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Autore: Smeralda Elesar    20/02/2013    3 recensioni
Questa fiction è una What-if incentrata sul personaggio dell'Ispettore Javert subito dopo la sua decisione di lasciare libero Jean Valjean, dopo che questi gli aveva salvato la vita alle barricate. Ne "les Miserables" il Libro Secondo della parte quinta si conclude con il suicidio dell'Ispettore di polizia, questa fiction è un ipotetico terzo libro in cui si racconta cosa avrebbe fatto Javert se le sue riflessioni non lo avessero spinto a gettarsi dal Ponte Notre Dame.
Dal testo-
Quando Valjean aveva detto “perdono” quella parola aveva vibrato dentro di lui in tutta la sua luce.
Proprio come quando una gelida lastra di vetro investita da un getto di acqua bollente si spacca in mille pezzi, così quella parte dell’animo di Javert che ancora resisteva al cambiamento, quella che era ancora severa e sorda alla pietà, a contatto con il calore umano di quella parola, si spezzò di schianto ed egli crollò su se stesso gemendo :-Ah! Sono un miserabile!-:
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Javert, Jean Valjean
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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I

 

Un uomo che incespica nei propri pensieri e poco dopo nei propri passi

 

L’ispettore Javert era rimasto più di un’ora sul ponte Notre Dame a dibattersi nei suoi dubbi.

Se avesse lasciato andare Valjean sarebbe stato un male per la legge, lo stato, la società intera, sarebbe stata la prima piccola crepa in quel muro ciclopico chiamato ordine sociale da cui sarebbe poi cominciato il crollo dell’intero colosso. E sarebbe stata colpa sua, dell’Ispettore Javert che non aveva mai infranto una regola in tutta la sua esistenza.

D’altronde se avesse arrestato Valjean sarebbe stato ugualmente un male per se stesso e per la sua coscienza. Ricambiare la grazia con la condanna gli sembrava un atto ingiusto: quale condannato si rivolta contro il giudice che ha cancellato la sua punizione?

Se solo quel galeotto non gli avesse salvato la vita! Javert avrebbe preferito che in quel vicolo Valjean gli avesse tagliato la gola o piazzato una pallottola nella schiena piuttosto che dirgli “Siete libero” e “Andate”.

Se Valjean lo avesse ucciso sarebbe stato tutto più semplice: lui, Javert, sarebbe morto facendo il proprio dovere e lui, Valjean si sarebbe rivelato per il ladro, imbroglione ed assassino che era. Tutti e due si sarebbero comportati come l’ordine sociale imponeva, insomma, e invece no, “Siete libero” gli aveva detto.

Come aveva osato sovvertire così le regole?

E quel che era peggio, in quel “siete libero” Javert leggeva un significato nascosto e terribile, come se Valjean gli avesse in realtà detto “la legge che voi difendete vi tiene schiavo. Io adesso sfido la legge che mi considera un criminale facendovi grazia della vita, in questo modo vi dimostro che la legge non è giusta e vi libero dall’obbedirle”

Sì, doveva essere così! Quella serpe infida aveva cercato di tentarlo come Satana aveva tentato Cristo nel deserto, e lui, Javert, si era lasciato ingannare!

Eppure… eppure c’era dell’altro.

L’ispettore di polizia chiuse gli occhi e cercò di riportare alla mente ogni singolo attimo da quando Valjean aveva detto ad Enjolras :-Chiedo di bruciare io stesso le cervella a quell’uomo-: a quando gli aveva detto :-Andate-: per la seconda volta.

Ripercorse gli atteggiamenti di quell’uomo mentre tagliava le corde, poi mentre gli dava il suo indirizzo per lasciarsi arrestare. Da sempre il suo istinto di poliziotto, o meglio di predatore, riusciva a leggere dal portamento ogni minimo moto dell’animo di colui che stava esaminando, e riportando alla mente le movenze di Valjean non riusciva a scorgere nulla di sospetto, anzi vi vedeva la sicurezza incrollabile di chi sta facendo la cosa giusta.

Inconcepibile! Cosa ne sapeva Valjean di giustizia? Come poteva il galeotto pensare di dare lezioni all’esecutore delle leggi? Eppure…

Tutto il portamento di Valjean era improntato ad una giustizia superiore a quella dei codici scritti e dei tribunali.

Poteva essere una simile enormità? Poteva un uomo come Valjean mettersi al di sopra dell’ordine morale ed instaurarne uno proprio ugualmente, se non maggiormente valido?

Javert colpì il parapetto con il palmo della mano e lo schiocco risuonò come quello di una frusta, inghiottito subito dopo dal rombo dell’acqua sotto il ponte.

Quell’uomo, Valjean, gli stava distruggendo la vita!

La corrente faceva sentire la sua voce concitata e refoli di aria umida colpivano in faccia l’ispettore.

Ad un tratto gli sembrò che il ribollire delle acque fosse in realtà composto da tante voci, alcune che lo accusavano, altre che lo incitavano.

