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Autore: Frytty    20/02/2013    7 recensioni
Candice e Robert. Due vite e due sogni diversi, incompatibili con la loro voglia di amarsi. Candice parte per New York per frequentare la Julliard e coronare il suo sogno di danza; Robert rimane in Inghilterra con la speranza di riuscire a diventare un attore. E se, entrambi famosi, si incontrassero proprio a New York? E se non fosse tutto semplice? Potrebbero amarsi di nuovo?
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buongiorno!

Per me è un po' inusuale aggiornare di mattina, perché solitamente finisco sempre i capitoli nel tardo pomeriggio e poi ne approfitto subito per aggiornare, ma oggi ho fatto un'eccezione, perché per questo capitolo vi ho fatto attendere un po' e, siccome ho terminato di scriverlo ieri sera, ma aveva bisogno di una rilettura a mente fresca, ho deciso di pubblicarlo in anticipo.

Mi scuso per il ritardo, ma questo capitolo non voleva proprio saperne di venire fuori, per quanto ci provassi. Oltretutto, non ricordo se a qualcuna di coloro che hanno recensito, avevo assicurato che in questo capitolo ci sarebbe stata la famosa chiacchierata con Arthur, ma, in caso l'avessi scritto, mi rimangio tutto, perché le cose, in fase di scrittura, sono andate diversamente, ahimè, quindi la chiacchierata è rimandata al prossimo capitolo.

Non mi rimangio, però, il fatto che questo sia il capitolo decisivo dell'intera Ff. Manca ancora qualcosa per portarla propriamente a termine, ma qui c'è la sostanza di tutto.

Come sempre, ringrazio tutte le persone che hanno recensito, inserito la Ff tra le preferite/seguite/da ricordare, chi ha scoperto la Ff da poco, ma ha deciso comunque di lasciarmi una recensione (*.*), e tutti coloro che hanno soltanto letto *.* GRAZIE e MILLE VOLTE GRAZIE! <3

Spero di non farvi attendere troppo per il capitolo successivo, ispirazione permettendo :)

 

Non mi resta che augurarvi una buona continuazione di settimana e un felice week-end e, ovviamente, una...

 

 

 

 

 

Buona Lettura! 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Better in Time-Leona Lewis

 

 

 

 

 

 

 

Dovemmo attendere il pomeriggio perché i membri della commissione affidassero l'elenco dei prescelti alla Segreteria dell'Accademia, e quando la Direttrice si diresse verso di noi con il foglio, pronto per essere affisso alla bacheca, regnò improvvisamente il silenzio. Con il suo solito fare sereno e compiaciuto, ci sorrise, affisse il documento e si allontanò, unico rumore quello dei suoi tacchi sul marmo del corridoio.

Non appena ebbe richiuso la porta del suo ufficio dietro di sé, fu quasi una lotta a chi avrebbe letto per primo i nominativi. Soltanto io e Robert rimanemmo indietro, in disparte, in attesa di conoscere il verdetto.

I versi di sorpresa e di sgomento si confondevano ed era difficile attribuirli ad un allievo in particolare.

Lucas fu il primo ad avvicinarmisi, l'espressione indecifrabile, gli occhi vuoti.

Lo osservai in silenzio, trattenendomi dallo scuoterlo per le spalle per farlo parlare. Poi le sue labbra si aprirono in un sorriso meraviglioso e gli occhi gli si illuminarono di gioia, tanto che mi abbracciò e mi sollevò di peso, rischiando di farmi cadere.

< Ce l'ho fatta! Sono stato preso! > Quasi urlò ed io lo strinsi ancora più forte, felice del suo traguardo.

< Sapevo che ce l'avresti fatta! > Risposi, baciandogli una guancia e scompigliandogli i capelli.

Amanda, Juliana e Samantha l'avevano seguito a ruota, abbracciando tutti, persino Robert, che rimase piuttosto perplesso dal gesto e arrossì, ma ricambiò la stretta con entusiasmo, congratulandosi con ognuno di loro.

