24 dicembre 2018.
Ore 0.56. Doncaster.
Sparse sul pavimento di una delle stanze del piano superiore di casa Tomlinson, c’erano delle gocce di sangue. Gocce di sangue che, quasi coreograficamente, erano impostate a forma di H. Ma non se ne rese conto, fin quando non guardò attentamente quelle gocce di sangue. Le guardò, incessantemente, mentre le lacrime fino ad allora trattenute, cominciavano a solcare le sue pallide guance. Andarono a mischiarsi con quelle fredde gocce di sangue, che quasi gelavano, gelavano mentre cadevano dai suoi freddi polsi.
24 dicembre 2018.
Ore. 1.35.
Louis aveva appena ri-posato la lametta in uno
degli astucci
che teneva chiusi in un cassetto della sua camera.
Vista l’ora decise di andare a dormire, in modo che la mattina sarebbe
sembrato
sveglio e pieno di energie, visto che
sarebbe stato lui l’importante quel giorno, era lui che avrebbe
compiuto 26
anni. Era lui, che da 5 anni viveva ancora in quello schifo di
situazione.
Era finito tutto ciò per cui valeva la pena di
vivere.
La
band. Era finita da ormai cinque anni, e dalla fine, anche la
sua vita
stava lentamente fuggendo via dalle sue mani. Quella con la band era la
vita
che aveva sempre immaginato e desiderato, e una volta ricevuta sapeva,
sperava,
che non sarebbe mai finita, mentre contro la loro voglia dovette
finirei tutto.
Dovettero finire due vite, in particolare.
La
musica. Non ne facevano più, nessuno dei 5. Erano fermi ormai
da
quell’anno, da quel giorno. La cosa era ormai diventata struggente, non
ascoltavano
più le loro stesse canzoni, non cantavano più neanche sotto la doccia.
E Louis,
quando per caso rileggeva una loro frase, o ascoltava una loro canzone
anche
contro la sua stessa voglia, scoppiava in un terribile pianto, che lo
portava
alla totale stanchezza, lo portava ad abbandonarsi sul suo letto, o sul
pavimento, o dovunque egli si trovasse. Perché ormai era distrutto, e
sapeva
che nulla poteva riaggiustarlo.
I sorrisi. Quelli.
Quelli poi, erano totalmente scomparsi dalle
loro vite. Quando una fan per puro caso li incontrava per strada,
sperando che
non tutto fosse finito, vedeva i loro volti imbronciati, segnati dalla
tristezza. I loro familiari dovettero abituarsi a vedere i loro volti
diversi.
Perché lo erano. Perché dopo quell’accaduto, sembrava che quei cinque
ragazzi
non esistessero più. Sembrava che ogni parte degli One Direction fosse
svanita.
Sul volto di Louis, mai più si videro quelle strane rughe definite a
‘zampa di
gallina’, ai fianchi degli occhi. Sul volto d Liam, gli occhi ebbero
sempre la stessa
espressione, nessuno vide più quegli occhi assottigliarsi perché sul
suo volto
compariva un sorriso. Sul volto di Niall
non si videro più quei denti bianchi, che alcune ritenevano imperfetti,
ma che
si sa, erano perfetti. Sul volto di Zayn i sorrisi, già rari anni
prima,
divennero del tutto inesistenti, da quel giorno. I bronci, sulle labbra
di
tutti, divennero più spontanei e più frequenti. E sul volto di Harry..
Ma chi è che vide più il volto di Harry da quel giorno? Chi?
Probabilmente tutti. In foto, certo.
Trasportato dai pensieri, Louis si addormentò
quasi
velocemente e la mattina si svegliò verso le 8.50. Si alzò lentamente
dal letto
e andò all’armadio per prendere degli abiti, e correre poi in doccia.
Nonostante il freddo quasi glaciale che c’era a Doncaster quel giorno,
la sua
doccia non fu per niente calda, neanche tiepida. Fu gelida, fredda,
ghiacciata.
Ma lui il freddo non lo sentiva, perché ormai il gelo si era
impossessato di
lui, del suo sangue. Era freddo, completamente. Potevano forse
paragonarlo ad
un vampiro, uno di quelli da film.. No, non uno di quelli che brilla.
Non
brilla, per niente. No, lui non brillava, lui stava perdendo lucentezza
giorno
dopo giorno. I suoi occhi, una volta celesti come il cielo, celesti
come il
mare, divennero grigi. Dannatamente grigi. Metaforicamente, certo.
Una volta uscito dalla doccia ed essersi vestito,
scese al
piano di sotto per la colazione insieme alla sua famiglia. Notando però
la
cucina ed il soggiorno completamente vuoti, e tenendo presente anche
l’assordante silenzio della casa, si rese conto che tutti dormivano. Si
fece
forza e uscì di casa, per respirare un po’ dell’aria pulita della
campagna di
Doncaster. Lasciò che l’aria penetrasse a fondo nei suoi
polmoni,
gelandone le pareti, facendolo sentire ancora più impotente in quel
doloroso
mondo che lo circondava.
“When you’re gone the pieces of my
heart are missing you.”
Osò canticchiare tra una lacrima e l’altra. Solo dopo che la
frase fu
finita, si rese conto di ciò che aveva fatto, si rese conto di aver
cantato,
dopo cinque lunghi anni. Aveva cantato, aveva finalmente ricordato come
la sua
voce potesse suonare quando seguiva una melodia, una qualsiasi.
Si ritrovò a sorridere a se stesso, senza motivo..
solo,
solo con la sua voce.
