Serie TV > Hawaii Five-0
Segui la storia  |       
Autore: Fragolina84    18/02/2013    1 recensioni
Makani è la parola hawaiana per vento. Ed è un vento nuovo quello che soffia sui Five-0 e sul comandante Steve McGarrett. Questo vento ha un nome, Nicole Kalea Knight, e il volto di una giovane donna dagli splendidi occhi viola. Basteranno questi occhi a catturare un ex Navy SEAL?
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Steve McGarrett, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'I miei Five-0'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 6
Sei diabolico, sai?

 
Nicole parcheggiò l’Audi in un posto libero, accanto alla Camaro grigio scuro di Danny. Anche lui era appena arrivato e aspettò che scendesse, in modo da entrare insieme.
«Buongiorno, raggio di sole. Ti sei ripresa dal divertimento di venerdì?» le disse a mo’ di saluto.
«Sì, ma mi dispiace che il Moonlight resti chiuso. Potevamo farci una capatina anche venerdì prossimo».
Si incamminarono verso l’ingresso.
«Pensavo che stamattina venissi con quel completino di paillettes» osservò Danny.
«Non era della tua taglia, non avresti potuto provarlo neanche lo stesso» lo schernì. «Il completino è finito nella spazzatura. Ma ho tenuto le scarpe: nessuna donna saprebbe mai gettare nel bidone un paio di scarpe del genere».
Danny rideva ancora quando imboccarono il corridoio che portava ai loro uffici. Due agenti stavano scortando Tony Alvarez fino alla macchina che lo avrebbe portato al penitenziario di Halawa, dato che il giudice aveva convalidato il fermo. L’uomo aveva i polsi ammanettati ma quando Nicole gli passò a fianco, si liberò con uno spintone delle mani che lo tenevano per le braccia e l’afferrò per i capelli, torcendole la testa di lato e mandandola a sbattere contro il muro.
«Ti giuro che ti ucciderò per quello che hai fatto» le sibilò, strattonandole i capelli tanto che Nicole lanciò un grido.
Era successo tutto in pochi secondi ma a quel punto Danny estrasse la pistola e la puntò alla tempia di Alvarez.
«Mollala, Tony. O daremo un’occhiata al tuo cervello».
Alvarez la lasciò andare, e gli agenti lo trascinarono via che ancora sogghignava.
Danny rinfoderò la pistola. Nicole era ancora appoggiata al muro e si teneva la testa; Danny la prese dolcemente per le braccia.
«Stai bene?» domandò.
«Credo di sì. Il Governatore avrebbe dovuto dirmi a cosa andavo incontro, prima di chiedermi se volevo accettare l’incarico» rispose.
«Tesoro, non hai ancora visto niente». Danny la sospinse verso l’ufficio.
Quando entrarono, Chin si accorse subito che era successo qualcosa. «Buongiorno, ragazzi. Ehi, Kalea. Che è successo?».
«Ha avuto un altro incontro ravvicinato con Alvarez» rispose Danny per lei. Anche Steve uscì dal proprio ufficio.
«Aloha, Nicole. Tutto bene?» chiese, cercando di non far trapelare la sua preoccupazione.
«Sì, è tutto ok».
«No, non è tutto ok» intervenne Danny. «Non minimizzare, Nicole».
Steve allontanò una sedia dal tavolo facendole cenno di accomodarsi e poi sedette di fronte a lei.
«Cos’è successo?».
Nicole spiegò in fretta ciò che era accaduto. Steve e Chin l’ascoltarono con attenzione.
«Che diavolo ci fa quell’idiota ancora qui?» chiese Steve.
«Sembra che il giudice ci abbia pensato un po’ prima di decidere di trasferirlo ad Halawa». Chin era seduto sul bordo della scrivania.
«Ti ha detto qualcosa?». Steve si rivolse di nuovo a lei che abbassò gli occhi.
«Sì, le ha ringhiato qualcosa, ma non sono riuscito a sentirlo» si intromise Danny prima che Nicole potesse rispondere.
«Non è niente» protestò Nicole ma Steve scosse la testa.
«No, Nicole. Ho bisogno di sapere cosa ti ha detto Alvarez. È importante».
Nicole sospirò, guardandoli in faccia.
