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Autore: Dreamer91    18/02/2013    3 recensioni
E se il destino avesse voluto che in una città tanto grande come New York, due ragazzi dalle vite completamente diverse, finissero con l'abitare a meno di tre metri di distanza... sullo stesso pianerottolo?
Dal Capitolo uno:
"Stai scherzando spero!" mormorai
"Perché scusa? Non ci sono topi né prostitute per strada... per quanto riguarda i vicini non so... non li ho interrogati... però..."
"Sebastian!" lo bloccai passandomi una mano sul viso "Lower East Side... sul serio?"
"Non ti seguo, B..." mi fece visibilmente confuso slacciandosi la cintura
"Bastian dovrò vendermi un rene per pagarmi l'affitto... e quando avrò terminato gli organi, mi toccherà scendere in strada e fare compagnia a quelle famose prostitute per andare avanti!" gli spiegai concitato.
(...)
"Non fare l'esagerato Blaine... questa volta penso di aver trovato il posto giusto per te! Coraggio, scendi che te lo mostro!" mi incitò scendendo dall'auto e raggiungendomi sul marciapiede
"Anche l'ultima volta lo pensavi, Seb... e siamo dovuti scappare a gambe levate da un travestito in minigonna e tacchi a spillo!" gli ricordai lanciando un'occhiata al palazzo color porpora - innocuo e all'apparenza rispettabile - che si stagliava per ben quattro piani davanti a noi.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Just a Landing'
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Buon pomeriggio a tutti e.. buon inizio settimana ^^ dunque, nonostante avessi assicurato di consegnare l'epilogo ieri, mi presento oggi come al solito in ritardo.. vabbè non ho più scuse, sono terribile ç__ç diciamo che ho avuto qualche problemino a dare una forma a questo epilogo, perché non sono proprio una fan della Samcedes (che i loro estimatori mi perdonino ^^) e quindi mi sono un po' dilungata anche se alla fine sono riuscita a portarlo a termine senza impazzire e preparando contemporaneamente un esame per questa settimana.. sono o non sono la migliore?? *__* dunque, non ho molto da dire se non.. augurarvi buona lettura e... mettervi un po' di agitazione per il prossimo epilogo che.. *rullo di tamburi, Finn* sarà sulla Seniel *___* Dio Santissimo non vedo l'ora... vi avverto già da ora... qualcuno vorrà uccidermi e vorrà uccidere anche uno di loro.. ma.. niente ci vediamo prossimamente XD diciamo... mmm... spero tra sabato e domenica, ma non ne sono sicura perché il 27 ho l'ultimo esame... vedremo come si metterà la situazione (anche perché ci tengo troppo a questo epilogo e ho l'impressione che sarà il più lungo.. che gli altri non me ne vogliano ma... la seniel ce l'ho nel cuore *__*) bene.. ora vado a studiare.. un bacio grande a tutti e... vi amooooo tantoooooo <3
p.s. Altro capolavoro offerto dal mio Dan *__*
N.B. Pagina Fb (Dreamer91 )

Epilogo n°5
Sam & Mercedes
"Il volo dell'aquila"



Los Angeles. Ore 07.45 P.M. 10 Maggio 2012 (Giovedì)


