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Autore: Morwen_Eledhwen    19/02/2013    6 recensioni
E se le cose fossero andate diversamente?
Storia ambientata durante e dopo la battaglia alla barricata, con un nuovo personaggio (che, diciamolo, ha una pesante cotta per Enjolras): Angèle, che si reca alla barricata in cerca di Éponine.
Gli si avvicinò e quella fastidiosa sensazione di inferiorità si impossessò di lei come tutte le volte in cui aveva assistito ai suoi pedanti comizi: si sentiva inutile in quella rivoluzione, inutile per il popolo francese, inutile per il povero Gavroche. Enjolras, invece, pareva un angelo portatore di salvezza.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Enjolras, Grantaire, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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III. Everyone’s Equal When They’re Dead

 


Javert stava ispezionando meticolosamente ogni angolo dell’angusta zona in cui la rivoluzione era stata soffocata nel sangue. Spingeva con forza ogni porta o finestra che trovava per assicurarsi che fosse chiusa e che non fosse stata usata come via di fuga, e dietro di lui altri cinque soldati lo imitavano, affrettandosi come cani da caccia che inseguono, con l’aiuto del proprio fiuto, la selvaggina che fugge illudendosi di poter scampare alla morte.
Giunto all’ultima porta, stava già per arrendersi, quando qualcosa attirò la sua attenzione: ai suoi piedi, sul selciato infangato, vi era una grata di ferro e, poco più in là, una grossa apertura circolare alla base del muro lasciava intravedere il profondo buio di un condotto fognario. Javert si chinò, facendo attenzione a non sporcarsi troppo i pantaloni della divisa, ma non riuscì a scorgere nulla in quelle tenebre minacciose.
«Credete che sia fuggito da lì?», chiese un soldato alle sue spalle.
«È assurdo, ne uscirebbe ricoperto di escrementi», disse un altro con aria divertita.
«O vi annegherebbe, addirittura», aggiunse un altro ridendo.
«Puah, impossibile».
«Disgustoso!».
Javert, ancora chinato, fece un respiro profondo prima di rispondere seccamente: «È evidente che si è infilato lì dentro». Cosa credevano? Che tra la morte e le feci avrebbe scelto la prima?
Si alzò e, senza degnarli di uno sguardo, si allontanò per dirigersi verso la barricata.
«Dove andate?».
«A sorprendere Jean Valjean. So dove conduce quel canale: prima o poi dovrà uscire ed io sarò là ad attenderlo».
I soldati lo seguirono scambiandosi occhiate dubbiose.
«Perché vi interessa tanto prendere quell’uomo?», azzardò uno di loro, mentre attraversavano la barricata e si allontanavano lungo la via, lasciandosi alle spalle quel luogo infelice.
«Perché dovrebbe già essere dietro le sbarre e questa volta non mi sfuggirà», disse in tono sbrigativo, senza aggiungere altro.
Non aveva voglia di spiegare perché e da quanto tempo lo cercasse. Non aveva voglia di spiegare come quell’uomo fosse riuscito a sfuggire a lui, che non aveva mai fallito nel difficile compito di far rispettare la legge e che era sempre riuscito a consegnare i criminali alla giustizia. E soprattutto non aveva voglia di spiegare ai soldati di come il suo tentativo di rovinare i piani di quei ragazzini esaltati fosse fallito per colpa di un bambino e di come Jean Valjean gli avesse donato la vita e la libertà, quando gli altri l’avrebbero sicuramente mandato al Creatore. L’avrebbero ammazzato perché sarebbe stato giusto così. Anche lui, se fosse stato dalla loro parte, l’avrebbe fatto. E invece Valjean l’aveva lasciato andare. Aveva lasciato andare il suo peggior nemico quando ce l’aveva in pugno! Perché? Javert non riusciva a spiegarselo. E non voleva pensarci.
Una voce lontana lo risvegliò dai suoi fitti pensieri.
«Ho bisogno dei miei uomini, ispettore! Ci sono cadaveri da spostare!».
Era il generale che, dalla barricata, stava correndo nella loro direzione.
«Va bene, riprendeteveli. Andrò da solo».
Javert lasciò i soldati al generale e proseguì.
Mentre camminava con passo pesante, si ritrovò a pensare di nuovo a Jean Valjean. Gli tornò in mente l’espressione di quell’uomo mentre lo slegava, gli intimava di andarsene e gli comunicava persino il suo indirizzo perché potesse andare ad arrestarlo nel caso sopravvivesse alla battaglia. Non v’era traccia di rancore in quello sguardo. Non odio, non sete di vendetta. Solo profonda umanità. Perché?
Javert si ritrovò a pensare che quello sguardo, che riusciva ancora a vedere chiaramente nella sua testa, non fosse lo sguardo di un criminale. Assurdo!
Senza rendersene conto, dopo aver svoltato l’angolo si era fermato. Era immobile in mezzo alla via deserta, solo con i suoi pensieri. Si guardò un attimo intorno e poi, incapace di spiegarsi perché, le sue gambe lo riportarono verso la barricata, costringendolo ad abbandonare ogni proposito di catturare Jean Valjean.
Stava ricambiando il gesto del suo nemico: gli stava donando a sua volta la libertà. Perché?
 
