Serie TV > CSI - New York
Segui la storia  |       
Autore: margheritanikolaevna    17/02/2013    7 recensioni
Oggi è la Giornata della Memoria: nessuno di noi ricorda l'Olocausto, eppure ognuno di noi ha il dovere di ricordarlo.
Questa strana storia è il mio personale contributo per non dimenticare.
Vi siete mai chiesti come sarebbe la nostra vita se la Seconda Guerra Mondiale non fosse andata nel modo che conosciamo?
Partecipa ai contest "Worldwide" di Yuki e "Quando l'ispirazione bussa alla porta..." di Dominil B
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mac Taylor
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

  
 

Eccoci qua, amici, la storia entra finalmente nel vivo: dopo la caduta, Mac si risveglia in un luogo sconosciuto. Ma è davvero sveglio, oppure quello che vivrà sarà solo un sogno dannatamente realistico?
 
 
Capitolo terzo
  
Non fu un rumore, ma il silenzio più profondo a strappare Mac Taylor dall’incoscienza: disorientato e ancora intontito, sbatté le palpebre più volte e si guardò intorno senza riuscire a riaversi dallo sbalordimento.
Si tastò il capo, il petto, le braccia, meravigliandosi di non trovarvi alcuna traccia della caduta patita; non solo, ma ancor più sorpreso di non conservarne che qualche immagine sfocata, l’ombra confusa d’un frammentato ricordo.
Si trovava per terra, solo, nella tenebra di un luogo deserto e senza sapere a chi rivolgersi per capire cosa gli fosse accaduto e dove fosse capitato.
Cercò di tornare con la memoria agli ultimi avvenimenti e si rese conto con infinito sgomento di non ricordare quasi nulla… ma davvero era precipitato? Veramente stava inseguendo qualcuno, oppure quel ricordo non era altro che un inganno della sua mente sconvolta?
Nel vuoto di questa orribile incertezza, d’improvviso lo afferrò l’ansia di comprendere almeno dove si trovasse in quel momento: si levò in piedi e fece alcuni passi nell’oscurità, domandandosi in quale luogo a quell’ora di notte l’illuminazione stradale potesse essere spenta, tanto da gettare le strade e i palazzi nelle tenebre più cupe. Neanche un lume acceso, neppure alle finestre degli edifici che apparivano, anzi, come disabitati.
Si guardò le mani, le voltò in modo da scrutarne sia il dorso che il palmo, le serrò a pugno e poi le riaprì, quasi a sincerarsi in tal modo di essere egli stesso reale e non già solo un‘allucinazione o un sogno. 
Nessuno in giro, neppure un vagabondo, un ubriaco, una prostituta… nessuno.
Una città certamente a lui ignota: nel buio, scorse il baluginio della targa metallica che recava un’indicazione stradale, ma non riuscì a discernere cosa vi fosse scritto.
Levò gli occhi verso il cielo, dove grosse nuvole nere s’addensavano all’orizzonte tra i primi, squallidi, barlumi dell’alba; guardò l’orologio che aveva al polso, ma neppure questo poté aiutarlo a tranquillizzarsi, giacché le lancette si erano inopinatamente fermate.
La città dormiva d’un sonno profondo, spaventoso.
Sempre più inquieto, camminò ancora - in fretta, quasi di corsa - senza sapere dove andare, guardandosi angosciosamente intorno nella speranza di comprendere dove si trovasse quando a un tratto, nella vasta piazza livida che  si aprì davanti a lui, si accorse che vi era un fanale acceso.
Allora si fermò, come atterrito dall’eco dei propri passi affannosi nel silenzio.
Alla sua luce giallastra, Mac scorse i profili di alcuni edifici semidistrutti stagliarsi contro il cielo che si tingeva di rosa: le finestre erano vuote e buie e cumuli di macerie si allargavano spettrali agli angoli delle vie circostanti.
Ansante, si avvicinò al lampione, sul cui fusto metallico era appeso quello che sembrava un cartello: con meraviglia crescente, il poliziotto vi distinse i caratteri inequivocabilmente familiari dell’alfabeto latino, sia pure aggrumati a formare parole che gli erano del tutto incomprensibili.
Provò a leggerne qualcuna ad alta voce, rendendosi conto dalla loro struttura e dal suono che la scritta era in tedesco. Fu in grado di comprendere solo la parola “Berlin”, ma ciò che lo sconvolse maggiormente fu la data che era stampigliata sul fondo del manifesto: 18 maggio 1944. 
All’improvviso, sebbene fosse una notte tiepida, al tenente sembrò che facesse freddo, che l’aria si fosse ispessita e che l’oscurità trascolorante nell’alba gravasse sul suo cuore come un peso impossibile da sopportare.
Una cupola di nuvole, folte come l’immensità, aveva sommerso il cielo e sembrava abbassarsi sulla terra per annientarla.
