Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: Vanderbilt    19/02/2013    13 recensioni
Bella, ragazza di diciotto anni con una famiglia apparentemente perfetta. Desidera innamorarsi per la prima volta.
Edward, un passato difficile, non si è mai innamorato.
Entrambi si conosco da molti anni, ma non sono mai riusciti ad instaurare un rapporto a causa del carattere introverso di Edward.
Abitano a Savannah, sognano di andare al college, ma ora dovranno affrontare l'ultimo anno di liceo, pieno di imprevisti a grattacapi...
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

I don't want to miss a thing

 

My bed sheets feel empty, when you're not home
Your heart beat, helps me sleep, your breath soothes my soul.
Baby your all I've ever needed.

I love you, more than I knew I could ever love somebody.
I got it all so deep, I can barely even breath. If I need a shelter from the storm.

Nikki Reed&Paul McDonald, All I've ever needed

 

Finalmente gli esami erano terminati.

L'ansia, il terrore di fare brutte figure davanti alla commissione, era evaporato nel giro di un secondo quando mi ero seduta per l'ultima verifica orale della mia carriera scolastica liceale. Una volta che iniziavi a parlare non ti accorgevi del tempo che passava, almeno questo era capitato a me, troppo concentrata sulle domande e sulle spiegazioni esaustive da dare per poter stare attenta all'orologio che tenevo al polso. L'unica cosa certa era che grazie al cielo era finito tutto ed io mi stavo alzando da quella sedia come fluttuando tanto mi sentivo leggera. Ringraziai i professori, firmai e dopo la solita domanda di rito «cosa farai dopo?» ero corsa fuori dalla stanza, dove mi stava aspettando Edward a braccia aperte.

Gli corsi incontro e gli saltai letteralmente addosso, avvolgendo il suo collo con le mie braccia e i suoi fianchi con le gambe. Ero tipo un koala attaccato ad un ramo, stretto con tutte le sue forze.

«Non ci credo, oddio, non posso crederci! Ho finito, Ed. Finito!», gli urlai ad un centimetro dall'orecchio, facendolo diventare sordo, probabilmente.

Lui rise del mio entusiasmo e mi strinse talmente forte che non respirai per alcuni minuti.

«Te lo avevo detto che dopo ti saresti sentita talmente leggera da non riuscire neanche a credere che è davvero terminato questo supplizio», mi disse ridendo. Lui aveva terminato gli esami due giorni prima, ma non aveva ancora festeggiato preferendo aspettarmi. Ero l'ultima della lista, mancavo solo io all'appello nella nostra cerchia di amici.

«Non ho ancora metabolizzato bene. Non dovrò più seguire tutti gli orari di lezioni, farmi venire l'ansia per interrogazioni e verifiche... Il college sarà tutta un'altra vita e non vedo l'ora di iniziarla», risposi baciandolo dolcemente. Strinsi i suoi capelli tra le dita e quando il bacio iniziò a farsi troppo spinto rallentai il ritmo e scesi dalle sue braccia per non dare spettacolo.

«Stasera si festeggia, amore», mi bisbigliò ad un orecchio.

«E come?», chiesi maliziosamente. I programmi erano già abbastanza chiari, eppure ero curiosa di sapere se lui stesso aveva organizzato qualcosa.

«Casa libera. Genitori in viaggio. Ti dico solo questo», replicò facendomi l'occhiolino per poi prendermi per mano. Camminammo verso l'auto mentre io continuai a bombardarlo di domande.

«Quanto staranno via?».

«Pochi giorni, volevano lasciarci il via libera per festeggiare il diploma».

«Ma gli altri che faranno?», chiesi ancora.

«Festeggiamo tutti insieme e poi ognuno con la propria metà», rise per la mia espressione estasiata. «Deduco dalla tua faccia che la serata ti fa molto piacere».

«Non sai quanto», bisbigliai più a me stessa che a lui.

Negli ultimi due mesi il ritmo era stato sfiancante. Lo studio aveva occupato quasi tutto il nostro tempo disponibile, quindi ci eravamo visti meno del solito e quelle poche volte non impiegavamo il tempo in qualcosa di sempre piacevole, troppo spesso studiavamo insieme o preparavamo la tesina finale.

Le ore spese a coccolarci, fare l'amore, o semplicemente parlare senza pensieri nella mente, erano stati praticamente nulli ed ora era tempo di recuperare. Avevamo l'estate davanti e poi avremmo iniziato il college insieme, la Savannah State University.

Entrammo in macchina e subito Rain, rimasto tutto il tempo con Edward in attesa che finissi l'esame, mi saltò in braccio. Purtroppo non si rendeva conto che ormai era talmente cresciuto che pesava abbastanza e non era un peso piuma sulle mie povere gambe.

«Prima sarà meglio passare da casa mia, mi serve un cambio».

«Ma se lo hai anche da me», affermò confuso.

«Edward, è una serata speciale, mi servono delle cose!», lo sgridai. Pretendeva che mi aggirassi per casa con un paio di pantaloncini e una canotta, con i nostri amici in giro, mentre festeggiavamo? No, e poi per quella serata avevo comprato qualcosa di speciale per il dopo.