< Dov'è Sofia? > Domandai nel caos generale, mentre Robert mi stringeva la mano e cercava di non perdermi nella confusione.

Gli altri si lanciarono occhiate perplesse, scrutando la folla che, pian piano, stava cominciando a diradarsi in direzione delle scale e, infine, dell'uscita.

Quando la intravidi, seduta a terra in un angolo, le gambe strette al petto e il viso rigato di lacrime, mi si strinsero il cuore e lo stomaco.

Sapevo quanto ci tenesse a far parte di quel Saggio: era un'ottima occasione per farsi notare da qualche agente o da qualche coreografo ed essere sicuri di riuscire ad avere un futuro, una volta terminata l'Accademia.

Sofia era al suo ultimo anno alla Julliard e per lei, così come per molte altre che erano state scartate, non ci sarebbe stato un altro Saggio a cui partecipare.

Mi allontanai dagli altri e la raggiunsi, sedendole accanto e sorridendole.

< Ehi. > Mormorai per attirare la sua attenzione.

La osservai asciugarsi in fretta gli occhi e tirare su col naso, anche se si sarebbe capito lontano un miglio che aveva pianto.

< Ciao. > Rispose, provando a sorridere, riuscendo a produrre soltanto una smorfia poco credibile.

Era così triste vederla piangere, lei, che era l'allegria fatta persona, che non faceva mancare a nessuno il suo sorriso contagioso, che non potei fare altro che allargare le braccia, affinché mi abbracciasse e tentare di renderle la situazione più leggera.

< Sono una fallita. > Mugugnò tra le mie braccia, ricominciando a piangere.

< Smettila, non devi pensare una cosa simile di te. Sei un'ottima ballerina e non è certo un esame di sbarramento andato male che può cambiarlo. > Si separò dalla mia stretta e mi osservò delusa.

< Era la mia ultima occasione, Candy, lo sai. Non avrò un'altra possibilità. > Spense tutto il mio entusiasmo, eppure, non avevo intenzione di demordere.

< Hai frequentato una delle migliori Accademie di danza del mondo, vorrà pur dire qualcosa, no? Magari, al Saggio non ci sarà nessun coreografo, nessun agente; o magari sì, ma nessuna di noi sarà quello che cerca, chi può dirlo. Non puoi arrenderti, Sofia. > La incoraggiai. Avrebbe dovuto lottare, ma lei aveva tutte le qualità artistiche per riuscire a raggiungere i suoi obiettivi ed io sapevo che ci sarebbe riuscita, presto o tardi.

< Hai ragione, sono solo... amareggiata. Credevo di aver fatto un buon esame... > Scosse la testa, sospirando.

< Sono certa che il tuo sia stato un buon esame. Magari la commissione non era quella giusta per te. Troverai una compagnia che ti accetti per le tue doti, ne sono sicura e lo sono, perché te lo meriti. Hai lavorato più duramente di chiunque, qui dentro, persino di me. A volte, è solo questione di fortuna e di momento giusto. > Le sorrisi.

< Almeno, non ho perso il tutù. > Rise, riferendosi ad un episodio di cui, per mia sfortuna, era stata testimone anche lei, durante il mio primissimo esame di sbarramento in Accademia, quello che avrebbe concluso il mio percorso di studi come allieva del primo anno e mi avrebbe permesso di accedere al secondo. Durante l'ultima coreografia avevo perso il tutù e avevo quasi rischiato di condannare all'invalidità uno dei migliori ballerini di New York, diplomatosi pochi anni prima alla Julliard. Come se non bastasse, durante la scivolata del suddetto ballerino, alla quale avevo partecipato, nel tentativo di non perdere l'equilibrio e di non rovinare a terra, avevo sforzato la gamba destra, affinché attutisse la caduta, con la conseguente slogatura alla caviglia che mi aveva causato non pochi problemi. Un vero e proprio disastro.

< Non ricordarmi quell'episodio, ti prego. E' stata una delle mie peggiori figuracce. > Borbottai, alzandomi in piedi e invitando lei a fare lo stesso.