«Ha giurato di uccidermi» sputò infine.
Steve rimase in silenzio per un po’, poi si lasciò andare contro lo schienale, incrociando le braccia sul petto. «Che ne pensi, Danno?».
«Di certo ha il dente avvelenato con lei. Per lui i Five-0 non c’entrano, è Nicole la responsabile di ciò che è accaduto. Detto questo, ho visto come l’ha guardata: non lascerà perdere».
«Andiamo, Danny» borbottò Nicole. «Alvarez soggiornerà per il resto della sua vita in carcere».
«Ricordi cosa ci ha detto Kamekona?». Steve si alzò in piedi, prendendo a camminare avanti e indietro. «Alvarez è uno potente. Se vuole farti fuori non gli servirà uscire di prigione. Può benissimo coordinare tutto da là». Tacque un momento e poi afferrò il cellulare. «Ti faccio mettere sotto protezione, almeno finché dura il processo».
«È escluso». Anche Nicole si alzò, fronteggiando Steve. «Non smetterò di vivere a causa di un esaltato».
«Stiamo parlando della tua sicurezza, Nicole. E non ho chiesto la tua opinione, ho semplicemente formulato un ordine». Le voltò le spalle e si rinchiuse nel proprio ufficio.
«Se stai pensando di farlo ragionare, sappi che non ci riuscirai. È un McGarrett, non torna mai indietro sulle proprie decisioni» disse Chin. Aveva lavorato con il padre di Steve e i due, per molti versi, erano identici.
«Lo conosco poco, ma so che hai ragione» rispose la donna.
«E ha ragione anche su Alvarez. Fidati di lui, Nicole». Chin saltò giù dalla scrivania. «Abbiamo un bel po’ di lavoro da fare: ci sono tutte le registrazioni di venerdì sera da sistemare, in modo che possano essere usate come prova al processo».
Nicole annuì e i due si misero al lavoro.
Steve li vide dirigersi verso l’ufficio di Nicole e cercò sul cellulare il numero del Governatore. La donna rispose al secondo squillo.
«No, nessun disturbo, comandante. Ne approfitto per congratularmi con lei per l’ottimo lavoro che avete svolto venerdì. Sembra che il guardiamarina Knight sia già entrata a pieno titolo nella sua squadra».
«La chiamo proprio per questo Governatore».
Spiegò alla Jameson il ruolo avuto da Nicole nell’arresto di Alvarez e le raccontò di ciò che era accaduto quel mattino, chiedendole infine il permesso di assegnarle una scorta. La donna si disse d’accordo e confermò che se ne sarebbe interessata immediatamente.
«La farei sorvegliare dai miei, ma non posso permettermi di impiegare così le poche risorse che ho».
«Non si preoccupi. Ci penso io, telefonerò subito al capo della Polizia».
«Con il dovuto rispetto, signora: gli uomini del Dipartimento sono bravi, ma voglio dei professionisti per questo lavoro. Ho bisogno di persone che sappiano mimetizzarsi completamente con l’ambiente, in modo che Nicole sia tranquilla. Inoltre, Alvarez potrebbe sentirsi libero di agire, in modo che possiamo incastrarlo».
«Capisco. Ha in mente qualcuno?» chiese la Jameson.
«Ho un amico che si occupa di queste cose».
«Proceda pure, Steve». La donna non lo fece nemmeno finire. «Mi fido di lei, chiami pure questo suo amico».
«Grazie, Governatore».
Non appena ebbe riagganciato, Steve compose il numero di Elliot Reeds.
«Ciao, Elliot. Come stai, amico?» esclamò quando l’altro rispose.
«Ciao Steve! Sì, lo so: avevo promesso di chiamarti. Sono in debito di una birra. Sono state settimane molto intense, scusami».
«Non fa niente, tranquillo. Anche io sono stato molto impegnato». Steve si alzò in piedi e prese a girare per l’ufficio. «In verità ti chiamo perché ho un lavoro per te. Come sei messo?».
«Si può fare. Dimmi tutto» rispose l’altro restando ad ascoltare mentre Steve gli spiegava ciò che voleva da lui. «Sì, non è un problema. Ho solo una domanda: perché non può occuparsene qualcuno del Dipartimento?».