Los Angeles era senza dubbio la città per eccellenza baciata dal sole. Io ero nato e cresciuto ad Orange Country quindi conoscevo le meraviglie della California come le mie tasche; ma purtroppo a causa del mio lavoro che mi teneva bloccato sulla costa orientale degli Stati Uniti, raramente vi avevo fatto ritorno. Ma quel giorno, dopo aver rinviato tutti gli appuntamenti in programma, ero finalmente riuscito a salire su un aereo e ad atterrare in California, ma... non lo avevo fatto assolutamente per la nostalgia di casa o per staccare la spina dal lavoro; lo avevo fatto perché... era quasi una settimana che non la vedevo, lo avevo fatto perché mi mancava e perché... ero stato uno schifo senza di lei. Per questo ero lì, per recuperare quel tempo che ci era stato ingiustamente tolto e per godere un po' di quella sensazione di tranquillità che, non si sapeva come, lei riusciva a darmi.
Ci eravamo sentiti praticamente ogni giorno, con messaggi, mail, chiamate e perfino video-chiamate - sia benedetto chi ha inventato Skype - ma non era affatto sufficiente. E soprattutto non era così che volevo portare avanti la nostra relazione: come potevamo credere di poterci far bastare quelle poche ore di conversazione o quelle immagini attraverso gli schermi dei nostri portatili? Io avevo bisogno di altro, avevo bisogno di guardarla direttamente negli occhi, senza filtri né telecamere, avevo bisogno di stringerle la mano, avevo bisogno di baciarla e... avevo bisogno di vivere qualcosa di normale, qualcosa che fosse a misura per noi. In ventotto anni della mia vita non avevo mai avuto una relazione che potesse definirsi seria: avrei potuto dare la colpa al mio lavoro, al fatto che non avessi tempo neanche per preoccuparmi di essere attratto da una ragazza, e quindi mi ero limitato a mettere in pausa la mia vita sentimentale e, fatta eccezione per qualche avventura occasionale, avevo chiuso letteralmente le porte del mio cuore a chiunque volesse entrarci. Con Mercedes però era accaduto qualcosa di diverso.
La sera del compleanno di Kurt mai mi sarei aspettato di imbattermi in una meraviglia del suo calibro. Inizialmente, lo ammetto, era stata semplice attrazione fisica: lei era palesemente bella e aveva qualcosa di aggressivamente sensuale che mi aveva immediatamente attratto e infatti la maggior parte della serata l'avevamo trascorsa praticamente incollati l'uno all'altra. Eppure, quella che credevo fosse l'ennesima avventura notturna si era trasformata in ben altro. Io e lei quella sera non avevamo fatto un bel niente, io l'avevo gentilmente accompagnata alla macchina parcheggiata davanti al pub di Puck e ci eravamo salutati e benché ne fossi rimasto abbastanza male, sentivo che in un certo senso fosse stato meglio così per entrambi.
Il giorno dopo, non seppi esattamente il motivo, riuscii a sapere tramite amici in comune - Kurt! - dove lavorasse e per questo mi ero presentato da lei: il sorriso emozionato con cui mi aveva accolto appena ero entrato in teatro, probabilmente fu la cosa più bella che ebbi mai visto in tutta la mia vita, qualcosa che riuscì ad illuminare tutto, perfino gli angoli più bui della sala. E da allora, come in un crescendo di emozioni e sentimenti, era nata la nostra storia, anche se a conti fatti era passato soltanto un mese. Eppure lei in meno di trenta giorni era riuscita a conquistarmi completamente: aveva un modo di fare che coinvolgeva, riusciva a darmi un valido motivo per sorridere ogni giorno, anche dopo dodici ore di lavoro stressante, riusciva a trasmettermi cose che fino ad allora non avevo ancora provato ed aveva un carattere di cui difficilmente ci sarebbe stancati. Era un vulcano di energie ed io mi sarei fatto volentieri travolgere ed avvolgere da un'esplosione di tale portata.
Quel giorno, seguendo le indicazioni che lei stessa mi aveva inconsciamente dato la sera prima, mentre la interrogavo su dove fosse il teatro in cui il suo coro di stava esibendo, ero arrivato a destinazione: era un piccolo teatro in una zona poco conosciuta di Los Angeles e, guardato con attenzione, faceva quasi una certa tristezza. Era particolarmente spoglio, i sedili della platea erano molto rovinati, il palco era minuscolo e non c'erano le attrezzature adatte per esibirsi. E tutto questo mi era balzato all'occhio dopo un solo sguardo veloce, non osavo immaginare cosa sarebbe successo se mi fossi messo ad investigare un po'. Forse ero abituato allo sfarzo di Broadway o di quei meravigliosi teatri newyorchesi in cui ero solito andare con i miei amici e quindi tutta quella semplicità mi risultava ancora più squallida eppure non riuscivo a fare a meno di pensare a come potesse Mercedes aver accettato di far esibire il suo coro in un posto così. Una volta, quasi con imbarazzo, mi aveva confessato che i ragazzi che seguiva non erano un granché e pertanto erano costretti ad accettare gli ingaggi più disparati, rischiando a volte di capitare in posti davvero assurdi. Io lì per lì non avevo capito cosa intendesse dire, ma in quel momento, osservando il tappeto pieno di macchie scure e lo schienale di un sedile rosicchiato per metà, capii esattamente a cosa si riferisse.
"Coraggio, ragazzi... metteteci un po' più di entusiasmo! Rose, per carità, smettila di gridare... non riesco a sentire gli altri se alzi troppo la voce." esclamò con esasperazione Mercedes che mi dava le spalle e si rivolgeva al piccolo gruppo di persone, sistemate disordinatamente sul palco. La ragazza a cui si era rivolta, evidentemente sentendosi offesa, alzò il naso in una smorfia seccata
"Non è colpa mia, signorina Jones... sono loro che non sono capaci di starmi dietro!" starnazzò incrociando le braccia al petto. Un'altra ragazza del gruppo spalancò gli occhi e rispose
"Ma sentila.. è arrivata Mariah Carey.. senti carina, se proprio vogliamo dirla tutta, tu non sei neanche capace di indovinare un accordo. E non venirti a lamentare con noi per questo!" la riprese infastidita, ed un paio di ragazzi dietro di lei le diedero manforte, annuendo con vigore. La ragazza di prima, Rose, divenne immediatamente rossa
"Non diciamo sciocchezze. Io sono nata con lo spartito in mano e ho iniziato a fare musica da molto prima che voi iniziaste a capire cosa fosse. Quindi non azzardarti, Kelly... altrimenti qui finisce male." si agitò Rose, puntandole un dito contro. La seconda ragazza, Kelly, scoppiò a riderle in faccia
"E cosa fai? Mi graffi la faccia con le tue unghia ricostruite? Oppure vuoi soffocarmi stringendomi al collo una extention?" la provocò e uno sciame di risate si diffuse nel teatro. Rose divenne ancora più rossa e fu sul punto di rispondere o peggio di scagliarsi contro di lei, quando Mercedes intervenne
"Smettetela all'istante. Non siamo all'asilo, siamo qui per lavorare e non voglio più assistere a scene infantili come questa, sono stata chiara?" tuonò imperiosa e subito riuscì a zittire tutti. Perfino le due ragazze si ritrovarono ad annuire, anche se con riservo. Mi feci scappare una piccola risata silenziosa: ah però... hai capito che caratterino la ragazza!
"E ora fuori dai piedi. Andatevene in albergo e riprenderemo domani con questo pezzo. Vi voglio pronti per questo Sabato quindi vedete di concentrarvi e dare il massimo." e poi con un gesto seccato della mano li mandò via, ignorando i versi seccati, i vari lamenti e perfino una velata minaccia da parte di Rose nei confronti dell'altra ragazza. E solo in quel momento, nonostante immaginassi fosse ancora turbata, osai avvicinarmi a lei
"Mi scusi, signorina Jones... posso permettermi di disturbarla un istante?" le domandai, trattenendo un sorriso. Lei sbuffò leggermente e fece per voltarsi
"Cosa c'è ancora.." e non  appena mi vide, non appena si girò del tutto verso di me e scorse il mio sorriso, sembrò cambiare tutto: il suo malumore scivolò via, quella smorfia infastidita si trasformò in un istante in un'espressione di puro stupore e perfino la tensione che si avvertiva nell'aria si dissolse quasi fosse una nuvola di polvere che veniva spazzata via. Tutto per un solo sguardo.. tutto per me.
"Sam!" esclamò e le sue labbra si piegarono in un sorriso mentre gli occhi si spalancavano nella più bella delle espressioni di meraviglia. Mi ritrovai a sorriderle a mia volta e ad avanzare ancora.
"Sorpresa!" allargai le braccia in un invito palese e lei non se lo fece dire due volte. Abbandonò il suo banchetto dal quale osservava il palco e il suo coro e si fiondò ad abbracciarmi.
"Oh mio Dio... che ci fai qui?" mi chiese emozionata, affondando la faccia nel tessuto della mia camicia
"Ero di passaggio e così... ho deciso di farti un saluto." mentii spudoratamente. Lei infatti sollevò lo sguardo e mi fissò
"Eri di passaggio? Qui a Los Angeles?" ridacchiò, quasi fosse del tutto assurdo e in effetti lo era davvero
"E se fossi stata ancora a Phoenix... o ad Indianapolis?" mi sfidò divertita
"Avrei allungato il giro e... sarei venuto a salutarti anche lì." risposi divertito a mia volta e lei arrossì, lusingata
"Oh.... ma che carino che sei." cinquettò, sbattendo le ciglia, ma sotto sotto si vedeva chiaramente quanto fosse seriamente contenta per quello
"Sei carina anche tu." risposi con un sorriso furbetto "Anzi... molto più che carina." rettificai e dopo un altro piccolo sorriso abbassai la testa quel tanto che serviva per poterci finalmente salutare per bene e poter sfiorare quelle labbra, che mi ero accorto di desiderare dal primo istante in cui avevo messo piede a Los Angeles. Tuttavia, purtroppo non riuscii nel mio intento, perché qualcuno pensò bene di interromperci proprio sul più bello, proprio quando mancavano pochissimi millimetri
"Mi scusi signorina Jones.. avrebbe un minuto da dedicarmi? Avrei bisogno di chiederle un favore." era di nuovo Rose, la ragazza che aveva le unghia finte e le tendenze da prima donna e in quel momento, iniziai ad odiarla anche io, come il resto del suo coro. Mercedes fu sul punto di girarsi e risponderle, ma riuscii ad anticiparla, stringendole la mano e contemporaneamente rivolgendo un sorrisetto di circostanza verso la disturbatrice
"Mi spiace, ma la signorina ha da fare adesso... sarà irreperibile fino a domani. Buona serata.. Rose."

