I
Un uomo che
incespica nei propri pensieri e poco dopo nei propri passi
L’ispettore Javert era rimasto più di un’ora sul ponte Notre Dame a
dibattersi nei suoi dubbi.
Se avesse
lasciato andare Valjean sarebbe stato un male per la
legge, lo stato, la società intera, sarebbe stata la prima piccola crepa in
quel muro ciclopico chiamato ordine sociale da cui sarebbe poi cominciato il
crollo dell’intero colosso. E sarebbe stata colpa sua, dell’Ispettore Javert che non aveva mai infranto una regola in tutta la
sua esistenza.
D’altronde
se avesse arrestato Valjean sarebbe stato ugualmente
un male per se stesso e per la sua coscienza. Ricambiare la grazia con la
condanna gli sembrava un atto ingiusto: quale condannato si rivolta contro il
giudice che ha cancellato la sua punizione?
Se solo quel
galeotto non gli avesse salvato la vita! Javert
avrebbe preferito che in quel vicolo Valjean gli
avesse tagliato la gola o piazzato una pallottola nella schiena piuttosto che
dirgli “Siete libero” e “Andate”.
Se Valjean lo avesse ucciso sarebbe stato tutto più semplice:
lui, Javert, sarebbe morto facendo il proprio dovere
e lui, Valjean si sarebbe rivelato per il ladro,
imbroglione ed assassino che era. Tutti e due si sarebbero comportati come
l’ordine sociale imponeva, insomma, e invece no, “Siete libero” gli aveva
detto.
Come aveva
osato sovvertire così le regole?
E quel che
era peggio, in quel “siete libero” Javert leggeva un
significato nascosto e terribile, come se Valjean gli
avesse in realtà detto “la legge che voi difendete vi tiene schiavo. Io adesso
sfido la legge che mi considera un criminale facendovi grazia della vita, in
questo modo vi dimostro che la legge non è giusta e vi libero dall’obbedirle”
Sì, doveva essere
così! Quella serpe infida aveva cercato di tentarlo come Satana aveva tentato
Cristo nel deserto, e lui, Javert, si era lasciato
ingannare!
Eppure… eppure
c’era dell’altro.
L’ispettore
di polizia chiuse gli occhi e cercò di riportare alla mente ogni singolo attimo
da quando Valjean aveva detto ad Enjolras
:-Chiedo di bruciare io stesso le cervella a quell’uomo-: a quando gli aveva
detto :-Andate-: per la seconda volta.
Ripercorse
gli atteggiamenti di quell’uomo mentre tagliava le corde, poi mentre gli dava
il suo indirizzo per lasciarsi arrestare. Da sempre il suo istinto di
poliziotto, o meglio di predatore, riusciva a leggere dal portamento ogni
minimo moto dell’animo di colui che stava esaminando, e riportando alla mente
le movenze di Valjean non riusciva a scorgere nulla
di sospetto, anzi vi vedeva la sicurezza incrollabile di chi sta facendo la
cosa giusta.
Inconcepibile!
Cosa ne sapeva Valjean di giustizia? Come poteva il
galeotto pensare di dare lezioni all’esecutore delle leggi? Eppure…
Tutto il
portamento di Valjean era improntato ad una giustizia
superiore a quella dei codici scritti e dei tribunali.
Poteva
essere una simile enormità? Poteva un uomo come Valjean
mettersi al di sopra dell’ordine morale ed instaurarne uno proprio ugualmente,
se non maggiormente valido?
Javert colpì il
parapetto con il palmo della mano e lo schiocco risuonò come quello di una
frusta, inghiottito subito dopo dal rombo dell’acqua sotto il ponte.
Quell’uomo, Valjean, gli stava distruggendo la vita!
La corrente
faceva sentire la sua voce concitata e refoli di aria umida colpivano in faccia
l’ispettore.
Ad un tratto
gli sembrò che il ribollire delle acque fosse in realtà composto da tante voci,
alcune che lo accusavano, altre che lo incitavano.
Da
poliziotto aveva, a volte, avuto a che fare con casi di persone che si erano
gettate volontariamente o erano state spinte proprio dal punto dove si trovava
lui, dove la corrente della Senna era più violenta e da dove nessuno
riusciva a riemergere, non vivo, almeno.
Guardò giù nell’abbisso oscuro e si chiese se…
Gettarsi?
No, mai! Togliersi la vita e darla vinta ad un galeotto che si atteggiava a
santo? Fuggire così vigliaccamente dalla responsabilità del suo gesto di aver
sottratto alla legge un criminale che le apparteneva? No!