Tornato in quel luogo di morte, storse il naso all’idea di aiutare i soldati a spostare i cadaveri, ma decise che gli sarebbe stato utile per dimenticarsi dell’uomo che stava rendendo la sua mente un inferno.
Giunto nei pressi della taverna, notò un certo scompiglio tra alcuni soldati: stavano puntando i fucili verso qualcuno che lui non riusciva a vedere. Si avvicinò e riuscì a scorgere in lontananza tre persone addossate ad una porta: tra loro riconobbe il ragazzo che aveva guidato la rivoluzione e che lo aveva consegnato nelle mani di Jean Valjean perché lo uccidesse. Anche da lontano poteva notare quello sguardo risoluto che lo contraddistingueva. Come mai era ancora vivo? Javert provò una punta di disprezzo per quel giovane, ma poi si ricordò della sincera passione con cui aveva capitanato la rivolta, consapevole di tutti i rischi che ciò avrebbe comportato.
«Sparo o non sparo?», chiese un soldato.
«Spara!», rispose un altro.
«Ma c’è una donna tra loro!».
«Spariamo lo stesso», intervenne il generale.
Javert strinse gli occhi per vedere meglio ed effettivamente notò una giovane donna vestita di porpora, che un ragazzo dai neri capelli scarmigliati stava tentando di proteggere.
Poi i soldati spararono ed il giovane leader della rivoluzione cadde a terra, pagando le conseguenze di tutte le sue azioni. Gli altri due che lo accompagnavano, tuttavia, erano spariti e, quando risuonarono altri colpi di fucile, anche il corpo del ragazzo biondo era sparito all’interno dell’abitazione.
Javert si precipitò verso la porta insieme agli altri soldati e, udendo il pianto di un bambino provenire dall’interno, fece cenno ai soldati di abbassare i fucili. Decise di sfoggiare le capacità persuasive che richiedeva la sua professione e che lui aveva esercitato con tanto zelo ed iniziò a battere sulla porta, minacciando di abbatterla.
L’idea funzionò, perché poco dopo apparve sulla soglia una donna che doveva avere tra i trenta e i quarant’anni.
«Sono scappati dall’altra porta», disse con voce tremante.
«Giuro che non li conosco», mentì dopo alcuni secondi, abbassando la testa di fronte allo sguardo indagatore dell’ispettore.
Javert, insieme al generale, ispezionò l’abitazione e l’unico essere umano che trovò fu il bambino che piangeva in un cesto che fungeva da culla.
 