< Una delle peggiori figuracce della Scuola, vorrai dire. > Mi prese in giro, spintonandomi appena.

< Sono contenta che le mie disgrazie ti divertano tanto, sai? > Bofonchiai, fintamente offesa, facendola ridere ancora di più. In fondo, ero riuscita nel mio intento: sollevarle il morale.

Gli altri, nonostante la nostra assenza, avevano deciso all'unanimità di festeggiare in un locale non molto distante. Sofia aveva provato a declinare l'invito, ma alla fine era stata costretta a cedere all'insistenza di Lucas che, se ci si metteva, sapeva essere davvero petulante.

< Noi avremmo una buona scusa per rifiutare. > Accennai a Robert, seguendo gli altri verso l'uscita.

< Ovvero? > Mi chiese, stringendomi al suo fianco.

< Beh, potresti fingere di dover lavorare domani mattina presto, per esempio. > Gli proposi candidamente. Volevo festeggiare con i miei amici, ma da un lato, avrei preferito rintanarmi nella stanza d'albergo di Robert a comportarmi da asociale.

< Quella non sarebbe una scusa, sarebbe una bugia, e anche bella grossa, direi. > Mi fece notare, baciandomi i capelli.

< Ma è tutto il giorno che siamo fuori... > Protestai appena.

< Ok, ho capito, sei gelosa. > Sorrise trionfante, tanto che gli si illuminarono persino gli occhi.

< Oh no, la gelosia non c'entra questa volta. > Risposi. < E' che... non lo so, non sono più abituata a questo genere di cose, sai, uscire con gli amici per festeggiare qualcosa di importante, divertirmi... > Continuai.

< Allora, direi che è arrivato il momento di abituartici. > Mi pizzicò una guancia con due dita, come ad una bambina.

< Neanche tu sei molto mondano, non puoi farmi la predica. > Sbuffai, incrociando le braccia al petto.

< Sono a New York da poco e le uniche persone che conosco sono i tuoi amici e le tue amiche. Dove potrei andare? > Rispose semplice. Osservai la sua espressione serena e appagata, quella che probabilmente dovevo avere anch'io, perché stavo maledettamente bene stretta a lui, con i miei amici a pochi passi di distanza che scherzavano tra di loro, nella mia città preferita.

< I VIP non organizzano feste, cerimonie, cose del genere? > In fondo, se ne sentiva parlare spesso in tv.

< In gran quantità, a dire il vero, ma non sono il tipo da feste VIP. Spesso fatico persino a partecipare agli after-party delle premier dei miei film. > Rise appena.

< Visto? Sei un asociale anche tu. > Confermai.

< Due asociali formano un'ottima coppia, però. > Aggiunse, osservandomi.

< Ok, te ne devo dare atto, hai ragione. > Alzai gli occhi al cielo, fintamente infastidita.

< Dovremmo avvisare Arthur; che fine ha fatto? > Sam si voltò verso di me, ma io sollevai soltanto le spalle: non avevo notizie di lui da qualche giorno.

< D'accordo, lo chiamo io. > Intervenne Lucas, estraendo il cellulare dalla tasca dei jeans.

Probabilmente, conoscendo Lucas, non gli aveva dato neanche il tempo di rispondere, perché aveva cominciato ad urlare come un matto, ripetendo i nomi di coloro che avevano superato l'esame e improvvisando un balletto ridicolo che fece voltare verso di lui diverse facce divertite.

Era impossibile come, nonostante li stessi frequentando da tre anni, non fossi diventata svitata come loro.

Risi, scuotendo la testa.

< E' sempre così? > Mi chiese Robert, divertito ed incredulo.

< Sì, sempre, tutti i giorni. > Anticipò la mia risposta Sofia, prendendomi a braccetto e camminando con noi.

< Bene! E' un sollievo sapere che sei in ottime mani. > Lanciò uno sguardo perplesso a Sofia che non riuscì a trattenere una risata.