 

Venti minuti dopo l'auto di Edward si fermò nel vialetto di casa mia e io scesi lasciando Rain in macchina per fare presto. Mentre avanzavo nel vialetto notai la macchina di mia madre posteggiata e stranita entrai in casa. Forse voleva aspettarmi per sapere com'era andata.

«Mamma!», la chiamai subito.

«Tesoro, sono in cucina!».

Appena entrai esultai in un urlo liberatorio e corsi ad abbracciarla esclamando una serie di «ce l'ho fatta» e «non mi sembra vero».

«Sapevo sarebbe andato tutto bene, sei troppo intelligente, tesoro». Le affermazioni tipiche di ogni madre, eppure ogni figlio ci credeva sempre, anche se era una consuetudine ed era ovvio che un genitore guarda con gli occhi dell'amore ogni minima cosa di un figlio lodando ogni sua vittoria o sconfitta.

L'inclinazione triste nella voce di mia madre mi fece scostare da lei sospettosa. Osservai il suo viso e solo allora notai l'espressione tesa e preoccupata che aveva.

«È... È successo qualcosa?», chiesi esitante.

«Siediti, Bella», mi consigliò mia madre.

«Mi stai facendo preoccupare, mamma», dissi mentre mi accomodavo su una sedia.

«C'è qualcosa che ti ho tenuto nascosto negli ultimi mesi. Prima di dirti tutto voglio solo farti comprendere che l'ho fatto per te e per farti passare gli esami nel migliore dei modi, senza preoccupazioni». Annuii tesa.

«Due mesi fa,sono andata a Logan dai nonni, se ben ricordi. Non ti dissi la verità su quella visita, Bella».

«Cosa intendi? Mi hai mentito?», domandai tesa. Odiavo le bugie, di qualunque entità, e difficilmente perdonavo.

«No... Anzi, sì. Sono partita perché il nonno aveva fatto degli esami per un malessere che avvertiva nell'ultimo mese e i risultati non sono stati dei migliori. Sono andata giù per parlare con il medico che lo segue». Guardai fuori dalla finestra della cucina per evitare il suo sguardo e riflettei sulle sue parole.

«Sta male?», chiesi con un filo di voce.

«Non ancora, Bella».

«Cosa significa “non ancora”?! Raccontami tutto!». Iniziavo ad innervosirmi.

«Il medico non era sicuro dei risultati, bisognava fare altre analisi e chiarire meglio il malessere. Solo due settimane fa sono arrivati i risultati della biopsia. La diagnosi è quella che aveva ipotizzato il dottore: dei linfonodi sospetti si erano ingrossati troppo e ora sono sfociati in tumori al primo stadio, sono curabili attraverso chemioterapia».

«O mio dio. Il nonno... oddio». Ero senza parole, inerme. Cosa potevo dire? C'erano frasi giuste da usare in questi casi? Una doccia fredda in pieno inverno, con zero gradi, sarebbe stata più gradita e mai così improvvisa come la notizia appena ricevuta.

Non ci si poteva mai preparare di fronte a una possibile morte. Una persona che ami sta male e tu non sai come reagire, pensai intensamente. Ti sentivi così impotente e desiderosa di trovare qualsiasi cosa pur di far stare meglio coloro che erano il centro del tuo mondo.

«Non devi preoccuparti, tesoro, il nonno ha un cuore forte e i medici sono molto positivi su di lui».

«Quando dovrà iniziare la terapia?».

«Il prima possibile, forse già tra meno di un mese. È meglio prenderlo in tempo».

«Verranno qui per le cure, vero?». Era logico per loro stare qui con noi, dove potevamo dar loro una mano. Per mamma era impossibile spostarsi a causa del lavoro.

«No, hanno deciso di stare giù e cavarsela da soli. Ho tentato di prendere un'aspettativa dal lavoro, ma non mi è possibile in questo periodo», disse tristemente scuotendo il capo.

«Ma non posso restare a Logan, mamma, devi convincerli!», esclamai inorridita al pensiero dei miei nonni da soli tra ospedali, probabili ricoveri e possibili crisi durante la cura. Non potevano restare soli.

«Ci ho provato, Bella, ma non vogliono sentire ragioni. Il nonno desidera stare a casa sua, in mezzo alle cose che conosce da tutta la vita e non se la sente di cambiare abitazione e medici, non ora». Compresi le sue parole, ma nel mio cuore non riuscivo ad accettarle.

«Partirò io, allora». La mia decisione fu una sorpresa sia per mia madre che per me stessa. Avevo deciso sul momento, senza programmare nulla.

«Non me la sento di dirti di no, ma come farai per l'università? Non credo riuscirai a iniziarla come avevi previsto», cercò di farmi ragionare. Non voleva prendessi decisioni di cui poi mi sarei pentita.

«Rimanderò di qualche semestre, l'intero anno se necessario», dissi convinta.

«Pensaci su, almeno per questa notte, Bella», mi implorò mia madre.

«Okay, ci penserò, ma non credo cambierò idea».

«Lo so, sei così testarda», sussurrò accarezzandomi i capelli in modo delicato.

Dopodiché il mio pensiero corse a Edward, che mi stava aspettando lì fuori. «Edward», esclamai ad alta voce.

«Come farai con lui?», mi chiese.