Da poliziotto aveva, a volte, avuto a che fare con casi di persone che si erano gettate volontariamente o erano state spinte proprio dal punto dove si trovava lui, dove la corrente della Senna era più violenta e da dove nessuno riusciva  a riemergere, non vivo, almeno.

Guardò giù nell’abbisso oscuro e si chiese se…

Gettarsi? No, mai! Togliersi la vita e darla vinta ad un galeotto che si atteggiava a santo? Fuggire così vigliaccamente dalla responsabilità del suo gesto di aver sottratto alla legge un criminale che le apparteneva? No!

Eppure… eppure come poteva essere certo di aver fatto una cosa sbagliata lasciandolo andare? Che la generosità che Valjean aveva usato verso di lui avesse oltrepassato l’uniforme che indossava e fosse scesa più in profondo, a risvegliare una scintilla di umanità nel suo animo? E poi, chi era davvero Jean Valjean? Un demonio? Un santo?

E lui, Javert, chi era? Se Valjean era un demone allora lui era l’arcangelo Michele che puniva giustamente Satana, ma se Valjean era un uomo giusto, allora lui che lo aveva perseguitato, che cosa era?

Lì il suo pensiero si ritrasse prima che un orrore insopportabile prendesse forma.

Inoltre si vergognava per il suo comportamento: essersi ritirato nell’ombra mentre Valjean non vedeva. Chissà cosa aveva pensato di lui?

L’accusa di vigliaccheria lo punse così a fondo che l’ispettore Javert si trovò costretto a fare qualcosa per reagirvi.

Prese la decisione: avrebbe interrogato immediatamente Valjean per scoprire cosa nascondeva.

 

:-Ebbene sia! Sto tornando, Valjean!-:

 

Si calcò il cappello in testa con rabbia, strinse i pugni e, a la guerre comme a la guerre, gonfiò il petto ed aggredì la via che lo avrebbe riportato dalla sua nemesi.

Aveva adesso davanti a se due immagini di Valjean, una gigantesca nel bene, l’altra gigantesca nel male, e per scoprire quale fosse quella vera l’ispettore non aveva altro mezzo che controllare di persona.

Alle volte c’è una curiosa corrispondenza tra lo stato d’animo di un uomo e le sue movenze.

Ad esempio Javert, quando pensava a Valjean come all’orribile forzato che aveva conosciuto a Tolone, assumeva un passo sicuro ed una postura marziale, quando invece ricordava la generosità in quella parola, “andate”, tutta la sua tetra figura pareva contrarsi e rabbrividire; era in quei momenti che sembrava quasi che l’ispettore incespicasse nei suoi passi.

Accadde allora una di quelle singolari coincidenze per cui, quando un uomo è preso da un forte pensiero di molto superiore a quelli della banale quotidianità, anche gli accadimenti insignificanti gli sembrano acquistare un significato più grande e profondo.

Ecco appunto quello che accadde all’Ispettore Javert.

Era quasi vicino a Rue de l’Homme-Armè e la sua mente stava indugiando su quelle parole “Siete libero” e “Andate” con un sentimento simile alla gratitudine, e fu allora che, forse per il selciato sconnesso, forse per quel fremito che, abbiamo detto, lo prendeva quando pensava a Valjean con ammirazione, gli capitò di mettere un piede in fallo e di rovinare a terra.

Si rialzò con uno scatto ed un paio di imprecazioni, pronto a riprendere la sua marcia, ma al momento di raccogliere il cappello che gli era pure caduto, vide che sulla mano destra c’era un taglio causato forse da un’asperità del terreno.

Javert lo fissò prima con vago interesse, poi con sorpresa, infine con un grido di terrore.

Nella sua condizione quella caduta e quella ferita, avvenute sulla destra, la mano della giustizia, proprio quando stava per concedere a Valjean la sua stima, assumevano il significato di una punizione divina, neanche fosse stato appena colpito dalla folgore come la moglie di Lot.

Si appoggiò al muro per riprendersi da quell’attimo di smarrimento, poi entrò in Rue de l’Homme-Armè e picchiò deciso alla porta del numero sette.

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Cantuccio dell’Autore

 

Alla fine ci sono cascata: non ho resistito alla tentazione di cambiare il destino dell’Ispettore Javert da quello che è nel libro.

L’idea mi ronzava in testa già dalla prima volta che ho letto “I Miserabili”, ossia un paio di anni fa, ma la spinta decisiva me l’ha data Russell Crowe nel musical “Les Miserables” perché mi sono innamorata di come canta “All it would take was a flick of his knife. Vengeance was his and he gave me back my life” (Tutto ciò che gli serviva era uno scatto del suo coltello. La vendetta era sua e mi ha restituito la mia vita).

Detto per inciso secondo me ha fatto un ottimo lavoro e proprio non capisco perché la critica è stata così feroce con lui, e non è che io sono di parte perché Russel Crowe non mi piaceva particolarmente come attore.

Comunque, a parte i commenti canori, per me l’Ispettore Javert e Jean Valjean sono Geoffrey Rush e Liam Neeson del film del 1999.

Ok, per ora ho finito, grazie per aver letto fino qui.

 

                                                                                             Makoto

 

   
 
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