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Autore: Fragolina84    17/02/2013    1 recensioni
Makani è la parola hawaiana per vento. Ed è un vento nuovo quello che soffia sui Five-0 e sul comandante Steve McGarrett. Questo vento ha un nome, Nicole Kalea Knight, e il volto di una giovane donna dagli splendidi occhi viola. Basteranno questi occhi a catturare un ex Navy SEAL?
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Steve McGarrett, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I miei Five-0'
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Capitolo 5
Sono troppo egoista per volerti già condividere con gli altri

 
Il mattino seguente Nicole dormì fino a tardi, contrariamente a quanto faceva di solito. Fu il suono del campanello a svegliarla. Dallo spioncino vide che si trattava di sua madre e le aprì.
«Ciao mamma. Hai dimenticato le tue chiavi?» domandò, ancora assonnata.
«Non le uso mai se so che sei in casa. Preferisco evitare di interrompere qualcosa» mormorò maliziosamente.
Iolana era del tutto uguale a sua figlia, con l’eccezione del colore degli occhi. Era molto giovane perché aveva avuto Nicole appena diciottenne. Quando andavano insieme a fare shopping le scambiavano tutti per sorelle.
«Ti prego, mamma. Non prima di colazione!». Nicole versò il caffè in due tazze e sedettero insieme nel piccolo soggiorno.
«Che hai fatto alla bocca? È gonfia».
Nicole alzò una mano a sfiorarsi le labbra. «Ieri sera ho fatto il mio primo arresto con i Five-O».
«Abbastanza movimentato, da quello che posso vedere». Iolana allungò una mano a sfiorarle la guancia. «Hai un livido qui».
Nicole entrò in bagno e si guardò allo specchio. Il labbro inferiore era in effetti leggermente gonfio e sulla mandibola c’era una vaga ombra violacea.
«Quando eri in Marina ci vedevamo a malapena durante le tue licenze. Anche se mi lamentavo di questo fatto, non sono sicura che il nuovo lavoro mi piaccia più di quello vecchio».
«Non è niente, mamma. Può capitare che ci sia qualche problema, ma lavoro con dei professionisti. Ci copriamo le spalle a vicenda».
«Non molto bene, mi sembra» borbottò Iolana.
«Mamma!».
«Va bene, cambiamo discorso». Iolana prese un sorso di caffè, e l’occhio le cadde su una giacca da uomo abbandonata sul bracciolo del divano. Nicole intercettò il suo sguardo e sorrise.
«Non è come pensi».
«Non penso proprio niente. Sei grande abbastanza».
«È del mio capo. Me l’ha prestata ieri sera quando mi ha riaccompagnata a casa» spiegò.
Iolana si alzò e prese la giacca. La sollevò, guardandola attentamente.
«Spalle larghe e fianchi stretti, eh? Il tuo capo non dev’essere niente male».
Nicole scoppiò a ridere. Il suo iPhone trillò in quel momento.
«È un messaggio di Steve» sussurrò, e a sua madre parve di cogliere una sottile vena di piacere in quella semplice affermazione. «Stasera vorrebbe festeggiare il mio primo arresto con la squadra. Propone di trovarci all’Hilton».
Iolana non disse nulla ma notò il luccichio negli occhi della figlia, mentre rispondeva a Steve che per lei andava assolutamente bene. Sua madre le fece compagnia ancora un po’ poi tornò a casa, lasciandola sola. Nicole trascorse il resto del pomeriggio oziando vergognosamente sul divano, facendo zapping e finendo per addormentarsi davanti al televisore.
Si preparò con calma, coprendo con un leggerissimo velo di fondotinta il livido appena accennato e sottolineando la forma degli occhi con l’eyeliner. Raggiunse l’Hilton Hawaiian Village a piedi – c’era poco più di un chilometro e mezzo dal suo appartamento.
Steve era arrivato da pochi minuti e sedeva ad un tavolo del Tropics Bar. Si stava godendo il tramonto attendendo i suoi amici quando la vide arrivare ed improvvisamente la bellezza del sole che accendeva di riflessi rossastri la baia di Waikiki non ebbe più alcuna attrattiva per lui.
Nicole indossava un vestito in fantasia di colore arancione che si armonizzava perfettamente con il tono della sua pelle, con una stampa di fiori nei toni del verde sul davanti. Le arrivava appena sopra al ginocchio e metteva in risalto la vita stretta. L’abito non aveva spalline, solo un cordoncino di stoffa e perline legato dietro il collo, e le lasciava scoperte le spalle.
Aveva lisciato i capelli con la piastra che le ricadevano dritti e morbidi fino a metà schiena. Con il fiato mozzo, Steve si alzò per accoglierla e quando lo vide e sorrise di piacere, nemmeno l’incantevole panorama poté rivaleggiare con la sua bellezza.
«Aloha, Nicole» la salutò con la voce arrochita dall’emozione che gli si agitava dentro.
«Aloha, Steve» rispose lei e si accomodarono al tavolo.