< Lei non è da meno, è che adesso ci sei tu e cerca di contenersi... > Rispose la mia ex migliore amica.

Le lanciai un'occhiata inceneritrice, a cui lei rispose con un'alzata di spalle.

< Cosa mi sono perso? > Rise, lanciandomi un'occhiata maliziosa, alla quale arrossii come una bambina.

< Dunque... ad una festa era così ubriaca, che è salita sul tavolo e ha cominciato a ballare, fingendo di essere una spogliarellista. > Cominciò ad elencare Sofia.

Strabuzzai gli occhi. Non era mai successa una cosa del genere... forse.

Mi separai da Robert, tentando di raggiungerle i fianchi per farle il solletico, che lei non sopportava. Peccato che fosse decisamente più veloce di me e che riuscì a sfuggirmi, utilizzando Sam come scudo umano.

< Me la paghi! > Quasi urlai, rinunciando alla mia vendetta, ritornando da Robert fumante di rabbia.

< L'hai fatto sul serio? > Mi domandò tra le risate.

< Non credo di ricordarmelo. > Borbottai, incrociando le braccia al petto.

< Avrei voluto esserci, armato di macchina fotografica. > Continuò a sghignazzare, incurante del fatto che lo stessi praticamente fulminando con lo sguardo.

< Vuoi smetterla di ridere? > Gli tempestai un braccio di pugni, non riuscendo a trattenere un mezzo sorriso.

< Ok, ok, d'accordo, non picchiarmi. > Rise, imprigionandomi i polsi per farsi smettere, guardandomi negli occhi il tempo necessario per avvicinarsi al mio viso e baciarmi.

< Ehm... buonasera...? > Ci separammo quando sentimmo qualcuno schiarirsi la voce e salutarci imbarazzato: Arthur.

Arrossii all'istante, mentre Robert cercava di non incrociare il suo sguardo.

< Ehi... ti stavamo aspettando, mancavi solo tu. > Risposi con esitazione, impacciata.

Esattamente una di quelle situazioni in cui avrei preferito non trovarmi, nonostante non fossimo da soli.

Accennò un sorriso, prima di rivolgersi ai neo-eletti che avrebbero partecipato al Saggio della Amnesty International, congratulandosi con loro, Lucas che lo trascinò con sé nella canzoncina stonata di poco prima.

Mi strinsi a Robert, abbracciandogli la vita, sospirando di sollievo.

< Cosa c'è? > Mi domandò, accarezzandomi i capelli.

Feci spallucce.

< Non trovi che sia imbarazzante? > Alzai gli occhi sul suo viso.

< Cosa? Essere interrotti da colui che ha una spropositata cotta per te? > La sua non era una vera e propria domanda, quanto un'affermazione sarcastica.

Annuii comunque.

< Dovresti smetterla di proteggerlo, sai? E' adulto, sa badare a se stesso e difendersi; non ha bisogno della balia. > Mi fece notare.

< Ma è mio amico e so che probabilmente si è già rassegnato con me, so che, in ogni caso, non mi avvicinerebbe più con un certo intento, ma non riesco a non sentirmi a disagio... > Tentai di spiegarmi, l'odore di sigarette e birra ad invaderci le narici, mentre entravamo nel locale prescelto.

< Abbiamo tutti ricevuto un rifiuto, no? > Dovette alzare la voce per riuscire a sovrastare la confusione generale.

Occupammo un tavolo al piano superiore e ci liberammo dei cappotti. Non c'erano abbastanza sedie per tutti e non potevamo recuperarle dai tavoli vicini perché occupati, così io e Amanda fummo costrette ad accontentarci delle gambe dei nostri cavalieri.

Gli altri cominciarono a sfogliare il menù, commentando i vari piatti, mentre io e Amanda cominciammo una discussione riguardante la Direttrice musicale dell'Accademia, Miss Leroi. Era stata prima ballerina a Londra e aveva ballato per le compagnie più importanti del mondo, prima di stabilirsi a New York per occuparsi della Julliard. Era un punto di riferimento per tutti gli allievi ed era colei che programmava le audizioni degli studenti più promettenti dell'ultimo anno.