La piazza era deserta, solo due persone in uniforme erano appena sbucate da una delle strade che su di essa di aprivano e si apprestavano ad attraversarla; istintivamente, Mac si accucciò dietro un muro semicrollato, nascondendosi così alla loro vista e trattenendo il fiato senza nemmeno comprendere esattamente il perché.
Quando gli passarono accanto, distinse più chiaramente le loro uniformi brune, solo in parte coperte da lunghi impermeabili grigi, e le canne dei fucili a tracolla, ma soprattutto le fasce sul braccio destro, che recavano impresso un simbolo che il poliziotto riconobbe immediatamente.
Guardarlo e comprendere fu un istante, perché nelle tenebre le svastiche bianche sul fondo scarlatto rilucevano come di un sinistro bagliore.
Col respiro che gli moriva in gola, il poliziotto attese che i due si fossero allontanati e dunque uscì dal suo nascondiglio improvvisato; si guardò ancora una volta intorno e poi rimase immobile, in piedi, solo in mezzo all’ampio spiazzo deserto.
Lontano nel tempo e nello spazio da tutto ciò che conosceva.
Un sogno.
Non poteva che essere un sogno.
Forse quando era caduto (ma poi era davvero caduto, oppure aveva immaginato anche questo?) considerò, passandosi una mano sul volto, il suo cervello aveva subito un trauma e adesso stava immaginando di trovarsi nella Berlino nazista. Già, solo immaginando.
Eppure, era tutto così dannatamente reale! Sentiva la durezza dei lastroni di pietra del selciato sotto i piedi, avvertiva l’aria pungente dell’alba sulla faccia, nelle narici il vago sentore di zolfo e fosforo che testimoniava la devastazione dei bombardamenti che la città aveva subito.
E poi le vie deserte, le macerie, l’oscurità, quel silenzio così innaturale: senza dubbio molti erano fuggiti e chi era rimasto doveva rassegnarsi a passare le notti nei rifugi e non osava certo sfidare il coprifuoco.
In quell’istante un grido soffocato risuonò, riecheggiando amplificato e distorto tra gli edifici vuoti e le vie disertate; abbastanza vicino perché il tenente sussultasse, portando la mano alla cintola per sincerarsi di avere ancora con sé la pistola di ordinanza, e subito facesse qualche passo verso il luogo dal quale l’urlo gli era parso provenire.
Poi vide sbucare da un vicoletto un giovane, vestito poveramente, che correva con tutte le sue forze guardandosi ogni tanto indietro con angoscia: i due che lo inseguivano erano armati e parevano assolutamente determinati a non lasciarselo scappare.
Senza riflettere, guidato solo dall’istinto, Mac prese a correre a sua volta nella medesima direzione, imboccando la stradina dove i tre erano scomparsi pochi istanti prima.
Gestoppt, du Bastard! Stop oder ich schieße!“(7) udì gridare uno dei due inseguitori, che nonostante fossero in borghese avevano tutta l’aria di essere dei militari.
Sotto la minaccia dell’arma puntata il ragazzo si bloccò, ansimante, il volto atteggiato alla più cupa disperazione.
A quel punto Mac tirò fuori a sua volta la pistola e, sbucando alle spalle del gruppetto, intimò ai due di abbassare le armi. Lo fece in inglese, istintivamente, senza rendersi conto che con ogni probabilità nessuno di quegli uomini lo avrebbe compreso. 
I due si guardarono un momento e poi si voltarono verso di lui, senza però abbassare le armi; quell’istante di incertezza fu sufficiente affinchè il ragazzo, senza pensarci su due volte, riprendesse a correre con quanto fiato aveva in gola, svanendo subito nell’oscurità di una viuzza secondaria.
Guardò Mac, colui che l’aveva salvato, solo per una frazione di secondo e il tenente - chissà perchè - fu attraversato dall’idea che non avrebbe dimenticato quel volto giovane, scialbo e pallido sotto l’unta zazzera bionda, per il resto della sua vita.
“Idiota!“ gli urlò uno dei due inseguitori, con una smorfia di puro panico dipinta sul viso abbronzato.
“Cos’hai fatto?!“.
Prima che il tenente riuscisse a rendersi conto che quel tipo si era rivolto a lui non già in tedesco, ma in inglese, un terzo uomo sopraggiunse alle sue spalle e lo colpì violentemente alla testa col calcio di una pistola.
Con un gemito, Mac Taylor si accasciò al suolo e l’ultima cosa che riuscì a distinguere prima di svenire furono le lastre di pietra della via, appena illuminate dal tenue riverbero del sole nascente.
 
 
(7) in tedesco: „Fermati, bastardo, o sparo!“
 
Le descrizioni iniziali sono ispirate alla sconvolgente novella „Una giornata“ di Luigi Pirandello.

  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > CSI - New York / Vai alla pagina dell'autore: margheritanikolaevna