Anime & Manga > Naruto
Segui la storia  |      
Autore: FeverSkating    17/02/2013    2 recensioni
Dal primo capitolo:
“Vorrei essere come il protagonista e vivere avventure da mozzare il fiato”
*
La solitudine non era una mia prerogativa, ma lo preferivo al passare il tempo con le colleghe di mia mamma. Era tutto un “Naruto caro, andresti a prendermi un caffè?” oppure “Da bravo, Naruto, mi faresti queste fotocopie?”.
*
Chissà perché, ma l'idea di venir martirizzato dalla mitica Kushina mi divertiva.
_______________________
[SasuNaru] [AU]
Spero vi piaccia! ^.-
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
'Giorno gente! ^^
Allora, è la prima SasuNaru che scrivo...e la cosa mi risulta parecchi strana e non ho ancora capito perché .-.  Comunque, è un'AU ambientata in parte a “scuola”, se così possiamo dire, ma capirete meglio dopo aver letto. ^.-  Il raiting arancione non dovrebbe cambiare, e anche se lo facesse, di certo sarebbe più basso e non più alto. Diciamo che la mia intenzione è quella di lasciarlo arancione, potrebbe diventare giallo in base all'ispirazione del momento (Che cavolo vuol dire? NdSas'ke) ( È un concetto complicato. ù.ù  NdMe) Questo capitolo non è nulla di particolare, è un'introduzione, diciamo. È una cosa che mi è venuta per ispirazione e mi è piaciuta praticamente subito e quindi mi sono messa a scrivere. ^^ Però sappiate che non credo di riuscire ad aggiornare frequentemente, sia perché ho un'altra storia, che, si può dire, ha la precedenza, sia perché la scuola, ahimè, esiste e noi non possiamo farci niente. E inoltre, ho messo l'avvertenza dell'OOC, perché Naruto potrebbe risultare OOC, appunto. Penso lo si noterà un po' già un questo primo capitolo. Detto questo, non dovrebbe esserci altro.
Vi lascio alla storia, sperando che vi piaccia.^^
 
 
 
    
                                                                                                                 Chp. 1
 
 
     Naruto ~ Chi l'ha detto che l'estate è rilassante?    
 
 
 
 
 