Los Angeles. Ore 08.31 P.M. 10 Maggio 2012 (Giovedì)

Rapita Mercedes e abbandonato il teatro, ci dirigemmo verso il ristorante, tenendoci ovviamente per mano e continuando a sorriderci, quasi fossimo due adolescenti. Che diavolo mi prendeva? Avevo ventotto anni, non quattordici. Eppure, non riuscivo a vergognarmene perché al suo fianco avvertivo quella magnifica sensazione di serenità che in quei giorni mi era tanto mancata e che mi faceva respirare a pieni polmoni, come aria fresca.
Ci sedemmo al nostro tavolo appartato, in un bellissimo ristorante che affacciava sulla Westwood e ordinammo la nostra cena ad un cameriere elegantemente vestito di bianco che sparì immediatamente in cucina. Mercedes si guardò in giro meravigliata, con gli occhi che si illuminavano e le labbra che si stiravano in un bellissimo sorriso, tanto da renderla così raggiante da far quasi male agli occhi. Ma non avrei mai smesso di guardarla e trovarla così incantevole. Mai.
"Posso farti una domanda?" le chiesi ad un certo punto, mentre il cameriere ci serviva da bere
"Certo." acconsentì curiosa. Mi lasciai scappare un piccolo sorriso prima di rivolgerle la mia domanda, così da sottolinearne la simpatia
"Come fai a sopportarli?" lei mi guardò per un istante, forse non capendo ma alla fine forse la mia risata l'aiutò molto.
"Mmm.. parli dei ragazzi del coro?" mi chiese allora, stendendo un piccolo sorriso consapevole ed io annuii portandomi il bicchiere del vino alla bocca
"Sono costretta a farlo. É l'unico ingaggio che il teatro mi ha affidato. Devo portarli in giro per gli Stati Uniti e accertarmi che facciano sempre bella figura." spiegò arricciando il naso in una smorfia di disappunto "Anche se... di figure fino ad ora ne abbiamo fatte tante.. e nessuna di queste è mai stata bella." e ridacchiò appena, ma non c'era alcuna traccia di divertimento nella sua voce. Ebbi come l'impressione di aver appena toccato un tasto dolente per lei, benché mi fossi avventurato in quel campo con l'intenzione di affrontare un argomento leggero. A quanto pare mi ero profondamente sbagliato
"E allora perché non molli? Cosa ti trattiene?" le chiesi d'istinto, cercando di capire. Lei alzò gli occhi al cielo e fu il suo turno per sorseggiare un po' di vino. Era combattuta, si intuiva facilmente "Ti sei... affezionata?" le chiesi ancora, esitante. Mercedes sgranò gli occhi, quasi mi avesse sentito pronunciare qualcosa di indecoroso
"Ma figurati! Odio profondamente quei ragazzi. Sono viziati e senza il minimo talento e... hai visto cosa sono capaci di fare? Una volta se le sono date di santa ragione ed io ero pietrificata... non sapevo cosa fare. É dovuta intervenire la Polizia per separarli!" raccontò, sventolando la mano davanti al viso, quasi non riuscisse a trattenere l'indignazione. Beh, in effetti avevo avuto modo di constatare personalmente quanto quei ragazzi fossero... particolari, diciamo. Non immaginavo cosa potesse significare doverli sopportare per tutto quel tempo, perfino in giro per gli States.
"E allora?" domandai ancora
"Io..." iniziò, prendendo un lungo respiro ma poi si bloccò, quasi si fosse appena ricordata di qualcosa e non riuscisse a continuare "Mmm.."
"Mercedes?" mi sporsi un po' in avanti per intercettare i suoi occhi che erano silenziosamente scivolati oltre il bordo del tavolo, ma non ce ne fu bisogno perché la sua voce si fece sentire poco dopo, in un leggerissimo sussurro
"Ho paura." sgranai gli occhi, non riuscendo a capire, soprattutto il perché avesse cambiato così drasticamente umore
"Di cosa?"
"Di tutto." rispose con un sospiro e rialzò gli occhi, arrossendo appena "Di quello che succederebbe dopo, di cosa potrei fare una volta lasciato il coro, di non aver più un lavoro e uno stipendio, di non potermi più permettere il mio stupido monolocale, di deludere i miei genitori, di..." si bloccò di nuovo, inghiottendo di nuovo saliva e parole. Sembrava le costasse una fatica immensa dire quelle cose. Probabilmente non lo aveva mai fatto ma quasi sicuramente le serviva disperatamente farlo. All'istante.
"Sono tante cose." mormorai, squadrandola per bene
"Già." abbassò la testa e sospirò ancora e finalmente...
"Ma più di tutto , ho paura di quello che potrebbe succedere alla mia autostima. Ho già dovuto sopportare parecchie delusioni da quando ho lasciato il liceo.. non so se riuscirei a reggere ancora oltre." ammise in un soffio imbarazzato. Dunque era quello il problema. Delle delusioni subite, probabilmente in ambito lavorativo, che l'avevano spinta in quegli anni a... ad accontentarsi? Non potevo crederci. Mercedes non mi sembrava affatto una ragazza pronta a rinunciare: era forte, combattiva, caparbia e piena di entusiamo. Cosa le era successo di tanto deludente da abbatterla in quel modo?
"Ti va di parlarmene?" provai allora, sperando che offrirle il mio sostegno potesse farla sentire meglio. I suoi occhi scuri tornarono a posarsi su di me e l'ombra di un sorriso le stirò le labbra, che erano ancora contratte in una mezza smorfia.
"Non voglio angosciarti. É una così bella serata.. tu sei qui.. hai attraversato tutto il paese solo per me e... voglio godermi ogni attimo che abbiamo." mormorò, provando a sviare il discorso e sorridendomi con più convinzione. Allungai una mano e accarezzai il dorso della sua, poggiata sul tavolo, tanto per trasmetterle la mia presenza e per farle capire che, per qualsiasi cosa, io ci sarei stato. Ormai era chiaro: qualcosa l'angosciava e anche parecchio. Restava solo da capire cosa fosse e se sarebbe mai stata in grado di dirmelo. Forse il nostro rapporto non era ancora pronto per affrontare una confessione di tale portata o forse non era nulla di preoccupante ed io mi sarei semplicemente dovuto fare i fatti miei. In fondo, se lei non avesse voluto parlarmene, io non l'avrei di certo costretta. Con me doveva stare bene, soltanto quello.
Il cameriere ci portò le nostre ordinazioni e noi iniziammo a mangiare in silenzio, limitandoci a sorriderci da un lato all'altro del tavolo, magari dietro il vetro dei bicchieri o dietro le forchette, ma tornando a stabilire una sorta di equilibrio, che avevo sentito oscillare appena pochi istanti prima. Eppure, c'era ancora qualcosa che rimaneva sospesa, qualcosa che ancora non era stata decifrata, qualcosa di... ingombrante. Come un elefante rosa seduto in mezzo a noi. 
"Mercedes."
"Sì?"
"Faresti una cosa per me?" le chiesi, posando la forchetta nel piatto e puntando gli occhi nei suoi. Non ebbe il minimo cedimento mentre annuiva
