con grazia sulla lettiga.
Magnus osservò la giovane donna che aveva di fronte: la pelle scura, illuminata dalla luce tremolante, era perfettamente liscia, i lunghi capelli corvini erano scompigliati e ricadevano sciolti sulle spalle, gli occhi a mandorla erano pozzi neri che accentuavano il Bindi rosso rubino fra le sopracciglia sottili. Il sari rosso sangue che indossava le ricadeva morbido sui fianchi e sul seno rigoglioso; rubini, smeraldi, topazi e zaffiri impreziosivano il vestito già riccamente decorato da fili d'oro, mentre un diamante agganciato su un lembo del sari pendeva sulla pancia piatta scoperta.
«Pensavo che non ti avrei mai più rivisto»disse con voce melodiosa e benevola, ma il sorriso che si dipinse su quel volto era micidiale.
«Spero allora che la mia visita sia gradita nonostante io abbia rotto la promessa»rispose Magnus avvicinandosi lentamente.
«Non sei cambiato per nulla Magnus: lo sento dal battito del tuo cuore, lo vedo dai tuoi occhi. Sei ancora il ragazzino spaventato e indifeso che tuo padre portò da me; nemmeno nel nostro ultimo incontro sei riuscito a farmi cambiare idea e farmi sperare che tu assomigliassi a tuo padre. Ho fallito il compito che mi aveva affidato»disse la dea sempre con voce sinuosa.

Magnus batté le palpebre molto lentamente e immagini del suo lontano passato gli tornarono alla vista come fotogrammi di un film.
Un piccolo ragazzino con la pelle ambrata e i capelli scuri che teneva gli occhi chiusi mentre un uomo alto e dall'aspetto minaccioso lo conduceva al cospetto di Kali, abbandonandolo alla dea perché gli insegnasse ogni sapere antico. 
Le lezioni con la divinità e il modo in cui quella donna dall'aspetto così attraente potesse essere così crudele, tanto da far desiderare al bambino con gli occhi da gatto di non essere mai nato.
La libertà che aveva provato quando era finalmente scappato.
E infine l'incontro con Kali duecento anni fa: ricordava ancora come la dea lo aveva guardato, come se fosse stato un oggetto difettoso.

«Hai ragione, nemmeno la vecchiaia mi ha cambiato. Ma dopotutto io non sono mio padre, per mia fortuna»replicò Magnus sorridendo e sostenendo lo sguardo della dea.
«Vecchio? - rise Kali - non parlare di vecchiaia con me stregone. Forse, invece sarebbe meglio desiderarlo: lui è potente, é uno dei principi dell'Inferno. Faresti meglio a rispettare maggiormente il tuo creatore».
«Non ho chiesto io di essere quello che sono. Sono l'esito di un capriccio di un demone che si vuole spacciare per un padre. Io non gli devo nulla»rispose Magnus con gli occhi in fiamme per ira repressa.
«Questo è sempre stato il tuo problema: hai troppo cuore, sei troppo umano e questo sarà la tua rovina»sentenziò Kali, Magnus non rispose ma la guardò con furia, faticando a rimanere in quella grotta con lei.

