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Autore: marco    06/09/2007    9 recensioni
Come saprete il mio nome è Harry James Potter, vampiro secolare e sanguinario. Ho combattuto in molte guerre ed ero assai spietato, non ero solito concedere terreno. Il mio nome era ed è tutt’oggi assai temuto e la mia casata gode di notevole prestigio. Sono sempre stato circondato da servitori e non posso certo affermare che lo facevano per loro volontà. Erano semplicemente schiavi e per tali erano trattati, finche...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Harry/Hermione
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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cap1 Una storia particolare…
Quando anche il più duro si lascia corrompere.

 

“Ehi cara, vieni ci aspettano”
“Eccomi, impaziente! Oh scusate non sapevo che c’eravate anche voi” disse sedendosi sulle gambe di suo marito.
“Ho dovuto sfamare i nostri piccoli, spero passino presto alle pappine perché mi hanno sforacchiato il seno” fece ridendo.
“I nostri ospiti volevano sapere come ci siamo conosciuti e innamorati”
“Tutta la storia?” chiese lei leggermente imbarazzata.
“Precisa alla virgola” commentò lui sghignazzando all’arrossarsi del suo volto.
“E’ una storia lunga, molto lunga” fece lei.
“Proprio così” precisò lui
“Va bene, allora vado a preparare una montagna di caffè dovremmo essere in tanti. Inizi tu tesoro?”
“Va bene, allora da dove iniziare… ma certo non si può che iniziare da quel giorno!”