«Non... Non ne ho idea», e sconfortata misi la testa tra le mie braccia appoggiate al tavolo. «Questa sera festeggeremo i diplomi, anche se la consegna sarà tra qualche giorno».

«Non aspettare molto per dirglielo», mi consigliò.

«Stasera festeggeremo insieme agli altri, poi mi fermo a dormire a casa Cullen», la avvisai. «Gli parlerò al più presto», conclusi con un peso sul cuore. Non sapevo come avrebbe reagito al nostro allontanamento, benché fossi certa che avrebbe compreso le mie motivazioni.

Salutai mia madre che stava per uscire per poi salire di sopra e preparare la borsa da portarmi a casa di Edward. Feci veloce e non badai molto a ciò che misi dentro, la mia testa era tra le nuvole, non capivo nulla di ciò che mi circondava.

Prima di aprire la portiera dell'auto, decisi che avrei parlato con Edward il giorno dopo, non volevo rovinare l'ultima serata serena che potevamo passare tutti insieme.

 

Durante la serata mi rilassai leggermente, cercando di sgombrare la mente per non far capire a Edward e alle mie amiche che qualcosa non andava. Edward mi aveva guardato stranito parecchie volte, benché non mi avesse chiesto ancora nulla di concreto.

I nostri festeggiamenti erano iniziati abbuffandoci di salatini, preparati nei giorni scorsi da Esme, dopodiché avevamo ordinato le pizze e proprio in quel momento eravamo seduti sul pavimento di sala Cullen, ad aprire le varie pizze e smistarle.

«Bleah, amore, ma come fai a mangiare una pizza simile?», esclamò Rose passando la pizza al suo ragazzo.

Emmett la prese leccandosi le labbra e dando subito un morso alla prima fetta prima di posare il cartone ai suoi piedi. «Non sai cosa ti perdi, amore. Bacon, patatine e uova, un po' come la colazione», esclamò con la bocca piena.

«Non sapevo mangiassi patatine a colazione, fratello», lo prese in giro Edward, seduto al mio fianco.

«Non sapete apprezzare le pizze innovative», replicò Emmett sbuffando.

«Meno male», aggiunse Alice per dar man forte al suo fratello prediletto. Quei due avevano un rapporto ineguagliabile, sempre a darsi forza e aiuto l'uno con l'altro, anche se questo significava prendere in giro il fratello maggiore.

«Che ne dite di uscire dopo? Possiamo fare un giro per il centro...», suggerì Jasper morsicando la sua pizza con la salsiccia e i peperoni.

Tutti concordarono, l'unica che rimase in silenzio fui io, me ne accorsi solo quando Edward mi richiamò: «Bella? A te va bene?». Il suo sguardo confuso e attento mi diceva che i miei tentativi di mostrarmi felice e spensierata come qualche ora fa non stavano funzionando.

«Sì, sì, certo», risposi sorridendo indistintamente.

Continuammo la cena scherzando e ricordando gli episodi più esilaranti al liceo. Emmett deteneva il record per figure imbarazzanti con i professori, infatti fu lui il centro dei racconti.

«Ricordate quella volta in cui domandò al professore se poteva andare al bagno? E il professore, quando gli chiese perché, lui rispose...»

«Per ora uso il bagno solo per un motivo», concluse Emm il racconto della sorella.

Tutti ridemmo con le lacrime agli occhi rievocando altre sue marachelle. Era sempre stato vivace da bambino e nel crescere non era cambiato, solo ora Rose riusciva a contenere i suoi eccessi.

Ad un certo punto Alice si alzò in piedi dichiarando che era l'ora di uscire. «Prima devo preparare la valigia. Rose, Bella, aiutatemi!».

«Devi partire, Alice?», chiese Edward confuso.

«Uff, Ed, ti ho già detto che passo la notte da Jazz!».

«E la valigia a cosa ti serve?», domandò ancora.

«Sveglia, fratello! Tornerò a casa quando rientreranno gli Hale, mamma e papà!».

Edward lasciò perdere, evitando di far notare alla sorella che si trattava di soli due giorni. Alice quando stava fuori casa doveva portarsi tutto quello che riteneva utile, anche se voleva dire valigie piene di cose che non avrebbe utilizzato.

Salimmo in camera di Alice e subito mi sedetti comoda sul letto. Quando si trattava della piccola Cullen almeno mezzora non ci si muoveva.

Rose si mise vicino a me, ma partecipò attivamente alle scelte di Alice, consigliandole cosa portarsi dietro.

«Ma ragazze, ci pensate? Abbiamo ufficialmente superato gli esami e ora non ci aspetta altro se non due mesi di vacanze!».

Rimasi zitta, non esultai come probabilmente avrei fatto prima della chiacchierata con mia madre. I miei pensieri erano rivolti altrove, divisi in due parti nettamente separate eppure unite da un filo sottile.

Rose ed Alice mi guardarono dubbiose di fronte al mio silenzio, quindi sorrisi a loro beneficio senza entusiasmo, benché impressi sulla mia bocca un minimo di falsità per risultare credibile.

«Ma, Alice, tu devi iniziare il corso di moda tra ben tre settimane», dissi stranita. Due mesi fa l'avevano accettata nel corso estivo ed era entusiasta di iniziarlo. Non parlava d'altro da quando aveva ricevuto la bellissima notizia.