Ben presto arrivarono anche gli altri e poterono ordinare. Steve gustò la propria cena ma apprezzò molto di più la compagnia. Danny sembrava essersi assunto il ruolo di giullare, dato che non la smetteva di raccontare a Nicole tutti gli aneddoti collezionati in otto mesi di lavoro insieme. Il suo spiccato senso dell’umorismo li fece ridere tutti come vecchi amici, finché Steve si stancò di essere preso in giro. «Ora basta, o alla prossima cena non avrai più niente da raccontarle».
La serata trascorse piacevolmente tanto che si accorsero con sorpresa di essere gli ultimi clienti rimasti. Pagarono il conto e la compagnia si sciolse tra abbracci e pacche sulle spalle.
«Ti accompagno alla macchina» disse Steve quando furono soli.
«Sono venuta a piedi».
«Allora sali con me, ti accompagno a casa», replicò.
«Non ce n’è bisogno, c’è appena un chilometro. Mi faccio una passeggiata», ma Steve scosse la testa.
Uscirono dal bar e si diressero al parcheggio. Nicole alzò lo sguardo verso il cielo, accorgendosi che quella sera le stelle sembravano più luminose del solito: lo spettacolo del cielo blu trapunto di puntini luminosi era così bello che le strappò un’esclamazione di meraviglia. Anche Steve alzò gli occhi.
«Sono bellissime stasera, non trovi?» mormorò e lei annuì. Rimasero in silenzio per qualche istante, poi Steve abbassò il capo. «Ti va una passeggiata sulla spiaggia?».
Nicole annuì con un sorriso.
Raggiunsero la spiaggia e, al limitare del marciapiede, Nicole si fermò.
«Aspetta» lo chiamò, appoggiandosi al suo braccio per slacciare i delicati sandali dorati che indossava.
La sabbia era piacevolmente fresca e l’oceano rumoreggiava tranquillo, facendo da sottofondo alla loro chiacchierata. Camminarono avanti e indietro sul bagnasciuga, parlando come se si conoscessero da una vita.
Ad un certo punto, Nicole sedette sulla sabbia, nonostante Steve protestasse perché si sarebbe sporcata il vestito.
«È solo sabbia, Steve» replicò, e batté una mano accanto a sé. Anche lui sedette a terra e continuarono a chiacchierare. Nicole gli raccontò di suo padre, di come la sua figura avesse dominato – nel senso buono del termine – la sua vita e di come ne avesse sentito la mancanza quando era morto.
«Capisco cosa vuoi dire. Quando persi mia madre, il vuoto che si creò nella nostra famiglia fu incolmabile. Mio padre spedì me e mia sorella sul continente. Io avevo sedici anni e fui allontanato dall’unica casa che avessi mai conosciuto. Ricordo che fu molto dura».
«Sei nato qui, Steve?» chiese.
«Sì, anche se i miei non erano hawaiani. Però mio nonno morì sull’Arizona, io mi sono sempre considerato prima hawaiano e poi americano».
 Entrambi tacquero, ascoltando il rumore delle onde. Nicole guardava verso il mare e Steve guardava lei. Il litorale di Waikiki era affollatissimo ma il punto della spiaggia in cui erano loro due era praticamente deserto.
All’improvviso lei si girò e lui si perse nei suoi occhi. Nicole si accorse che la stava fissando e abbassò gli occhi, sorridendo timida. Allora lui mosse la mano, scostandole i capelli dalla fronte, scendendo in una lenta carezza lungo la guancia e infilando la mano nella massa della sua chioma bruna.
«Sei bellissima, Nicky» sussurrò, usando per la prima volta quel diminutivo.
La attirò lentamente a sé, lasciandole tutto il tempo di ritrarsi se voleva. Nicole non fece alcun tentativo di sottrarsi e Steve si avvicinò un po’ di più, fermandosi a pochi centimetri dalle sue labbra. Non voleva costringerla, perciò attese che fosse lei a fare l’ultima mossa.
Nicole chiuse gli occhi e schiuse leggermente le labbra. Per lui fu un invito sufficiente e la baciò. Il cuore gli rimbalzò in gola, mentre assaporava le sue labbra, avvolto da quel suo particolare profumo di vaniglia. Lei mosse le labbra rispondendo al bacio con dolcezza, inarcando inconsapevolmente la schiena per cercare il contatto con lui. Steve era stordito da quelle sensazioni perciò prima di perdere il controllo si staccò da lei, seppure controvoglia, trattenendola con gentilezza.
«Mi spiace. È stato più forte di me, non sono riuscito a trattenermi» mormorò lasciandola andare.
Nicole riaprì gli occhi e gli posò due dita sulle labbra. «Non dispiacerti per una cosa così bella, Steve» sussurrò e gli cercò di nuovo la bocca. Gli circondò la nuca con una mano, usando il proprio corpo per spingerlo indietro e coricarlo sulla sabbia. Stupito da quella reazione, Steve rimase immobile a godere del contatto con il corpo sottile della donna. Il suo profumo gli ottundeva i sensi, la sua bocca era un dolcissimo tormento.