"Certo." acconsentì curiosa. Presi un breve respiro prima di farle la mia rischiesta, che veniva dritta e spontanea dal cuore
"Canteresti per me se te lo chiedessi?" era avventato, era stupido, era incosciente, ma... era l'unica cosa che volevo in quel momento
"Co-cosa?" i suoi occhi si sgranarono in maniera quasi inaspettata
"Una sola canzone. C'è il piano lì e ho sentito che spesso i clienti qui si alzano per cantare e... sì insomma... è da quando ti conosco che mi chiedo come sia la tua voce." le confessai con un sorriso, sentendomi andare a fuoco le guance per l'imbarazzo. Raramente mi trovavo a disagio con gli altri, però con lei mi era successo spesso. E poi... beh era vero che mi ero chiesto come fosse la sua voce. Credevo fermamente fosse magnifica come lei, soprattutto perché dava l'idea di nascondere qualcosa di molto potente e molto intenso. Eppure, qualcosa non quadrava: nei suoi occhi in quel momento, lessi del vero e proprio panico, farsi così concreto da insospettirmi
"Ho l'impressione che sia meravigliosa." mormorai, riferendomi ancora alla sua voce. Strinse la mascella e afferrò il bicchiere con forza, portandoselo alla bocca
"No, non lo è!" esclamò risoluta e definitiva e la freddezza con cui si rivolse a me, mi spiazzò. Mi ritrovai a boccheggiare per qualche istante perché, benché avessi seriamente letto il panico colorarle gli occhi, non mi aspettavo una reazione del genere. Ma sapevo essere testardo anche io. Così riprendendomi da quel momento di stupore, mi feci avanti
"Dimostramelo!" la sfidai, sicuro che avrebbe ceduto
"Sam... no!" mi ammonì, guardandomi male, quasi desse per scontato che io fossi già a conoscenza del motivo
"Perché?" le chiesi infatti, non riuscendo a trattenermi. Sbuffò, stringendo le labbra in una linea marcata
"Perché non ne sono capace." sentenziò, stupendomi ancora. No, non era vero. Non potevo crederci.
"É questo che ti hanno fatto credere?" le domandai e lei spostò lo sguardo sul piatto, ignorando la domanda. Sì, era esattamente quello che le avevano fatto credere
"Chi è stato?" domandai ancora, avvertendo una certa rabbia invadermi lo stomaco, anche se ne ignoravo il motivo. Sospirò e quella volta sembrò più per esasperazione che per altro
"Sam... non.. ho voglia di parlarne." mormorò, lanciandomi un'occhiata di ammonimento
"D'accordo." allargai le braccia, in segno di resa, ma non avrei ceduto, per niente al mondo
"Allora limitati a cantare!" le dissi e lei scosse la testa, ostinata
"Non capisco perché dobbiamo per forza rovinarci questa serata parlandone." borbottò guardandomi male. Cavolo... chiunque le avesse messo in testa quella convinzione, doveva esserci andato giù pesante.
"Possiamo anche starcene in silenzio e far finta che non sia successo niente." provai ad essere ironico, sperando che servisse a stemperare un po' di quella tensione, ma non ebbe molto effetto perché lei si indurì ancora di più e tornò al suo piatto
"Ecco.. sarebbe meglio!" sbottò secca, chiudendo definitivamente il discorso. Rimasi qualche istante immobile, a chiedermi cosa fosse successo esattamente in quei pochi minuti: la situazione tra di noi era cambiata drasticamente, si era fatta fredda, quasi tesa ed io ne ero davvero sorpreso. Non mi interessava tanto il fatto che lei mi avesse risposto male o per non aver fatto quello che le avevo chiesto di fare per me - benché avessi ancora una voglia matta di sentirla cantare - più che altro, a lasciarmi l'amaro in bocca, fu la freddezza che le lessi negli occhi affrontando quell'argomento. Doveva essere più grave di quanto non facesse credere, se una semplice domanda arrivava ad irritarla tanto. Lei diceva di non esserne capace; io non ci credevo assolutamente. Credevo piuttosto che qualcuno glielo avesse fatto credere e quel qualcuno, dopo tutto quel tempo, riusciva ancora ad influire così tanto su di lei, in maniera quasi sorprendente. Con un sospiro mi allungai nuovamente verso di lei e le afferrai la mano, stringendola con la mia. All'inizio tentò di tirarsi indietro, guardandomi ancora male, ma poi si arrese e si lasciò accarezzare, esattamente come aveva fatto poco prima che iniziassimo a parlare della sua voce.
"Mercedes." la chiamai in un soffio, sentendo il cuore fare male per non riuscire a poterla guardare negli occhi "Ti prego, guardami!" la esortai e lei, dopo un evidente sforzo lo fece. Era ancora combattuta e tormentata e si vedeva chiaramente quanta fatica stesse facendo per non scoppiare a piangere davanti a me
"É davvero così difficile per te?" le domandai allora, sentendomi male per essere stato io ad insistere e per non essermi riuscito a fermare in tempo. Tremò appena sotto il mio sguardo attento
"S-sì." balbettò a fatica.
Basta, Sam... falla finita...
"Ok... ho capito. Non parliamone più. Anzi... mi dispiace. Non era mia intenzione far tornare alla mente brutti.. ricordi." e le sorrisi con tutta la tenerezza di cui ero capace e per mia fortuna, finalmente, lei parve sciogliersi un po'
"No... io... non avrei dovuto aggredirti in quel modo. Mi dispiace davvero, Sam." mormorò imbarazzata, accarezzandomi con il pollice la mano
"Così imparo a fare l'inopportuno!" scherzai e lei ridacchiò
"Non lo sei affatto." rettificò con un sorriso sereno, dopodiché si portò la mia mano alla bocca e vi lasciò sopra un bacio delicato che mi fece arrossire appena.
Waw... Sam Evans che arrossisce.. quale novità...
In quel momento si avvicinò
a noi un ambulante di origine indiana, con un mazzo di rose strette in mano
"Vuole fare un regalo alla sua bella fidanzata, signore?" mi domandò in un marcato accento, accennando un inchino. Lanciai un'occhiata divertita verso Mercedes - la mia fidanzata - e lei ridacchiò appena, forse arrossendo, forse chiedendosi come me se potessimo considerarci davvero una coppia a quel livello. Recuperai il portafoglio dalla giacca ed allungai all'ambulante una banconota da cento dollari. Lui strabuzzò gli occhi, quasi non ne avesse mai vista una in vita sua e si affrettò a cercare nel suo borsello i soldi per cambiarli
"No, guardi... se li può tenere... le prendo tutte!" gli dissi indicando il mazzo, dove facevano bella mostra circa trenta rose rosse. Lui rimase qualche istante interdetto, poi guardò prima Mercedes - che ci osservava emozionata - e poi la banconota tra le sue mani. Alla fine reputò terminata la sua serata, mi lasciò tutto il mazzo ed uscì dal ristorante, con un bel sorriso soddisfatto sul volto.