«Be', sì, ma sono comunque a Savannah per seguire il corso, quindi è come se fossi in vacanza anch'io con voi».

«Il tuo futuro capo ti ha già detto in che sede inizierai a lavorare a settembre?», chiese Rose. Voleva sicuramente sapere che avrebbe seguito Jasper.

«Non c'è ancora nulla di sicuro», la ammonì Alice. «Il mio futuro capo ha detto che prima controllerà quanto apprenderò al corso».

«Sai benissimo che sarai la migliore, Alice, hai la moda nel sangue», la incoraggiai.

«Nel caso mi assuma ha detto che ho libera scelta di decidere le sedi in cui iniziare. Il settore design c'è in tutte le sue aziende, ovviamente», disse in tono casuale.

«E...?», la incoraggio Rose.

«In tal caso sceglierò di seguire Jasper a Jacksonville», finì ammiccando.

Jasper aveva deciso di seguire i corsi di economia alla Jacksonville University ed Alice non ci aveva pensato due volte a informarsi se era possibile iniziare a lavorare nella sede della città del suo ragazzo. Alice era una ragazza sicura di sé, aveva fede nelle sue capacità, ma non per questo mancava di umiltà, aveva i piedi ben saldi a terra. Sapeva che sarebbe arrivata esattamente dove sperava, eppure aspettava di averne la prova concreta in mano.

Per quanto riguardava Emmett e Rose avevano trovato un compromesso per non allontanarsi e rischiare di frantumare il loro rapporto, ma allo stesso tempo realizzare i propri sogni senza limitare gli obiettivi per amore. La loro scelta era ricaduta su Charleston, abbastanza vicino a Savannah per Emmett, ma anche abbastanza lontana per Rose, la quale si era sempre sentita oppressa dalla nostra città. Tuttavia avevo come il presentimento che la scelta di Rose era decisamente indirizzata su New York o Los Angeles, città l'opposto di Savannah. Per amore avevano limitato le loro scelte, ma non troppo, e questo sicuramente sarebbe andato a loro vantaggio. Erano una di quelle coppie che avevano bisogno di viversi ogni giorno, un allontanamento sarebbe stato troppo per loro, avrebbe distrutto ciò che con tante difficoltà avevano costruito. Esattamente come poteva capitare a me ed Edward.

Scossi la testa per eliminare quell'ultimo pensiero dalla mia mente e mi concentrai sui discorsi delle mie amiche solo quando ritrovai due paia di occhi puntati su di me.

«Sì...?», risposi incerta a qualsiasi domanda mi avevano appena posto.

«Ti abbiamo chiesto cosa avete deciso tu ed Edward», ribadì Alice.

«A proposito di cosa?». Stavo decisamente precipitando dalle nuvole.

«Bella, ma cosa ti succede oggi?», mi chiese Rose. Vedevo i loro visi preoccupati, ansiosi di sapere il perché del mio strano comportamento.

«Nulla», risposi in fretta.

«Bella, ci conosciamo da una vita, no? Non pensi che ormai ti leggiamo meglio dei tuoi genitori?», disse ironicamente Alice. Annuii d'accordo con lei senza però rispondere.

Me ne stavo lì, seduta su quel letto a guardare le mie amiche che si preoccupavano per me senza sapere cosa dire o fare. Era così... bloccata, preoccupata che la relazione con Edward potesse subire grossi cambiamenti, addolorata per la malattia di mio nonno. Nessuno di questi pensieri uscì dalle mie labbra serrate, scossi solo la testa per far capire loro che non era il momento giusto per parlarne e capirono, mi capirono come solo le tue migliori amiche sapevano fare, offrendomi il loro supporto benché non avessero idea per cosa me lo stessero concedendo.

«Non oggi», risposi dopo qualche minuto.

«Okay, allora puoi dirci cosa hai deciso di fare con mio fratello? Prenderete una casa in affitto oppure starete nei dormitori?».

«Oh», esclamai colpita dalla domanda. Altro argomenti che dovevo affrontare con Edward al più presto. «Abbiamo deciso di affittare un appartamentino insieme, almeno risparmiamo sulla retta del college». Avevamo già trovato un monolocale adatto a noi due, dovevamo solo mandare la conferma che l'avremmo presa. Saremmo stati a un'ora di distanza da qui.

«Siete stati gli unici a non volervi allontanare da Savannah», affermò Rose.

«Abbiamo molte cose per cui essere legati a questa città», risposi distante perdendo nei ricordi di tutto ciò che di bello mi aveva portato quel posto. Lo consideravo magico, aveva il profumo di casa e non desideravo stare in nessun altro posto.

 

Passammo la serata a girovagare per le vie di Savannah, a ridere, mangiare gelato e dolciumi nei vari posti che incontravamo strada facendo. Mi lasciai andare liberando parzialmente la mente incasinata da tutti gli eventi della giornata. Edward a volte mi lanciava occhiate sospettose, come se sapesse che qualcosa mi turbava, ma non mi disse nulla finché non arrivammo a casa sua. La nottata era volata e alle quattro del mattino non mi sentivo pronta per intraprendere una conversazione così importante, quindi lasciai correre e finimmo la nottata di pazzia nel migliore dei modi. Inconsciamente assaporai l'amore con lui come se avesse retrogusti amari e avvertii una sorta di tenerezza particolarmente toccante per come mi toccò e mi parlò per tutto il tempo dell'amplesso.