Pochi minuti dopo, Javert entrava a passi lenti nella taverna che era stata teatro di tanti orrori. I muri parevano grandi tele dipinte con secchiate di colore rosso e sul pavimento, in mezzo a pezzi di legno, frammenti di vetro e polvere, erano stati allineati i corpi dei ragazzi della barricata: alcuni avevano gli occhi spalancati, altri parevano addormentati. Non ve n’era uno che non fosse sporco di sangue.
La farsa era finita: quei giovani avevano versato il proprio sangue e gettato via la vita che avevano davanti, in nome di un ideale che non avrebbe mai potuto diventare realtà. Erano morti in nome di un’utopia.
In mezzo ai corpi, Javert ne scorse uno che era molto più piccolo degli altri. Si avvicinò e riconobbe il bambino che aveva rivelato la sua identità ai ragazzi della barricata, condannandolo a morte certa se non fosse intervenuto Jean Valjean. Javert, tuttavia, non provava alcun rancore per quella piccola creatura.
Osservò quel piccolo viso ormai raggiunto dal pallore della morte, incorniciato da sporchissimi capelli color paglia e con gli occhi color oceano sbarrati e privi di vita.
Javert non piangeva mai e di rado si commuoveva, ma in quel momento sentì una stretta al cuore.
Era così piccolo. Era solo un bambino. Avrebbe potuto essere quel figlio che non aveva mai avuto. Avrebbe potuto essere quel figlio che, ancora nel ventre della madre, gli era stato tolto.
Nella sua mente si formò il volto di una donna, una donna che lui aveva amato con tutto se stesso. Si erano amati di nascosto, lontani dagli sguardi malvagi della società e lontani dal mondo, perché i genitori di lei, che appartenevano ad una banda di malviventi, non l’avrebbero mai permesso. Ma lui le aveva promesso che l’avrebbe portata via da loro, che l’avrebbe salvata da quella vita infame. E, quando aveva tentato di farlo, l’avevano quasi ammazzato, portandosela via per sempre. Da quel momento non l’aveva mai più rivista. Erano passati forse una ventina d’anni... Non ricordava nemmeno più quanti.
Poi il volto della donna scomparve e ciò che gli rimase davanti agli occhi fu quel piccolo corpo inerte.
Come avevano potuto dei genitori permettere che loro figlio, così giovane, morisse combattendo su una barricata?
Con un gesto molto lento, si staccò una medaglia che aveva al petto e l’appuntò sulla piccola casacca del bambino, per poi alzarsi con una voce infantile che gli riecheggiava nella testa. Quella voce canticchiava un motivo che Javert aveva sentito da quello stesso bambino mentre i ragazzi preparavano la barricata:

La verità dell’uguaglianza è che tutti sono uguali quando sono morti.

 
 
