Disclaimer: i diritti di Harry Potter & Co. non mi appartengono, non voglio rivendicare niente di tutto ciò, e se li tengano pure J.K. e la Warner Bros, ma in culo perché Universal è meglio. (non per niente gli Universal Studios sono la figata più figa!)
Titolo: Sulle Labbra
Autore: Pulciosa.
Genere: Angst.
Spero che si noti la differenza tra la prima e la seconda parte... Ho
sempre immaginato il cervellino della cara Bellatrix degenerare in
maniera sensibile, dunque ritenevo giusto evidenziarlo nella stesura,
più che altro con meno punteggiatura e parole meno auliche.
(LOL)
Sulle Labbra
Sorridevo allo specchio. Io non
sorrido mai.
Solo se sono sola. Non voglio che gli altri mi vedano.
E’ una cosa troppo intima.
E non ne ho mai veramente motivo.
Non c’è niente di peggio del fare le cose alla
leggera.
Nessuno può dire di avermi mai visto
sorridere.
Neanche piangere, se è per questo.
Continuavo ad umettarmi debolmente le ciglia con il mascara,
e ad evidenziare le iridi nere.
Non mi piaccio quando sorrido. Sembro quasi serena.
Non lo sono, non voglio, né volevo mentire a me stessa.
Volevo solo lasciarlo diventare un ricordo sbiadito.
(Come quando le fotografie si bagnano, si curvano e sono più fragili del solito, tese alla rottura.)
Il vetro del finestrino è
opaco quanto basta. Quanto basta a
migliorare la realtà. Preferisco osservare le cose
attraverso un filtro, non è
detto che migliorino, ma almeno sono preferibili a come sono davvero.
Non che
ci presti più attenzione del dovuto, forse no, ma
l’atteggiamento c’è. Penso
che fissare brughiere sterminate e corsi d’acqua immobili
debba essere un
semplice schermo, un riparo contro
l’invadenza altrui. Io preferisco
star da sola con me stessa, penso che ci sia una
comunicabilità maggiore
rispetto a chiunque.
Ora piove.
Le gocce battono, e non sono fastidiose. Tutto lo scompartimento
si inumidisce, e io non posso fare nient’altro che stringermi
nel maglione. E
fissare queste, che sembrano le lacrime di un
essere sovraumano.
Purtroppo, e credo di dirlo con ipocrisia, non riesco ad
isolarmi da tutto, e vedo riflesso nel vetro un volto dalle
sopracciglia
arcuate.
Pochi accenni di un’estate sbrigata tra mille faccende,
tutto ciò che riesco a cogliere.
Significa che è tutto?
No?
Perché dovrebbe essere diverso?
Nei miei diciassette anni di vita,
credo di non aver mai
fallito in qualcosa.
Solo perché ho troppa paura per poter intraprendere qualcosa.
Automaticamente mi escludo dalla possibilità dello sbaglio.
Insieme alla soddisfazione della vittoria.
Potrei scegliere ma perché?
C’è un’utilità,
un fine nascosto che non riesco ad intravedere.
E anche questo è chiarificatore.
Il suo respiro è
leggerissimo, innocente. Sfiora appena la
mia gola, caldo fiato animale.
Mi sembra di vivere in una bolla di sapone.
In un lampo.
Cingo il suo collo femmineo con le braccia, sollevandomi appena
sulle punte prima di accarezzargli la guancia con le labbra. Avevo
badato bene
a sfiorargli il petto ossuto con il seno.
Ormai chinatosi, e noi completamente avvinghiati, sento la
punta bollente della sua lingua carezzarmi il lembo di pelle lasciato
scoperto
dal bianco della camicia.
Lo lascio fare.
Non lo fermerei mai.
(Volevo tanto che mi
baciasse)
Ricadiamo sul divano, con rumore soffocato
che mi
turba. Non sono abituata ad averlo vicino, mi travolge tutto insieme.
Lo
osservo mentre da sotto le ciglia mi spia, e non resisto, guardando i
suoi
capelli vorrei tanto stringerlo a me e rannicchiarmi contro di lui. Ma
questa è
una lotta.
E io non devo perdere.
(Anima e cuore sono la stessa cosa? Io dico di no.)
Non c’è niente
di peggio della paura di venire accettati per
noia, senza veder ricambiato quel sentimento enorme
dove anneghi
cercando di trovare conforto. Odio guardarti.
E non posso fare a meno di piangere tutte le mie lacrime nel
sapermi usata in questa maniera insopportabile, non voglio
più sentire bugie
perché non c’è un senso, ti odio.
Veramente ti odio per tutto quello che mi hai
fatto e per tutto quello che mi farai e soprattutto per tutto quello
che ti
lascio farmi. Sono talmente debole di fronte a te da piegare il collo
ad un tuo
cenno, potresti chiedermi tutto, morire, vivere, scappare, umiliarmi,
no, forse
non lo farei, ma veramente non capisco dove sto sbagliando e
perché alla fine
dobbiamo ridurci così.