«Ti amo, amore, sempre, profondamente, intensamente. Qualunque cosa succeda. Nulla potrà mai ostacolare questo», ribadì indicando i nostri corpi uniti in uno solo.

Le lacrime fecero capolinea e mi annebbiarono gli occhi già offuscati dal desiderio.

«Ti amo anch'io, più di quanto riesca a dimostrare, e...».

«Shh», mi zittì posando un dito sulle mie labbra dischiuse. «Va bene così, lascia che sia così». E poi, con grande dolcezza asciugò le mie lacrime con le sue labbra calde e rosse per via dei nostri baci.

 

Mi svegliai sotto le carezze delicate di Edward. La sua mano viaggiava sulla mia spina dorsale, causandomi brividi in tutto il corpo, per poi posarsi con la leggerezza di una farfalla sul mio braccio appoggiato al suo petto.

Mugugnai qualcosa di incomprensibile per fargli capire che ero sveglia, senza muovermi di un millimetro.

«Amo svegliarmi con te. Se possibile la mattina sei ancora più bella. E pensare che avremo tanti altri giorni così, tutti i giorni a venire da agosto in poi», mi sussurrò facendomi svegliare del tutto. Le sue parole avevano accesso una lampadina nella mia testa e non di certo una lampadina luminosa, ma tetra con una luce nulla.

Mi sedetti staccandomi dal corpo di Edward con grande fatica. Agitata mi passai una mano tra i capelli mentre con l'altra mi tenevo il lenzuolo a coprirmi il seno in un atto di pudicizia insensato.

Edward bloccò la mia mano che agitata si muoveva tra i miei capelli e appoggiandosi contro la testata del letto mi tirò a sé, facendo combaciare la mia schiena con il suo petto. Appoggiai la testa nell'incavo del suo collo, tutto un tratto esausta.

«C'è qualcosa di cui dobbiamo parlare, Edward». La mia voce suonava disperata e questo fece irrigidire il suo copro. Avvertii la tensione nelle sue braccia avvolte attorno al mio corpo e cercai di farlo rilassare accarezzando la sua mascella.

«Sapevo che qualcosa ti turbava. Ieri, dopo aver parlato con tua madre, un'ombra è calata sui tuoi occhi. Eri così felice di aver finito gli esami, ma dopo sei diventata...triste».

«Mia madre mi ha rivelato qualcosa che mi teneva nascosto per non distogliere la mia attenzione dagli esami. Non c'era nulla di certo fino a due giorni fa». Raccontai della malattia di mio nonno, del perché Renée era andata a Logan da loro mesi fa e infine accennai alla mia decisione di partire per stare vicino a mio nonno e dare una mano.

«Mi dispiace tanto, amore. Comprendo la tua scelta, non ti chiederei mai di non andare dai tuoi nonni». Inconsciamente dovevo sapere che non mi avrebbe mai proposto una cosa simile, ma le mie paure erano altre.

«Lo so, amore, lo so», risposi baciandolo brevemente.

«Ed è altrettanto ovvio che non posso lasciarti sola in questo periodo, quindi verrò con te a Logan. Mi troverò qualcosa da fare! Potremmo iniziare il college lì e rimanerci. In fondo non avevamo un college predestinato,che sognavamo fin da bambini».

«No! No, Edward, no! Togliti dalla testa una simile idea!», esclamai furiosa.

«Cosa?», mi chiese confuso dal mio scatto d'ira.

Mi sedetti di fronte a lui e fissandolo negli occhi gli feci capire esattamente cosa intendevo. «Non ti permetterò di sprecare mesi dietro a me, a Logan! La tua vita è qui, devi iniziare l'università. Non so quando potrò tornare a casa, capisci?!».

«L'unica cosa chiara è che non vuoi che venga con te!», disse irritato.

«NO! Non voglio impedirti di realizzare i tuoi sogni!», urlai tra le lacrime.

«Perché non vuoi capire ciò che è palese?! Il mio sogno sei tu, eri tu, ed è questo che non può cambiare! Non mi interessa perdere i primi semestri, il primo anno, non se questo significa supportarti in un periodo difficile della tua vita!». Le sue mani si chiusero intorno al mio viso, avvicinandomi a lui e catturando i miei occhi, incantandoli con il suo sguardo altrettanto triste.

Scossi la testa afferrando a mia volta il suo viso. «Non posso permettertelo, mi dispiace! Non sai quanto aneli te, sempre, ma non riuscirei a reggere il peso del tuo futuro sulle mie spalle».

«È una mia scelta, Bella, mia e di nessun altro».

«È una scelta di entrambi. In una relazione si decide in due».

«La mia scelta rimane questa, non cambio idea, non questa volta». Volevo offrirgli una via d'uscita, non doveva rinunciare ai suoi desideri per me. Non quando i prossimi mesi erano così incerti. Era tutto una forse, non avevo nulla di sicuro tra le mani. Potevo stare mesi a Logan, come un giorno. E lui doveva proseguire la sua vita.

«Neanch'io», affermò sicuro.