Come saprete il mio nome è Harry James Potter, vampiro secolare e sanguinario. Ho combattuto in molte guerre ed ero assai spietato, non ero solito concedere terreno. Il mio nome era ed è tutt’oggi assai temuto e la mia casata gode di notevole prestigio. Sono sempre stato circondato da servitori e non posso certo affermare che lo facevano per loro volontà. Erano semplicemente schiavi e per tali erano trattati, finché...
Tutto inizio quel giorno, me lo ricordo come fosse ieri. Era piena estate e faceva un caldo pazzesco. Ero uscito a passeggiare la mattina presto, senza una meta precisa, alla ricerca di tranquillità e lontano da tutti.
Sapete non è vero che, noi vampiri, non possiamo uscire alla luce del giorno. E’ una credenza totalmente falsa, come il fatto che dormiamo in una bara, pure noi semivivi amiamo le comodità.
Procedevo in direzione del villaggio qua vicino, lungo il viale sterrato che lo collegava al mio castello.
Stavo rilassandomi, godendomi il fresco venticello che sibilava tra le foglie verdi degli alberi posti lungo la strada, quando sono stato disturbato da una voce maschile.
Un ragazzo, di circa vent'anni, stava bastonando una giovane donna della sua età. Mi ricordo bene la scena, la ragazza era incatenata ai piedi, ai polsi e una catena univa il tutto al suo collo. Indossava solamente degli stracci e stava inginocchiata a terra, mentre subiva la sua punizione. Una schiava ecco cosa era e stava per essere venduta, vista l’attenzione riposta dal suo padrone nel foderare il bastone, per non lasciare segni sul giovane corpo.
Ripresi a camminare, quando la vidi alzare la testa e osservarmi. Non piangeva nè implorava pietà, ma accettava in orgoglioso silenzio. Rimasi colpito da questa cosa, era la prima volta che mi capitava di vedere una cosa del genere, nei suoi occhi si vedeva chiaramente che soffriva eppure non emetteva un solo gemito. In compenso riuscì pure ad arrossire, quando si accorse che la osservavo.
Per la prima volta sentii il mio stomaco andare in subbuglio, il respiro mancarmi e non riuscivo a capire il perché. Non avevo mai provato simili sensazioni e fui ancor più stupito, quando mi accorsi che, con una manata, avevo scaraventato a terra il suo padrone senza rendermene conto.
“Come si permette” mi urlò il rossino. Poverino non mi conosceva, evidentemente.
“Taci!” sibilai, gelandogli il sangue. “Stai andando a vendere la tua serva?” gli chiesi subito dopo.
“Sì” mormorò a fatica, mentre lo tenevo per la gola.
“Quanto vorresti?” gli chiesi osservandolo negli occhi.
“Questa insulsa la cedo per dieci galeoni. Mi lasci andare non respiro” rispose lui, quasi senza aria.
“Dieci galeoni” ripetè al volo, non appena strinsi la mano. Quella offesa gratuita mi aveva fatto ribollire il sangue.
“Tieni sono quindici galeoni e ora sparisci dalla mia vista e non osare farti più rivedere signor?” gli dissi scaraventandolo, nuovamente, a terra.
“Ronald Weasley” replicò lui.
“Se tieni alla vita non farti più vedere signor Weasley”
Presi la catena e, osservando la ragazza, le feci cenno di alzarsi per incamminarsi, con me, verso il castello.
Non proferimmo parola durante il tragitto, ero turbato per cosa era successo e camminavo come un automa riflettendo, quando mi sentii tirare la catena. Giaceva immobile a terra era svenuta, per il caldo, le botte o chi sa cosa.
La presi in braccio e, solo allora, notai la sua fragilità. Era esile, troppo esile, chissà, quando era stata l’ultima volta che aveva mangiato decentemente. Con questi pensieri mi smaterializzai a casa dove ordinai ai miei servitori, di portarmi subito una pozione corroborane tripla e di imbandire una tavola nelle cucine.
La vidi aprire i suoi occhi castani, osservarsi attorno e rimanere meravigliata, non appena si rese conto d’essere libera dalle catene.
“Non cercare di scappare, non sarebbe molto salutare alla tua vita sotto ogni aspetto chiaro?” gli dissi duramente “Come ti chiami?”
“Hermione Jane Granger, signore” sussurrò con un debole filo di voce.
“Se ce la fai a camminare, vestiti e seguimi nelle cucine”
Scese dal letto traballando, dirigendosi verso i vestiti posti su una sedia, che le avevo indicato, iniziando a vestirsi.
“Sono pronta, signore” mi fece presente poco dopo.
“Molto bene, vieni con me”
La portai nelle cucine dove era stata preparata la tavola con il suo pranzo.
“Per il prossimo mese voglio che tu faccia almeno tre pasti al giorno e che tu mangi finché il tuo stomaco lo permette. Non osare fare complimenti nel saziarti, quando hai finito scegliti una camera e riposa, per il resto della giornata” gli ordinai osservandola annuire, mentre mangiava con i suoi occhi dacerbiatta il suo pasto.