Con una spinta aprii la porta, sentendola cigolare sinistramente. Facendo attenzione alla pila di libri, che mi stava in mano, mi addentrai nel buio della biblioteca. C'era odore di polvere e di chiuso. Ne ero sicuro, lì dentro non ci entrava nessuno da secoli, per quanto mia madre sostenesse il contrario. Forse l'unico a passarci le giornate ero proprio io: quale figlio dell'insegnate, venivo trascinato quasi ogni mattina, dopo l'inizio delle vacanze estive, nell'istituto elementare di Konoha – dove mia madre, appunto, insegnava. 
Essendo l'unico virgulto di virilità presente in quella scuola, venivo tranquillamente schiavizzato da coloro, che una volta chiamavo maestre e che ora – avvalendosi della propria posizione di donne – mi sfruttavano a loro piacimento. Ero una sorta di domestico. Non che fossi arrabbiato per questo. Io stesso, se avessi avuto la possibilità di far fare ad altri ciò, che avrei dovuto fare io, ne avrei approfittato; compiacendomi di me stesso, perfino. 
Tastando sulla parete, pigiai l'interruttore. Poco importava che non si vedesse nulla, quel posto lo conoscevo a memoria. La luce fece fatica ad accendersi, prima di diffondersi per la stanza, tentennò.
Poggiai i libri su uno dei lunghi tavoli in mezzo alla stanza; ce ne erano tre, posti a ferro di cavallo, una disposizione che mi era sempre piaciuta, permetteva a tutti di guardarsi in faccia. Per l'ennesima volta, notai quanto quel posto fosse angusto, mentre da piccolo, paradossalmente, mi sembrava enorme. Presumibilmente perché ero alto, sì e no, un metro e una nocciola, e al tempo tutto era effettivamente più grande di me. Ricordo che questo luogo, per il bambino spensierato, esuberante e pieno di vita che ero, rappresentava qualcosa di magico. Non avevo mai amato leggere, rimanere fermo e prestare concentrazione per oltre dieci minuti non era nelle mie corde. Però mi impegnavo, in ogni libro c'erano storie bellissime di amicizia, avventure fantastiche e sogni che riuscivano a incantarmi. Non mi piaceva leggere, mi piaceva ciò che comportava, e per uno come me, che non smetteva mai di sognare ad occhi aperti, i libri parevano rappresentare i miei desideri più reconditi. Ovvio, non tutti i libri erano così, ce n'erano alcuni – molti a dir la verità – che non mi appassionavano, non riuscivo a pensare: “Vorrei essere come il protagonista e vivere avventure da mozzare il fiato”.  Però ora, quei libri, che una volta mi avevano tanto emozionato, avevano perso per me ogni attrattiva; era forse perché non avevo la buona volontà di leggerli, o perché erano libri per bambini, ma la sola idea mi annoiava. La biblioteca, ormai, vista dal mio metro e settantacinque di altezza, aveva assunto l'aspetto di una stanza qualsiasi, per niente magica, semplicemente bisognosa di una spolverata. Sarà potuto sembrare triste, ma era quello che sentivo ogni volta che ci entravo, la magia era come stata rubata. Tuttavia, mentre tutto cambiava, io ero rimasto uguale: spensierato, esuberante e pieno di vita. Sì, ero cresciuto e – nonostante avessi mantenuto una certa infantilità – ero maturato, tenendomi stretto, però, alla speranza di non essere costretto ad abbandonare tutto ciò che ero. Mia mamma diceva che non ce n'era pericolo, che nei miei occhi vedeva brillare la stessa scintilla, che mi aveva accompagnato nell'infanzia. Speravo avesse ragione.
Senza indugiare oltre, iniziai a riporre i libri al loro posto. Accostati alla parete c'erano diversi armadi, usati al posto delle librerie. Misi dentro i libri un po' a casaccio, tanto non c'era un preciso ordine, e di certo ai bambini, di età compresa tra i cinque e gli undici anni, non sarebbe importato. L'ordine, tra l'altro, non era mai stato un mio punto di forza; per niente. 
Mio malgrado, finii quasi subito di sistemare. Quello era uno dei lavori, che preferivo fare. Delegato a bibliotecario, nella tranquillità più assoluta. La solitudine non era una mia prerogativa, ma lo preferivo al passare il tempo con le colleghe di mia mamma. Era tutto un “Naruto caro, andresti a prendermi un caffè?” oppure “Da bravo, Naruto, mi faresti queste fotocopie?”.  E queste erano le richieste all'ordine del giorno, se così potevano essere chiamate. Solitamente il picco più alto di fastidio e frustrazione lo raggiungevo, quando a beccarmi in momenti di nullafacenza erano le bidelle. Ogni persona, da bambina, aveva avuto la propria bidella preferita, quella che nascondeva caramelle nelle tasche del grembiule, solo per dispensarle di nascosto, durante l'intervallo, o quella che, sempre contro il volere delle insegnanti, regalava gessetti colorati – ma questa era solo la mia modesta opinione, basata più che altro sull'esperienza.