«Ti prego», sussurrai tra le lacrime. «Voglio che tu rimanga qui. Aspettami e arriverò prima che uno dei due senta la mancanza dell'altro». Sapevo che quest'ultima era una bugia, avrei sentito la sua mancanza ogni singola ora di ogni singolo giorno, ma era giusto così.

«Balle», sputò con la mascella contratta.

«Non starò via per sempre, rientrerò, solo non so quando. E questo non è l'unico problema. Laggiù dovrò dedicare tutto il mio tempo ai miei nonni. Non avrò tempo per altro».

«Pensare di lasciarti affrontare un momento così doloroso lontano da me, da noi, mi fa stare male, Bella».

Lo abbracciai di slancio, vedendo nei suoi occhi la consapevolezza che aveva capito il mio punto di vista. «Lo stesso sarà per me, lo sappiamo entrambi. Ma mi sentirò meglio sapendo che tu inizierai il college com'era nei nostri progetti».

«I progetti cambiano», ribadì. Non risposi, mi feci cullare dalle sue braccia e dal suo respiro che si infrangeva contro il mio collo.

Le mie paure non si erano certo eclissate, anzi erano lì, a farsi beffa di me, più prepotenti che mai.

 

Il giorno della partenza arrivò senza che me ne accorgessi. Avevo sfruttato i miei ultimi giorni stando con Edward, passando insieme ogni minuto che ci era concesso.

Mi sembrava di rivivere tutto come se qualcuno avesse schiacciato il tasto replay. Di nuovo avevo preferito che fosse solo Edward ad accompagnarmi all'aeroporto, salutando i nostri amici e i miei genitori con la festicciola che avevano organizzato in mio onore, per darmi un saluto più sentito che mai. Alice, Jazz, Rose ed Emm probabilmente li avrei rivisti tra molti mesi, se non il prossimo anno visto che a breve sarebbero partiti per i rispettivi college. Mi sarebbero mancati, ma mai quanto Edward.

In quel momento, in aeroporto, mi sembrava di tornare a mesi fa, quando per le vacanze natalizie avevo deciso di passare un po' di tempo con i miei nonni. L'unica differenza era che questa volta nessuno sapeva con precisione il mio ritorno, compresa la sottoscritta.

Avevo deciso di portare Rain con me, Edward non avrebbe potuto badarci da solo al college, benché avesse deciso di affittare comunque l'appartamento che avevamo trovato insieme. Non avevo capito subito il suo gesto, finché non mi disse che mi aspettava e per questo voleva mantenere il monolocale, così quando fossi tornata avremo avuto già il nostro posto. Era stato dolce, ma tremendamente triste pensarlo lì, a vivere da solo in attesa di me, che non ero stata in grado di dargli nessuna conferma.

Ed ora eccoci lì, in quel desolato aeroporto che stava diventando il posto che più odiavo. Non volevo piangere, non volevo che l'ultimo momento che passavano insieme per chissà quanto tempo fosse con me in un mare di lacrime. Eppure ciò che mi ero ripromessa di fare non ero stata in grado di portarlo a termine; più ci avvicinavamo al terminal più le mie lacrime aumentavano.

«Ehi, non piangere», bisbigliò asciugandomi le lacrime.

«Non ci riesco», bisbigliai a mia volta affondando il viso nella sua maglietta bianca.

Mai come in quel momento mi ero sentita fragile. È temporaneo, continuavo a urlare nella mia mente, ma il mio cuore vedeva questa lontananza infinita.

Edward aveva lottato fino all'ultimo giorno cercando di convincermi a lasciare che partisse con me. Avevo stretto i denti e non glielo avevo concesso. L'amore non era anche altruismo? Voglia che l'altro si realizzasse?

Chiamarono il mio volo e capii che era l'ora di andare.

«Ti amo, ti amo, ti amo. Non dimenticarlo nei prossimi mesi», gli dissi impaurita da qualcosa che ancora lui non sapeva.

«Non penso possa succedere. E tu non scordarti che ti aspetto, sono qui, qualsiasi misura di tempo tu avessi bisogno. Non andrò avanti senza di te, quando tornerai mi ritroverai allo stesso punto, solo, in tua attesa per poter proseguire il nostro cammino». Annuii e lo baciai, non c'era bisogno di altre parole, la necessità che avevo in quel preciso istante era solo di sentirlo con me, in me. Il calore delle sue labbra, il suo sapore, il suo respiro... Tutto doveva entrarmi dentro e rimanerci per i prossimi mesi, come se in quel momento avessi esalato il mio ultimo respiro e fossi entrata in apnea.

Mi circondò la vita con un braccio, attirandomi a sé, mentre io stringevo il suo collo con le mie fragili braccia.

Non era un addio, era un «a presto».

 

I mesi passavano, vuoti, segnati dalla mancanza di Edward e dal dolore di vedere mio nonno sempre più emaciato a causa delle cure a cui era sottoposto. Odiavo notare quanto poco il male fosse regredito nonostante i due mesi di chemioterapia. Avevo parlato con il medico curante di mio nonno e mi aveva detto che se entro un mese il tumore non fosse regredito il necessario, avrebbe preso misure più estreme combinando chemioterapia e radioterapia insieme. Già una di queste cure demolivano la persona su tutti i fronti, ma insieme erano pressoché distruttive per un uomo di ottant'anni, quindi speravo con tutto il cuore che il mese successivo sarebbe stato meglio.