Gli sfiorò le labbra con la punta della lingua e il suo cuore accelerò la sua già folle galoppata. Nicole era sopra di lui e le circondò la vita con le mani, risalendo sulla schiena finché sentì sotto le dita la levigatezza della sua pelle. Nicole fremette nel suo abbraccio, mentre la mano di Steve risaliva lungo la schiena, sotto i serici capelli, fino a fermarsi sulla nuca. Le tratteneva la testa contro la propria, giocando con la lingua nella sua bocca.
Fu Nicole ad interrompere il bacio per respirare. Posò un gomito sulla sabbia e appoggiò la testa sulla mano. Lo guardò negli occhi, accarezzandogli la tempia con l’altra mano.
«Anche tu sei molto bello, Steve» sussurrò e lui chiuse gli occhi, godendosi la sua carezza, finché la sentì ridacchiare e li riaprì.
«Cosa c’è? Ti faccio ridere?» domandò.
«Non posso crederci. Ti sono letteralmente saltata addosso».
«Veramente sono stato io a baciarti».
Nicole si fece seria. «Sei il mio capo, per la miseria».
Steve la scostò leggermente da sé e si sollevò a sedere. Eccolo, il problema. Improvvisamente, ebbe paura di perderla. Guardò dentro di sé e si accorse che non aveva mai provato quelle sensazioni. Si sentiva inebriato e sapeva che il merito era di Nicole. Se lei lo avesse respinto non avrebbero nemmeno più potuto lavorare insieme: quella serata, quei baci, sarebbero rimasti tra di loro logorandoli a poco a poco.
«È un problema?» domandò freddamente, continuando a guardare l’oceano.
Nicole tacque ma lui sentì che si muoveva. Si inginocchiò dietro di lui e gli posò le mani sulle spalle. Si abbassò e lui sentì i capelli solleticargli la guancia.
«Mi servirà un altro bacio per capirlo» gli soffiò nell’orecchio e Steve voltò la testa. Lei gli stava sorridendo e di nuovo ci furono soltanto le loro labbra, di nuovo congiunte. Nicole fece scivolare la mano nell’apertura della camicia, sfiorandogli i muscoli lisci e sodi del torace, passandoci delicatamente sopra le unghie.
Con un ringhio soffocato, Steve torse il busto e l’afferrò con delicatezza. Senza interrompere il bacio la fece adagiare fra le sue braccia e Nicole rise sulle sue labbra, finché lui le catturò di nuovo la lingua e a quel punto ci furono soltanto sospiri.
Quando Steve le posò la mano sul ginocchio nudo, lei si irrigidì ma lui la trattenne con dolcezza. Pian piano si rilassò di nuovo e la sua mano cominciò a risalire la coscia.
«Non così in fretta, comandante». Nicole si staccò dalle sue labbra e lo fissò.
«Scusami» mormorò ma lei scosse la testa.
«Non scusarti per questo, Steve. È solo che stiamo già correndo a perdifiato» e socchiuse maliziosamente gli occhi. «Non ci resterà niente da fare domani!» esclamò.
Le accarezzò il viso, meravigliandosi ancora una volta della sua bellezza.
«Ti riporto a casa» bisbigliò e lei si raddrizzò.
Steve si alzò, spolverandosi i jeans. Scosse la testa, cercando di liberare anche i capelli dalla sabbia. Poi le tese le mani e la fece alzare. Per un momento, lei aderì completamente al suo corpo e Steve l’abbracciò, abbassando la testa per baciarla di nuovo. Anche Nicole lo circondò con le braccia, infilandogli le mani sotto la camicia.
«Così però mi passa la voglia di portarti a casa» bisbigliò sulla sua bocca e Nicole rise. Si staccò da lui, cercando di ripulirsi dalla sabbia. Poi si incamminarono verso il parcheggio dell’Hilton dove avevano la macchina. Dopo pochi passi, Steve le circondò la vita con il braccio e camminarono così, sfiorandosi ad ogni movimento.
Rimasero in silenzio finché uscirono dalla spiaggia. Non erano imbarazzati: piuttosto ognuno era perso nei propri pensieri. Nicole indossò di nuovo i sandali e Steve le aprì la portiera quando raggiunsero la Camaro.
«Mahalo» sussurrò lei, stupita da tanta galanteria.
Parcheggiò davanti al suo palazzo e scese per accompagnarla fino alla porta. Sapeva che lei non gli avrebbe chiesto di salire e, tutto sommato, era meglio così. Steve aveva appena chiuso una storia in cui non erano andati molto oltre il sesso, ma voleva che con questa donna fosse diverso. Voleva fare le cose con calma; stavolta non si sarebbe accontentato di vivere il presente.
Le baciò leggermente le labbra. «Buonanotte, Kalea». E davvero quella sera lei era stata la sua Kalea, la sua gioia. «Ti chiamo domani».
