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Autore: Gillian10    19/02/2013    3 recensioni
Fan fiction tradotta da FanFiction.net
Ho mantenuto il titolo originale. Dal testo:
"Gillian Foster non dorme con Cal Lightman. Per essere più precisi, Gillian Foster non ha mai dormito con Cal Lightman, o viceversa.Beh.. c'era stata quella volta."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La prima volta lui era quasi morto. ( Non è una scusa o una giustificazione per quello che è successo, è semplicemente un fatto. ) Lo aveva quasi visto morire davanti a lei, totalmente incapace di aiutarlo. ( Anche questo è un fatto e non deve essere visto come una scusa. )

Ma quando dei fatti vengono messi insieme, iniziano a formare delle immagini. E le immagini possono essere usate come giustificazione, giusto?

Immaginatevi questo: lui era quasi morto e lei ne era stata testimone, quindi c’era davvero da stupirsi che quella sera lui fosse finito a casa sua, mani infilate nelle tasche dei jeans, occhi puntati per terra, trascinandosi avanti e indietro davanti a lei con una genuina goffaggine a sostituire la sua solita corazza? E fu poi cosi strano che appena lei lo vide, non avesse voluto far altro che farlo entrare, stingerlo forte e non lasciarlo andare mai?

Era il suo migliore amico in assoluto. Era il suo socio nel lavoro. Il suo confidente, la sua ispirazione e – fastidiosamente – la ragione per cui aveva cominciato ad avere qualche capello bianco in più dal giorno in cui cominciò a lavorare al Lightman Group.

Lui era quasi morto, e lei ne era stata testimone.

Gillian sapeva ancora prima di incontrarlo che Cal era il tipo di persona a cui il pericolo aveva apparentemente attaccato un localizzatore GPS. ( Non era esplicitato nel suo file del Pentagono, ma tutto quello che dovette fare fu leggere tra le righe e, una volta fatto, l’unica conclusione logica che aveva raggiunto era che o il pericolo sapeva esattamente dove trovarlo o aveva la peggior sfortuna del mondo.)

Dopo che lo ebbe incontrato, il localizzatore GPS divenne l’unica spiegazione plausibile.

Tutti gli anni trascorsi da quel momento non avevano fatto niente per farle cambiare idea ma fino a quella fatidica mattinata, in cui Eric Matheson mise piede nei loro corridoi, puntò una pistola alla testa di Cal e pretese di teneri tutti i dipendenti in ostaggio, aveva sempre pensato ( o si era autoconvinta di pensare ) che il pericolo avrebbe avuto la buona decenza di restarsene al di fuori del loro ufficio.

Probabilmente era grazie allo stress post-traumatico che la sua mente si rifiutava di ricordare troppo di quel giorno, fatta eccezione per delle piccole immagini che proprio non ne volevano sapere di andarsene: Cal che immediatamente si era piazzato davanti a lei appena aveva visto la pistola di Eric, l’addio che aveva chiaramente letto nei suoi occhi quando le aveva chiesto di lasciare il laboratorio mentre Matheson puntava quella stessa pistola alla sua testa, e quella fredda sensazione di vuoto  che la aveva attraversata quando un Cal senza parole le aveva passato l’arma passando davanti a lei. Non aveva nemmeno permesso alla mano dell’amica di posarsi sulla sua spalla.

Ad essere onesti, la sua improvvisa e silenziosa partenza la aveva spaventata più di qualsiasi altro evento della giornata perché non aveva idea di come la mente dell’amico avrebbe potuto reagire una volta messo piede nella fredda notte di DC. Mentre sapeva che Torres sarebbe andata a casa e si sarebbe immersa in una lunga e calda doccia per ripulirsi da tutti gli eventi e Loker sarebbe finito ubriaco sul bancone di qualche bar, magari discutendo filosoficamente con qualche ragazza appena incontrata, Cal era una mina vagante quando si trattava di prevedere le sue mosse.

Avrebbe potuto prenderla bene. Sarebbe andato dritto a casa, avrebbe stappato uno Scotch, e ingurgitato una grande quantità di fette di pane tostato con fagioli prima di fiondarsi a letto. Sarebbe anche potuto finire su un aereo  diretto a Atlantic City o a Las Vegas pronto a buttare nei giochi d’azzardo un intero patrimonio.

Quella sera, Gillian aveva paura che avrebbe potuto fare qualcosa di più folle di uno spontaneo viaggio a Las Vegas ( battaglie in strada clandestine ad esempio ).  Esausta e senza la più pallida idea di come avrebbe potuto aiutarlo non le rimase che andarsene a casa, farsi una doccia, infilarsi dei vestiti comodi e ingozzarsi di gelato per cena. Tenne il telefono accanto a lei, pronta a ricevere una chiamata dall’ospedale o dalla polizia e aveva già in mente di dormire sul divano per poter schizzare via appena lui si fosse fatto vivo.