Angèle camminava con passo svelto per le viuzze del quartiere, seguita da Grantaire che, con evidente difficoltà, trasportava il corpo di Enjolras su una spalla. Ogni tre passi la giovane si guardava intorno, assicurandosi che non comparissero soldati decisi a farli fuori.
«Fermo, così ci troveranno subito!», disse Angèle lanciando un’occhiata allarmata dietro di sè.
Grantaire, con il volto bagnato di sudore, la guardò con un’espressione interrogativa.
«Stiamo lasciando una scia di sangue!», disse indicando le macchie rosse che avevano decorato il marciapiede.
«Senti», iniziò Grantaire, «è già tanto che io riesca a trasportarlo. Ho un mal di testa insopportabile e mi sto fracassando una spalla».
«Potevi fare a meno di scolarti tutto quel vino», lo rimproverò lei, mentre lo spingeva sotto un porticato, dove lo costrinse ad adagiare Enjolras sul pavimento di pietra. Mentre Grantaire si massaggiava la spalla assumendo un’espressione sofferente, Angèle si strappò un lembo del lungo vestito che era costato tanti soldi a Madame de Lamartine e lo utilizzò per fasciare alla bell’e meglio la spalla di Enjolras, il quale manteneva gli occhi serrati e non dava segni di vita.
Angèle si morse il labbro, temendo il peggio. Ma anche in quella terribile situazione il volto del giovane pareva quello di un angelo addormentato.
«Forza, andiamocene», la incalzò Grantaire, notando che la ragazza tergiversava osservando il corpo inerte dell’amico.
Se lo rimise in spalla e i due ripresero il cammino, sempre cauti e ben attenti a non incontrare soldati sul loro cammino.
«Quanto manca?».
«Non è lontano, ci siamo quasi», rispose lei, facendogli cenno di seguirla in uno stretto vicolo sporco.
«Spero che tu abbia ragione, perché non so se resisterò ancora per molto».
«E non so se lui ce la farà», aggiunse preoccupato.
Angèle fece un respiro profondo per scacciare quel timore, mentre accelerava il passo.
Svoltarono in un altro vicolo, poi in un altro ed un altro ancora, finché Angèle non si fermò davanti ad una porta di legno sverniciato, tirò fuori una chiave e la infilò nel buco della serratura.
Erano giunti agli alloggi di Madame de Lamartine: davanti a loro si trovava un piccolo atrio illuminato solamente dalla fioca luce che penetrava da una finestrella e, poco più avanti, l’inizio di una rampa di scale.
«La mia stanza è al secondo piano».
«Oh no, anche le scale... Non ce la farò mai», disse Grantaire sconsolato.
«Forza, ti aiuto io».
Angèle si avvicinò a Grantaire e tentò di sollevare anche lei il corpo, in modo da diminuire un po’ il peso che la spalla di Grantaire doveva sostenere.
Era davvero pesante.
«Non ce la faremo mai».
«Avanti, dobbiamo farcela».
Dopo una lunga fatica e numerosi gemiti di dolore, i due erano quasi giunti all’ultimo gradino.
«Cos’è tutto questo trambusto?», chiese una voce.
Grantaire alzò lo sguardo e vide un volto di donna che faceva capolino dalla ringhiera del piano di sopra e guardava giù nella tromba delle scale.
«Sono io, Angèle...», disse lei esitando. Come poteva spiegare a Madame de Lamartine che stava portando quello che era quasi un cadavere in camera sua?
Dopo alcuni secondi apparve sulla rampa di scale una signora molto grossa, col viso tondo, il naso aquilino e i capelli scuri raccolti in uno chignon.
«Che state facendo?», chiese sospettosa, «Ti ho sempre detto niente uomini qui. Andate a fare le vostre zozzerie da un’altra parte».
Poi, avvicinandosi, si accorse del corpo inerte che Grantaire stava trasportando.
«Oh, mon dieu!», esclamò la donna spaventata.
«Che è successo a quel ragazzo?».
Intanto Angèle aveva aperto la porta della propria stanza e stava spingendovi dentro Grantaire con il suo fardello, indicandogli il letto.
«Distendilo lì, io vado a chiamare un dottore».
«Sbrigati», l’esortò Grantaire.
«Allora?», insistette la signora, irritata dal modo in cui i due sembravano ignorarla.
«È stato ferito alle barricate», spiegò Angèle di fretta, «ora devo correre a chiamare un medico».
Si stava precipitando fuori dalla stanza, ma Madame de Lamartine l’afferrò per un braccio.
«E come pensi di pagare il medico, signorina io-salvo-i-feriti-delle-barricate? Dimentichi che non hai il becco di un quattrino».
Angèle deglutì.
«Troverò un modo». Non poteva lasciarlo morire. Non poteva.



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Come avrete notato, questo capitolo è più lungo e purtroppo stavolta, per colpa di Javert (sempre colpa sua!), ho parlato poco di Enjolras. Ma prometto che tornerà al centro della storia (insieme ad Angèle, ovviamente)! Dite che riuscirà a sopravvivere?
Oh voi che passate di qui per caso, che leggete silenziosi, apprezzando o aborrendo tale follia che sta uscendo dalla mia mente... concedetemi un attimino del vostro tempo per lasciare una piccola recensione, ve ne sarei molto grata! Ho bisogno di sapere se ci sono cose che andrebbero migliorate ;)
Ancora un grazie alle temerarie Chemical Lady e BlueSapphire!

  
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