«Buonanotte, Steve» rispose.
Lo osservò mentre sfrecciava via con la Camaro e salì nel suo appartamento. Si appoggiò alla porta chiusa e rivisse quella splendida serata. Quando ricordò i baci di Steve e le sue mani sul proprio corpo, sentì le farfalle svolazzare nello stomaco.
«Adesso datti una calmata, sembri una scolaretta» borbottò a se stessa dirigendosi verso il bagno per fare una doccia.
 
La mattinata seguente trascorse lenta e tranquilla. Nicole si accorgeva di essere sempre con l’orecchio teso, nella speranza di sentire l’iPhone squillare. Alla fine si spazientì: possibile che gli fosse bastato qualche bacio per farle perdere la testa?
Ritenendosi assolutamente patetica e stanca di aspettare, chiamò Summer, la sua migliore amica.
«Ciao, bellezza. Sei tornata a terra?» le chiese Summer.
«Sì, ma per restarci stavolta. Ho cambiato lavoro».
Sentì la sorpresa nel tono di Summer. «E cosa aspettavi a dirmelo?».
«Te lo sto dicendo adesso, no? Ti va di uscire?».
Si diedero appuntamento all’Häagen-Dasz, in Kalakaua Avenue. Quando Summer la vide le corse incontro, stringendola in un abbraccio.
«Ti trovo veramente in forma, Nicole» esclamò.
Nicole e Summer erano amiche sin dall’asilo. Avevano frequentato le stesse scuole, almeno finché Nicole non era partita per Annapolis. Però si erano sempre tenute in stretto contatto e ogni volta che Nicole era ad Honolulu ne approfittavano per trovarsi.
Nessuna delle due aveva voglia di stare ferma perciò presero un gelato e s’incamminarono per Kalakaua Avenue, sbirciando distrattamente le vetrine e cercando di recuperare i mesi in cui non si erano viste.
«Allora, da quando hai cambiato lavoro? Non sei più in Marina?».
«Da lunedì» rispose semplicemente Nicole.
«Caspita, e già hai un altro impiego? L’ho sempre detto che sei nata con la camicia, sorella». Summer aveva finito il proprio gelato e gettò nel cestino la coppa vuota.
«Pensa che prima ancora di scendere dalla Lincoln, avevo già il posto assicurato, anche se non lo sapevo».
«Mi vuoi dire che razza di occasione ti è capitata?» domandò spazientita Summer.
«Sono entrata nei Five-O, la task force del Governatore Jameson».
«Sul serio? Forte» esclamò l’amica.
«Forte dici? Sì, decisamente» borbottò Nicole, scostando i capelli per mostrarle il livido sulla mascella.
«Che hai fatto?».
«Inconvenienti del mio nuovo lavoro. Venerdì sera ho fatto il mio primo arresto».
Summer trovò una panchina e sedettero insieme.
«Devi raccontarmi tutto».
«Non posso farlo. Sono informazioni assolutamente riservate e ho il segreto professionale».
Summer mise il broncio e si appoggiò allo schienale, incrociando le braccia sul petto. «Che fregatura!» bofonchiò. «I tuoi nuovi colleghi, come sono?» chiese poi e Nicole rispose con una scrollata di spalle.
«Sono ok». Non fu tanto ciò che disse quanto il tono con cui lo disse che fece rizzare le orecchie a Summer. Capì che Nicole nascondeva qualcosa.
«Nicole Kalea Knight, non crederai di poter evitare così la mia domanda, vero?».
«Li conosco solo da lunedì e sono stati tutti molto carini con me. Il detective Danny Williams è il buffone di corte, per così dire. Ha la battuta sempre pronta. Poi ci sono gli agenti Kelly e Kalakaua, che sono stati estremamente gentili con me. E infine c’è Steve McGarrett, il comandante dell’unità».
«Com’è che la tua voce s’è fatta così carezzevole quando hai nominato questo Steve?» indagò Summer, scrutandola attentamente in viso.
Nicole sospirò. «Meglio che te lo dica subito, anche perché altrimenti non mi daresti tregua. Ieri sera sono uscita con tutta la squadra, per festeggiare il mio arrivo ed il mio primo arresto. Poi io e Steve siamo rimasti soli e abbiamo fatto una passeggiata sulla spiaggia».
«L’hai baciato?» strepitò e Nicole la colpì affettuosamente sulla coscia.
«Guarda che a Iolani Palace non hanno sentito» mormorò piccata.
«Lo conosci da meno di una settimana, Nicole. Che cosa ti è passato per la testa? Santo cielo, forse non sei più abituata all’aria di terra, oppure il salmastro ti ha rammollito il cervello».
Nicole cercò sul proprio iPhone la foto di Steve legata al suo contatto. Girò il telefono verso l’amica che interruppe all’istante la sua tirata. Le tolse di mano il cellulare.
«È questo qui?» domandò, e Nicole annuì. «Allora hai fatto bene a baciarlo» concluse dopo un momento di silenzio. Entrambe scoppiarono a ridere.
