Autore: Libra Prongs
Titolo: Come cadere
Fandom: Harry Potter
Personaggi: Lily Evans, James Potter, Remus Lupin, Sirius Black, Un po' tutti
Coppie: James/Lily; Remus/Sirius; Sirius/Marlene
Generi: Romantico, Sentimentale, Introspettivo
Avvertimenti: //
Tipologia : Long-fiction
Rating: Giallo
Prologo
***
Sirius Black non era mai stato così serio. La notizia dell’incursione dei Mangiamorte a Hogsmeade aveva definitivamente spezzato quella linea di confine fragile, eppure apparentemente indistruttibile, che rendeva Hogwarts in qualche modo impermeabile agli avvenimenti sconvolgenti del mondo là fuori. Il fatto, poi, che fosse accaduto in un giorno in cui gli studenti erano nel villaggio per il consueto sabato di fine Gennaio, aveva alimentato il panico nei ragazzi e nel corpo docente; cosicché il professor Silente, senza tuttavia tradire il turbamento che inevitabilmente si era fatto strada anche nel suo animo placido, si era visto costretto a stabilire l’ufficiale sospensione delle visite a Hogsmeade.
«Mi rammarico fortemente per quanto accaduto e, sebbene sia ragionevolmente certo di potervi rassicurare sul fatto che sia stato, ahimè, un omicidio premeditato, non posso escludere l’eventualità che i simpatici sgherri del signor Riddle organizzino una nuova capatina a Hogsmeade. Pertanto, devo chiedervi di non insultarmi troppo per la sospensione a tempo indeterminato delle visite al villaggio. Oggi è stato molto, molto difficile per i vostri insegnati riuscire a riacciuffarvi tutti in breve tempo e condurvi al sicuro. Confido nel vostro senso di responsabilità e vi auguro buona cena» aveva annunciato, prima di sedere al tavolo degli insegnanti e immergersi in una fitta conversazione con la professoressa McGranitt.
Gli studenti non avevano protestato — eccezion fatta per qualche versaccio di scherno in zona Serpeverde — e si erano lanciati sui vassoi da portata con insolita tranquillità.
In fondo al lungo tavolo di Grifondoro, Sirius Black fissava con astio il tacchino arrosto.
«Fottuti coglioni. Stronzi. La conoscevo, sapete?» sputò fuori ad un tratto, infilzando la carne con inutile ferocia.
«La Alderton, dici?» domandò Remus, le occhiaie da post plenilunio particolarmente accentuate.
Sirius annuì. «Era diversa da… be’, da mia madre, per esempio. Non si dava arie da Purosangue del cazzo».
«Infatti temo l’abbiano fatta fuori per questo» si intromise Frank. «So che stava nascondendo intere famiglie di Nati Babbani!»
«Sì, anch’io l’ho sentito» confermò Peter, «gran coraggio…»
«E pensare che Lily era esattamente dietro di lei prima che uscisse» osservò Remus, giocherellando con del pane. «Penso sia molto scossa…»
«Tra l’altro non la vedo, non è con le altre» bisbigliò Frank, accennando alle ragazze — Alice, Mary e Dorcas, poco distanti, parlottavano animatamente, ma di Lily non c’era traccia.
«Ne sai qualcosa tu?» chiese Sirius a un assente James Potter, ma non ricevette risposta. Il ragazzo masticava meccanicamente senza prestare molta attenzione alla conversazione degli amici. Non riusciva a togliersi dalla testa l’espressione atterrita di Evans, quegli occhi smarriti e sul punto di riempirsi di lacrime. L’aveva vista immobile, a pochi metri dal corpo esanime di quella donna, le braccia abbandonate lungo i fianchi, lasciarsi travolgere dalla frotta di studenti che si precipitavano verso il pub esortati dai professori. L’aveva vista barcollare e allora aveva corso, controcorrente, aveva afferrato la sua mano fredda e tremante per condurla al sicuro. E poi era arrivata Mary, che le aveva allacciato le braccia al collo portandola ancora lontano da lui. Aveva avuto paura James, aveva avuto paura per Lily. Una paura strana, che si era dipanata dallo stomaco alla punta dei piedi e l’aveva spinto a correre anche se il Mangiamorte era sparito, perché gli aveva fatto credere, per un solo orribile istante, che la figura esile che era caduta sulla neve immacolata fosse lei. Lily. Lily, che aveva visto distintamente in procinto di uscire dal locale per poi cedere il passo a quella donna graziosa che sembrava andare di fretta. Lily, che, malgrado la tesi di Silente sull’omicidio premeditato e mirato, sarebbe potuta morire per l’errore imperdonabile di una maledizione scagliata troppo in fretta.