«Lo sai anche tu come lavorano gli agenti della Polizia. Se si fermassero a sorvegliare il palazzo di Nicole, anche tua nonna li riconoscerebbe come agenti da un chilometro di distanza» chiarì, ma intuì che la sua spiegazione era poco convincente. C’era un altro motivo per il quale voleva che fosse un esterno a tenere sotto sorveglianza Nicole. E si rassegnò a spiegarlo a Elliot. «C’è anche un altro motivo. Nutro, diciamo, un certo interesse personale per Nicole. Ma preferirei che il Dipartimento e i miei colleghi non ne venissero ancora a conoscenza».
«Ah, ho capito. Quindi scommetto che i miei uomini avranno il sabato e la domenica liberi, giusto? Immagino che durante il weekend ti occuperai tu della sicurezza della signora. O sbaglio? Non hai bisogno di dire altro, Steve. Dimmi solo quando devo cominciare».
Steve ci pensò su un po’. «Direi che possiamo partire da domani sera. Intanto ti mando un po’ di informazioni su di lei».
Dedicarono ancora qualche minuto ad accordarsi e poi si salutarono.
«Ti ringrazio, Elliot. Salutami Cynthia».
Dunque, la questione Nicole era sistemata. Steve si mise al computer e preparò l’e-mail per Elliot. La corredò di alcune foto e la inviò. Poi uscì e si affacciò nell’ufficio di Nicole. Era sola e stava lavorando ai filmati che avevano girato la sera precedente e alle registrazioni audio.
«Ho chiamato un amico. Sarà lui ad occuparsi della tua sicurezza». Nicole aprì la bocca per protestare di nuovo ma lui la bloccò sollevando una mano. «È un professionista, non ti accorgerai di niente e non dovrai rinunciare a niente». Poi sogghignò. «E poi così non saremo costretti a seminare gli agenti quando vorremmo vederci».
«Sei diabolico, sai?» ridacchiò Nicole.
Anche Steve rise e aggirò la sua scrivania, avvicinandosi a lei e osservando il suo lavoro. Steve vide passare sullo schermo le immagini del venerdì precedente, quando la microcamera montata sugli occhiali di Nicole aveva registrato ogni cosa.
«Sono stato un pazzo» mormorò all’improvviso. Nicole ruotò sulla sedia e lo guardò con espressione interrogativa. «Ti ho mandata in quell’inferno senza sapere praticamente nulla di te. Non abbiamo nemmeno pensato a fornirti un’arma… tu sai sparare, vero Nicole?».
«Non so se hai notato che razza di completino indossavo» disse Nicole. «Dove avrei nascosto la pistola?».
Steve stava per replicare che aveva ben presente quel succinto vestito di paillettes, ma ebbe il buon senso di tacere.
«E comunque» proseguì lei, «è ovvio che so sparare. Mi sono diplomata ad Annapolis, mica per corrispondenza» scherzò e Steve sorrise.
«Ok. Vieni con me».
«Dove andiamo?».
«All’armeria e poi al poligono. Voglio vedere come sai sparare».
La donna si strinse nelle spalle.
All’armeria del Dipartimento, Steve le fece assegnare un’arma. Una Beretta 9mm proprio come la sua, pistola che la donna disse di aver già usato in passato. Nicole agganciò la fondina al fianco e insieme uscirono per dirigersi al poligono.
«Ah no, stavolta usiamo la mia macchina» disse Nicole e Steve acconsentì.
Avviò il motore e uscì lentamente in South King Street.
«Sarà anche il caso di dotare questa macchina di sirena e lampeggiatori. Non si sa mai».
Arrivarono al poligono della Polizia e Steve salutò l’inserviente all’ingresso. Condusse Nicole in una stanzetta ed entrambi indossarono occhiali e cuffie di protezione. Steve le fece cenno di prendere posto e la donna si parò di fronte al bersaglio che Steve le aveva sistemato a settanta metri.
«Premetto che è da un po’ che non sparo».
Nicole allargò leggermente i piedi per avere un appoggio il più solido possibile e respirò profondamente un paio di volte. Poi espulse tutta l’aria e alzò la pistola con entrambe le braccia tese davanti a sé. Dedicò un solo istante a prendere la mira e sparò tre colpi, ben distanziati l’uno dall’altro.