«E comunque è stato lui a baciare me».
«Ma perché a te capitano sempre tutte le fortune?».
Summer volle sapere tutti i particolari della loro passeggiata in riva al mare. Mentre stavano chiacchierando, l’iPhone che Summer teneva ancora in mano si animò.
«È lui!» esclamò, rendendo il telefono a Nicole che le raccomandò di stare zitta.
«Ciao, Steve».
«Ciao. Mi chiedevo se ti fossi ripresa dalle ore piccole di ieri sera».
«Sì, ho riposato divinamente stanotte. E tu?» disse maliziosamente e Summer sghignazzò in silenzio coprendosi la bocca con la mano.
«Sono stato bene con te ieri sera, e non solo sulla spiaggia» disse lui, evitando abilmente di risponderle. «Hai impegni stasera?».
«Stasera? No, nessun impegno. Avevi in mente qualcosa?».
«Ti va se andiamo fuori a cena?».
Nicole sorrise, strizzando l’occhio a Summer.
«Ma tu e i Five-O andate a cena fuori così spesso?».
«Non mi pare di aver nominato i Five-O. Sto sempre volentieri con Danny, ma preferirei uscire con te stasera» disse con voce dolce.
«Oh» soffiò Nicole. «È un appuntamento, quindi?».
«Ti porto al Pagoda». Steve schivò magistralmente anche questa domanda. «Passo a prenderti alle sette».
«A stasera, dunque».
Si salutarono e Nicole chiuse la comunicazione.
«Sei una donna fortunata, sorella. Maledettamente fortunata» esclamò Summer. «Pensi che stasera lo inviterai a salire da te?» domandò, socchiudendo gli occhi.
«Non credo che questi siano affari tuoi, Sum» proruppe Nicole.
Quando si congedarono – non prima che Summer le avesse riempito la testa di consigli vagamente lascivi per concludere la serata – Nicole rientrò nel suo appartamento.
Mentre si faceva la doccia, ripensò ai frenetici eventi di quei giorni.
Domenica sera era un guardiamarina imbarcata sulla USS Lincoln. Lunedì mattina era già aggregata ai Five-O. E questo, di per sé, sarebbe bastato a farle perdere la testa. Nonostante fosse stata ingaggiata per le sue competenze informatiche, neanche due giorni prima era stata impiegata nella sua prima missione “sul campo”, nel corso della quale aveva effettuato il suo primo arresto. E, da ultimo, appena poche ore prima Steve l’aveva baciata sulla spiaggia di Waikiki e ora già l’aveva invitata fuori a cena.
«E per fortuna che ti sei sempre reputata un tipo riflessivo» mormorò fra sé.
Aveva accettato un lavoro di cui non sapeva assolutamente nulla senza nemmeno pensarci su. Ma la cosa più sconcertante era quello che era successo con Steve. Cercò di analizzare ciò che provava con la massima obiettività.
Non aveva mai creduto all’amore a prima vista. L’innamoramento non è qualcosa che scatta come la scintilla di un accendino: è qualcosa che matura a poco a poco, nel momento in cui impari a conoscere la persona che hai davanti. Però era possibile provare subitanea attrazione per un uomo: e per un uomo come Steve era assolutamente plausibile.
Quindi non poteva dire di essere innamorata di lui però, nonostante le implicazioni di una relazione con il suo capo, di certo non la lasciava indifferente. Da quando lei e Patrick si erano lasciati – erano passati ormai più di cinque anni – non c’era stato nessun altro. Nemmeno una relazione occasionale, dato che Nicole aveva un animo troppo romantico per accontentarsi di qualcuno che le scaldasse semplicemente il letto.
Uscì dalla doccia e aprì l’armadio. Il Pagoda era decisamente un bel locale e Nicole optò per un paio di jeans bianchi a vita bassa, con un paio di sandali anch’essi bianchi tempestati di strass. Indossò un top monospalla blu elettrico che le faceva risaltare la morbida curva del seno completando il suo completo con orecchini e collana di Swarovski.
Si stava controllando allo specchio quando l’iPhone fece uno squillo. Steve era puntualissimo. Scese con l’ascensore e quando uscì dall’atrio e lo vide, capì che si era preparato con altrettanta cura. Aveva abbandonato i soliti cargo per un paio di pantaloni di colore blu scuro. Indossava una camicia azzurra che s’intonava benissimo con i suoi occhi.
 Quando gli si avvicinò, lui sollevò una mano ad accarezzarle la guancia.
«Non serve che ti dica che sei incantevole» mormorò.
«Mahalo» ringraziò Nicole con un sorriso.
Quei gesti di tenerezza avrebbero dovuto farla sentire a disagio eppure Steve li faceva con tanta naturalezza che non le sembravano mai fuori luogo.
«Hai passato bene la domenica?» chiese Steve per iniziare il discorso e lei annuì. Lui avviò il motore e uscì lentamente dal parcheggio del palazzo di Nicole.