«Mi serve la Mappa». James scavalcò con impeto improvviso la panca, facendo traballare le stoviglie sul tavolo.
«La Mappa? Adesso, Jim?»
«Evans. Devo… vado a cercarla».
L’occhiata eloquente di James fu più che sufficiente. Remus alzò le spalle ed estrasse dal mantello la pergamena ripiegata, che a turno i Malandrini tenevano con sé, consegnandola all’amico.
«Se sta bene approfittane per una scopata, mi raccomando» scherzò Sirius, in un tentativo di sdrammatizzare che fece sorridere stancamente James.
Il silenzio tetro che seguì quando quello si fu allontanato tornò a riempirsi dei soli tintinnii delle forchette.
***
Lily Evans era un puntino perfettamente rotondo, l’unico immobile tra le due linee parallele che rappresentavano il corridoio Ovest del quarto piano, sulla Mappa del Malandrino. Il cartiglio che troneggiava su quell’inezia d’inchiostro magico recava il nome della ragazza in caratteri elaborati. James trasse un sospiro pesante, ma decisamente sollevato. Accarezzò l’idea di indossare il Mantello dell’Invisibilità, ma l’abbandonò subito. Voleva vederla — voleva essere visto da lei.
***
Aveva ripreso a fioccare. La neve scendeva lenta, oltre il vetro, quasi a voler coprire di un manto candido le macchie della morte. Era vano, tutto era vano. Tutto finiva con l’insudiciarsi. Gli stivali nuovi si infangavano dopo la prima pioggia; la neve si tingeva del cremisi del sangue di troppi innocenti; il cielo terso s’incupiva e ovunque aleggiava spavaldo, minaccioso, agghiacciante, il Marchio Nero che annunciava morte.
Lily non piangeva più. In compenso, la testa poggiata scomodamente sulle ginocchia piegate, era scossa da forti brividi a cui non badava. La testa dolorante le si era improvvisamente svuotata e tutto quello di cui aveva bisogno era un letto comodo, il letto del suo dormitorio, troppo lontano da raggiungere. La sfiorò il pensiero che avrebbe raggiunto più in fretta il letto di morte, visti gli ultimi avvenimenti. Fu sorpresa quando si sentì ridere — una risata fredda, senza allegria. Poi una mano le sfiorò la spalla.
«Cosa vuoi» sussurrò, senza nemmeno voltarsi.
«Sapere come stai».
Un momento dopo, Potter le stava accarezzando i capelli. Sapeva che era lui, aveva riconosciuto la sua voce — forse, prima ancora, il suo profumo — e avrebbe solo voluto dirgli di andarsene. Non avevano mai avuto niente in comune, oltre ad un reciproco astio maturato negli anni e sfociato in una complicità inattesa e inappropriata, e Potter era la persona meno adatta ad affiancarla in quella situazione. Soprattutto perché era Potter e sintetizzava in un paio di vispi occhi scuri e in un corpo snello e discretamente muscoloso tutto quello che Lily rifuggiva: arroganza, ostinazione, egocentrismo (intelligenza, coraggio, giustizia: non aveva dimenticato come Potter avesse difeso in più occasioni dei ragazzini “Mezzosangue” dalle minacce di alcuni Serpeverde del sesto, ma era un dettaglio che naufragava nell’oceano di irritazione che Potter le suscitava).
Lily, però, chiuse gli occhi a quel tocco. Non aveva la forza di mentire, neppure a James.
«Male. Non ho voglia di parlare».
«Nemmeno io» ribatté lui. Lo vide sedersi accanto a lei, senza una parola, e guardarla guardare fuori.