Nel vederla meravigliata e stupefatta, al sentire le mie parole, provai, nuovamente, quella sensazione di benessere che avevo sentito al nostro incontro. Ero felice, ma ancora non lo avevo compreso.
“Come lei desidera padrone” rispose sedendosi al tavolo incominciando a fare onore al succulento bacchetto.
“Ci rivedremo stasera in salotto” le feci presente.
“Cer..sdf..coff…coff..to padrone” rispose immediatamente strozzandosi.
“Mangia piano, non sparirà il cibo”
“Cosa avete da guardare voi? Al lavoro!” urlai ai suoi colleghi, che mi guardavano come fossi un alieno. In parte avevano ragione, nessuno di loro aveva avuto tale trattamento. Generalmente li facevo sbattere nelle segrete e, forse, mandavo qualcuno a curarli.
Quanto riflettei quel giorno, rimuginai fino a sera senza concludere un bel niente. Pensai e ripensai a cosa avevo provato senza riuscire a dare un nome a quel sentimento. Perché, con lei, non ci riuscivo a comportarmi come avevo sempre fatto?
Non mi accorsi di quanto tempo era passato finché non me la vidi apparire davanti, mentre ero seduto nel mio divano preferito, al centro del salotto, dinanzi a un caldo camino scoppiettante.
Si osservava attorno con curiosità, guardando attentamente ogni singolo oggetto senza muoversi di un millimetro dal mio cospetto.
“Chi sono i tuoi?” le chiesi attirando la sua attenzione.
“I miei genitori si chiamavano Jane e Peter Granger, sono stati uccisi molti anni fa durante una rivolta. Io fui rapita e venduta come schiava. Avevo cinque anni padrone.”
“Quanti anni hai?” lei arrossì di brutto a quella domanda, ma non per vergogna della sua età, ma per imbarazzo.
“Non so contare signore” mi ripose
“Smettila di chiamarmi signore o padrone” ordinai meravigliandomi di me stesso, se solo un altro servo avesse osato omettere tali parole sarebbe finito nelle segrete, per chissà quanto tempo
“Sai leggere? Ti hanno mai insegnato qualcosa?” le domandai curioso. Se c’era una cosa che non sopportavo era l’ignoranza. Rispose muovendo la testa in segno di diniego, per poi confermare “No niente”
“Male!”esclamai con rabbia “Ora ascolta bene, perchè non intendo ripetermi. Tu sei la mia servitrice personale, dovrai aver cura della mia persona sotto qualunque aspetto, che ti vada bene o No. Mangerai alla mia tavola e ti occuperai della casa. La mattina ti faro lezione. Imparerai a leggere, contare e qualsiasi altra cosa ritenga giusta. Ora, inginocchiati e scopriti il collo” dissi alzandomi, per prendere dal fuoco lo stemma della mia famiglia adagiandolo sopra il suo collo. Mormorai un incantesimo sul simbolo impresso legandola con un vincolo magico a me.
“Questo stemma t’identifica come mia proprietà. Puoi andare dove vuoi purché tu non esca dalle mie proprietà, non osare fuggire o l’incantesimo, che ho recitato, ti ucciderebbe entro poco tempo, se non ritorni. Ribellati e avrai l’onore di conoscere la parte peggiore di me e del castello. A te la scelta.”
“Hai trovato la stanza per te?” le chiesi curioso di sapere quale camera avesse ritenuto adatta a lei.
“Sì, l’ultima stanza nell’ala dei servitori” rispose a bocca stretta, per il dolore causato dal marchio.
Dire che ero stupito è troppo poco, Aveva scelto il magazzino, dove c'era solo della paglia che poteva offrire un comodo giaciglio. “Non va bene, tu avrai la stanza affianco alla mia.” dissi facendo apparire del ghiaccio e mettendolo sulla ferita fresca.
“Grazie, lei è troppo gentile” mi rispose stupendomi.
“Non farci l’abitudine, svolgi i tuoi compiti e non mettermi in condizione di doverti punire o te ne pentirai. Andiamo ti mostro la stanza” gli dissi duramente, riprendendomi dallo stupore che, la sua affermazione, aveva causato in me.
Ancora mi ricordo la sua faccia quandole mostrai  per la prima volta camera sua.
Al centro della stanza, era posto un grosso letto a due piazze con quattro colonne agli angoli, da cui pendevano morbidi teli di seta ad ornare i montanti finemente intagli.
Un grosso armadio giaceva alla sinistra del comodo letto e sul pavimento vi era una bellissima moquette che solo calpestarla era un insulto. Per finire, l’amore dei suoi occhi. Una libreria con annessa una scrivania per leggere, che definire favolosa era riduttivo.
Per la prima volta, vidi una serva piangere di felicità e, allora non capii come mai, anch’io ero commosso nel vederla contenta.