L'avevamo vista aggirarsi nelle varie aule, accompagnata dalla Direttrice tecnica e sapevamo che voleva dire solo una cosa: notizie importanti in arrivo.

Si era fermata spesso nella nostra classe di danza e durante le prove per il Saggio e aveva consultato più volte i registri degli insegnanti.

Eravamo tutti tesi e sulle spine, perché un'audizione avrebbe potuto cambiarci la vita, forse per sempre.

< Quale audizione? > Intervenne Arthur, accigliato.

< Quella per il balletto russo. Come mai non ne sai nulla? > Gli chiese Amanda, anticipandomi. Quell'argomento era il centro della conversazione di qualsiasi ballerino dell'Accademia, in quei giorni.

Fece spallucce.

< Miss Leroi mi ha proposto un'audizione per uno dei maggiori teatri di Londra, così sto cercando di concentrarmi su quella. > Accennò un sorriso, mentre io spalancavo gli occhi, sorpresa.

< Non ne hai fatto parola con nessuno, fino ad ora? > Domandai, stupita. Io avrei saltellato dalla gioia, al suo posto.

Abbassò lo sguardo, torturandosi le mani con fare impacciato.

< Scaramanzia... insomma, non è detto che mi prendano... > Si giustificò.

< Ma è comunque una notizia fantastica, no? > Amanda lo incoraggiò, posandogli una mano sulla spalla, scuotendolo appena.

< Sì, suppongo di sì. > Ammise alla fine, accennando ad un sorriso grato.

< Vorrei essere al tuo posto. > Confessai con un sospiro. < Sarebbe bello tornare a Londra. > Continuai, occhieggiando a Robert che, nel frattempo, stava continuando la sua conversazione con Lucas.

< Potresti fare il provino anche tu. > Suggerì Amanda.

< Non credo di riuscire ad affrontarne due, compreso il Saggio e le Prove Finali. > Alzai gli occhi al cielo, giocherellando con uno dei menù abbandonati sul tavolo.

< Essere primi ballerini in Russia è un grande privilegio, sai? E sono sicuro che avresti maggiori possibilità, lì. > Intervenne Arthur pratico, osservandomi.

< Neanche io sono sicura che mi prendano e poi, Miss Leroi non ci ha comunicato nulla, ancora, perciò... > Risposi, facendo spallucce.

< Devono convocarti! Sei la migliore ballerina della Julliard! > Protestò.

< Sì, beh... mai dire mai. > Non che fossi pessimista o che fossi la classica falsa umile, assolutamente. Credevo nelle mie doti di ballerina e, se ero entrata alla Julliard, la miglior Accademia dello Stato, ci doveva pur essere un motivo, così come ce ne doveva essere uno per la convocazione per il Saggio per la Amnesty International, solo che le audizioni mi spaventavano. Dovevi ballare di fronte a facce estranee, che non avevi mai visto, che non ti conoscevano, che avrebbero giudicato il tuo potenziale solo in base a quei quattro minuti di danza. Mi rendevano nervosa, ecco.

< Di cosa state parlando? > Ci interruppe Lucas, portando la sua attenzione su di noi.

< Audizioni. > Gli rispose Amanda, sorridendogli e abbracciandolo.

< Uhm... audizioni... che parola insolita... > Borbottò perplesso, scoppiando a ridere l'istante successivo.

< Parliamo d'altro. > Continuò. < Propongo una sfida di ballo contemporaneo, in pista: chi ci sta? > Sollevò Amanda dalle sue gambe e la prese per mano.

Non mi ero neanche accorta che la musica era cambiata e che in pista si era accalcata più della metà del locale.

Robert mi abbracciò la vita, posando il mento sulla mia spalla, studiando il mio profilo.

< Perché quel muso lungo? > Mi domandò, mentre gli altri abbandonavano le sedie per seguire Lucas.