«Non credo che la tua sia soltanto una visita di cortesia. Perché sei venuto da me Magnus?»domandò la divinità seriamente.
«Ho bisogno del tuo aiuto, sono alla ricerca di un ingrediente molto particolare»rispose in modo vago.
«Un ingrediente? Tu sei venuto da me, dopo tutto quello che ho fatto, per chiedermi di aiutarti? Cosa ti serve?»disse Kali passando la sua lingua sanguinante sulle labbra.
«Sangue, sangue di una divinità. Mi serve il tuo sangue».
«Deve essere un incantesimo di potenza straordinaria se hai bisogno di sangue divino. Non sono molti i rituali in cui è richiesto…»sospirò la dea mentre Magnus rimaneva in silenzio.
«Anzi me ne viene in mente solo uno. Perché vuoi diventare mortale? Perché vuoi rinunciare all’eterna giovinezza per appassire come un semplice, piccolo e stupido umano?»chiese mentre gli occhi gli brillavano di curiosità.
«Questi non sono affari che ti riguardano Kali. Tu mi darai il tuo sangue e poi non mi vedrai mai più, intesi?»replicò duramente Magnus.
«E perché dovrei aiutarti? Tu non mi hai mai amato e sei scappato alla prima possibilità di farlo»ribatté la dea alzandosi e avvicinandosi a Magnus fino a che non fu a pochi centimetri di distanza.
«Perché altrimenti rivelerò a mio padre che tu mi hai lasciato andare senza che completassi il mio secolo di apprendimento. Ricordi come mentì per te nel nostro ultimo incontro dicendo a mio padre di aver imparato tutto il possibile da te? Non credo sarebbe molto felice di sapere la verità.Ormai sei soltanto una piccola dea decaduta, come tutta la tua famiglia, e se fossi in te non mi metterei contro un principe dell’Inferno»rispose con una furia controllata e con gli occhi infiammati da una dura determinazione.
Kali lo fissò lungamente, poi un sorriso di sconfitta si disegnò sul suo volto.
«Sembra davvero che tu sia figlio di tuo padre».
Nelle mani della dea comparvero una ciotola e un coltello dall’aria affilata; allungò un braccio e con un colpo deciso si fece un taglio profondo: il sangue cominciò a sgorgare finendo nella ciotola che Magnus teneva in mano. Kali continuò a guardare lo stregone fino a che il recipiente non fu colmo; con uno sprizzo di scintille l’oggetto sparì nel sicuro del suo appartamento di Brooklyn.
 
«Spero di non incontrarti mai più»disse Kali leccando dal braccio il suo stesso sangue.
«La speranza è reciproca»rispose Magnus con un sorriso e si voltò per allontanarsi il più possibile da quel posto, ma qualcosa alla parete attirò la sua attenzione.
Sui muri, come trofei, erano esposte decine di armi divine: coltelli, asce, spade dalle lame ricurve; ma Magnus si concentrò sul grande arco nero che aveva davanti a sé.
«Hai anche una nuova passione per le armi oltre che per riti suicidi?»chiese Kali notando che Magnus guardava l’arco.
«Gandhiva, l’arco che Shiva prestò ad Arjuna nella Guerra di Kurukshetra. Sono mille anni che quell’arco non viene usato, sono ormai finiti i tempi in cui potevamo tranquillamente manifestarci agli uomini. Il tempo degli dei è finito ormai, siamo decaduti come pure le nostre armi»sospirò la dea avvicinandosi all’arma e prendendola tra le mani.
«Una volta quest’arco splendeva con la furia di mille soli, ma con le storie ormai diventate miti ogni arma ha perso la sua forza vitale, anche se rimangono invincibili in mano alle persone giuste».
«Forse è venuto il momento ridare a queste armi la loro gloria» rispose Magnus.
 

***

 
Magnus aprì la porta della camera sicuro di trovare Alec di nuovo addormentato, ma appena il suo sguardo trovò il letto vide solamente le lenzuola disfatte.
Si avvicinò allora alla portafinestra che dava sulla piccola spiaggia privata, incapace di immaginare il Nephilim prendere il sole, ma prima che potesse controllare una voce lo fece voltare.
«Iniziavo a pensare che mi avessi abbandonato qui da solo»disse Alec che era appena uscito dal bagno.
Indossava soltanto un paio pantaloni grigi a vita talmente bassa che il ventre piatto era ben visibile, il petto nudo sembrava un foglio reso bianco dalle continue cancellature: i segni di antichi marchi erano appena visibili sulla carnagione chiara, quei segni che ormai Magnus conosceva a memoria come se fossero incisi sulla sua pelle. I capelli neri del ragazzo erano arruffati e ancora bagnati, una ciocca scendeva davanti ai suoi occhi azzurri.
«Hai fatto una doccia»costatò lo stregone, «speravo che mi avresti aspettato»aggiunse poi con un sorriso sghembo ammirando il corpo del suo ragazzo.
Le guance di Alec si colorarono mentre sorrideva imbarazzato.