Ogni giorno era la stessa routine: mi alzavo, portavo fuori Rain e poi accompagnavo i miei nonni all'ospedale per la chemioterapia. Era distruttivo vedere una persona che si ama trasformarsi nella sua ombra, perdere quello sguardo brillante e pieno di vita per trasformarsi in esausto e privo di voglia di andare avanti. Non sapevo a cosa andavo incontro venendo ad assistere mio nonno in un male che colpiva così tante persone eppure che mi era stato distante in tutta la mia breve esistenza. Lo avevo scoperto lì, guardando una persona cara diventare sempre più debole, perdere le forze, e sentirsi incapaci di fare qualcosa, persino alleviare minimamente le sue pene.

Un mese dopo arrivò la prima bella notizia da troppo tempo. Il male stava regredendo molto più velocemente di quanto ci aspettassimo e quindi le misure estreme non sarebbero state prese.

Eravamo a inizio ottobre e la mancanza di Edward si faceva sentire con sempre più insistenza. Ci sentivamo spesso, quasi ogni giorno, quando ci era possibile e le mie paura si erano fatte sempre più vive.

Temevo che si scordasse del nostro amore, che la vita universitaria affrontata da solo lo cambiasse e che facesse nuove conoscenze... femminili. Erano mesi che non ci vedevamo, lui spesso insisteva nel voler venire a trovarmi, ma poi subentrava sempre qualche imprevisto.

Mi fidavo di Edward più di chiunque altro, ma le paure erano irrazionali e non potevo controllarle. In mesi di lontananza ci si poteva accorgere di milioni di cose, magari l'assenza di qualcosa nel nostro rapporto, o la voglia di libertà...

Poi riemergevo da questi pensieri cupi e ritornavo alla ragione: mancavo a Edward, mi amava e le mie paure non dovevano farmi impazzire.

Quella sera scesi a cena dopo una lunga doccia calda e iniziai ad aiutare mia nonna ad apparecchiare.

«Tesoro, perché stasera non esci un po' con Jason e la sua ragazza? Sono settimane che cerca di convincerti ad uscire un po' da questa casa, sembri segregata con noi», scherzò mia nonna per convincermi ad accettare l'invito.

«Non ne ho molta voglia, scusa, nonna», risposi sorridendo tristemente.

«Jason non accetterà un altro rifiuto!».

«Invece dovrà», mi intestardii. La mia serata prevedeva una lunga telefonata con Edward.

«Vedremo», dichiarò la nonna. E infatti quella sera non riuscii ad averla vinta con loro due alleati e Jason riuscì a trascinarmi in un pub in compagnia della sua ragazza di nome Tracy. Li guardavo, innamorati e spensierati, e la solitudine si fece più prepotente che mai. Avevo bisogno di sentire l'unica persona al mondo che in quel momento volevo avere vicino.

«Scusate, torno subito», dissi loro uscendo dal pub per chiamare Edward senza tutto quel frastuono.

Attesi in linea. Andiamo, rispondi, pregai silenziosamente. Il cellulare squillò invano e riprovai a chiamarlo con lo stesso risultato precedente: non rispondeva.

Sentii il mio viso bagnato e portai una mano sulle guance capendo di aver iniziato a piangere appena uscita dal locale.

Stavo male. Mi sentivo sola. Vedevo mio nonno lottare e stare male, non avevo nessuno con cui parlarne qui tranne Jason, il quale vedevo molto poco per via del suo lavoro. Le mie amiche erano lontane e avevano già i loro problemi. I miei genitori non potevano sapere quanto fosse pesante quella mia scelta, oppure mi avrebbero chiesto di tornare a casa. Non sapevo con chi confidarmi e in parte non ne avevo neanche la forza. Tendevo ad evitare di caricare Edward delle mie paure, era lontano e non volevo capisse quanto soffrivo silenziosamente. Tutto mi stava consumando da dentro.

Prima di addormentarmi decisi di inviargli un messaggio. Si vociferava che nel dormiveglia si riusciva a tirare fuori il meglio di sé, mille pensieri che poi scomparivano una volta catturati dalle braccia di Morfeo.

 

Non so neanch'io perché risulta più facile scrivere qualcosa piuttosto che dirla a voce, eppure è così. Ho provato a chiamarti, ma non hai risposto, probabilmente a causa del fuso orario, così ho deciso di provare a scriverti, a dirti come realmente stanno le cose, perché sì, Edward, in questi mesi ho mentito a me stessa, ho mentito a te, a tutti. La realtà è che non sto bene, nulla va bene.

Ho così tanti timori, mille paura che si affollano nella mia mente e che non riesco a scacciare.

Quando ho deciso di venire a Logan non credevo sarebbe stata così dura. Tanto meno quando ho insistito per farti restare a Savannah, com'era giusto.

