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Autore: Fragolina84    19/02/2013    1 recensioni
Makani è la parola hawaiana per vento. Ed è un vento nuovo quello che soffia sui Five-0 e sul comandante Steve McGarrett. Questo vento ha un nome, Nicole Kalea Knight, e il volto di una giovane donna dagli splendidi occhi viola. Basteranno questi occhi a catturare un ex Navy SEAL?
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Steve McGarrett, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I miei Five-0'
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Capitolo 7
Questi due mi faranno diventare pazzo, già lo so
 

Nicole era nell’ufficio di Steve quando arrivarono Chin e Kono. Erano stati nell’appartamento che Jenny condivideva con la vittima e si erano guardati un po’ in giro, nella speranza di trovare qualche indizio.
«Non abbiamo trovato niente, capo» esclamò Kono. «Però nella rubrica del cellulare di Jenny abbiamo trovato il numero di Amy. Il suo cellulare comunque non si trova, nemmeno nell’appartamento. Abbiamo provato a chiamare il numero ma non risponde».
«Però abbiamo recuperato il suo computer portatile» disse Chin, porgendolo a Nicole.
«Davvero non riesco a credere che sia stata lei. Sembrava così provata, così disperata per la scomparsa dell’amica» borbottò Nicole.
«Non hai visto ancora nulla, Nicole. Ci sono assassini che nemmeno se presi in flagranza di reato confesseranno mai il loro crimine, continuando a mostrarsi angosciati dalla perdita» intervenne Chin.
«Sarà. Ma sono convinta che ci sfugga un particolare». Poi si rivolse a Kono. «Se mi dai il numero di Amy posso recuperare l’elenco delle ultime chiamate effettuate e ricevute».
Mentre Nicole si dedicava a questa ricerca e ad esaminare il computer di Amy, rientrò anche Danny che aveva terminato gli interrogatori. Diverse attrici avevano confermato che Jenny era stata messa da parte per l’ultimo spettacolo in favore di Amy e ricordavano che non l’avesse presa per niente bene.
 Nicole recuperò l’elenco delle ultime chiamate. Nell’ultima settimana aveva ricevuto molte chiamate da uno stesso numero, telefonate a cui non aveva risposto. Nicole provò a lanciare una ricerca sul numero ma non riuscì a trovare nulla. Quando entrò nell’ufficio di Steve per comunicargli i risultati della ricerca, l’uomo era al telefono ma le fece cenno di entrare e accomodarsi, terminando la chiamata dopo un meno di un minuto.
«Ho preso appuntamento per la tua macchina all’officina del Dipartimento, in modo che possano montarti sirena e lampeggianti. Domattina devi portarla al deposito, passo a prenderti io. Mi hanno assicurato di riuscire a prepararla per domani sera».
«Mahalo. Spero che non mi rovinino la macchina. Potrei uccidere per molto meno» ridacchiò e Steve si affrettò a tranquillizzarla.
«Mi sono raccomandato che il lavoro sia completamente invisibile, come sulla mia Camaro».
«Bene. Senti, ho controllato il numero di Amy. Risultano molte chiamate a cui non ha risposto, tutte fatte da uno stesso numero. Ma deve trattarsi di un cellulare non registrato. Non posso rintracciarlo».
«D’accordo. Vai avanti con i lavori del caso Alvarez. Per il resto, attendiamo i risultati dell’autopsia».
La giornata trascorse tranquillamente. Con l’aiuto di Chin, Nicole catalogò tutti i filmati registrati durante la retata al Moonlight. Il giorno seguente avrebbero steso i rapporti e consegnato il tutto al giudice. Nicole non si accorse del tempo che passava finché Chin non si strofinò gli occhi.
«Direi che per oggi può bastare. Ma come fai a stare tutto il giorno davanti al computer? Io ci vedo doppio».
«Questione di abitudine» rispose Nicole, cominciando a spegnere le sue apparecchiature. Poi salutò Steve e Danny e uscì.
Mentre entrava nel suo appartamento, ricevette un sms. Steve l’avvisava che l’avrebbe chiamata dopo cena, cosa che fece. Rimasero a chiacchierare per un bel po’ prima di darsi la buonanotte.
Il mattino seguente Nicole consegnò l’Audi al meccanico del Dipartimento, raccomandandogli di fare un bel lavoro. Steve arrivò subito dopo e si diressero insieme in ufficio. Mentre guidava, Steve prestava pochissima attenzione alla strada, più occupato a chiedersi come mai fosse così contento di vedere Nicole.
«Cosa ti frulla per la testa, Steve?» domandò la donna quando parcheggiarono la Camaro.
«Mi chiedevo se domenica avessi già qualche altro impegno».
«Sono assolutamente libera. Dove mi porti?».