Los Angeles. Ore 11.58. P.M. 10 Maggio 2012 (Giovedì)

"Sai... nessuno mai mi ha regalato così tante rose tutte in un giorno!" esclamò Mercedes, aprendo la porta della sua stanza con il passpartout
"Si vede che tutti quelli che lo hanno fatto fino ad ora, ti hanno sempre sottovalutata." mormorai seguendola all'interno della camera. Lei ridacchiò
"O forse sei tu che mi sopravvaluti!" tentò, posando il mazzo di rose sul tavolino basso e girandosi verso di me.
"No.. non credo." risposi sicuro, annullando la distanza che ci divideva con un paio di passi. Ci guardammo negli occhi, rimanendo in perfetto silenzio, quasi ci stessimo studiando a vicenda e stessimo stabilendo chi dei due dovesse fare la prima mossa. Secondo il galateo avrei dovuto essere io, essendo l'uomo ma... dopo il casino che avevo combinato a ristorante, preferivo starmene buono buono a subire. E infatti fu un po' sorprendente sentire le sue labbra sulle mie qualche istante dopo, dato che io non mi ero affatto mosso: era stata lei a prendere l'iniziativa e, nonostante non fosse una cosa che accadeva molto spesso, dovevo dire che.. sì, mi piaceva terribilmente.
Lasciai che fosse lei a prendere il controllo, che fosse lei a condurre il gioco e che fosse perfino lei a dettare il ritmo. Io mi limitai a rispondere a quel bacio che lentamente si faceva più intenso ed emozionante, cercando di stare fermo e lasciandomi semplicemente scappare un sospiro di sollievo che la fece sorridere. Quanta impazienza c'era nelle azioni di entrambi e quanta voglia di andare fino in fondo. Era davvero troppo tempo che non ci concedevamo quel tipo di intimità e forse era giunto il momento giusto per farlo. Le sue mani si strinsero attorno al colletto della mia camicia e la utilizzò come appiglio per attirarmi ancora verso di lei. Lentamente mi ritrovai ad avanzare verso il letto e con mia grande sorpresa fui spinto con forza sulla coperta, con un leggero rimbalzo.
Uh... intraprendente.. mi piace...
Le sorrisi con malizia, pronto ad accoglierla tra le mie braccia ed iniziare a...
"Fermo lì! Non ti muovere!" mi ordinò, puntandomi l'indice contro e sorridendomi. Alzai le braccia in segno di resa, perché anche volendo non sarei andato da nessuna parte. Si allontanò, avvicinandosi alla borsa e trafficando con qualcosa per poi fare qualche bassò verso il mobile sul quale aveva posato le rose. Sentii un click e un leggero ronzio, quasi avesse azionato un dispositivo audio, per questo incuriosito mi sollevai sui gomiti per sbirciare. Non riuscii a vedere nulla perché il mio sguardo intercettò un altro suo movimento: si tolse la giacca e la posò sulla poltrona, dopodiché tornò da me, con uno strano sorriso sulle labbra. Peccato che di malizia ce ne fosse rimasta davvero poca: sembrava più che altro... sospesa, intimorita, emozionata. E la tensione, benché ci fosse ancora e fosse sempre tangibile, era cambiata in qualcosa di diverso. Era pur sempre piacevole e riuscivo a percepirne una certa importanza, nonostante non fossi completamente lucido: era come se sapessi che qualcosa stesse per succedere e quel qualcosa non aveva nulla a che vedere con me e lei nudi sotto le coperte.
Non ci fu bisogno di chiederle niente, perché dopo un lunghissimo sospiro parlò
"Vorrei farmi perdonare per quello che è successo prima al ristorante." iniziò a spiegare, torturandosi le mani con un certo nervosismo. Stavo per rassicurarla sul fatto che non fosse necessario e che non avrebbe dovuto farsi perdonare proprio di niente, ma ancora una volta mi anticipò
"E poi in un certo senso... sento di dovertelo!" e mi sorrise ancora, quella volta quasi non riuscendo a contenere l'emozione. Ancora una volta sentii la tensione stringersi attorno a noi nella stanza, e inconsciamente mi aggrappai alla coperta sotto di me con tutta la forza di cui ero capace. Lei sollevò il braccio verso il mobile di prima e premette su un piccolo telecomando che non mi ero accorto avesse in mano: in quel momento successero due cose nello stesso istante, da una cassa portatile sulla quale lei aveva posizionato il suo telefono, partirono le note delicatissime di una canzone e contemporaneamente il mio stomaco di contrasse in maniera quasi dolorosa. Perché avevo finalmente realizzato cosa sarebbe successo da lì a breve: Mercedes stava per cantare e stava per farlo lì, davanti a me.. per me. Maledizione non ero pronto. Cioè... avevo detto di volerla sentire e lo pensavo davvero ma... il mio cervello - ed il mio corpo soprattutto - erano preparati ad altro in quel momento. Sarei stato degno di ascoltarla?
Non ebbi modo di chiedermelo davvero perché lei iniziò a cantare, sulla base che usciva dalla cassa e diventava sempre più dolce

As I lay me down
Heaven hear me now
I'm lost without a cause
After giving it my all
Winter storms have come
And darkened my sun
After all that I've been through
Who on earth can I turn to

Mi ritrovai a trattenere il fiato e a stringere ancora di più la coperta nel pugno, fino a farmi diventare le nocche bianche. Ma non importava: tutto ciò che le mie orecchie stavano percependo era decisamente molto di più di quanto mi sarei mai potuto aspettare. Non era soltanto per la canzone che era magnifica a prescindere... era lei... era la sua voce.. era... il modo in cui riusciva a farmi sentire, il modo in cui mi guardava mentre cantava quelle parole, quasi stesse pensando ad ognuna di esse prima di farle fuoriuscire sotto forma di musica. E quella che mi ritrovai addosso fu vera e propria pelle d'oca, per limitarsi ad esprimere le reazioni esterne, perché se mi fossi messo a capire cosa stava accadendo dentro... ci avrei messo troppo e avrei rischiato di perdermi il resto della canzone.