«Sono uscita con la mia migliore amica. Non ci vedevamo da un bel po’ anche se, nonostante non fosse semplicissimo, non abbiamo mai perso i contatti. Nemmeno quando ero in mezzo al Pacifico. Le e-mail e gli sms sono una tale benedizione».
Chiacchierarono tranquillamente per tutto il tragitto finché Steve parcheggio accanto al ristorante. Le offrì il braccio ed entrarono a braccetto, mentre Nicole osservava ammirata la serie di laghetti in cui nuotavano le carpe multicolori che rendevano famoso il ristorante.
Il cameriere li fece accomodare ad un tavolo piuttosto appartato, vicino ad una vetrata che dava direttamente sui laghetti. L’atmosfera era rilassata e piacevole e Nicole curiosò nel menu. Steve scelse un piatto di carne mentre lei preferì i crostacei.
Mentre attendevano le loro ordinazioni, brindarono con un bicchiere di frizzante vino bianco. Poi Nicole posò il bicchiere e si tese verso di lui.
«Allora, dove avevamo interrotto la nostra chiacchierata ieri sera?» chiese.
Lui finse di pensarci un po’ su.
«Stavamo parlando della mia famiglia» disse e lei annuì.
«È vero. Mi stavi raccontando di tuo nonno».
Steve prese un altro sorso di vino.
«In quel maledetto sette dicembre, mio nonno era a bordo dell’Arizona. Andò a fondo con gli altri mille ed è ancora là sotto. Mio padre nemmeno lo conobbe perché mia nonna era incinta quando i giapponesi attaccarono Pearl Harbour. Fu un duro colpo per lei, non sapeva darsi pace per il fatto di non avere un corpo su cui piangere».
«È terribile. Anche mio nonno visse quell’esperienza».
Il cameriere arrivò con la loro cena. Il filetto di Steve era cotto alla perfezione mentre Nicole si dedicò al proprio piatto di gamberi, sgusciandoli con destrezza con le lunghe dita affusolate.
«Tuo nonno materno, vero?». Nicole annuì. «Era un militare?» chiese Steve e lei scosse la testa.
«No, aveva una flotta di pescherecci. Beh, a quell’epoca aveva una barca soltanto, le altre arrivarono più tardi. Comunque, quel giorno lui e i suoi uomini non erano usciti in mare. La loro barca aveva avuto un problema quindi erano rimasti in porto. Perciò, seguirono con terribile chiarezza ogni momento dell’attacco. Riconobbero immediatamente che gli aerei non erano americani, ma quando attaccarono, ci fu un momento in cui tutto si bloccò».
Steve l’ascoltava con molta attenzione, senza perdersi un movimento di quelle dita sottili. Nicole pelava ogni gambero con precisione chirurgica, intingendolo poi nella salsa. Eppure, ogni suo gesto era pieno di grazia.
«Sì, la gente sapeva che c’era la guerra» proseguì Nicole. «Però era lontana, dall’altra parte del mondo. Sebbene la flotta del Pacifico fosse in stato d’allerta, a detta di mio nonno i marinai avevano occhi solo per le belle ragazze in costume piuttosto che per il radar».
Entrambi risero e Nicole portò un dito alla bocca. Steve vide balenare la punta rosea della lingua mentre la donna leccava una goccia di salsa. Si chiese se si rendesse conto di cosa quei gesti scatenassero dentro di lui.
«Mio nonno mi diceva sempre che quando cominciò il bombardamento, la maggior parte della gente rimase immobile. Fu come se aspettasse di risvegliarsi da un incubo. Poi tutto fu frenetico. Mio nonno e i suoi cercarono di dare una mano, ma c’era troppo bisogno, ovunque. E per molti non poterono fare nulla, come per quelli dell’Arizona».
«Chissà quanti altri bambini e ragazzi sono cresciuti senza il padre, a causa di quella guerra» mormorò.
Nicole lo fissò per qualche istante.
«Leggo nei tuoi occhi che tu la guerra l’hai vista, vero? Afghanistan?».
Steve non rispose. Sì, lui la guerra l’aveva vista. La peggiore degli ultimi anni. E per quanto non volesse ricordare, quelle immagini di morte gli sfilavano spesso davanti agli occhi.
Nicole inclinò la testa di lato e socchiuse gli occhi.
«Lo so che non puoi dirmi nulla. Non preoccuparti».
Steve tacque, osservandola mentre prendeva l’ultimo gambero.
«Sai, nessuna donna sceglie mai quel piatto in una cena per due» commentò per alleggerire l’atmosfera. Nicole non si scompose, asciugandosi le dita sul tovagliolo.
«Perché si mangia con le mani?» replicò e lui assentì. «È evidente che non sei mai uscito con qualcuna che sapesse godersi una cena» disse soavemente, abbassando le ciglia sugli occhi.
Entrambi avevano finito di mangiare e Steve posò il tovagliolo accanto al piatto.
«Ti va di fare quattro passi?» le chiese e Nicole si alzò.