«Ti va di passare la giornata con me?» chiese Steve guardandola negli occhi. «Però vorrei farti una sorpresa. Ti fidi abbastanza?».
Nicole si passò una mano fra i capelli, scostando dal viso alcune ciocche ribelli. «Certo che mi fido, Steve» sussurrò. La sua voce sembrava miele che cola e fece scorrere un brivido lungo la schiena dell’uomo.
Quando arrivarono in ufficio, Danny li bloccò in mezzo alla stanza.
«Max ci ha fatto avere i risultati dell’autopsia. Avevi visto giusto, Nicole: Amy non è morta a causa della ferita al collo. È stata strangolata».
«Dimmi che Max ha trovato qualcos’altro» supplicò Steve.
«Ha analizzato le impronte sul pennello da trucco e non ce ne sono altre se non quelle di Jenny. Però ci sono tracce di DNA sotto le unghie della vittima, segno che si è difesa dal suo aggressore. Max sta facendo analizzare il tutto».
I risultati dell’analisi del DNA arrivarono nel pomeriggio. Max inviò una e-mail a Danny con i risultati. Il DNA non coincideva con quello di Jenny, anzi apparteneva ad un uomo.
«Lo sapevo che non poteva essere stata lei» mormorò Nicole.
«Non è ancora detto che non sia coinvolta in qualche modo. È molto probabile che Amy sia stata uccisa da uno degli uomini presenti nel teatro. Danny, voglio che li convochi per la prova del DNA».
«D’accordo» rispose Danny, prendendo subito in mano la cornetta del telefono.
Trascorse mezz’ora prima che Danny chiamasse Steve mentre Nicole, che aveva recuperato un bel po’ di informazioni dal laptop di Amy, ne stava discutendo proprio con McGarrett.
«Amy aveva una storia con un uomo sposato a cui voleva mettere fine e ci sono diverse e-mail in cui spiega a questo tizio che vuole lasciarlo. Non ci sono nomi e l’indirizzo da cui scriveva quest’uomo è anonimo. Ho già lanciato la ricerca».
Danny li raggiunse in quel momento. «Abbiamo un problema. Ho provato a contattare Masters ma non sono riuscito a parlare con lui. La sua segretaria, dopo avermi tenuto in attesa un’eternità, mi ha detto che è dovuto partire per il continente».
«Che strana coincidenza, non trovi, Danny?» constatò Steve.
«Controllo subito se ha acquistato un biglietto aereo» esclamò Nicole e sparì nel suo ufficio, lasciandoli a bocca aperta.
«Esegue i tuoi ordini senza che tu li esprima a voce alta? Il sogno di ogni uomo» scherzò Danny, lanciando un’eloquente occhiata all’amico.
Nicole ritornò qualche minuto più tardi.
«Ho controllato tutti i voli in partenza da Oahu. Nessun biglietto prenotato a nome di Masters. A meno che non abbia usato un nome falso, è ancora sull’isola».
«Bene. Allora penso che sia il caso che andiamo a fare un giretto a casa di questo Masters».
Attraverso il sistema satellitare, Nicole controllò l’indirizzo di Masters. La sua Mercedes era parcheggiata davanti alla porta.
«Il nostro uomo è in casa. Andiamo, Danny. Nicole, avvisaci se si muove».
Erano ormai in prossimità della casa quando Nicole vide che Masters stava uscendo. Caricò una valigia nel bagagliaio e si mise al volante. Nicole riferì a Steve quanto stava accadendo.
«Tranquilla, siamo qui».
Il cancello elettrico della casa si stava aprendo e il muso della Mercedes fece capolino sulla soglia. Steve fece ululare una volta la sirena, attirando immediatamente l’attenzione dell’uomo al volante. Li guardò sbalordito per un istante e all’improvviso accelerò, uscendo in strada.
«Tipica reazione di qualcuno che ha qualcosa da nascondere» commentò Danny, mentre Steve premeva sull’acceleratore lanciandosi all’inseguimento della Mercedes. Sentirono nell’auricolare la voce di Nicole che chiedeva rinforzi.
Percorsero velocemente Waialae Avenue ma non riuscivano a guadagnare terreno. Masters superò un’utilitaria e svoltò a destra sulla Nona Strada. L’auto che aveva superato lo seguì.
«Steve, svolta sull’Ottava» gli ordinò Nicole.
«Non posso. È un senso unico» rispose.
«Lo so. Svolta».
Le immagini rivelavano a Nicole che la via parallela era deserta.
«Non ci pensare, Steve» borbottò Danny.
«Fidati di me» disse Nicole.
Con un grugnito, Steve lanciò la Camaro in una curva strettissima, imboccando la strada a tutta velocità. Danny si aggrappò alla portiera ma non disse nulla.