Nessuno ci chiese se volessimo aggregarci e, mentalmente, li ringraziai; dopo quella discussione sulle possibili audizioni, non ero dell'umore giusto per scatenarmi.

Sbuffai.

< Non lo so, sto pensando al balletto russo e al fatto che, se dovessero accettarmi nella loro compagnia, dovrei trasferirmi a Mosca e... non lo so... > Risposi, confusa.

< Pensi che le cose tra di noi sarebbero più difficili? > Come se già non lo fossero abbastanza, avrei voluto rispondere.

Feci spallucce.

< Si tratta del tuo futuro, Candice. Non dovresti sprecare un'occasione così, in ogni caso. Hai lavorato duramente per essere quello che sei oggi e te ne pentiresti, in futuro. > Rimasi colpita dalle sue parole, quasi non fosse stato davvero lui a pronunciarle.

< Lo credi davvero? > Gli domandai titubante, incerta.

< Certo! Certe occasioni capitano una sola volta nella vita, credimi. > Mi sorrise e mi scompigliò i capelli, baciandomi una guancia.

< Quindi... non ti dispiacerebbe rimanere qui, da solo, senza di me? > Continuai.

Rise appena.

< Certo che sì, sciocchina. Ma voglio che tu sia felice e realizzata. > Spostai le gambe di lato e circondai le sue spalle con un braccio, accoccolandomi a lui.

Il suo sostegno era fondamentale per me.

Non potevo mentire e affermare che non ci fosse mai stato, ma non mi ero mai sentita sufficientemente compresa, sostenuta e incoraggiata, fino a quel momento.

Eppure.

Eppure c'era Kristen e il bambino che sarebbe nato di lì a poco ed io non potevo più far finta di ignorare la mia decisione al riguardo.

< Senti... ehm... sai che mi dispiace per quello che è successo tra di noi, tre anni fa e sai che ti ho promesso che non sarebbe più successo, che ti avrei parlato delle mie scelte e dei miei dubbi e dei miei propositi... > Era difficile per me affrontare un discorso simile e sperare di non piangere. Mi tremava la voce e guardarlo negli occhi mentre mi aprivo totalmente a lui, ancora di più di quanto non avessi già fatto in passato, rendeva il tutto ancora più complicato; ma era la cosa giusta da fare, la più giusta per me e non potevo più ignorarla.

Lo vidi annuire e aggrottare le sopracciglia, perplesso.

Davvero non aveva compreso le mie intenzioni?

< E' difficile dirlo e non posso prometterti che sarà indolore, ma devo farlo, altrimenti non so se ne avrei più il coraggio. > Presi un respiro profondo, ricacciando indietro le lacrime, poi rialzai lo sguardo, incontrando i suoi occhi azzurri profondi e dolci.

< Io... non posso occuparmi del bambino, Robert. Non sono pronta per una tale responsabilità e, l'hai detto anche tu, ho lavorato tanto per raggiungere questi risultati nella danza e un bambino mi frenerebbe. Non potrei mai aggregarmi ad una compagnia e dovrei rinunciare alle prove, ai Saggi... dovrei rinunciare a una parte di me a cui sono legata, che mi rende quella che sono e non posso farlo. Non posso sacrificarmi così... > Una lacrima sfuggì al mio controllo, ma l'asciugai in fretta con la mano, cercando di mostrarmi risoluta.

Robert rimase assolutamente immobile, come una statua di marmo, tanto che cominciai a pensare che non stesse neanche più respirando. Aveva lo sguardo vacuo e incredulo e la mano che mi stava massaggiando la schiena lentamente, si era aggrappata alla mia felpa.

< Dì qualcosa... > Lo pregai alla fine, impaurita dalla mancanza della sua voce.

< Potrei chiederle di dare il bambino in affidamento... > Cominciò, quasi parlando a se stesso, più che a me.

< Robert... > Ma parve non sentirmi.

< Siamo ancora in tempo per selezionare una famiglia e conoscerla... > Continuò.

< Robert... > Tentai ancora, ma senza successo.