Quando Steve recuperò il bersaglio, notò che i tre colpi creavano una perfetta rosellina al centro del petto del bersaglio. Si voltò a guardarla con un sopracciglio sollevato.
«Un colpo di fortuna» borbottò lei, ma distolse lo sguardo troppo velocemente.
«Sì, è proprio ciò che stavo pensando io» commentò asciutto. Steve spedì il bersaglio ad ottantacinque metri. «Di nuovo. Ma stavolta spara con una mano sola».
Nicole si mise in posizione, tenendo l’arma abbassata lungo il fianco. Poi alzò il braccio destro finché la tacca di mira fu allineata con il bersaglio e sparò altri tre colpi in rapida successione. Steve si accorse immediatamente che aveva fatto centro di nuovo.
«Non dirmi che è un altro colpo di fortuna» mugugnò e per tutta risposta, Nicole recuperò la propria borsa e ne estrasse il portafoglio, porgendogli una tessera. Era il suo abbonamento al poligono di tiro.
«E poi quello diabolico sarei io, vero? Perché non me l’hai detto subito?».
«Perché sapevo che volevi stare da solo con me» mormorò, sbattendo le lunghe ciglia.
«Canaglia!» rispose ridendo, prima di tornare serio.
Stavolta posizionò il bersaglio a cento metri. Erano praticamente al limite di precisione dell’arma. Fece girare Nicole verso di sé, spalle al bersaglio.
«Ora voltati di scatto e colpiscilo alla testa. Un solo sparo».
Nicole eseguì, piroettando velocemente su se stessa, alzando la pistola e sparando con lo stesso movimento. Centrò il bersaglio ma il colpo finì un po’ troppo basso, a livello del collo.
«Resta in posizione» intimò Steve e si avvicinò. Standole dietro, fece scivolare la mano lungo il braccio teso e le afferrò la mano. «Tieni il busto leggermente all’indietro, in modo da compensare il peso del braccio». Corresse in fretta la sua posizione e poi le disse di ripetere il colpo, sempre partendo spalle alla sagoma.
Stavolta il colpo finì al centro della fronte della sagoma di cartone.
«Molto bene» la complimentò.
Steve sentì la vibrazione dell’iPhone in tasca e tolse le cuffie per rispondere. Era Danny.
«Steve, abbiamo un caso. Omicidio all’Hawaii Theatre».
«D’accordo, arriviamo» rispose e chiuse la comunicazione. «Abbiamo un caso di omicidio».
Nicole cambiò velocemente caricatore e mise la sicura. Ripose la pistola nella fondina e, prese le sue cose, precedette Steve alla macchina.
Partì facendo fischiare le gomme sull’asfalto, evitando abilmente il contatto con un altro automobilista che le indirizzò un gesto volgare dal finestrino aperto.
«Quanto vorrei avere una sirena» sussurrò Steve.
«Puoi sempre mettere fuori la testa e farla tu» replicò e lui scoppiò a ridere.
Alcune auto della Polizia bloccavano Bethel Street e Nicole abbassò il finestrino, mostrando il proprio distintivo all’agente in uniforme.
«Agente Knight, Five-0» si qualificò e l’uomo le fece cenno di passare. Lei ringraziò e si fermò davanti all’ingresso.
Danny li stava aspettando nell’atrio.
«Cosa abbiamo, Danno?».
«È meglio se lo vedete con i vostri occhi. Seguitemi».
Mentre seguivano Danny lungo i corridoi, Nicole si rivolse a Steve.
«Perché lo chiami Danno?».
«Perché si diverte a sfottermi» intervenne il diretto interessato. «È mia figlia Grace che mi chiama così» spiegò infine. «È un soprannome che è rimasto da quando aveva tre anni e non riusciva a pronunciare il mio nome se non chiamandomi Danno».
«Trovo che Danno gli stia così bene, non credi?» chiese Steve a Nicole.
Nicole alzò gli occhi al cielo e non rispose.
Passarono davanti ai camerini degli attori finché Danny li precedette giù per una scala.
«Stiamo andando a visitare le cantine?».