I look to you
I look to you
After all my strength is gone
In you I can be strong
I look to you
I look to you (Yeah)
And when melodies are gone
In you I hear a song
I look to you (You)

Era intensa in ogni strofa, nel ritornello poi era stata addirittura sublime: un'ondata di adrenalina allo stato puro mi invase lo stomaco e mi ritrovai ad inghiottire a fatica, quasi mi mancasse l'aria. Provai a fare violenza su me stesso, provai a trovare la forza necessaria per non abbassare mai lo sguardo e provai perfino a memorizzare ognuna delle singole emozioni che stavo percependo anche se, prese così tutte insieme, erano un po' difficili da decifrare. Sapevo solo che erano belle: era bella lei, così raggiante mentre cantava, era bella la canzone, era bella l'atmosfera ed era perfino bello sentirsi così succube. Per la seconda volta in poco tempo, lasciai che fosse lei a decidere tutto ed io mi limitai a subire, solo che quella volta si stava rivelando ancora più dannatamente piacevole, nonostante non ci fosse il minimo contatto fisico. Le corde che stava toccando lei, solo con la forza della sua splendida voce, erano decisamente più profonde.
 
About to lose my breath
There's no more fighting left
Sinking to rise no more
Searching for that open door
And every road that I've taken
Led to my regret
And I dunno if I'm gonna make it
Nothing to do but lift my head

Come aveva potuto anche solo pensare di non avere talento, di non saper cantare e di non essere quanto meno eccezionale? Con quale coraggio? Scherzava.. non c'erano altre spiegazioni. Perché io la stavo ascoltando e tutto ciò che riusciva a trasmettermi era... arte.. arte allo stato puro, arte in ogni singola nota, in ogni sfumatura della voce, in ogni pausa e in ogni accento e l'arte era ben visibile perfino nell'interpretazione. Sapeva dove accentuare, dove ammorbidirsi, dove diventare più energica. E tutto quello che lei tentava di dare alla canzone, arrivava diritta a me, al mio cuore pulsante e al mio stomaco, che era ancora contratto, ma non faceva minimamente male, anzi. Mi chiesi quale figlio di puttana le avesse messo in testa quella stupida idea del non sapere cantare, di non avere talento. Sicuramente era un invidioso oppure un maiale con chissà quale sporca intenzione. E mi sentii rodere dalla rabbia soltanto a pensare che qualcuno potesse provarci con lei. Però... doveva aver fatto qualcosa di molto peggio: le aveva tappato le ali, e questa era senza dubbio la violenza più dura di tutte.
Un'aquila reale del tuo calibro, dovrebbe volare molto più in alto di così...

I look to you
I look to you (Yeah)
And when all my strengths is gone
In you I can be strong
I look to you
I look to you (Oh)
And when melodies are gone yeah~
In you I hear a song

Me la immaginai immediatamente su un grande palco - niente a che vedere con quello squallido palchetto sul quale si esibiva il suo coro da quattro soldi - e immaginai la sala ghermita di gente, tutti uomini facoltosi, tutti vestiti bene, tutti in trepidante attesa, tutti con la stessa voglia: emozionarsi con la sua voce, chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare da tutto quello che lei era capace di offrire. E nessuno sarebbe rimasto scontento: avrebbero chiamato a grande voce il bis, ignorando le etichette e il bon ton. E lei, magari sopraffatta dall'emozione, ne avrebbe cantata un'altra e un'altra ancora. Ed io l'avrei guardata con orgoglio da dietro le quinte e a chi me lo avesse chiesto avrei detto "Sì... quella magnifica donna è mia... ed è semplicemente strepitosa!"

I look to you ( my life is unbroken)
Life is unbroken (My walls have come)
Walls come down (coming down on me)
Coming down on me(the rain is falling)
Rain is falling (defeat is calling)
Defeat's calling (I need you to set me free)
Need you to set me free
Set me far away from the battle
I need you
Sign on me

Mi sembrava davvero assurdo che mai nessuno si fosse accorto prima della sua voce: non si trattava di qualcosa che ascolti di sfuggita sotto la doccia, o peggio qualcosa di sottile e forzato; la voce c'era, era bellissima, era forte e cristallina ed era così magica da togliere il fiato. Ringraziai tutti i Santi in Paradiso per avermi dato quella occasione, per averla convinta a concedermela, nonostante non avessi fatto nulla per meritarmela. Se lei non si fosse convinta, io sarei rimasto nell'ignoranza più assoluta e quella magnifica voce sarebbe rimasta sconosciuta perfino al mio cuore. Io dovevo sentirla, sentivo il bisogno di farlo ancora e ancora e ancora. Forse all'infinito. Chissà, magari l'avrei convinta a rifarlo, per me, in privato. Le avrei fatto cantare tutto il repertorio di Whitney Houston se fosse stato necessario. Tutto pur di toccare ancora quelle magnifiche note e sentire le stesse identiche emozioni avvolgenti.
Mai sentito nulla di simile in tutta la mia vita.. mai...

I look to you
I look to you 
After all my strengths is gone
In you I can be strong
I look to you (to you)
I look to you (you) ohh
And when melodies are gone (melodies are gone)
In you I hear a song
I look to you (Yeah)
I look to you
I look to you