< In fondo, possiamo scegliere l'adozione aperta e potremmo chiedere loro di inviarci foto, di andarlo a trovare, ogni tanto, di telefonargli, di mandargli dei regali per il suo compleanno e per Natale... > Era un fiume in piena, sembrava non arrestarsi mai.

< Robert! > Quasi urlai e alla fine lo vidi voltarsi verso di me, quasi mi vedesse per la prima volta, quasi non si fosse reso conto che avevo ascoltato tutto quello che aveva detto. < Non puoi prendere questa decisione adesso, senza averne discusso con Kristen, senza averci pensato a sufficienza. Hai detto di non volere che tuo figlio crescesse in una famiglia estranea, e io non voglio che tu faccia questo per me. Non è quello che vuoi. > Continuai, cercando di farlo ragionare.

< Non voglio perderti, Candice. Sei sempre stata la mia isola felice, ed è ancora così. Non posso lasciarti andare. > Mormorò.

< Per me è troppo difficile, Robert. Non riuscirei a sostenerne il peso, mi dispiace. Vorrei che capissi che dirti ancora addio è, per me, altrettanto faticoso, ma non posso fingere di essere la fidanzata perfetta e covare dentro di me frustrazione e risentimento per tutte le cose alle quali ho dovuto dire di no.

Non voglio scappare, voglio che tu capisca. > Risposi, rinunciando a trattenere le lacrime.

Annuì, più volte, come a prendere coscienza della cosa.

< D'accordo, sì, hai ragione... > Tirò su col naso.

Era assurdo che gliel'avessi confessato in un pub, con la musica ad alto volume, seduta sulle sue gambe, quando avremmo dovuto festeggiare l'esame di sbarramento degli altri.

Avrei riso, se non fossi stata impegnata ad asciugarmi le lacrime.

< Non può essere giusto, se fa così male, no? > Mi accarezzò i capelli, nel tentativo di incoraggiarmi, ma il gesto non fece altro che rafforzare il mio pianto.

Aveva ragione: come poteva fare così male, se era la scelta giusta? Se fosse stata la puntata di uno di quei telefilm che mi ostinavo a guardare con Sam, la voce narrante avrebbe saggiamente affermato che la cosa giusta non è sempre sinonimo di più semplice, ed io le avrei dato ragione.

Nella vita reale avrei potuto applicare lo stesso ragionamento, ma la verità era che avrebbe continuato a far male e non mi avrebbe fatta sentire affatto meglio.

< Mi dispiace... io... se non fosse stato tutto così complicato... > Tentai di rispondere tra i singhiozzi che mi scuotevano le spalle.

< No, dovrei essere io a chiederti scusa, per averti trascinato in tutto questo e per averti obbligata a prendere una scelta; non volevo che le cose tra noi andassero così. > Mi asciugò le lacrime con il dorso di un dito, provando a sorridermi.

Lo abbracciai, chiudendo gli occhi e cercando di imprimere il suo profumo nella mente. Avrei davvero dovuto rubargli una camicia.

< Mi mancherai. > Rantolai.

< Anche tu, Candice, non immagini quanto. > Rispose.

< L'invito per il Saggio è ancora valido, però. > Mi allontanai a malincuore dalla sua stretta, cercando di assumere un'aria perentoria.

< Non me lo perderei per niente al mondo. > Cancellò le ultime tracce salate dalle mie guance.

Sorrisi.

< Vuoi andare via? > Mi chiese.

Era un addio, il nostro, ma un'altra notte stretta a lui, non me la sarei negata.

Avvisammo gli altri della nostra dipartita ed io ringraziai mentalmente le luci colorate del locale, perché permisero ai miei occhi rossi di passare inosservati, così come la mia espressione angosciata.

L'aria fresca mi permise di tornare a respirare, quel tanto necessario per rendermi conto che non era stato un sogno, che era successo davvero e che la ferita del mio cuore si era riaperta e aveva ripreso a sanguinare copiosamente.

   
 
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