«No, ti sto portando nel covo del fantasma dell’opera» replicò Danny. «Siamo sotto il palco. È qui che è stato ritrovato il cadavere».
La giovane donna bionda giaceva a terra, supina, i capelli dorati sparsi come una colata di monete appena coniate. Aveva gli occhi sbarrati e ormai opacizzati dalla morte. Portava un vestito bianco, una replica del famoso abito svolazzante di Marilyn Monroe, su cui il sangue spiccava in modo osceno.
«Dov’è Max?» domandò Steve.
«Sta arrivando» disse Danny. «Chin e Kono sono di sopra e stanno cercando di raccogliere informazioni».
Steve si voltò verso Nicole.
«Ok, Nicole. Dimmi cosa ne pensi».
Lei si accosciò accanto al cadavere, osservandolo attentamente.
«Ad una prima analisi, sembra che la causa della morte sia dovuta ad una ferita al collo, probabilmente inferta con un punteruolo, o comunque con un oggetto sottile e appuntito. Anche se…» e lasciò la frase in sospeso.
«Che cosa, Nicole?» la sollecitò Steve.
«Forse non è niente». Steve sbuffò, irritato.
«Devi toglierti questa abitudine di minimizzare tutto. Ogni dettaglio, anche il più insignificante potrebbe essere risolutivo».
«Dalla posizione della ferita e dal colore del sangue, direi che l’arteria è stata perforata. Eppure qui c’è troppo poco sangue».
Steve scambiò un’occhiata con Danny.
«Potrebbe essere stata uccisa da qualche altra parte» obiettò Danny ma Nicole scosse la testa.
«Guardati intorno. Non ci sono altre tracce di sangue che facciano pensare che sia stata trascinata qui dopo essere stata colpita. Trascinare qui un corpo con un’arteria che spande sangue ne avrebbe creato una considerevole scia».
«Quindi, secondo te cos’è successo?» incalzò Steve.
«La ferita è stata procurata post mortem».
Non era stata Nicole a parlare e tutti e tre si girarono in direzione della voce. Apparteneva ad un orientale di bassa statura, con i capelli nerissimi. Aveva il viso rotondo e portava un paio di occhiali dalla montatura nera. Indossava un camice bianco e teneva in mano una valigetta di acciaio.
«Buongiorno, Max» lo salutò Steve.
Il dottor Max Bergman posò a terra la ventiquattrore e salutò Steve e Danny. Poi tese la mano verso Nicole.
«Non credo che siamo stati presentati. Sono il dottor Max Bergman».
«È il nostro medico legale. Max, lei è Nicole Knight, il nuovo acquisto dei Five-0».
Nicole gli strinse la mano. Max abbassò gli occhi sul cadavere.
«Direi che hai centrato esattamente il problema, mia cara».
Danny strabuzzò gli occhi e si voltò verso Steve, indicando Max con il pollice. «Mia cara?» sussurrò sorpreso e Steve alzò le spalle.
«Potrò essere più preciso solo dopo l’autopsia», proseguì Max che non si era accorto dello scambio, «ma direi che non è morta per quella ferita al collo. E direi che è morta meno di due ore fa, a giudicare dal colorito».
Max parve dimenticarsi all’istante di loro e si chinò sul corpo, aprendo la valigetta ed estraendone la macchina fotografica con cui cominciò ad immortalare la scena del crimine. Steve fece cenno ai suoi compagni di allontanarsi.
«Direi che hai fatto colpo anche su Max» commentò Danny, strizzando l’occhio a Steve.
«Non credi che sia meglio concentrarci sul caso?» domandò soavemente Nicole e Steve ridacchiò divertito.
Raggiunsero Chin e Kono in uno dei camerini.
«Chin, cosa abbiamo?» chiese Steve.
«Amy Clark, venticinque anni» disse Chin, consultando un taccuino su cui aveva preso appunti. «Era la protagonista dello spettacolo che la compagnia sta tenendo attualmente all’Hawaii Theatre, la rivisitazione teatrale del film Quando la moglie è in vacanza. L’ha trovata uno degli inservienti mentre si stava recando lì per un controllo delle botole del palcoscenico. Questo è il suo camerino».
Steve indossò un paio di guanti di lattice e cominciò ad aprire i cassetti del tavolo da trucco di Amy, in cerca di qualche indizio.