«Vuoi scusarmi un momento, prima?».
Mentre Nicole si allontanava, Steve non riuscì a toglierle gli occhi di dosso. Pagò il conto e l’attese accanto al tavolo. Quando tornò indietro, più di metà degli uomini presenti la seguì con lo sguardo e Steve sentì montare la rabbia. Non appena Nicole gli fu accanto, le fece scivolare la mano sul fianco attirandola dolcemente a sé. Chinò la testa e la baciò sulle labbra, stringendola possessivamente al petto. Nicole si abbandonò contro di lui, finché Steve interruppe il bacio.
«Andiamo?» bisbigliò.
«Sì» consentì Nicole, facendo scivolare la mano nella sua.
Steve si chiese come mai si fosse lasciato andare a quella manifestazione. Nicole non era la sua donna – non ancora almeno. Eppure si era sentito infastidito dalle occhiate che le erano state lanciate e aveva avvertito l’urgenza di far sapere a quella gente come stavano le cose. E come stanno le cose?, chiese a se stesso.
Una cosa era assolutamente evidente: quella donna scatenava in lui reazioni veementi nonostante Steve non fosse abituato a lasciarsi trasportare dalle emozioni – nel suo lavoro le emozioni non erano proprio previste. Gli tornò in mente una frase di Danny: “tranquillo, sei solo umano; è una buona cosa” e sogghignò.
«Come mai quel ghigno, comandante?» domandò Nicole mentre percorrevano a piedi Rycroft Street.
«Piccola, sarà meglio che tu la smetta di chiamarmi comandante» borbottò Steve.
«Ti mette in imbarazzo?» chiese lei, sollevando il capo verso di lui.
«Tutt’altro, credimi» precisò con voce roca.
Nicole fece vibrare la risata in gola mentre si fermavano sul bordo del marciapiede, aspettando di poter attraversare la strada. C’era un piccolo parco, un’oasi di verde in mezzo al cemento della città. Era estate e, liberi dalla scuola, c’erano molti bambini che si rincorrevano sul prato, arrampicandosi sullo scivolo e sugli altri giochi di legno. Steve trovò una panchina e sedettero. Nicole accavallò le gambe e gli si fece più vicina, tanto che lui le cinse le spalle con il braccio.
Rimasero in silenzio per un po’, osservando i bambini che giocavano e ascoltando le loro risate sovrastare perfino il rumore del traffico.
«Ti capita mai, con il tuo lavoro, di sentirti responsabile anche per loro?» domandò la donna, indicando i ragazzini.
«Ogni momento della mia vita. Anche quando ero dall’altra parte del mondo e stavo braccando un pericoloso terrorista, non potevo fare a meno di pensare che la sua cattura avrebbe reso il mondo un posto più sicuro, anche per loro».
Nicole era appoggiata a lui e sentiva il suo calore sulla spalla nuda. Ma erano state le sue parole a riscaldarla. Non aveva mai avuto dubbi sulla dedizione e sul senso dell’onore di Steve, ma il fatto che esprimesse i propri sentimenti con così tanta facilità glielo fece apprezzare ancora di più. Se Steve era capace di rischiare la vita per degli sconosciuti in virtù del giuramento fatto alla propria Nazione, tanto più avrebbe protetto la sua donna e la sua famiglia.
Nicole sospirò, rilassandosi e stringendosi un po’ di più a lui. Sempre tenendola abbracciata, Steve le sollevò il mento con un dito e la baciò. Si ritrovò come al solito avvolto dal suo particolare sentore di vaniglia e le accarezzò il viso, muovendo le labbra sulle sue che si schiusero subito, come la corolla di un fiore lambita dal sole. Alcuni ragazzi li notarono e ulularono come lupi, fischiando al loro indirizzo. Nicole sorrise, ma trattenne la testa di Steve contro la propria, infilandogli la mano fra i capelli.
Steve non seppe dire quanto durò quel bacio, ma fu ben consapevole di quel corpo premuto contro il suo e del respiro della donna che si mischiava al proprio. Sentì il proprio cuore accelerare il battito, mentre il sangue scorreva più veloce nelle vene. Si accorse di desiderarla, come mai aveva bramato qualcosa in vita sua. Eppure avvertiva una certa resistenza; sapeva che non era ancora pronta per lui e si adeguò ai suoi ritmi.
Fu lei a staccarsi per prima. Nonostante il parco non fosse illuminato se non dalla luce dei lampioni della strada che filtrava attraverso la chioma degli alberi, Steve notò che i suoi occhi erano liquidi e scintillanti.
«Si è fatto tardi» constatò lui. «Non vorrai addormentarti in ufficio domattina, vero?».
Raggiunsero la macchina e Steve fece dondolare le chiavi.
«Vuoi guidare tu?» le domandò. «Io intanto mi godo il panorama» concluse con un sorriso.
Nicole lesse nei suoi occhi che si aspettava che rifiutasse.
«Solo se posso farle distendere un po’ le gambe» rispose.