«Ok, Steve. L’hai superato. Ora svolta a sinistra, dovresti riuscire a sbarrargli il passo».
McGarrett sterzò bruscamente a sinistra e corresse la leggera sbandata della Camaro. Premette il pulsante per far aprire il finestrino e mentre quello scendeva automaticamente estrasse la pistola. Steve pestò sul pedale del freno e la macchina si fermò, bloccando del tutto la via. Lasciò andare il volante e puntò la pistola verso la Mercedes.
Masters stava guardando nel retrovisore e quando girò lo sguardo davanti a sé e si vide la strada bloccata, frenò di colpo arrestandosi a meno di un metro dalla Camaro.
«Tieni entrambe le mani sul volante» gli intimò Steve, spalancando la portiera della berlina. Lo trascinò fuori dall’auto e lo sbatté senza troppi complimenti contro la carrozzeria, rimettendo la pistola nella fondina e prendendo le manette.
Nel frattempo arrivò un’auto della Polizia e ne scesero due agenti a cui Steve affidò Masters, pregandoli di portarlo al quartier generale dei Five-0.
«Bel lavoro, Nicole» disse a beneficio della donna che sapeva lo stava ascoltando.
Quando rientrarono alla base, Danny andò risolutamente verso la donna, scostando una sedia dal tavolo e sedendole accanto, cingendole le spalle con il braccio.
«Tesoro, voglio spiegarti una cosa: il comandante McGarrett è già abbastanza fuori di testa per conto suo. Ti prego di astenerti, in futuro, dal consigliargli di prendere un senso unico contromano o di fare qualsiasi altra manovra strana quando sul sedile del passeggero c’è il sottoscritto».
Nicole era rimasta ad ascoltarlo in silenzio ma quando ebbe finito, scoppiò a ridere.
«Non devi preoccuparti, Danny. Avevo le immagini satellitari sui monitor, non vi avrei mai messi in pericolo».
«Non farci caso, Nicole» intervenne Steve. «Deve sempre trovare qualcosa per cui lamentarsi».
«Nessuno ti ha chiesto niente, McGarrett» sbottò Danny, prima di lasciarsi andare contro lo schienale, passandosi sconsolato una mano sulla fronte. «Questi due mi faranno diventare pazzo, già lo so» borbottò, facendoli scoppiare a ridere.
In quel momento l’agente a cui Steve aveva affidato Masters entrò, spingendo avanti l’uomo ammanettato. Danny lo prese in consegna e lo portò in una delle salette destinate agli interrogatori.
«Perché scappava, Masters?» lo attaccò subito Steve.
«Non stavo scappando» mormorò l’uomo senza troppa convinzione.
«Niente balle, Masters. Ha accelerato appena ci ha visti».
L’uomo scosse la testa. «Ho avuto paura» confessò infine.
«Perché avrebbe dovuto aver paura di noi? Cosa nasconde, Masters?» lo incalzò Danny.
«Non ho nulla da nascondere» esclamò l’uomo ma l’esitazione nella sua voce non sfuggì a nessuno dei due.
«Dove stava andando?».
«Io… veramente…» borbottò, prima di ripiombare nel silenzio.
«Abbiamo trovato la valigia nel suo baule. Stava partendo?».
Masters chinò la testa, restando muto di fronte ai due. Mentre attendevano che l’uomo si decidesse a parlare, qualcuno bussò alla porta. Nicole si affacciò.
«Steve, posso parlarti un attimo? È importante» disse.
Quando l’uomo uscì, Nicole gli disse che era riuscita a risalire all’indirizzo anonimo e gli porse un foglio che lui scorse velocemente. Tutti i tasselli finirono in un attimo al loro posto. «Ottimo lavoro, Nicky» mormorò, e rientrò nella stanza dove Danny stava ancora provando a far parlare Masters.
Steve gli batté sulla spalla per farlo spostare e si piazzò a gambe larghe di fronte all’uomo.
«Avevi una storia con Amy, vero? Ma lei era stanca, voleva qualcosa di più. Così ti ha chiesto di lasciare tua moglie, ma tu, da codardo quale sei, non hai voluto. A quel punto, Amy ti ha detto che voleva lasciarti, ma nemmeno questo ti andava bene. Hai insistito per avere un faccia a faccia con lei, in modo da poterle spiegare il tuo punto di vista. Vuoi terminare tu?».
Masters tacque a lungo e né Steve né Danny proferirono parola. Poi, l’uomo parlò.
«La storia con Amy proseguiva da un po’. Sapevo sin dall’inizio che per Amy non sarebbe stato sufficiente. Però speravo di farmi perdonare agevolando la sua carriera. Sbagliavo. Quando Amy ha detto di volermi lasciare, non ce l’ho fatta. Le ho chiesto se potevamo vederci e lei ha acconsentito. Non volevo ucciderla, ma quando ha continuato a ribadire che voleva troncare, ho perso la testa». La voce di Masters si spense in un singhiozzo.