Si stupì di come potesse sorridere, di come al
tornare alle
esperienze vissute con i suoi compagni di band, potesse vivere un po’
di più,
un po’ meglio.
Rialzò lo sguardo per guardare la strada ma si
rese conto
che c’era una ragazza ad osservarlo, ad accennargli un sorriso, un po’
dolce.
Il ragazzo ri-abbassò lo sguardo mettendo il cappuccio a coprire
capelli e
viso. Tornò ancora al suo mondo pieno di tristezza, dolore.
Tra i suoi pensieri vide comparire dei ricci,
fossette, due
smeraldi, e sentì delle strane gocce
salate arrivare alle sue labbra. Passò il dorso della mano sulla
guancia
destra, ormai bagnata.Lacrime su lacrime continuavano a cadere lungo le
sue
guance.
Poteva sorridere quando cantava, questo lo sapeva.
Ma quando
si sarebbe fermato a pensare, sarebbe stato facile sostituire i sorrisi
con le
lacrime amare.
Cominciò a correre come un forsennato, a correre,
correre
verso la notte più buia di tutti i tempi, di tutta la vita, di tutti i
momenti.
Corse fino ad arrivare alla parte più nascosta e buia della sua anima.
Corse, corse a più non posso, fino ad arrivare lì, all’Highgate
Cemetery, di
Londra. A guardarlo dal portone principale, sembrava quasi vuoto, solo
qualche
persona qua e là che camminava in lacrime, con dei fiori tra le mani.
Entrò
lentamente a sguardo basso, cercando di riprendere fiato mentre si
avviava
verso quella tomba, la cui posizione era stata ormai memorizzata: Viale
principale, terzo vialetto sulla sinistra, primo sulla sinistra,
diritto, fino
ad arrivare finalmente alla sua tomba su quel viale alberato, con
arbusti
ricchi di fiori, casualità del destino o no, arancioni.
“ Harold Edward Styles. 1-02-1994 / 24-12-13. Vivrai, ora e per sempre, nei nostri cuori. ” Così citava l’epitaffio, poco sopra alla quale c’era una piccola cornice ovale, con all’interno la foto di Harry. Era forse una delle migliore, ma no..come osare? Ogni foto era la migliore, perché in ogni foto, in ogni foto c’era lui, e lui rendeva le cose migliori. Louis si lasciò scivolare piano a terra, seduto a gambe incrociate, mentre continuava a guardare quella foto, allungando piano la mano verso la lapide. Fece scorrere il dito sull’epitaffio, lentamente, una lentezza estenuante, una lentezza che usava solo quando accarezzava il viso di Harry. Perché in verità, quando accarezzava quella lapide, gli sembrava di accarezzare proprio Harry, quelle sue guance morbide, setose, gli sembrava di accarezzare quei suoi fantastici ricci che profumavano di cocco. Chiuse di scatto gli occhi, sentendo del vento, non pesante, era più una piccola folata che avrebbe smosso solo un paio di foglioline dall’albero. Ma lui la sentiva arrivare fin dentro il suo corpo, colpire muscoli e ossa. Le sentì potenti, e calde..bollenti. Cominciò a sentire un profumo, un profumo che non sentiva da anni, su nessun corpo, su nessuna persona, in nessun luogo, in nessun sogno. Lo sentiva, lo sentiva benissimo. Sentiva quel profumo, e poi due mani poggiarsi alle sue spalle, due mani delicate, si sembravano delicate. Ma le sentiva pesanti sul suo cuore, pesanti come un macigno, che torturava quel povero organo già mal ridotto di suo.
Quel profumo, quelle mani, quel leggero venticello
che era
entrato nel profondo di lui.. fece due più due e…
“Harry!”
Esclamò girandosi di scatto vedendo solo il cimitero più deserto di
prima.
Nessuno intorno a lui, nessuno al suo fianco. Il profumo era scomparso,
così
come era scomparsa la sensazione di avere le sue mani poggiate alle
spalle.
Le lacrime che si erano ritirate poco prima,
stavano
cominciando a salire di nuovo ai suoi occhi azzurro cielo, riempiendoli
ancora
una volta di tristezza, ricoprendoli con quel velo grigio che li aveva
coperti
per così tanto tempo. Si alzò lentamente, mentre lasciava cadere una
lacrima
sul terreno, ai piedi della lapide. Per un momento vide la sua ombra,
vide una
forma, una forma svolazzare. E gli sembrava lui. Oh,si! Sembrava
davvero lui.
“Addio Louis.”
Sentì queste parole sussurrate, quasi in modo sbiascicato. Cercava di
capire da
dove provenisse, ma l’eco arrivava da ogni lato.
Sentiva le forze abbandonarlo lentamente, il suo corpo che piano scivolava sul terreno umido di quel cimitero, ai piedi di quella tomba dove era sepolto il suo amato Harry.
Cadde, definitivamente. Cadde sulle sue ginocchia
piegandosi
in avanti con il busto, sussurrando fievolmente un “Addio Harry. Ti amo.” e poi
il
suo corpo toccò terra, si bagnò il viso, le mani. La sua felpa si
sporcò della
terra e la sua anima volò via, insieme alla sua vita.
Louis
Tomlinson morì
lì, ai piedi della tomba del suo amato, il giorno del suo compleanno,
dopo
cinque anni di completa solitudine. Dopo cinque anni che il suo cuore
batteva
in modo impercettibile, che il suo cuore batteva a stento nel suo
petto, che i
suoi occhi non avevano lucentezza, e che la sua anima aveva perso sé
stessa,
Louis morì.