La canzone finì qualche istante dopo, e lei chiuse gli occhi, quasi avesse paura di vedere la mia reazione: non che ci fosse molto da vedere comunque, dato che ero immobile, senza fiato e con il cuore ancora spedito a tutta velocità. Avrei faticato a trovare le parole adatte e forse perfino la forza per fare uscire la voce
"Mercedes..." mi si bloccò il respiro in gola infatti "Waw..." riuscii soltanto a dire, ancora scosso. Lei arrossì e spense con un gesto la cassa e la traccia successiva si arrestò di colpo
"Non esagerare... è stato.. accettabile.. decente... niente di che." sminuì lei, scrollando le spalle
"Credimi... gli aggettivi che avevo in mente io non hanno niente a che vedere con quelli che hai detto tu." le dissi, riuscendo finalmente a ritrovare la voce e la forza per sollevarmi dal letto. Lei fece una smorfia di disappunto
"Mmm... ho paura a chiedertelo." borbottò dondolandosi sui piedi. Mi alzai dal materasso e la raggiunsi, portando entrambe le mani sulle sue spalle
"Direi più che altro... incredibile... sensazionale... emozionante.. bravissima... da pelle d'oca!" esposi a parole - o perlomeno ci provai, anche se fu tutto molto riduttivo - cosa avevo provato in quei minuti di canzone e lei in un primo momento sembrò sinceramente contenta di questo. Sembrava anche sorpresa e quasi sul punto di crederci davvero. Poi però, quasi si fosse ricordata di qualcosa, cambiò decisamente umore
"Non sei affatto oggettivo. Lo dici perché mi vuoi bene e... poi senza offesa, Sam ma.. tu non ne capisci nulla di musica." mi disse, sollevando un sopracciglio. Scossi la testa, ostinato
"Non serve avere una casa discografica per capire certe cose. Basta... sentire. E quello che ho sentito.. mi è davvero piaciuto." le confessai in un soffio, accarezzandole morbidamente una guancia. Lei sembrò addolcirsi appena, mentre puntava gli occhi nei miei e si concedeva un altro istante per arrossire molto discretamente.
"Ti ringrazio." biascicò molto leggera, mordendosi un labbro. Le sollevai il mento con due dita e la costrinsi a guardarmi
"Chi è stato?" le domandai di getto, scrutando dentro i suoi occhi confusi "Chi ti ha fatto questo?"
Chi ti ha fatto perdere tutta l'autostima e la tua grinta e il tuo coraggio?...
"Un talent scout!" rispose proprio nel momento in cui credetti arrivasse a rifilarmi di nuovo le stesse parole che mi aveva detto al ristorante. Un talent scout?
"Quando?"
"Dopo il diploma. Lo incontrai durante dei corsi preparatori per l'università e lui mi disse che... ero ok ma che non avrei dovuto continuare a studiare perché non ci sarebbe stato niente per me lì fuori e la mia voce non era... niente di speciale." spiegò incupendosi
"Niente di.. speciale?" boccheggiai scioccato. Dico ma.. era sordo per caso?
"Già.. una delle tante, mi chiamò. Disse che non c'era la minima espressività, il minimo sentimento e che nessuna etichetta discografica mi avrebbe mai ingaggiato." gli occhi le si riempirono di lacrime, sotto il peso di quel ricordo che, a distanza di anni, faceva ancora male
"Mercedes..."
"Cosa avrei potuto fare? Lui era un pezzo grosso della musica ed io ero... una stupida ragazzina appena uscita dal rassicurante mondo liceale... per me tutto brillava e niente avrebbe potuto fermarmi. Rendersi finalmente conto di non poter... fare nulla di tutto ciò che avevo sempre sognato.. mi ha distrutta. Ho lentamente abbandonato tutto, perfino l'idea di iscrivermi all'università e ho... iniziato a lavorare in questa compagnia teatrale offrendomi come vocal coach ma con la specifica richiesta di non dovermi mai esibire. Mi avrebbe fatto troppo male sentire qualcun altro pronunciare le stesse parole di quell'uomo.. ancora una volta." si lasciò scappare una lacrima e poi un'altra. Alla terza non resistetti più: mi spinsi in avanti ed incollai le mie labbra alle sue, tanto era il desiderio di assaggiarle, tanta era la voglia di mettere fine a quel discorso insensato e forse un po' mettere a tacere la mia rabbia che premeva aggressiva per uscire, dato che ormai sapevo tutto, conoscevo il motivo che aveva spento la sua aurea e le aveva tolto tutto il coraggio. Se solo avessi potuto, avrei girato tutta l'America a piedi e avrei trovato quel bastardo, rovinandolo con le mie stesse mani.
Hai distrutto un talento magnifico.. hai tappato le ali ad una splendida aquila...
Staccai le nostre labbra, giusto per permettere ad entrambi di respirare e poggiai la fronte alla sua, cercando di controllare il respiro
"Tu devi volare in alto... non permettere mai a nessuno di decidere per te, Mercedes... sei tu la padrona del tuo destino e nel bene e nel male l'ultima parola spetta sempre e comunque a te." le afferrai le guance con entrambe le mani e la guardai attentamente negli occhi, così concentrati nei miei da provocarmi brividi su tutto il corpo, quasi stesse ancora cantando.
Qui c'è tutta l'espressività ed il sentimento del mondo... talent scout dei miei coglioni...
"Tu sei speciale, Mercedes Jones... devi solo rendertene conto." sussurrai per poi tornare a baciarla, sperando che i gesti e le emozioni parlassero per me e facessero capire meglio, ciò che nel mio cuore ancora si agitava intensamente.

New York City. Ore 09.40 A.M. 14 Maggio 2012 (Lunedì)