«Cosa hai lì?»chiese il cacciatore cambiando discorso e indicando le mani di Magnus nascoste dietro la schiena.
«Solo un regalo per qualcuno di speciale»rispose facendo il misterioso.
«È per il presidente Miao?»chiese Alec con un sorriso e avvicinandosi.
«Come hai fatto a scoprirlo?!»esclamò Magnus facendo finta di stupirsi.
Ora lo stregone si trovava davanti ad Alec, che allungò le mani sulle sue spalle e scese lungo le braccia per scoprirle da dietro la schiena.
Appena Alec vide l'oggetto tra le mani di Magnus restò impietrito.
Era un arco.
Era l'arco più bello che avesse mai visto.
Era in legno nero con i bracci rinforzati in tendine e l'impugnatura in corno bianco.
Alec prese con dita incerte l'arma in mano e sentì la sua leggerezza e l'equilibrio perfetto dato dalla sua linea flessuosa; con l'indice pizzicò la corda che vibrò producendo un ronzio secco che fendette l'aria.
Alec alzò lo sguardo su Magnus che lo fissava in attesa.
«È..è..è bellissimo»fu tutto quello che riuscì a dire.
Magnus sorrise compiaciuto e diede un leggero bacio al Nephilim.
«Sono contento che ti piaccia».
«Ma dove lo hai preso? È troppo perfetto per essere un normale arco. È magico? Ti sarà costato una fortuna, sempre che tu lo abbia pagato»chiese Alec preoccupato.
Lo stregone sorrise affettuosamente.
«Alexander é un regalo, non potresti semplicemente ringraziare e non preoccuparti sempre di tutto?».
«No, voglio sapere dove lo hai preso»rispose il ragazzo sempre più preoccupato, guardando gli occhi verdi dorati di Magnus.
Lo stregone sospirò, rassegnato dalle pressioni del suo ragazzo.
«Non l'ho comprato né rubato se è questo che intendi. È stata Kali a darmelo, non sopportava più l'idea di lasciare questo arco come oggetto da collezione, così le ho detto che conoscevo qualcuno che lo avrebbe usato nel migliori dei modi»rivelò appoggiando una mano sul petto di Alec.
«Que..questo è l'arco di una divinità induista?»esclamò sbalordito, «Magnus non credo che io possa tenerlo, non credo che riuscirei...», ma non riuscì a continuare.
Magnus gli prese il volto tra le mani costringendo il Nephilim a guardarlo dritto negli occhi.
«Ascoltami Alexander. Non c'è persona al mondo che si merita un'arma del genere più di te. L'arco è indistruttibile e può essere teso solo da persone pure di cuore. Tu sei una delle poche persone al mondo che siano in grado di controllare e riportare al suo antico splendore quest'arma ed è proprio questo che Kali vuole. Quindi non costringermi a farti qualche strano incantesimo per farti accettare questo regalo, intesi?», Magnus parlò con determinazione ma il tono restò dolce.
Si fissarono per un lungo istante prima che Alec annuisse lentamente. 
Poi il Nephilim colmò la breve distanza che separava i loro volti e baciò lo stregone.
Alec si staccò leggermente dal bacio e sussurrò tre semplici parole sulle sue labbra.
«Ti amo Magnus».
Magnus spalancò gli occhi e si perse nell'oceano di quelli di Alec mentre il suo cuore partiva all'impazzata.

Non era la prima volta che sentiva quelle parole, anzi ormai aveva perso il conto: parole sussurrate nell'oscurità della notte, urlate in serate di piacere. Aveva udito quella frase uscire dalla dolce bocca di diversi amanti, ne aveva colto la falsità e l'aveva pronunciata lui stesso, credendo alla sua momentanea veridicità.
Ma poi tutto era passato.
Nessuno aveva mai mantenuto la parola, nessuno gli era rimasto affianco, tanto che quella frase aveva iniziato a perdere ogni suo valore, come una rosa che appassisce lentamente logorata dal tempo. Ma quelle parole sussurrate da quel ragazzo dall'animo così innocente gli fecero cambiare idea.
Gli fecero tornare la fiducia in quelle parole.

«Ti amo Alexander».
 