Nonno sta male e io sono qui a guardare una delle persone che amo di più soffrire senza poter muovere un dito. Non ero, anzi, non sono pronta a tutto questo. Non sono pronta a guardare in faccia la morte, non sono pronta a guardare mio nonno incamminarsi verso la fine senza poter fare nulla. Su cosa posso riversare la mia rabbia per questa ingiustizia? Perché lo è, è ingiusta la morte, è ingiusto che sia toccato a mio nonno. Non riesco ad accettarlo. Ma, alla fine, la vita è mai giusta? Non c'è nulla di giusto in tutto questo, nella mia vita, ora.

Tu, la mia ancora di salvezza, non sei qui e non so se riuscirò ad andare avanti, non riuscirò a reggere ancora molto a tutta questa pressione. Non te ne sto facendo una colpa, so che volevi esserci, ma è stato meglio così, tu dovevi andare al college. Eppure ho paura, una terribile ansia che mi attanaglia lo stomaco. Continuo a pensare che siamo lontani, che tu stai vivendo esperienze che ti cambiano da dentro, anche se non te ne accorgi, e io non sono con te. Ho una fottuta paura di perderti. Cosa farei senza di te? Nulla, perché senza te non sono nulla. Ho così bisogno di te, di sentirti al mio fianco, di baciarti e fare l'amore con te tutto il giorno. Mi sento sola e persa. Questi sono stati i mesi più lunghi della mia vita e pensare che ne verranno ancora altri, più duri di questi, non mi aiuta.

Ti amo, Edward, e ho paura che prima o poi scomparirai. Il mio amore sarà abbastanza per te? Ti farà superare questi mesi di lontananza? Ma forse sarebbe meglio che questa domanda me la facessi io: sono in grado di sopportare ancora mesi lontano da te? Non credo di farcela, anzi ne sono certa.

Ti starai chiedendo perché ti dico tutto questo ora e non so neanch'io che risposta darti. Avevo bisogno di sfogarmi con qualcuno e... sei tu, l'unico che mi fa stare meglio, per cui una parola mi fa salire in paradiso. Ho bisogno della tua speranza, che tu mi dica che nulla è perduto. Ho solo bisogno... di te, nient'altro.

Ho paura che qualcuno possa allontanarti da me. Ho paura che la tua vita cambi senza io che io abbia ricavato uno spazio tutto mio. Ho paura che incontrerai qualcuno che può starti fisicamente affianco in questo momento in cui la tua vita è cambiata, che ti supporti come io non sono in grado di fare da qui. Ho paura di perdere te, in tutto e per tutto. Non sopravviverei, Edward, non riuscirei ad andare avanti con la mia vita senza il tuo amore, senza la tua presenza fissa.

Forse sono egoista a dirti queste cose, ora, dopo che io stessa ho lottato così tanto per tenerti lontano da qui. Però mi sento così sola, smarrita, terrorizzata dalle lancette che corrono veloci e segnano il tempo in cui siamo lontani, che porta con sé un peso sempre maggiore da sostenere.

Dove dirtelo, dovevo smettere di mentire. Hai il diritto di sapere che io sono sincera con te. E questa è la verità Edward: non sto bene, senza di te sento l'abisso che si è aperto mesi fa divorarmi sempre di più senza che io abbia nulla per aggrapparmi e uscirne.

Ti amo e mi manchi.

 

Dopodiché inviai il messaggio e mi addormentai tra le lacrime, stravolta e svuotata di ogni parola. Forse avevo sbagliato a sfogarmi con Edward e caricarlo di tutti i miei problemi e le mie paura.

 

Il giorno dopo arrivò in fretta e la notizia che non avrei mai voluto sentire mi raggiunse fino a Logan. Una telefonata. Bastava una telefonata per fare delle scelte e prendere coscienza della tua vita e dei tuoi bisogni.



 

Hi, guys ;)

Precisazioni: il titolo è preso dalla famosa canzone degli Aerosmith, anch'essa canzone molto azzeccata per il capitolo.

Sì, sono di nuovo in ritardo e mi dispiace molto, so che ogni volta mi metto a scusarmi, ma la sessione di esami mi ha portato via più tempo del previsto.

Questo è il penultimo capitolo, il prossimo è già in fase di scrittura, quindi posterò presto per portare avanti l'altra mia storia e scriverne magari di nuove ;)

Detto questo, non uccidetemi per questo capitolo ç.ç Ho stravolto tutto prima dell'epilogo, ma l'ho pensato così e non ho voluto cambiarlo ora.

Ho notato che le visite e le recensioni sono calate, mi dispiace tanto visto che questa storia è volta al termine e proprio gli ultimi capitoli sono calati. Mi sono chiesta dove avessi sbagliato o se avessi fatto passi indietro confronto all'inizio... Forse i miei continui ritardi hanno contribuito xD

Coooomunque, grazie a tutti quelli che continuano a leggere questa storiella <3 Un ringraziamento particolare a Tea che mi è stata di grande aiuto con i suoi consigli e l prezioso aiuto nella stesura del messaggio di Bella <3

Non dico più nulla sul capitolo, altrimenti scrivo altre note lunghe quanto il capitolo xD

Gruppo Fb gestito con un'amica, dove non parliamo solo delle nostre storie ;)

A prestissimo :*

Jess

Ps Lu, hai visto? ù.ù Ancora interi e “insieme”! ù.ù

Pps finisco ora di rispondere alle scorse recensioni, grazie ancora <3

   
 
Leggi le 13 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: Vanderbilt