«E per tentare di scagionarti hai provato a fare incolpare la Huston, vero?» sollecitò Danny.
«Le avevamo viste tutti litigare qualche giorno prima, poteva essere un movente. Così ho rubato il pennello dal camerino di Jenny».
Danny alzò la testa verso Steve. «Abbiamo sentito abbastanza. Portalo via, Danno» mormorò schifato, uscendo dalla stanza. Raggiunse Nicole e gli altri in sala relax e prese una tazza di caffè.
«Masters ha confessato l’omicidio. Ha tentato di far incolpare Jenny, ma è stato lui e ha fatto tutto da solo. La prova del DNA lo inchioderà definitivamente».
Kono diede un pugnetto scherzoso sulla spalla dell’amica. «Complimenti per l’intuito, Nicole».
«Era solo un’impressione, niente di più» si schermì la donna ma Chin liquidò l’affermazione con un cenno della mano.
«Nel nostro lavoro l’intuito conta molto. Avevi visto giusto, e questo è un fatto».
«Sì, tu avevi visto giusto» bofonchiò Steve. «E io ora devo andare a chiedere scusa a Jenny Huston per averle fatto passare una notte in cella».
Quando Steve tornò, la giornata volgeva al termine. Nicole lo avvisò che avevano chiamato dall’officina: la RS5 era pronta. Insieme salutarono i colleghi ed uscirono. Chin li osservò mentre percorrevano il corridoio.
«Sono una bella coppia, non credi cugina?» disse, rivolto a Kono.
«Pensi che loro se ne siano già accorti?».
Chin sollevò un sopracciglio. «Dico, hai visto come si guardano?».
«Lo sapete che sembrate due comari?» li rimproverò bonariamente Danny.
Danny sapeva dell’attrazione che Steve provava per Nicole. Dopo quella chiacchierata sul molo all’Aloha Tower però, Steve non gli aveva più parlato della donna. Capì che Steve voleva tenere per sé quella relazione ed era certo che gliene avrebbe parlato non appena fosse stato pronto. Nel frattempo, lui non avrebbe mai rivelato agli altri le confidenze di Steve.
«Coraggio, pettegole. Andiamo a casa» li prese in giro Danny. E uscirono insieme.
Il resto della settimana trascorse tranquillamente e quel venerdì pomeriggio Elliot Reeds telefonò a Steve chiedendogli se, dato che era in zona, poteva fermarsi a scambiare quattro chiacchiere con lui. Steve acconsentì.
Elliot arrivò nel giro di dieci minuti. Kono lo salutò con calore, stringendogli la mano. Sapeva che era un amico di Steve e avevano già lavorato insieme.
Nicole lo sbirciò con curiosità. Era decisamente un bel ragazzo. Sembrava più giovane di Steve, ma aveva lo stesso fisico asciutto e muscoloso. Quando Steve uscì dal suo ufficio per andargli incontro, si accorse che era solo leggermente più basso, nonostante i capelli castani fissati con il gel lo facessero apparire più alto.
«Aloha, Elliot. Vieni, ti faccio conoscere una persona».
Gli presentò Nicole ed Elliot girò su di lei uno sguardo di un inusuale color nocciola, costellato di pagliuzze dorate.
«Aloha, Nicole. Sai, sei decisamente più carina vista da vicino».
Il complimento la zittì. Guardò Steve e lui si mise a ridere.
«Elliot e i suoi uomini si stanno occupando della tua sicurezza ormai da quasi una settimana».
«Oh… penso di doverti ringraziare, allora. Anche se avevo detto a Steve che non era necessario».
«Da quel che ho capito, il tuo nuovo capo è abbastanza protettivo nei tuoi confronti» mormorò, facendole l’occhiolino.
Steve roteò gli occhi al cielo. «Sì, ok. Andiamo nel mio ufficio prima che tu cominci il tuo solito spettacolo».
Elliot ridacchiò e salutò Nicole, facendosi sospingere nell’ufficio di McGarrett.
«Come mai questa visita, Elliot? Ci sono problemi?» domandò, mentre si accomodavano.
«Problemi? No, Steve. I miei uomini hanno compilato i rapporti sulla sorveglianza. Visto che le foto di Nicole mi avevano incuriosito, ho pensato di portarteli di persona».
Steve sogghignò. «Cynthia lo sa che sei venuto per questo?».
«È un colpo basso, brah!» esclamò Elliot. «Comunque anche lei ha visto le foto… e infatti mi ha proibito di occuparmi personalmente della sorveglianza».