***

 
«Ma hai una casa in ogni città del mondo?»chiese Alec sbalordito quando furono davanti al cancello in ferro battuto di una casa in mattoni rossi.
Magnus sorrise e aprì il cancello nero, «solamente nelle città che amo maggiormente», salì gli scalini ed infilò una chiave d’ottone nella serratura. Alec era rimasto indietro a osservare quella dimora dalla facciata georgiana con un bovindo sporgente e vide una bella scritta elegante incisa sull'architrave della porta d'ingresso.
«'L'art pour l'art'. Cosa significa?»domandò il ragazzo raggiungendo Magnus sulla soglia; lo stregone lo avvicinò e gli sfiorò una guancia con la mano.
«L'arte per l'arte. Era il motto degli artisti esteti del XIX secolo. Significa che si deve andare alla ricerca del bello. Per questo credo mi consideri ancora un esteta»rispose sorridendo ad Alec mentre il ragazzo arrossiva leggermente.

«Questa casa è enorme! Hai davvero vissuto da solo qui?!»chiese Alec nuovamente stupito continuando a guardarsi attorno e osservando il soggiorno arredato come un tipico salotto borghese di fine Ottocento.
«Condividevo questa con un amico, era sua la casa prima che la cedesse a me. Non tornavo qui da parecchio tempo ormai»rispose Magnus passato un lungo dito sulla mensola polverosa del camino, poi si sedette su una poltrona imbottita color cremisi e chiuse gli occhi.
«Un amico? Tu e lui... Lui è mor...se ne è andato?», la gelosia di Alec era evidente anche se aveva cercato di camuffarla.
«Alexander ti prego, non ho voglia di parlarne. Sono stanco, continuare ad aprire portali è sfiancante»rispose sfinito lo stregone agitando una mano per scacciare via il discorso.
Il Nephilim continuò a guardalo per qualche istante, indeciso se lasciar perdere o far arrabbiare Magnus.
«Ho bisogno di una doccia. Dov'è il bagno?»domandò infine Alec per distrarre lo stregone.
«Sali le scale, l'ultima porta a destra è la camera padronale con il bagno privato. Cerca di non finire tutta l'acqua calda come il tuo solito»replicò Magnus quasi freddamente senza aprire gli occhi.
Alec palesemente deluso si girò e ripercorse il corridoio fino ai piedi delle scale.
«Non badare alle statue sulle scale!»gridò Magnus facendo riecheggiare la sua voce per tutta la casa.
Ma era troppo tardi: Alec, che aveva già salito qualche scalino, fissava le statue fra le nicchie mentre le sue guancie divamparono come se sotto la sua pelle qualcuno avesse acceso un fuoco.
La risata di Magnus risvegliò Alec dallo sgomento.
«Troppo tardi vero?».
«Vero»disse Alec correndo al piano superiore.




Era stato uno stupido.
Non avrebbe mai dovuto portare Alec in quella casa, sarebbero dovuti andare in hotel ma la memoria del Nephilim era maledettamente buona: si era ricordato che una volta Magnus gli aveva detto di avere una casa a Londra e aveva insistito tanto per vederla. Lo stregone non aveva potuto ribattere, non quando Alec lo aveva guardato con i suoi grandi occhi azzurri imploranti.
Ma ora Magnus si trovava a combattere con i fantasmi del suo passato.
Da oltre cento anni non tornava in quella casa che aveva il potere di risvegliare ricordi tanto simili alla vita che conduceva adesso. Come nel presente, aveva dato fiducia a un piccolo gruppo di Shadowhunters, aveva offerto i suoi servigi e si era fatto trasportare dall'affetto di un ragazzo dagli occhi blu e dalla curiosità per una ragazza fuori dal comune.
Ma non erano quei ricordi che lo tormentavano e lo rendevano triste, soffocandolo come se fosse oppresso da un macinio.
Era l'idea di tornare nella casa di Woolsey che lo uccideva.
Stare lì era come rivivere i momenti passati con il suo amico, con il suo amante. Woolsey lo aveva accolto mentre si trovava a pezzi, dopo che Camille lo aveva ucciso, quando era stato nuovamente distrutto da una persona che pensava lo amasse. Era stata la vampira a distruggere tutte le sue convinzioni sull'amore e a renderlo molto più diffidente nei confronti degli altri. Ed era stato Woolsey a rimettere insieme i cocci del suo cuore ferito.