La prima cosa che avevo fatto, una volta ritornato a New York, ancor prima di disfare il mio bagaglio, era stato recuperare la mia preziosa agenda di contatti e fare un paio di telefonate. Mi sentivo elettrico, ancora sovra-eccitato per il week-end fuori porta e sapevo di avere una sorta di missione da portare a termine, il prima possibile. Quel Sabato avevo assistito all'esibizione pubblica del coro diretto da Mercedes, seduto in prima fila - su una poltrona che cigolava e puzzava di pop corn - accanto a lei. Beh... era stato un autentico disastro: nessuno andava a tempo con il resto del gruppo, tutti cercavano di emergere mettendo su una sorta di gara a chi riuscisse a gridare di più e tutto sotto lo sguardo sconcertato dei pochissimi spettatori coraggiosi che avevano pagato il biglietto. Uno di loro, seduto al mio fianco, mi aveva addirittura chiesto chi fosse il responsabile lì e a chi dovesse chiedere il rimborso per l'ingresso. Una disfatta in pratica, che però mi aveva ancora più convinto del fatto che bisognasse agire e che quello non era affatto il posto giusto per Mercedes. La sua vita fatta di accontentarsi e di nascondersi dietro ad un dito... finiva lì.
Ero seduto nel mio studio e stavo controllando la posta sul computer - maledizione, centosedici mail non lette in soli quattro giorni? Ma che diavolo, non sapevano fare a meno di me? - quando il mio Blackberry vibrò sul tavolo, avvertendomi dell'arrivo di un nuovo messaggio. Con un sorriso constatai che fosse Mercedes e che come immaginavo, neanche lei riusciva più a sopportare la mia lontananza
*Sei stato tu?*
Aggrottai la fronte, non capendo a cosa si riferisse
*A fare cosa?*
La sua risposta arrivò circa due secondi netti dopo
*Lo sai!*
Lo sapevo?
*Mmm... non credo di seguirti.*
Ancora pochi secondi di attesa, dopodiché capii finalmente di cosa stessimo parlando
*Sam! Maledizione è la Warner... cosa diavolo ti è saltato in mente!*
Cazzo.. l'avevano già chiamata? Lanciai un'occhiata all'orologio appeso alla parete che segnava quasi le dieci del mattino: avevo chiamato un paio dei miei contatti di quella etichetta per chiedere loro se fossero disponibili per dei provini straordinari e loro, neanche a farlo apposta, mi avevano detto di aver appena aperto una selezione femminile di cantanti. Era perfetto. Avevo dato il nome di Mercedes e i suoi contatti e avevo pregato loro di essere veloci. Preso in parola.. in poco meno di un'ora.
*L'ho fatto perché so quanto vali e devono saperlo anche loro!* risposi, digitando quelle parole con tutta la sincerità di cui ero capace e chiedendomi quale fosse la sua reale reazione. Si sarebbe nuovamente arrabbiata con me? Avrebbe dato di nuovo di matto? Quella volta dei semplici fiori sarebbero bastati? Il cellulare vibrò ancora, ma più a lungo, segno che non si trattasse di un semplice messaggio: accettai la chiamata ma, senza neanche riuscire a dire pronto o qualsiasi altra sillaba, la sua voce venne fuori secca ed infastidita:
"Non esiste. Non pensare minimamente che io mi presenti al provino!" sentenziò e la voce che tirò fuori fu esattamente la stessa che aveva usato durante la cena di Giovedì
Merda...
"Sì che lo farai.. anche perché ti ci porterò io personalmente, se fosse necessario." le dissi, tentando di risultare caparbio mentre il mio stomaco si stringeva ancora, colto da un'ondata di panico. Se avessimo ripreso a litigare, quella volta per telefono, non avrei retto. Ci fu una piccola pausa, durante la quale mi vennero in mente tanti scenari tragici, ma alla fine riprese a parlare
"Mi hai... raccomandata, per caso?" domandò, con un pizzico di esitazione nella voce
"Certo che no!" esclamai con convinzione "Non sopporto questo tipo di cose. Sono uno che si è fatto da solo e pretendo che anche tu faccia lo stesso. Ho semplicemente chiesto un favore ad un amico e sei stata inserita in lista per un provino.. come tutti." le spiegai ed in effetti ero sincero: non avevo raccomandato nessuno, anche se forse ne avrei avuto perfino la facoltà. Ma no, quelle cose non mi piacevano e immaginavo non sarebbero piaciute neanche a lei
"E cosa diavolo pensi che abbia più degli altri?" domandò seccata, quasi in tono di sfida
"Il talento, Mercedes!" esclamai di getto, alzando un po' la voce per farle entrare meglio in testa il concetto. Glielo avrei ripetuto all'infinito se questo fosse servito a qualcosa. Avvertii un piccolo lamento dall'altro lato del telefono, quasi di esasperazione
"Sam..."
"Ascolta... nonostante il vino che avevo in corpo e i freni inibitori allentati.. l'altra sera ti ho sentita bene. Eri.. da togliere il fiato, Mercedes. E non lo dico perché sono il tuo ragazzo o perché ci tengo a te... lo dico perché è così, perché conosco abbastanza il mondo della discografia e dello spettacolo e credo che tu possa aspirare a qualcosa di meglio di uno stupido coro di viziati senza talento." dissi tutto d'un fiato, iniziando a misurare a grandi passi la stanza, incapace di stare fermo. L'adrenalina era davvero difficile da gestire, soprattutto a distanza, soprattutto non potendola guardare negli occhi per cercare di rassicurarla. Dovevo farlo a parole e sperare di riuscire a trasmetterle tutto quello che sentivo. Avvertii un lunghissimo sospiro uscirle dalla bocca e per un momento sentii di esserci quasi riuscito. Forse... non era poi così irrecuperabile quella situazione
"Vai a quel provino, Mercedes.. dimostra a tutti quanto vali, prenditi le tue rivincite e splendi.. splendi come la stella più luminosa del firmamento.. perché è questo quello che sei, piccola.. una stella!" mi aggrappai all'ultimo tentativo, stringendo forte il telefono in mano e pregando il Cielo di essere ascoltato. Sentii un movimento strano e un altro leggero lamento, quasi soffocato
"Mmm... maledetto.. hai finito di farmi piangere?" borbottò con la voce strisciata. Ridacchiai, mentre dentro di me, stomaco e milza ballavano il limbo con l'intestino
Sì... sì... sì... ce l'ho fatta...
"E se serve un altro motivo per convincerti.. beh.. pensa che, mollando quello stupido coro ed ottenendo un ingaggio alla Warner, potrai stare più tempo qui a New York.. con me." mi concessi un po' di ironia per farla ridere e per mia fortuna ci riuscii. E la sua risata era così bella nonostante fosse chiaramente disturbata dalle lacrime e forse perfino quelle si stavano trasformando lentamente in qualcosa di più simile alla gioia che ad altro.
"E già questo basterebbe per farmi dire di sì!" esclamò tra le risate. Mi lasciai andare ad un sospiro, poggiando la schiena alla vetrata del mio ufficio
"Deduco di esserci riuscito." mormorai soddisfatto, cercando di trattenere l'entusiasmo, altrimenti mi sarei messo a saltellare per la stanza, e non era affatto un atteggiamento professionale da parte mia
"Non del tutto." rispose, ma dal suo tono leggero e divertito, intuii che qualcosa nel suo atteggiamento fosse cambiato, che fosse perlomeno disposta a.. provare. Sospirai, con lo stomaco che si alleggeriva per il sollievo
"Mmm... bastano trenta rose?" proposi lanciando un'occhiata al panorama che si intravedeva dalla vetrata: grattacieli su grattacieli su altri grattacieli. Un po' monotono ma davvero suggestivo. Mercedes ridacchiò, forse pensando a quelle che ancora aveva nella sua camera d'albergo e per le quali un ambulante indiano si era guadagnato cento dollari di troppo.
Cento dollari spesi benissimo, direi...
"Questa volta penso che ne basti anche una sola." risposi e dalla sua voce distesa, immaginai ci fosse un bel sorriso a fare da contorno al suo magnifico viso. Sospirai ancora, con la voglia matta di rivederla di nuovo, di poterla abbracciare, baciare e sentire cantare all'infinito. Anche se fosse stato solo ed esclusivamente per me.
"Sam?" mi chiamò qualche istante dopo
"Sì?"
"Domani sera sono a New York!" esclamò decisa, sorprendendomi
"E.. il coro?" domandai, sapendo perfettamente che avessero altre due esibizioni da fare - una a San Francisco ed un'altra a Sacramento - prima di tornare a casa
"Al diavolo.. ci pensasse quella stupida di Rose a mandarlo avanti, visto che è la più brava di tutti!" borbottò divertita ed io scoppiai a ridere istintivamente. Bene... molto di più di quanto mi sarei mai aspettato.
"Saggia decisione." confermai contento
"Mi vieni a prendere tu?" mi domandò esitante
"Ma certo.. fammi sapere l'ora e il gate e... ti aspetterò!" acconsentii di getto, senza neanche controllare l'agenda degli appuntamenti che sembrava ammonirmi dalla scrivania. Al diavolo il lavoro... lei veniva prima di tutto. 
"Grazie." mormorò in un soffio che mi fece ancora una volta tremare "E non solo per domani.. per tutto!"
Grazie a te... grazie per non aver rinunciato, grazie per non esserti arresa, grazie per esserti fidata di me, grazie per avere ancora la forza di lottare...
"Ti aspetto all'aeroporto, allora.. io sarò quello con la rosa rossa in mano!" le ricordai sorridendo emozionato
e facendola ancora ridacchiare
"Ed io quella che ti correrà incontro e ti bacerà con passione davanti a tutti." ribatté con entusiasmo e a quel punto, non seppi se lo pensai soltanto o se lo dissi ad alta voce, ma nella mia testa si formulò un unico chiaro pensiero:
"Non vedo l'ora!"


  
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