Il suo cucchiaio aveva appena raggiunto il fondo del barattolo quando sentì bussare alla porta.

Non potè fare a meno di trarre un sospiro di sollievo non appena vide che era lui, e che soprattutto era ancora  ( apparentemente ) intero. Il segno che aveva lasciato la pistola di Matheson era ancora ben visibile e naturalmente lui non aveva ancora fatto niente per curarlo, ma a parte questo fisicamente sembrava star bene.

Mentalmente, era tutta un’altra storia.

Gillian realizzò subito che non era solo la differenza di altezza tra loro due data dallo scalino a farlo apparire più piccolo di lei in quel momento, era la presenza di un’emozione che raramente aveva visto in lui: reale paura. Cal Lightman non provava spesso la sensazione della paura. Matheson lo aveva scosso sul serio. Lo aveva fatto sentire una persona come tutte le altre, vulnerabile. E questo spiegava il perché fosse finito nel salotto di Gillian.

Con calma.

Con il tipico fascino Lightman, dovette passare attraverso tre fasi di approccio prima di entrare e restare dentro. Gillian vide la guerra interiore che si stava combattendo in Cal; voleva arrivare a un punto, era venuto per una ragione, ma doveva abbattere tutti i muri che si era costruito prima di poterlo esternare. Lei doveva solo essere paziente e aspettare; sarebbe venuto da lei. Lo faceva sempre.

Quando tirò fuori l’argomento dei problemi finanziare della mattina, ebbe paura che sarebbero potuti rimanere tutta la notte a parlare sul pianerottolo, cosi decise di prendere lei la prima iniziativa per aprire almeno una fessura nel suo muro e riuscire a portarlo magari in salotto.

“Dov’è Emily?” gli chiese.

La fessura alla quale aspirava si aprì ma si trasformò in senso di colpa quando vide che l’uomo realizzò solo in quel momento di non aver ancora pensato alla figlia.

“E’ da sua madre” rispose. La sua voce divenne più acuta quando disse: “ Non le ho ancora raccontato niente..”

Paura. Solitudine. Vergogna. Tutte e tre le emozioni si riversarono sulla sua faccia e a Gillian non ne sfuggì neanche una.

Anche se sperava in una cosa del genere, la domanda la colse di sorpresa.

“Posso dormire nella stanza degli ospiti stanotte, se per te non è un problema?”

“ Ma certo” gli rispose.

Finalmente lui passò con decisione attraverso la sua porta e finì dritto tra le sue braccia, dove lei poteva sentire i loro battiti del cuore sincronizzati e la guancia appoggiata alla sua. Anche se non lo poteva vedere in faccia, sentì i suoi occhi chiudersi e i suoi muscoli rilassarsi. E quando sciolsero l’abbraccio e si baciarono sulla guancia, sentì anche il proprio corpo lasciarsi andare.

Realizzò appena chiuse la porta dietro di lui che era la prima volta durante il giorno in cui non si sentiva impaurita.

“Gill! E questa la chiami cena?” La voce di Cal interruppe i suoi pensieri.

“Perchè tu invece avrai sicuramente consumato un sano e bilanciato pasto prima di arrivare, giusto?” replicò lei vivace, strappandogli il cucchiaio di mano prima che potesse infilarlo nella scatola.

“Non ho proprio mangiato.” Lanciò il cappotto sulla sedia e prese da un cassetto un cucchiaio anche per lui.

Con un tono più materno di quello che Gillian intendeva mostrare gli chiese: “ Vuoi che ti prepari qualcosa?”

“ Hai mica un po’ di fagioli da mettere su delle fette di pane tostato?” alzò gli occhi su di lei speranzoso.

“Pane tostato, si. Fagioli, no.”

“Allora passami il gelato.”

Gillian sorrise, e dopo essersi presa un cucchiaio per lei, spinse la scatola verso di lui.

Mangiarono in silenzio per un po’ di tempo fino a che ai loro cucchiai non rimase che raschiare il fondo del barattolo. Fu solo mentre Cal stava mettendo le posate nel lavandino e Gillian buttava via la scatola che lei si accorse di aver lasciato la televisione accesa in salotto e che stavano dando il film “Susanna!”.

“Oh, amo da morire questo film!” disse piano, sorridendo mentre Katharine Hepburn inavvertitamente rubava la macchina di Cary Grant sul campo da golf.

“Cary Grant?!” la mAcroespressione sul volto di Cal lasciava intendere che non era un suo fan.

“Cos’hai contro Cary Grant?” Gillian si voltò verso di lui incrociando le braccia sul petto.

“Spero tu stia scherzando. Hai sentito come parla? Il suo accento è semplicemente orribile!”