«Danny, Chin: cominciate con gli interrogatori, per favore. Kono, cerca di illustrare a Nicole come ci si muove in questi casi».
«Sì, capo» disse la donna, prima di avvicinarsi a Nicole e porgerle dei guanti.
«Grazie, Kono». Nicole indossò i guanti e prese a muoversi per la stanza seguendo le indicazioni dell’amica.
Su una sedia c’era la borsetta di Amy. Kono la rovesciò sul tavolo, prendendo in mano il portafoglio. Nella borsa c’erano meno di cinquanta dollari e pochi spiccioli, i documenti di Amy, la tessera della videoteca. C’erano anche uno scontrino spiegazzato del supermercato, del giorno precedente, un rossetto, un pacchetto di fazzoletti di carta e pochi altri effetti personali, tutti frammenti di una vita ormai spezzata. Nicole alzò la testa, socchiudendo gli occhi. Steve lo notò e si avvicinò.
«A cosa stai pensando?».
Nicole non rispose ma girò lo sguardo intorno. Nel piccolo camerino non c’era molto altro, eccettuato un piccolo guardaroba aperto con i costumi di scena e alcune parrucche che indossava Amy per rappresentare il suo personaggio.
«Manca qualcosa» mormorò infine. «Non c’è il suo cellulare. Quale ragazza di venticinque anni, nel ventunesimo secolo, non ha il cellulare?».
Anche Steve si guardò intorno. «Hai ragione. Potrebbe averlo preso l’assassino. Ragazze, direi che è evidente che Amy non è stata uccisa qui. Raggiungiamo gli altri e vediamo se loro sono riusciti ad arrivare a qualcosa di concreto».
Steve si fermò sulla soglia del teatro dove Chin stava interrogando il direttore della compagnia teatrale. Era un tipo sulla quarantina, che vestiva un costoso completo di sartoria.
«Non riesco davvero a crederci» mormorava in continuazione. «La scomparsa di Amy mi sconvolge profondamente».
«Signor Masters, capisco la sua confusione. Ricorda di aver notato qualcosa di strano sul conto della signorina Clark?».
 «No, nessuna stranezza» rispose, passandosi una mano fra i capelli brizzolati. «Era una ragazza a posto, niente colpi di testa. Non capisco come possa essere successo».
«C’era qualcuno che poteva avercela con lei?», insisté Chin.
Masters lo guardò stranito. «Non saprei. Credo di no».
«Va bene, grazie signor Masters».
L’uomo uscì ciondolando, raggiungendo alcuni attori che facevano capannello nel foyer. In quel momento il cadavere di Amy sfilò racchiuso in un sacco di plastica nera. Max salutò i Five-0, assicurando che avrebbero avuto i risultati dell’autopsia al più presto.
Danny uscì da un’altra stanza e si avvicinò a Steve.
«Forse abbiamo qualcosa. Ho interrogato una delle attrici. Ricorda che due giorni fa Amy e la sua migliore amica, Jenny Huston, hanno litigato in maniera piuttosto animata. Pare che siano quasi venute alle mani».
«La causa del litigio?» chiese Steve.
Danny scosse la testa. «Non lo sa. Ma dice che Jenny era gelosa di Amy».
«Credo sia il caso di interrogare questa signorina Huston» evidenziò Steve. Poi si voltò verso le due donne. «Kono, tu e Nicole perquisite il camerino della Huston».
Nel frattempo, Danny aveva chiesto alla ragazza di farsi avanti. Jenny Huston aveva più o meno la stessa corporatura di Amy. Aveva i capelli castani e gli occhi arrossati dal pianto. Si soffiò il naso mentre Danny la faceva accomodare gentilmente su una delle poltrone del teatro.
Steve rimase in piedi davanti a lei, facendo cenno a Danny di cominciare.
«Signorina Huston, sappiamo che era molto in amicizia con la vittima. È così?».
Jenny annuì, facendo traboccare le lacrime dagli occhi. «Sì, eravamo molto amiche. Condividevamo un appartamentino a pochi isolati da qui. Non era il primo spettacolo a cui lavoravamo insieme e non sarebbe stato l’ultimo».