«Saggia decisione» approvò Steve. Poi si fece di nuovo serio. «Scherzi a parte, niente da segnalare?».
Steve non aveva nessuna voglia di leggere quei rapporti. Nicole aveva diritto alla sua privacy e lui non voleva invaderla in quel modo.
«No, niente da segnalare. Questa settimana è stato tutto tranquillo. Posso dare il weekend libero ai miei?» domandò Elliot con un sogghigno, ma Steve scosse la testa, ignorando la battuta sibillina dell’amico.
«Sabato dovrai garantirle protezione tutto il giorno. Per quanto riguarda domenica, la passeremo insieme, quindi non voglio vedere in giro né la tua brutta faccia né quella dei tuoi uomini. Ma domenica sera, quando tornerà a casa, voglio che siano in posizione».
Elliot inarcò un sopracciglio. «Domenica sera tornerà a casa da sola?» domandò con una punta d’incredulità nella voce. Steve sollevò una mano a parare qualsiasi battuta. Risero insieme.
«D’accordo, Steve. Ci teniamo in contatto».
Elliot si congedò salutando la squadra che si stava preparando ad uscire. Nicole salì in macchina e Steve si abbassò per parlarle attraverso il finestrino aperto.
«Ci vediamo domenica?» domandò e la donna annuì.
«Ti aspetto al porto. Alle otto».
«Davvero non vuoi dirmi dove mi porti?» domandò e Steve scosse la testa. «Dimmi almeno se devo portare qualcosa» proseguì.
«Tu sarai più che sufficiente» mormorò Steve. «Ma metti il costume da bagno».
Non aggiunse altro e prima che Nicole potesse replicare era già salito sulla sua auto ed era partito.
 
Domenica mattina Nicole arrivò puntualissima al suo appuntamento. Steve le aveva mandato un sms spiegandole dove parcheggiare l’Audi e infatti la stava aspettando, disinvoltamente appoggiato a braccia conserte al bagagliaio della Camaro. Indossava un paio di pantaloncini da bagno verdi e una maglietta dello stesso colore. Alla luce del sole i suoi occhi sembravano riflettere il colore del cielo, più chiari e limpidi del solito.
«Buongiorno» la salutò, facendo scivolare lo sguardo sulla sua figura snella. Indossava un abito bianco di cotone che le arrivava a metà coscia e un paio di sandali bassi, sempre bianchi. Il bianco faceva ovviamente risaltare ancora di più il tono ambrato della sua pelle.
«Che occhi grandi che hai, nonna!» esclamò, segretamente compiaciuta da quell’occhiata di evidente apprezzamento, costringendolo a distogliere lo sguardo.
Lasciarono le auto nel parcheggio e Steve la guidò lungo il molo fino ad un piccolo motoscafo ormeggiato. Saltò a bordo e si girò per aiutarla a salire nonostante fosse agile quanto lui, prendendola per i fianchi e facendola scendere sulla tolda. Lei gli si strinse brevemente contro e poi lo aiutò a sciogliere le cime che legavano il motoscafo alle bitte. Steve avviò il motore e manovrò per staccarsi dalla banchina, uscendo poi lentamente dal porto. Non appena fu in mare aperto, aumentò la velocità.
«E adesso che non posso più sfuggirti, vuoi dirmi dove siamo diretti?».
«Makapu’u» rispose Steve e poi abbassò gli occhi su di lei che lo aveva affiancato al timone. «Davvero pensavi di potermi sfuggire?» domandò.
«Non ci penso nemmeno, Steve» sussurrò, allontanandosi da lui.
Mentre Steve era impegnato a mettere la barca su una rotta adatta a circumnavigare l’isola – Makapu’u era dalla parte opposta rispetto ad Honolulu – Nicole si tolse l’abito, rimanendo in bikini. Quando Steve la vide al suo fianco, il fiato gli si mozzò in gola. Nicole indossava un bikini color cioccolato con un disegno di cuoricini di una tonalità leggermente più scura, decorato con una bordura di roselline fucsia.
Ciò che notò immediatamente fu il modo in cui Nicole “indossava” il sole. La luce sembrava avvolgerla di un alone dorato, scivolando sulla sua pelle come se la donna fosse una creatura uscita da un luogo fantastico. I capelli ondulati splendevano di riflessi bordeaux, e si dispiegavano come un vessillo nel vento relativo. Al centro della distesa piatta del suo ventre occhieggiava la fossetta dell’ombelico, che lo scrutava come l’occhio di un gigante solitario.
«Non ti sembra il caso di tenere gli occhi sulla rotta, capitano?».
«È colpa tua. Non dovresti incantare le persone in questo modo» borbottò Steve e lei rise, facendo balenare i denti bianchissimi.