Eppure… eppure come
poteva essere certo di aver fatto una cosa sbagliata lasciandolo andare? Che la
generosità che Valjean aveva usato verso di lui
avesse oltrepassato l’uniforme che indossava e fosse scesa più in profondo, a
risvegliare una scintilla di umanità nel suo animo? E poi, chi era davvero Jean
Valjean? Un demonio? Un santo?
E lui, Javert, chi era? Se Valjean era
un demone allora lui era l’arcangelo Michele che puniva giustamente Satana, ma
se Valjean era un uomo giusto, allora lui che lo
aveva perseguitato, che cosa era?
Lì il suo
pensiero si ritrasse prima che un orrore insopportabile prendesse forma.
Inoltre si
vergognava per il suo comportamento: essersi ritirato nell’ombra mentre Valjean non vedeva. Chissà cosa aveva pensato di lui?
L’accusa di
vigliaccheria lo punse così a fondo che l’ispettore Javert
si trovò costretto a fare qualcosa per reagirvi.
Prese la
decisione: avrebbe interrogato immediatamente Valjean
per scoprire cosa nascondeva.
:-Ebbene
sia! Sto tornando, Valjean!-:
Si calcò il
cappello in testa con rabbia, strinse i pugni e, a la guerre comme a la guerre, gonfiò il petto ed aggredì la via
che lo avrebbe riportato dalla sua nemesi.
Aveva adesso
davanti a se due immagini di Valjean, una gigantesca
nel bene, l’altra gigantesca nel male, e per scoprire quale fosse quella vera
l’ispettore non aveva altro mezzo che controllare di persona.
Alle volte
c’è una curiosa corrispondenza tra lo stato d’animo di un uomo e le sue
movenze.
Ad esempio Javert, quando pensava a Valjean
come all’orribile forzato che aveva conosciuto a Tolone, assumeva un passo
sicuro ed una postura marziale, quando invece ricordava la generosità in quella
parola, “andate”, tutta la sua tetra figura pareva contrarsi e rabbrividire;
era in quei momenti che sembrava quasi che l’ispettore incespicasse nei suoi
passi.
Accadde
allora una di quelle singolari coincidenze per cui, quando un uomo è preso da
un forte pensiero di molto superiore a quelli della banale quotidianità, anche
gli accadimenti insignificanti gli sembrano acquistare un significato più
grande e profondo.
Ecco appunto
quello che accadde all’Ispettore Javert.
Era quasi
vicino a Rue de l’Homme-Armè e la sua mente stava
indugiando su quelle parole “Siete libero” e “Andate” con un sentimento simile
alla gratitudine, e fu allora che, forse per il selciato sconnesso, forse per
quel fremito che, abbiamo detto, lo prendeva quando pensava a Valjean con ammirazione, gli capitò di mettere un piede in
fallo e di rovinare a terra.
Si rialzò
con uno scatto ed un paio di imprecazioni, pronto a riprendere la sua marcia,
ma al momento di raccogliere il cappello che gli era pure caduto, vide che
sulla mano destra c’era un taglio causato forse da un’asperità del terreno.
Javert lo fissò
prima con vago interesse, poi con sorpresa, infine con un grido di terrore.
Nella sua
condizione quella caduta e quella ferita, avvenute sulla destra, la mano della
giustizia, proprio quando stava per concedere a Valjean
la sua stima, assumevano il significato di una punizione divina, neanche fosse
stato appena colpito dalla folgore come la moglie di Lot.
Si appoggiò
al muro per riprendersi da quell’attimo di smarrimento, poi entrò in Rue de l’Homme-Armè e picchiò deciso alla porta del numero sette.
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Cantuccio dell’Autore
Alla fine ci
sono cascata: non ho resistito alla tentazione di cambiare il destino dell’Ispettore
Javert da quello che è nel libro.
L’idea mi
ronzava in testa già dalla prima volta che ho letto “I Miserabili”, ossia un
paio di anni fa, ma la spinta decisiva me l’ha data Russell Crowe
nel musical “Les Miserables”
perché mi sono innamorata di come canta “All it would take was
a flick of his knife. Vengeance
was his and he gave me back my life” (Tutto ciò che gli serviva era uno scatto del suo
coltello. La vendetta era sua e mi ha restituito la mia vita).
Detto per
inciso secondo me ha fatto un ottimo lavoro e proprio non capisco perché la
critica è stata così feroce con lui, e non è che io sono di parte perché Russel Crowe non mi piaceva
particolarmente come attore.
Comunque, a
parte i commenti canori, per me l’Ispettore Javert e
Jean Valjean sono Geoffrey Rush e Liam
Neeson del film del 1999.
Ok, per ora
ho finito, grazie per aver letto fino qui.
Makoto