«È vero che avete avuto un litigio qualche giorno fa?» indagò Danny, e la donna alzò la testa sorpresa.
«No… o meglio sì, abbiamo avuto una discussione. Niente di più».
«Ci è stato riferito che il vostro confronto è stato piuttosto acceso» intervenne Steve. «Qual è stato il motivo della lite?».
Jenny soffiò di nuovo il naso. «Nell’ultima settimana, Amy era diventata strana. Rientrava a casa tardissimo e sembrava assente. Arrivava tardi alle prove, dimenticava le battute. Non era più lei».
«È stato questo il motivo per cui avete litigato?» chiese Danny e la ragazza annuì.
«Due giorni fa, stanca di questa situazione, l’ho affrontata. Le ho chiesto il perché di quello strano comportamento e mi ha risposto di non immischiarmi nei suoi affari. Poi è arrivato Masters e mi ha ordinato di smetterla e lasciarla in pace».
«Masters?» chiese Steve. «Il direttore? Perché avrebbe dovuto intimarle di lasciare in pace Amy?».
«Amy era la sua stella» mormorò Jenny con una punta di acidità nella voce, tanto che Danny e Steve si scambiarono un’occhiata. «Era una brava attrice e lui aveva una predilezione per lei. Ci teneva che non si stressasse troppo, che la sua bellezza non si sciupasse. Amy era la sua gallina dalle uova d’oro».
Il tono di Jenny nascondeva una sottile vena di astio, che non sfuggì ai due detective.
«Signorina Huston, dov’è stata nelle ultime due ore?» chiese Steve.
«Nel mio camerino. Ho ripassato la parte perché oggi avremmo avuto la prova generale». Lo sguardo della ragazza vagava da Danny a Steve. Sembrava impaurita.
«Qualcuno può confermarlo?».
«No, ero sola» mormorò Jenny con voce spezzata.
In quel momento però Nicole comparve sulla soglia e fece loro un cenno, invitandoli ad uscire. Steve si scusò e seguì Danny fuori dalla stanza.
«Cosa c’è?» chiese e, per tutta risposta, Nicole gli porse un sacchetto trasparente. Dentro c’era pennello da trucco. La parte posteriore era sottile e acuminata ed era chiaramente imbrattata di sangue.
«L’abbiamo trovato nascosto sotto il guardaroba del camerino di Jenny. Dobbiamo verificare che il sangue sia di Amy e che le impronte coincidano con quelle della ragazza».
Danny prese il sacchetto, rigirandolo tra le mani.
«Vediamo di fare un po’ di chiarezza. Quella che potrebbe essere l’arma del delitto la troviamo nel camerino di una ragazza che ci ha appena fatto capire di avere un possibile movente per l’omicidio, la gelosia per il trattamento di favore che Master riservava ad Amy. Hai colto anche tu?» chiese a Steve che annuì. «Per finire, ha un alibi che non sta in piedi nemmeno se puntellato. Che intendi fare, Steve?».
Steve sospirò e prese le manette. «Non credo di avere molta scelta».
Rientrarono e Jenny alzò la testa. Aveva ancora gli occhi rossi per il pianto e continuava a torcere il fazzoletto fra le mani piccole e delicate.
«I miei agenti hanno perquisito il suo camerino. Hanno trovato l’arma del delitto sporca di sangue» disse lentamente Steve. «Si alzi, signorina Huston».
La donna parve non capire. Scosse la testa aprendo la bocca per parlare e richiudendola immediatamente.
«Prego, si alzi» ripeté Steve e Jenny scosse ancora il capo.
«Non sono stata io. Non l’ho uccisa. Ma come potete pensare una cosa del genere?» sbottò infine e Steve la fece alzare tenendola fermamente per un braccio. Torse con delicatezza quello stesso braccio all’indietro, facendo scattare le manette ai polsi della ragazza.
«Jenny Huston, la dichiaro in arresto per l’omicidio di Amy Clark. Ha il diritto di rimanere in silenzio. Qualunque cosa dirà potrà essere usata contro di lei in tribunale».
Steve la sospinse fuori e la consegnò ad uno degli agenti tra il brusio stupefatto degli altri attori della compagnia.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Hawaii Five-0 / Vai alla pagina dell'autore: Fragolina84