Steve aumentò ancora la velocità. Il motoscafo batteva sulle onde oceaniche e minuscole goccioline d’acqua li colpivano. Nicole gli posò la mano sul braccio.
«Non credi di essere troppo vestito?» domandò e Steve si sfilò la maglietta, restando in pantaloncini. Nicole lo sbirciò di sottecchi finché Steve, continuando a guardare davanti a sé, sogghignò.
«Ho superato l’esame, agente Knight?».
La donna non rispose ma gli sfiorò il bicipite sinistro.
«Un fiore di loto e un uomo in meditazione… un tatuaggio impegnativo, molto spirituale». Poi si alzò in punta di piedi per sussurrargli all’orecchio, premendogli il seno sul braccio. «Io però preferisco questo» mormorò suadente, sfiorando con la mano aperta l’ampio disegno tribale che aveva tatuato nella parte bassa della schiena, visibile sopra l’orlo dei pantaloncini.
Nicole gli regalò un sorriso e raggiunse il solarium a prua, bilanciandosi perfettamente sulle lunghe gambe.
«Posso godermi un po’ di sole?» domandò e, senza attendere risposta, si coricò sui cuscini. Mentre chiudeva gli occhi era perfettamente consapevole dello sguardo di Steve e non nascondeva a se stessa che si divertiva a provocarlo.
Quando la costa di Makapu’u fu finalmente in vista, Steve diminuì la velocità e prese ad avvicinarsi alla spiaggia. Nicole avvertì il cambiamento di rotta e tornò al suo fianco.
Steve diresse l’imbarcazione verso una stretta lingua di sabbia. Era un posto che aveva frequentato spesso da quando era tornato ad Honolulu perché era abbastanza isolato, accessibile solo dal mare. Sul lato destro c’era un basso promontorio di nera roccia vulcanica che gettava la propria ombra su una spiaggia di sabbia chiara. Steve mise in panne a distanza di sicurezza dal litorale, gettando l’ancora. Il motoscafo prese a dondolare pigramente sull’acqua.
La fortuna era dalla loro perché la spiaggia era deserta.
«Sai nuotare, vero?» ironizzò Steve. Nicole sbatté una volta le lunghe ciglia e scattò verso poppa. Scavalcò il parapetto e si tuffò, scomparendo sott’acqua. Riemerse subito, con i lunghi capelli scuri incollati alla testa, lisci come il manto di una lontra.
Steve si sporse da poppa e Nicole lo raggiunse nuotando a rana. La fissò negli occhi e non riuscì a resistere all’impulso di baciarla perciò si protese ancora di più verso il basso. Nicole si spinse verso l’alto ma prima che le loro labbra si sfiorassero, lo schizzò con l’acqua e nuotò via ridendo.
McGarrett si sollevò, scrollando la testa. Aveva già preparato una borsa impermeabile con il necessario da portare sulla spiaggia. Ci infilò dentro lo zainetto di Nicole e se la assicurò alla schiena. Poi si tuffò. In contrasto con il sole cocente che aveva picchiato sulle loro teste da quando erano usciti dal porto, l’acqua era piacevolmente fresca sulla pelle.
Raggiunsero la spiaggia e Steve la guidò all’ombra delle rocce. Stese a terra due asciugamani che aveva preso dalla borsa e sedette. Nicole raccolse i capelli in una coda e li strizzò dall’acqua in eccesso. Poi sedette al suo fianco con le gambe ripiegate sotto di sé in una posa molto femminile.
«Allora, quante altre donne hai conquistato su questo paradiso?» chiese maliziosa.
«Se riuscirò a conquistare te… una!» esclamò. In effetti, si rese conto di non essere mai andato lì con Cathy né con nessun’altra.
Nicole girò lo sguardo verso il mare aperto. «Ti rendi conto della fortuna che abbiamo a vivere in un posto così?».
«Prova a dirlo a Danny» ridacchiò Steve. «Lui odia le spiagge. Preferisce i grattacieli del New Jersey».
«Non ci credo!» proruppe la donna, spalancando gli occhi. Poi il suo sguardo si addolcì. «Nonostante vi stuzzichiate continuamente, tu e Danny avete un ottimo rapporto, vero?».
«È il mio migliore amico» rispose semplicemente. Poi, di punto in bianco, prese a raccontarle di come si fossero conosciuti e inevitabilmente il discorso andò sulla morte di suo padre. Nicole lo ascoltava tenendo gli occhi fissi nei suoi, incoraggiandolo con qualche mormorio o con qualche pacata domanda quando si bloccava, preda di un’incertezza che non gli aveva mai visto addosso.
«Ma non voglio annoiarti» disse all’improvviso. «Raccontami qualcosa di te. Perché hai deciso di entrare in Marina?».
Nicole si passò le mani fra i capelli ormai asciutti, ravviandoli.