“Beh e invece a me un po’ piace” gli disse tornando in cucina per cercare un recipiente per i popcorn. “ E dopo la giornata che abbiamo avuto, non credo che potrei andare a dormire ora. 
Una bella commedia potrebbe aiutare, che dici?”

“Non potremmo cercare qualche bella televendita? Ci sono quei fantastici contenitori per cuocere il cibo a vapore così eleganti…”

“ Casa mia, film mio.” Gli rispose con convinzione Gillian.

Nonostante le sue proteste, quando tutte e due si furono seduti sul divano con i popcorn accanto poco tempo dopo, Cal rise insieme a lei durante il film, addirittura si lasciò andare in una delle sue rare ( ma leggendarie ) sghignazzate quando Hepburn e Grant finirono per impantanarsi in un fiume che Hepburn aveva giurato di poter attraversare senza problemi.

“Ecco guarda, quelli siamo io e te Gill!” le disse dandole una leggera gomitata e puntando il dito allo schermo.

“Non è vero!” rispose Gillian, tirandogli un cuscino in faccia, mentre entrambi ridevano ormai forte.

Fu dopo questo che Gill sentì la stanchezza cominciare ad avvolgerla.

I popcorn erano finiti e la ciotola era stata appoggiata sul tavolino, dove Cal aveva allungato i piedi dopo essersi tolto le scarpe, mentre il suo braccio sinistro era sullo schienale del divano. Gillian era accovacciata alla sua sinistra, un po’ perché inizialmente avevano condiviso i popcorn e un po’ perché non aveva semplicemente senso che lui fosse venuto li a chiedere conforto e che poi si fossero seduti agli estremi del divano.

L’intera scena era piacevole e domestica e Gillian non aveva realizzato che i suoi occhi si erano chiusi e la sua testa si era andata lentamente ad appoggiare sulla spalla di Cal fino a che lui non le sussurrò nell’orecchio: “Tutto bene tesoro?”

“Mm” fu la sua vaga risposta, se fosse stata capace di articolare una frase più sensata molto probabilmente sarebbe stata tipo “ Tutto bene, grazie”

“Visto che ti stai addormentando posso cambiare canale e mettere su qualche televendita?”

Con un sorriso sulle labbra Gill sprofondò nuovamente nel sonno.

Verso le 3:30, 4:00 di mattina si svegliò e realizzò che, non solo era ancora sul divano ma ora era coperta da un plaid e il cuscino sul quale la sua testa era appoggiata non era altro che il petto di Cal Lightman. I loro corpi erano talmente intrecciati che non era nemmeno sicura di quali fossero le sue gambe.

Comunque si sentiva calda e protetta e non aveva intenzione di muoversi per quel momento quindi non le interessava davvero sapere quali gambe erano le sue.

Anche se Cal aveva spento la lampada accanto a loro prima di sdraiarsi, la televisione continuava a illuminare quell’angolo del salotto e le televendite stavano scorrendo sullo schermo. 
Ancora. Quando tirò un pochino su la testa per individuare il telecomando e togliere il volume, scorse il profilo del suo migliore amico e si fermò.

Alla luce della televisione il viso di Cal appariva rilassato come quello di un bambino. La paura era scomparsa dal suo volto e ora sembrava davvero in pace. Dopo gli eventi della giornata vederlo sereno tolse un grande peso a Gillian.

Avrebbero superato anche questa. Sicuramente sarebbe successo qualcos’altro in futuro. Ma ora lui era sul suo divano ed era sereno.

Si allungò gentilmente su di lui e una volta raggiunto il telecomando, spense la televisione.

“Lo stavo guardando” sbuffò Cal quando la stanza fu avvolta dall’oscurità e Gillian aveva di nuovo appoggiato la testa sul suo petto.

“No, non è vero… stavi dormendo.”

“Va bene” rispose lui, scivolando un po’ di più sul divano e avvolgendo le braccia intorno a lei un po’ più forte. “ Però, solo perché tu lo sappia… domani dirò a tutti che abbiamo dormito insieme.”

“Provaci” borbottò lei, di nuovo sulla via del mondo dei sogni.

E anche se lui non lo avrebbe mai detto nessuno, alla fine non sarebbe stata una bugia. Avevano dormito insieme quella notte.

Letteralmente.

E proprio per quel letteralmente non contava.

Per ragioni simili, nemmeno la seconda volta che dormirono insieme contò, ma quella necessitò molte più spiegazioni la mattina seguente.

Forse se non avesse coinvolto un letto… il letto di Cal…

TBC


Angolo dell'autrice:
Ecco il primo capitolo.. spero di non aver fatto troppi errori e di aver reso bene il messaggio della storia.. Fatemi sapere cosa ne pensate, fa sempre piacere!! 
Baci,
Gillian10
  
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