Senza quasi accorgersi si alzò dalla poltrona e raggiunse la mensola sopra il camino sulla quale era appoggiata un’ingegnosa scatolina in maiolica con diversi scomparti. Aprì lentamente il coperchio superiore rivelando tre lunghi sigari scuri al suo interno, lo stregone ne prese uno e aspirò l’odore di tabacco; l’incantesimo che li avrebbe dovuti conservare aveva compiuto perfettamente il suo lavoro. Con uno schiocco di dita fece comparire una fiammella e accese il sigaro: il gusto dolce del fumo si mescolò con il sapore amaro dei ricordi.
Si avvicinò al tavolino dalle lunghe e sottili gambe e tolse il telo bianco che lo ricopriva per proteggerlo dal tempo. Appoggiato su di esso c’era un fonografo: la tromba acustica nera riluceva immune al trascorrere degli anni, il cilindro inciso sembrava avesse aspettato decenni per essere messo in funzione. Magnus girò la manovella e il suono limpido di un violino aleggiò per la stanza.
Aveva convinto Edison a realizzare la sua invenzione rivoluzionaria, ma per quanto strabiliante aveva avuto bisogno di un perfezionamento magico per eliminare le fastidiose interferenze. Aveva anche cercato di convincere Garcin a registrare il suo talento, perché sapeva quanto Woolsey amasse la sua musica, ma quello aveva guardato con odio quell’aggeggio; così aveva chiesto Will di convincere il suo amico James. E tutto questo come regalo per Woolsey, per ringraziarlo.
 



«Che cos'è?», Alec era entrato nella stanza; indossava, come al solito, una maglia nera e dei jeans sbiaditi, quell'abbigliamento unito al suo pallore facevano risaltare gli occhi come fanali nel buio.
«È soltanto un ricordo di una vita passata»rispose lo stregone con un velo di nostalgia e di tristezza che fu colto dal Nephilim.
«Una vita che non posso conoscere»commentò amaramente il ragazzo.
«Non ho detto questo»rispose Magnus soffiando il fumo del sigaro e guardando Alec con occhi spenti.
«E allora perché non mi racconti mai niente della tua vita, e non sto parlando dei tuoi aneddoti. Voglio sapere qualcosa di più serio!»esclamò non riuscendo a trattenere impazienza.
Magnus posò il sigaro e si mise davanti ad Alec prendendolo per le spalle.
«Alexander ti prego, non voglio litigare per questo. Mi dispiace per prima, questa casa mi fa pensare a quanto sono vecchio e alla mia vita precedente. Ma il passato è passato, non c'è alcun motivo per ricordarlo. La cosa più importante è il presente: tu sei il mio presente e non lo cambierei per nulla al mondo. Ti amo Alexander, qui e ora, e questa è l'unica cosa che conta», la voce di Magnus tremò leggermente mentre gli occhi luccicavano a causa degli occhi lucidi.
L'espressione e il tono di Magnus dovevano essere stati molto eloquenti perché Alec attrasse a sé lo stregone e lo abbracciò mentre l'altro si appoggiava contro la sua spalla.
Il Nephilim era sorpreso e sconvolto: non aveva mai visto Magnus comportarsi in modo tanto fragile; comunque appoggiò la guancia sui capelli spettinati dello stregone per calmarlo.
«Va tutto bene»gli sussurrò vicino all'orecchio, poi appoggiò la sua mano sulla guancia dello stregone per sollevargli il viso: un unica lacrima stava cadendo e Alec la raccolse con il pollice prima che potesse superare lo zigomo.
«Ti rovinerai il trucco così»disse dolcemente il ragazzo sperando di farlo sorridere. E infatti la bocca dello stregone si arricciò leggermente verso l'alto prima che le sue labbra fossero catturate da quelle di Alec.
Nessuno dei due si accorse che il dolce suono del violino aveva smesso di diffondersi nella casa.
  
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