«Potrei dirti che è stato per servire il mio Paese, ma non è così. O meglio, non è stato così all’inizio. In un primo momento si è trattato solo di spirito di contraddizione. Vedi, mio fratello è più giovane di me di appena un anno e mio padre ha sempre pensato che avrebbe seguito le sue orme e che sarebbe entrato nell’Esercito. Ma ad Alex non è mai interessato tutto questo. Perciò, visto che mio padre non mi aveva nemmeno presa in considerazione, decisi di fargli vedere che potevo farcela».
Continuarono a chiacchierare per tutta la mattinata, raccontandosi aneddoti della loro infanzia sull’isola, scoprendo di avere moltissime cose in comune.
«Stai scherzando, vero? Mi chiedi se conosco Mamo? Certo che lo conosco. È stato lui ad insegnare a me e a mia sorella Mary a surfare».
«Hai una sorella?» domandò Nicole, e ricominciarono a parlare finché lo stomaco di Steve brontolò.
«Ehi! Hai fame, Nicky?» chiese.
Steve aveva preparato dei sandwich che consumarono seduti sugli asciugamani, mentre i gabbiani veleggiavano sopra di loro, planando sulle grandi ali. La strada passava abbastanza distante da quel punto della spiaggia perciò il rumore delle auto arrivava a loro attutito, tanto che avevano l’impressione di essere completamente soli.
Quando ebbero finito il pranzo, si distesero sull’asciugamano. Non si toccavano eppure erano acutamente consapevoli l’uno dell’altra. Steve le raccontò di come era stato avvicinato dal Governatore Jameson quando era rientrato ad Oahu per il funerale di suo padre e di come aveva precipitosamente deciso di accettare l’incarico che la donna gli aveva proposto.
«Per me è stata la stessa cosa. Si è svolto tutto in maniera così veloce che in meno di un’ora ero passata da guardiamarina ad agente dei Five-0».
Steve rise fra sé. «Quando il Governatore mi ha telefonato per dirmi che stavi arrivando, avevo dato per scontato che fossi un uomo. Non mi aveva nemmeno detto il tuo nome. Perciò ero così perplesso quando sei entrata in ufficio».
La loro chiacchierata deviò verso il periodo dell’Accademia. Risero di piacere nel ricordare i loro insegnanti ed istruttori. Mentre Nicole gli raccontava di quegli anni, la sua voce ebbe su di lui un effetto rilassante tanto che chiuse gli occhi e, cullato dalle sue parole, si appisolò.
Nicole si accorse che si era addormentato quando non rispose ad una domanda. Si mise a sedere con un movimento lento, stando attenta a non disturbarlo, e lo osservò. Per la prima volta lo vedeva completamente rilassato e la bellezza di quel viso la colpì di nuovo.
Nonostante in quel momento Steve fosse assolutamente abbandonato, forza e decisione restavano incise nel suo volto. Una leggerissima ombra di barba gli copriva le guance e la donna si trattenne a stento dal baciare quelle labbra morbide di cui non aveva certo scordato il sapore.
Sospirando, Nicole girò lo sguardo verso l’oceano. Recuperò il proprio zaino e ne estrasse un piccolo blocco. Trovò una pagina libera e cominciò a disegnare, tratteggiando il promontorio alla cui ombra stavano riposando. Abbozzò la sagoma del motoscafo, aggiungendo gli uccelli che volteggiavano su di esso e un grosso transatlantico che stava passando all’orizzonte.
Steve aprì gli occhi e si sollevò.
«Scusami, mi sono lasciato andare» mormorò, esaminando poi il suo lavoro. «Sei brava» la complimentò.
«Mahalo» lo ringraziò, voltando la testa verso di lui.
Di colpo furono vicinissimi. Le labbra di Nicole erano umide e dischiuse e i suoi occhi si erano fatti più intensi, di uno stupendo color indaco. Stavolta Steve non fece nulla per resistere e la baciò. La sua bocca gli sembrò fresca e rovente al tempo stesso, ghiaccio e fuoco insieme. Si inebriò di lei, lasciando che fosse Nicole a scegliere i tempi. Senza interrompere il bacio, la donna posò blocco e matita sulla sabbia e gli infilò le mani fra i folti capelli scuri. Poi si lasciò andare all’indietro, attirandolo su di sé.
Steve cercò di sostenersi con un braccio, in modo da non pesarle addosso, ma Nicole inarcò la schiena e Steve la sentì contro di sé. Si abbassò su di lei, sentendo il seno premere contro i muscoli del petto e chinò il capo per sfiorarle la pelle delicata del collo con le labbra, sentendola tremare al tocco.
«Steve» esalò.