«Il serbatoio è pieno, puoi andare dove vuoi» consentì lui. A quel punto lei tese la mano e Steve le posò le chiavi sul palmo. Sedette al posto di guida e avviò il motore. Regolò il sedile e gli specchietti e fece retromarcia, fermandosi poi all’imbocco della rampa d’uscita del parcheggio. Si voltò a guardare Steve.
«Pronto?» chiese e quando lui annuì Nicole lasciò andare la frizione, facendo scendere in strada la macchina. La donna dedicò i primi minuti a prendere confidenza con la Camaro, saggiandone i freni e il cambio. Steve la osservava con attenzione mentre uscivano dal traffico cittadino.
«Tutto qui quello che sai fare?» la stuzzicò e nella tenue luce del cruscotto la vide abbassare la testa e socchiudere gli occhi che divennero due fessure. Non la conosceva abbastanza per sapere che quelli erano chiari segnali di pericolo perciò proseguì imperterrito. «Pensavo che la tua RS5 meritasse un guidatore migliore».
Nicole seguì una vecchia Ford bianca sulla Pali Highway e appena la strada si raddrizzò, posò una mano sulla leva del cambio. Scalò una marcia con un gioco sui pedali talmente veloce che Steve si chiese come ci riuscisse con quei tacchi, e il motore rombò potente. La macchina schizzò avanti velocissima e, con la coda dell’occhio, Nicole vide il piede destro di Steve cercare un inesistente pedale del freno. La donna sogghignò divertita e si concentrò sulla guida.
Steve rimase in silenzio, mentre la strada sfrecciava sempre più veloce sotto gli pneumatici. Lanciò un’occhiata al tachimetro che aveva già superato i duecentodieci chilometri orari. Deglutì nervosamente, ma si tranquillizzò quando notò che Nicole guidava in maniera assolutamente rilassata. Non aveva parlato da quando erano partiti, ma la vedeva assolutamente concentrata sulla strada.
Raggiunsero in pochi minuti l’incrocio con la Kamehameha Highway e Nicole svoltò a destra, verso Maunawili. La strada si restrinse, ma la velocità non scemò in maniera proporzionale. Nicole continuò a marcia sostenuta per qualche chilometro, prima di rallentare e fermarsi in una piazzola. Spense il motore e si appoggiò allo schienale, voltandosi a guardare Steve che rimase immobile a fissare il buio davanti a sé.
«Dunque?» domandò infine lei. «La tua opinione sulle mie doti di guida?».
«Promettimi una cosa» replicò. «Promettimi che alla prima occasione farai fare lo stesso giro a Danny. Di certo la smetterà di lamentarsi di come guido io».
Nicole rise felice.
«Chi ti ha insegnato a guidare così?».
«Mio padre» rispose, prima di fissare su di lui uno sguardo malizioso. «Hai avuto paura, Steve?».
Lui si voltò lentamente. «Non lo saprai mai, Nicky» borbottò, facendola ridere di nuovo.
«Vuoi guidare tu?» gli domandò ma lui scosse la testa.
«Penso che ti lascerò divertire ancora un po’».
Tornarono indietro con più calma e finalmente Nicole fermò la Camaro davanti al proprio palazzo. Parcheggiò accanto alla RS5 e spense il motore. Il silenzio li avvolse e ne godettero per qualche istante, finché Nicole sospirò. Steve fece per scendere ma lei lo fermò.
«Aspetta. C’è una cosa che dobbiamo chiarire».
Steve attese che lei si spiegasse.
«Hai intenzione di parlare di noi due agli altri?» mormorò.
Lui ci pensò su per qualche momento. «Non lo so. Insomma, non credo che sia una buona idea».
Notò subito che Nicole si rabbuiò e si tese verso di lei, sfiorandole la guancia con la punta delle dita. «Non fraintendere, ti prego. Il cielo sa quanto mi è piaciuto stare con te in questi due giorni e ciò che vorrei sarebbe dirlo agli altri e stare con te alla luce del sole. Lo vorrei, credimi. Ma sono troppo egoista per volerti già condividere con gli altri. Voglio che questa cosa sia solo nostra, almeno per un altro po’».
L’attirò delicatamente a sé e le sfiorò le labbra con le proprie. «Mi piace, quello che hai detto» sussurrò lei con voce fioca.
«Anche se penso che non ci metteranno molto a capirlo. Chin è un bravo detective e Kono un’ottima osservatrice. Quanto a Danno, aveva già intuito tutto prima ancora che me ne accorgessi io. Lui qualcosa sa. Non che usciamo insieme, ma con lui ho parlato di te».
«Siete molto legati, tu e Danny, vero?».
«Sì. Ma lui non lo bacio come faccio con te» borbottò.
«Lo spero bene» rise Nicole.
Steve l’accompagnò alla porta. «Buonanotte, Nicky».
Nicole si alzò in punta di piedi per baciarlo.
«A domani, comandante» sussurrò e, senza attendere la sua risposta, sparì nell’atrio del palazzo.

  
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