Per me, avendo vissuto per molto con queste convinzioni, fu un'esperienza degradante venir comandato a bacchetta anche dalle bidelle. 
Quello che mi indispose di più, però, non fu tanto il crollo di quelle poche certezze, quanto ciò che mi fu chiesto di fare.
Quando le bidelle mi avvistavano per i corridoi, mi braccavano in massa. A quel punto, le possibilità di fuga erano all'incirca pari a zero. Più di un'estate mi ero ritrovato a pulire finestre, spazzare pavimenti, svuotare cestini; per uno come me, amante del disordine e del caos – e soprattutto della pigrizia e del sano poltrire -, tutto ciò era un incubo. 
Con gli anni imparai però a sopravvivere anche a questo. Avevo memorizzato, con discreta fatica e molta dedizione, quali percorsi le donne di tutta la scuola – insegnanti e segretarie comprese – usassero fare, così da poterle evitare. Sfortuna volle che non sempre loro si attenessero a ciò che io avevo dedotto. Vuoi per una riunione dell'ultimo minuto o per altre emergenze di vario genere, che facevano attuare alle donne percorsi alternativi, poteva capitare che mi scontrassi casualmente con una delle mie tante persecutrici. 
Alla fine, avevo preso l'abitudine di starmene rintanato nella classe di mia mamma, sperando di ridurre al minimo questa sorta di schiavitù. Peccato che mia madre, proprio perché era lei, si prendeva la libertà di subordinarmi a suo piacimento, ma almeno a lei potevo rispondere per le rime – facendo comunque attenzione al tono di voce e all'uso delle parole, Kushina Uzumaki può rivelarsi dannatamente pericolosa, se istigata, e anche questo lo dico per esperienza.
Perciò mi ero rassegnato presto al mio cupo e inesorabile destino.
Con fare furtivo sbirciai oltre la porta, percorrendo con gli occhi l'intero corridoio. Via libera. O, almeno, così sembrava. Sgattaiolai fuori e cercai con tutto me stesso di raggiungere le scale il più velocemente e silenziosamente possibile. Tutto ciò era assurdo! E ancor più strano è il fatto che, in momenti come quelli, io rischiassi quasi di divertirmi. Ammettevo di immedesimarmi parecchio nei protagonisti di gialli, thriller e polizieschi; “Naruto, con astuzia, riuscì ad eludere i sistemi di spionaggio nemici” già immaginavo il narratore. 
Se non sbagliavo quella mattina le maestre avevano un interclasse o dovevano parlare degli orari o Dio solo sa di cosa. Mia mamma mi metteva al corrente in anticipo – la lodavo per questo -, però raramente capivo veramente quello che mi diceva, la maggior parte delle parole, che usava, per me erano così oscure da sembrarmi un'altra lingua.  Difatti ancora non sapevo in cosa consistesse un interclasse. Riprovevole per il figlio di un insegnante, anche se, al momento, poco m'interessava, avrei continuato a vivere con quell'onta.
Con mia grande sorpresa riuscii ad arrivare nella classe di mia madre incolume. Inoltre, neanche qualche Kami mi stesse proteggendo, la trovai vuota. Non potevo chiedere di meglio, anche se per poco, avrei potuto godere di un po' di sana tranquillità.
Mi stravaccai sulla sedia della cattedra – i banchi erano troppo bassi e, di conseguenza, scomodi – e sfilai dalla tasca dei pantaloni il mio fedele Samsung Galaxy-non so cosa. Ne avevano prodotti talmente tanti, che ignoravo come si chiamasse il mio.
Un moto di stima mi assalì, quando avviai “Angry Birds”. L'avevo scaricato poco più di un mese prima e già mi mancava non molto a finirlo. Mi sentivo il padrone dei giochi per cellulari...che idiozia! 
Però mi divertiva, infondo era un passatempo come un altro. 
Io e Kiba – il mio migliore amico – spesso confrontavamo i vari giochi scaricati, anche lui con un Samsung Galaxy-come cavolo si chiama. La settimana scorsa Kiba si era letteralmente imbucato a casa mia, urlando riguardo alla “nuova figata del momento”
Aveva sentito dell'esistenza di un nuovo gioco. In un pomeriggio avevamo scoperto che si chiamava “Ruzzle”, che piaceva a, tipo, mezzo mondo e che potevano scaricarlo solo i possessori fighetti di uno dei tanti i-mela, come li chiamavamo noi. Io, purtroppo, non facevo parte di questa classe di “eletti”. Davvero mi era inconcepibile capire perché una persona, nel pieno delle proprie facoltà intellettive, decidesse di comprare uno di quei cosi. L'unica sostanziale differenza con qualsiasi altro aggeggio erano i duecento euro in più, che dovevi sborsare per aggiudicarti uno di quei “miracoli” della tecnologia. A parer mio, era una follia, ma a quanto pare esistevano persone che la vedevano diversamente. Non che io avessi qualcosa contro di loro, anche Sakura-chan – altra mia migliore amica - aveva un i-mela, solo io non riuscivo a capirne l'utilità. 