Nelle settimane successive non c'era sera che non dovevo ordinarle di andare a letto scoprendola addormentata sopra un libro. La sua sete di conoscenza non aveva limiti. In meno di una settimana aveva imparato a leggere, scrivere e contare. Non perse tempo a rispondere ad una mia vecchia domanda dicendomi che finalmente sapeva cosa c’era dopo il dieci e che poteva affermare di avere venti anni. Cosi eravamo passati a cose sempre più complesse.
Per ristabilirsi e tornare in forma aveva avuto bisogno di un mese intero. Le avevo douto rifare un guardaroba intero non negandomi un certo interesse per le sue "curve", che sfoggiava provocandomi notevoli scariche elettriche, che ora definirei senza ombra di dubbio, “ormonali”.
Mi ricordo che allora, dovetti iniziare a correre al riparo e sfogare i miei istinti più mascolini, ma se pensate che lo facessi su di lei, vi sbagliate di grosso. In quei momenti nessuno doveva vedermi era vietato e punito severamente. Vi chiedete il perché? E’ presto detto. Non ci riuscivo con lei, ma fu il "piacere" di molte altre serve, che speravano di ottenere un trattamento migliore o amiche.

Se aveva un difetto, era la sua curiosità. Non conosceva freni.
Fu a causa di quella che scoprii la sua appartenenza al mondo magico.
La mia bacchetta gia allora era abbastanza datata e ogni tanto mi recavo al villaggio da mastro Olivander per farla controllare. La sua famiglia si occupava da generazioni di costruire bacchette per gli appartenenti al mondo magico e sono le migliori in assoluto.
Eravamo lì, ad attendere il mio turno, quando lei ignorò il mio ordine di non toccare niente, brandendo in mano un’asticella di legno facendone scaturire scintille rosse.
La fece cadere immediatamente proferendosi in mille scuse che non volevo sentire. Ricordo che le urlai di stare in silenzio e che avremmo fatto i conti a casa. Non ero veramente arrabbiato, ma non dovevo concedere niente e un ordine doveva essere sempre eseguito. Raccolsi la bacchetta che istintivamente aveva gettato per rivolgermi al venditore.
Due cose di lei mi avevano stupito quel giorno. La prima è che era una strega e la seconda il suo atteggiamento. Sapeva di essere una serva, una persona “non degna” al pensiero di chiunque, eppure camminava a testa alta, fiera della sua persona. Era cosciente che sarebbe stata punita, ma accettava la cosa con dignità conscia del suo errore, sebbene tremasse di paura.
Fu lei a rammentarmelo, una volta rientrati, al castello. Ero perso tra i miei pensieri e me n’ero scordato. Gli bacchettai le mani fino a farle riempire di lividi su dorso e, come sempre, sentiva dolore, ma non pronunciava parola.
Solo una frase usci dalle sue labbra, prima di andare in cucina a lavorare “Mi scusi padrone se l’ho umiliata disubbidendo” e io non capivo, l’avevo punita, per una cazzata, e lei chiedeva scusa?

Da qualche giorno era mancato il mio cuoco e lei, senza dire niente, ne aveva occupato il posto cucinando per me, solo per me. Alla mia richiesta di spiegazioni la risposta fu molto breve “Il mio compito è di occuparmi della sua persona e intendo svolgerlo al meglio”
Il conto dei suoi atteggiamenti che non capivo, aumentava sempre più col passare del tempo. Era la prima serva ad avere un trattamento decisamente migliore delle altre, ma era anche l'unica che non sembrava suo interesse migliorare ulteriormente o cercare di conquistare la sua liberta con mille promesse o con il suo corpo.
Iniziai ad insegnargli la magia, l’arte del combattimento e tutte le materie più comuni. Spesso la sera parlavamo del più e del meno commentando ciò che leggevamo. Era passato un anno da quando l’avevo comprata e non me n’ero accorto. I miei giorni di solito lunghi e noiosi si erano trasformati in giorni piacevoli e a volte troppo corti.
 

Il giorno più brutto della mia vita, fu lo stesso in cui, involontariamente, ebbi molte spiegazioni.
Stavo sfogando i miei istinti primordiali, con un’amica di lunga data, quando lei entrò in camera mia interrompendoci. Sapeva bene a cosa andava in contro e aveva disubbidito ad un ordine che, in tutte e altre occasioni, era costato la vita a molti servi.
La vidi inginocchiarsi prima di parlare “Mi scusi padrone per il disturbo, ma un signore mi ha appena minacciato di morte se non fossi venuta da lei per informarla del suo arrivo. Mi ha detto di annunciarle che, chi aspettava, è arrivato”
Ero furioso, non per l’interruzione, anche se non mi aveva fatto piacere e non potevo lasciare scorrere la cosa, ma per il fatto che avevano osato minacciarla di morte. Nessuno doveva toccarla!
“Vai in cucina e aspettami lì” le ordinai secco rabbioso, mentre mi vestivo e scendevo da colui che avrebbe assaggiato la mia ira.

Mi ricordo che dopo aver svolto i miei affari, appiccicai al muro quel tizio, tra l’altro era un caro amico di famiglia, minacciandolo di morte se solo l'avesse guardarta un’altra volta nel modo sbagliata.
Fu andando in cucina che trovai le risposte alla maggior parte delle mie domande.
Hermione ed Evelin stavano parlando anzi, Evelin cercava di estorcere informazioni da lei.
“Perché ci hai interrotto, non hai avuto paura di morire?” chiese lei spazientita dal suo mutismo.
“Rispondi o…” fece Evelin cercando di spronarla a parlare.
“O cosa?” rispose Hermione adirata decidendosi ad aprire bocca.
“Mi ascolti bene signorina Evelin. Io sono una serva e conosco bene la mia situazione da ben diciotto anni. Sono tre anni che servo il mio padrone al meglio delle mie possibilità. In passato ho avuto tanti padroni e nessuno di loro si è guadagnato il mio rispetto come ha fatto il mio signore.Se devo scegliere per mano di chi morire preferisco senza dubbio la sua mano. Se quando verrà deciderà di terminar la mia vita accetterò la mia sorte e lo ringrazierò per cosa a fatto per me fino ad oggi. Se mi punirà, vorrà dire che ho sbagliato e la prossima volta saprò che dovrò morire, prima di farlo disturbarlo durante la vostra intimità. In ogni caso lei non è la mia padrona e io devo lavorare per preparare il pranzo alla persona che servo e ora mi scusi” finì con tono duro e deciso.
Quel discorso pronunciato con rabbia nei suoi riguardi, mi fece capire tante cose e sorgere altre domande. Perché mi rispettava? Cosa avevo fatto per farmi rispettare senza il bisogno di minacce?
In quel momento dovetti rinunciare alle mie risposte ed entrare prima che si accoltellassero o meglio, Hermione uccidesse Evelin che, come al suo solito, l’aveva sottovalutata.