- Credi nel destino?-
- No, direi di no.-
- Brava, neanche io.-
E con questo cosa vorresti dirmi, che sono illusa o forse sai come stanno le cose? Le cose stanno che non te ne frega niente e non te ne è mai fregato e mai te ne fregherà ed io rimarrò qui ad aspettarti tutta la vita soffrendo.
E se fosse tutto uno scherzo? Me lo
sono chiesta molte
volte, ma fingo di non pensarci troppo. Non ha senso preoccuparsi di
futilità
del genere quando si ha tutto quello che si possa avere.
Un nome, una storia, una vita, bellezza, denaro, potere.
Ed è quello che io ho. E che nessuno potrà
portarmi mai via.
Almeno così credevo. E me la ridevo. Era divertente comunque.
Ricordo la prima volta in cui ti ho
visto, timido parente
ribelle che osteggiava un’espressione davvero curiosa sul
volto dai nobili
tratti.
Coetaneo mai sentito così vivamente, mai prima di quella
volta in cui i tuoi occhi ridotti a fessura accompagnarono le mie
sopracciglia
inarcate per un breve tragitto nel giardino della magione.
Il sole stava morendo lentamente, e forse può apparire il
racconto di una folle, questo, e ve lo dico proprio col cuoricino in
mano, è
esattamente il racconto di una folle e nessuno chieda spiegazioni
né io renderò
ragione.
Il sole moriva, e all’improvviso i tuoi capelli brillarono
più del solito e mi resi conto che dovevi essere bello
almeno quanto me e
questa cosa mi avvicinò a te fino all’impensabile.
I giaggioli del giardino
mandavano odori dolciastri e il silenzio era rotto solo dal tuo passo
irregolare, schianti e grida non si udivano venire dalla magione, era
un’isola,
un’isola bellissima.
Io volevo essere capricciosa e piacerti e mi fermai un po’
disordinatamente vicino al vecchio castagno cavo che male si addiceva
al
giardino curato. L’espressione di sfida che vedevo su di te
non poteva che
alimentare la mia sete di esperienza e decisi in quel momento che
saresti stato
l’ultima persona a cui avrei detto addio. Allora non sapevo
cosa era questo
mostruoso sentimento che nasceva dentro di me e che mi avvolgeva tutta
brutalmente, alle cose non si pensa che con ritardo.
Desideravo essere il tuo cane in quel
preciso istante, e non un minuto dopo,
volevo semplicemente che tu mi amassi di quell’affetto
irrazionale ed effimero
che si prova verso gli animali, quell’attaccamento
così spontaneo e pulito,
desideravo quasi morbosamente leccarti il viso e morderti e sbranarti e
ucciderti con le mie manine piccole e bianche
Tutto stava andando un po’ veloce per i miei gusti,
cuginetto, e il ricordo di una giornata come quella non poteva
alimentare che
incubi notturni e sogni ad occhi aperti, te l’avevo detto che
era pericoloso ma
tu non hai mai voluto ascoltarmi.
Pensavo che fosse pericoloso anche quando ti sei allacciato
una scarpa, chinandoti e scoprendo un minuscolo lembo di quel tuo collo
signorile che ispirava tanta violenza e allora dissi preoccupata in un
soffio
- Ci siamo allontanati.-
Hai riso, sbuffando da sotto i tuoi capelli neri che nessuno
mai avrà più la gioia di scostare,
perché non sarai mai di nessun’altra,
sudicio traditore del tuo sangue, potresti semplicemente morire per la
seconda
volta, davvero.
E allora sei stato svelto, svelto davvero, come mai sei
stato in vita tua, e come non sei stato giusto un attimo prima di
schiantarti
contro quel velo immondo, e mi hai sfiorato il polso, prendendomi per
mano.
Cosa credevi, che quei primi, timidi,
fulgidi contatti
avessero il minimo potenziale erotico, che potessero farmi sobbalzare?
Beh avevi perfettamente ragione, ogni tuo gesto poteva farmi
salire la febbre, e l’ansia mi divorava, e l’idea
di essere lontana da te, tu
in quella stupida torre e io relegata nei sotterranei non poteva che
uccidermi
piano. Incrociarti nei corridoi e provare semplice fastidio nel vederti
circondato da altri mi portava solo all’esasperazione, che
bizzarra coincidenza
che a causa tua abbia finito per ripiegarmi in me stessa e odiare tutto
il
genere umano.
Mezzosangue, Purosangue, poteva essere lo stesso, sei stato
tu a firmare la mia adesione alla causa di Voldemort, ricordatelo,
cuginetto
mio.
Forse che quella sera in corridoio, le cose fossero andate in
maniera diversa?
Beh a questo punto, non importa davvero, tanto tu sei morto.
E io sto meglio.