Dal corridoio iniziavano ad arrivare rumori di passi e voci. Probabilmente la riunione era terminata. Addio quiete, benvenuto martirio. 
Chiusi “Angry Birds” per vedere l'ora sul cellulare. Con rammarico notai che fosse troppo presto per, anche solo sperare, di potercene andare. Avrei sopportato e sarei sopravvissuto, come sempre d'altronde. 
Sulla porta apparvero mia madre e una sua collega, Mikoto Uchiha. La conosceva sin da piccolo, era stata una mia maestra. È una donna composta, dolce e deve adorare davvero molto i bambini, o le persone in generare, visto che sorride sempre quando c'è gente nei paraggi. Io me la ricordo come l'insegnante più amorevole dell'istituto. Senza nulla togliere a tutte le altre, adorabili a modo loro.
Salutai le donne con un sorrido e un cenno della testa.
«Com'è andata la riunione?» chiesi, alzandomi dalla cattedra – quello era il trono di mia madre, guai se qualcuno le rubasse il posto.
Mia mamma si sedette e rispose.
«Come al solito: tanto parlare, senza arrivare a nulla.» mugugnò lei mettendo il broncio. Era ovvio che la cosa la infastidisse. Per lei ogni cosa fatta senza ricevere risultati era futile ed inutile. Sorrisi divertito, così come fece anche Mikoto.
«Allora, Nacchan,  domani sarai ancora qui?» mi chiese quest'ultima, senza preavviso. Io la guardai confusa. Perché avrebbe dovuto chiedermelo? E poi la risposta era ovvia, certo che sarei tornato, mia madre mi avrebbe costretto. Sorrisi ancora a quel pensiero. Chissà perché, ma l'idea di venir martirizzato dalla mitica Kushina mi divertiva. 
Prima che potessi parlare, però, fu mia madre a rispondere al posto mio.  Si rizzò sulla sedia, come colpita da una scossa, guardandomi con un'espressione completamente diversa, quasi contenta.
«Giusto Naru, quasi mi dimenticavo.» s'interruppe solo per sorridermi «Domani mattina verrà a scuola anche Sacchan.»
Quei maledetti nomignoli erano un enigma, non riuscivo mai a capire chi fossero le persone a cui si riferivano. Eppure li usavano per tutti. Kiba, per esempio, era Kicchan, mentre Sakura era Sacchan – anche loro erano andati lì alle elementari, come anche io, d'altronde. Proprio quest'ultimo nome mi aveva fatto venire dubbi. Mia mamma aveva detto Sacchan, ma non poteva essere Sakura, ero più che sicuro che la mia amica me lo avrebbe detto. 
Guardai mia mamma curioso.
«Chi?» domandai, inclinando il viso di lato.
Questa volta fu Mikoto a parlare.
«Sasuke, mio figlio.» sorrise, mentre un luccichio, a metà tra l'amore e l'orgoglio, le attraversava lo sguardo. 
Ed ecco svelato l'arcano. Il celebre Sasuke, celebre forse solo per me.  Era il figlio della maestra Mikoto, spesso lei e mia madre me ne parlavano, affermavano addirittura che fossimo compagni ai tempi delle elementari, ma io proprio non me lo ricordavo. Dovevo ammettere di avere ben pochi ricordi di quel periodo, come se col tempo tutto si fosse appannato fino a scomparire. Solo alcune cose erano rimaste nitide ed erano solo quelle che mi avevano seguito anche durante l'adolescenza – come Sakura, Kiba , tutte le estati, passate in quella scuola, e non molte altre cose -, ma quel fantomatico Sasuke non avevo il benché minimo ricordo. Mikoto sosteneva anche che, per un certo periodo, eravamo stati inseparabili, come fratelli, e lo stesso diceva mia mamma. 
Forse rivedendolo mi sarei ricordato. Almeno avrei avuto qualcuno con cui divertirmi e condividere le mie peripezie.
Sorrisi alle donne, che fecero altrettanto nella mia direzione.
«Domani verrò sicuramente, così finalmente riuscirò a conoscere questo Sasuke.»
 
 
 
 
Angolo Autrice
 
E così si conclude il primo capitolo di questa storia. Il bello è che all'inizio l'avevo immaginata come una One-shot con tutto l'intento di essere il più seria possibile, poi è diventata una storia con tre/quattro capitoli comico-demenziale ed ora è una storia di lunghezza indefinita a metà tra il serio e il comico...più o meno. ^^ Si vede che ho le idee chiare, neh?! XD
Comunque, lo ripeto di nuovo, perché ritengo importante avvisarvi: non ho idea di quando posterò il prossimo capitolo, quindi non condannatemi a morte se non aggiornerò presto...per favore...Q.Q
E mi raccomando, ditemi se ci sono errori o cose poco chiare o spiegate male. ^^
Comunque spero che il capitolo vi sia piaciuto! ^^ 
Naru vi sembra OOC? O.o
E, ultimo, ma non da meno, adoro Kushina e Mikoto. <3
Grazie a tutti e alla prossima. ^-^ 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: FeverSkating