“Cosa sta succedendo?” chiesi rabbioso
“Mi scusi padrone, ma mi ha schiaffeggiato e mi stavo difendendo” rispose velocemente.
“Evelin perché l’hai schiaffeggiata?”
“La tua serva mi ha mancato di rispetto”
“Hai detto bene, è la mia serva e a te non deve niente. Non ti azzardare mai più a fare una cosa simile. Tu posa il coltello e vieni qua, spalle a me. Forza, slacciati il vestito. Subito!” finii rivolgendomi alla mia serva.

Non la vidi battere ciglio, mentre si posizionava e copriva il suo seno con i bracci, ben sapendo cosa sarebbe successo.
Feci scoccare la prima frustata tracciando una riga rosa sulla sua schiena, poi una seconda e infine una terza.
“Non osare mai più minacciare o mancare di rispetto ad una mia amica. Rivestiti e continua il tuo lavoro.”
“Sì padrone” disse senza alcuna esitazione.
“Tu sparisci dalla mia vista e non fiatare sai bene il perché” dissi rivolgendomi alla mia amica.
“Sai cosa ti dico Harry, scopati lei. Visto che la desideri tanto” il rumore metallico di un vassoio che cadeva insieme alle guance rossissime di Hermione completò la sua frase.
“Sparisci” ringhiai
“Hermione, hai tre giorni di pura libertà puoi fare ciò che vuoi. Allo scadere del terzo giorno riprenderai il tuo posto” dissi andandomene lasciando le due donne basite.
Per i primi giorni non la vidi e mai avrei creduto di stare cosi male, mi mancava da morire.
La volevo al mio fianco, sentire la sua voce e avere le sue attenzioni.
In quei due giorni rimasi chiuso in camera, non volevo essere disturbato da nessuno. La mattina del terzo giorno ebbi una bellissima sorpresa, la vidi entrare in camera mia e mettersi di fronte a me.
Le parole che disse mi lasciarono a bocca aperta.
“Oggi è il terzo giorno e sono ancora libera, ” iniziò, mentre le sue guance prendevano a tingersi di un rosso acceso “Voglio fare l’amore con te” butto fuori tutto d’un fiato accennando a spogliarsi.
Fu la cosa più bella in assoluto.
Come vi ho detto, non ero certo in astinenza, ma in tutta la mia vita, non ce n’é una che si possa uguagliare a quella volta. Poi le sentii pronunciare quelle parole, quelle fatidiche parole che mi completarono il puzzle “Ti amo”
Lo facemmo ancora una volta e fu lì che persi la testa, non mi era mai successo. Fu come una liberazione. La morsi, iniziando a succhiare avidamente il suo dolce nettare.
Non appena mi resi conto di ciò che avevo fatto sentii il mio cuore spezzarsi. Lei era lì, sotto di me bella come non mai, ma in fin di vita e sul suo collo erano impressi i segni dei miei denti.
Mi venne quasi da rimettere da quanto stavo male
In quel momento capii quanto l’amavo, non volevo ucciderla ne trasformarla in vampiro assetato di sangue. Dovete sapere che noi vampiri purosangue, solo una volta c’è concesso di donare l’immortalità e così feci. Le diedi da bere il mio sangue insieme a una pozione ristoratrice e quando riaprii gli occhi mi regalo il più bel sorriso che abbia mai visto. Ricordo che mi sentii riscaldare dall’interno e la abbracciai come mai avevo fatto.
“Sei libera” sussurrai “Sei libera, goditi la tua vita però sappi, che se vorrai tornare da me sarò onorato di averti al mio fianco”
 

“Il resto lo sapete” concluse il moro
“Harry il caffè è pronto”
“Hermione veramente avrei finito”
“Di già? E il caffè?” domando lei
“Se lo vorranno non devono far altro che tornare a trovarci”
“Cavolo, sono già andati?” chiese lei delusa.
“Sì purtroppo”
“Harry, ti ricordi quel famoso terzo giorno” disse con una punta di malizia facendo un viso d’angelo.
“Come potrei mai dimenticalo” rispose lui abbracciandola e baciandola con eterna passione.
  
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