Per la prima volta da quando era lì, Lily avvertì l’esigenza di asciugare le lacrime, ormai secche sulle guance, e James sorrise. Non comprendeva il motivo che lo avesse spinto a raggiungerla — nel mezzo della cena, a giudicare dall’ora — e non intendeva fare in modo che restasse. Ma la sua presenza, incredibilmente, non la seccava. Solo, la incuriosiva, e la indusse a fissarlo interrogativa, facendole dimenticare per un attimo le preoccupazioni.
«Allora non capisco perché sei qui».
«Per guardarti».
«Per—»
James annuì, poggiando la schiena contro il vano dell’enorme finestra. Il chiarore della luna filtrava attraverso la vetrata colorata, proiettando sul viso del ragazzo bagliori verdi e azzurri. Lily abbassò lo sguardo e lo sentì ridere e farsi più vicino. Istintivamente indietreggiò, cozzando con la nuca contro la parete. Lo sguardo le cadde sulle sue nocche spigolose, sulla pelle chiara del dorso della mano. E lo seppe.
«Sei stato tu, vero?»
«Cosa?»
«Oggi, sei stato tu a trascinarmi nel pub. Mi hai preso… per mano».
Nell’istante in cui le parole vennero fuori, Lily era già certa della risposta. Non dovette attendere la conferma dell’esitante cenno del mento di James. In fondo l’aveva sempre saputo, anche molte ore prima, che la mano che aveva afferrato la sua fosse quella calda, avvolgente di Potter.
«Avresti dovuto mangiare qualcosa, Evans».
«Avevi detto che avresti taciuto, Potter».
«Lo sai che dico un sacco di stronzate».
E Lily rise piano, poi sempre più forte, e poi fu come piangere.
Pianse. Le lacrime sgorgarono senza chiedere il permesso, copiose, liberatorie, salate. James schiuse le labbra, impacciato, le richiuse. Lily si chiese come mai piangere in sua presenza la facesse sentire meglio di quando l’aveva fatto da sola. La risposta giunse quando si ritrovò con le guance strette tra il maglione e il collo di James e il tepore delle sue mani — ancora incredibilmente calde — le si propagò fin dentro le vertebre. Restò immobile, senza più il coraggio di respirare e ascoltò il cuore di Potter tamburellare con insistenza, quasi premesse per uscire fuori. Chissà se anche il suo, di cuore, batteva così forte. Chissà se lui lo sentiva, chissà che pensava…
«Ho avuto paura per te, oggi».
La voce di James si era incrinata lievemente sul ‘te’, e sul ‘te’ qualcosa nella pancia di Lily aveva spiccato il volo. L’aveva osservato — la mascella leggermente spruzzata di barba, il naso dritto, le ciglia nere, nessuna traccia del Potter detestabile dietro lo sguardo occhialuto. Aveva sentito il sangue imporporarle le guance — sangue sporco. Il sangue di James invece era così pulito, impeccabile, puro…
E poi era stato come cadere.
Nella consapevolezza dell’errore che aveva commesso senza volerlo, nel terrore delle conseguenze che ciò avrebbe comportato, nella morsa che stava trascinando entrambi alla deriva.
Nel calore accogliente della bocca di James.
«Non—»
«Scusami, io…»
Ed era così buio, buio, buio.
«Non possiamo, noi…»
Ed era così stupido, stupido, stupido.
«Infatti non possiamo, dobbiamo».
E gli occhi di James erano le nuvole che oscuravano la luna, le sue labbra il sapore dell’amara certezza. Il suo respiro sul viso di Lily era pura follia.
«È sbagliato» tentò Lily, incapace di evitare di indulgere alle carezze che le elargiva quella bocca, così sbagliata, così sbagliata sopra la sua.
«Tu… non… capisci» soffiò lui, quella bocca ovunque sul viso di lei, che gemette.
E poi fu silenzio, quello eloquente, sofferto, pieno di tutto.
Fu come cadere, precipitare. Nelle sue braccia, sulle sue labbra, dentro il suo stesso sangue bollente, vivo. Lily si lasciò dilaniare, riempire, risvoltare, scandagliare, piegare, accarezzare, ripulire l’anima dalla bocca di James. E ritornò a respirare, poi, insieme a lui. Lui.
La superficie ghiacciata del Lago Nero non era mai stata più luminosa.