Lui si fermò, sollevandosi e guardandola negli occhi. Aveva il respiro accelerato e lui sentiva chiaramente ogni ansito, ogni sussulto di quel corpo premuto contro il suo.
E all’improvviso lei alzò il capo e catturò di nuovo la sua bocca. Steve avvertì una nuova urgenza in quel bacio, una sorta di frenesia che lo contagiò, sicché quando lei schiuse le labbra affondò la lingua nella sua bocca. La risposta di Nicole fu immediata.
Spostò una gamba intrecciandola alla sua e, spingendolo con il bacino, lo rovesciò sulla schiena. Con lo stesso movimento si mise a cavalcioni su di lui, lasciando che i capelli scendessero a solleticargli il viso.
Steve rimase immobile. Sapeva che in lei c’erano ancora delle resistenze e non voleva fare nulla che potesse spaventarla. Lei gli passò le mani sul petto e stavolta fu lui a fremere.
Si baciarono di nuovo e mentre Steve cercava di mantenere una parvenza di lucidità in quel turbine di emozioni che li stava travolgendo, lei si abbassò ancora di più e gli sfiorò il lobo dell’orecchio con la punta della lingua. Tanto bastò per ridurre a brandelli la ferrea decisione di un ex Navy SEAL ed il proposito di McGarrett di restare immobile fallì miseramente. QQuasi animate di vita propria, le sue mani si sollevarono a cingerle i fianchi.
Le accarezzò la schiena liscia, sfiorandola con le dita. Le sue mani si fermarono sul gancio del reggiseno e, mentre si chiedeva fin dove poteva spingersi, entrambi udirono delle risate. Nicole sollevò la testa, girandola in direzione del rumore.
Dall’altra parte della spiaggia c’era un gruppo di ragazzi. Avevano sceso la scogliera e ora si stavano togliendo i vestiti. Ben presto furono tutti in costume e si lanciarono in acqua tra urla e strepiti. Era evidente che, nonostante la presenza del motoscafo, non si erano resi conto di non essere soli.
«Ho la pistola nello zaino: potrei spaventarli» bofonchiò Steve con voce roca e Nicole ridacchiò. Poi, con unico movimento fluido, si alzò in piedi.
«Ti va una nuotata?» chiese, tendendogli le braccia.
Entrarono in acqua tenendosi per mano e si immersero insieme. L’acqua era di una limpidezza straordinaria e la barriera corallina scintillava di colori. I pesci multicolori nuotavano placidamente attorno a loro, per nulla spaventati dalla loro presenza, o sfrecciavano tra i coralli scolpiti in forme bizzarre e fantastiche.
Quando tornarono a riva, il calore si era fatto meno intenso perciò spostarono gli asciugamani e si stesero a prendere il sole. Anche il gruppetto di ragazzi era uscito dall’acqua e ora stavano seduti sulla sabbia. Avevano portato una radio e la musica arrivava smorzata fino a loro, facendo da sottofondo alla loro conversazione.
Ad un certo punto Steve controllò l’orologio.
«Mi spiace piccola, ma credo sia meglio rientrare».
Raccolsero in fretta le loro cose e tornarono a nuoto alla barca. Steve ritirò l’ancora e avviò il motore. Mentre rientravano il cielo si colorò di rosso e arancione, gettando riflessi aurei sul mondo. Nicole si mise al timone e Steve rimase dietro di lei, appoggiato alla sua schiena, baciandole teneramente il collo mentre lei ridacchiava, mostrandogli la pelle d’oca che gli provocava sugli avambracci.
Una volta entrati in porto, assicurarono l’imbarcazione al molo e tornarono alle auto. Steve si appoggiò alla fiancata della Camaro aprendo le braccia per accogliere Nicole, intrecciando le mani dietro la sua schiena e bloccandola contro di sé.
Nicole sospirò soddisfatta. «Direi che puoi ben dire di aver conquistato una donna sulla spiaggia di Makapu’u» mormorò, alludendo alla battuta che aveva fatto appena arrivati.
«Ti ho già conquistata, Kalea? Non è stato poi così difficile».
Nicole fremette nel sentirgli pronunciare il suo nome hawaiano. «Mi avevi già conquistata ancor prima di partire, comandante».
Si salutarono con un bacio. Nicole si mise al volante e avviò il motore. Poi aprì il finestrino opposto e lo chiamò.
«Spero che tu non abbia impegni per sabato prossimo. Ti porto fuori a cena. Ci stai?».
«Certo che ci sto. Dove mi porti?» domandò, e Nicole rise.
«Non sei l’unico capace di fare sorprese, sai? Ci vediamo domani in ufficio» esclamò, facendo rombare il motore e allontanandosi velocemente.
Steve rimase a guardarla poi salì in macchina e chiamò Elliot per sincerarsi che i suoi uomini fossero in posizione.
  
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