Note: il seguente scritto contiene riferimenti
yaoi.
Per ulteriori
spiegazioni, vi rimando alla conclusione della fic.
Dedicato a chi ha commentato i
precedenti capitoli della raccolta.
Avete una vaga idea dell’emozione
che mi dà ogni vostra recensione?
Grazie.
Grazie davvero.
Kiss the rain
by elyxyz
Roy chiuse il parapioggia
gocciolante e lo infilò nel portaombrelli.
Il Tenente Hawkeye
aveva insistito per riaccompagnarlo con l’auto, dato il tempo inclemente, e lui
aveva percorso a piedi solo un centinaio di iarde, dal negozio all’angolo fino a
casa, eppure si era inzuppato per bene ugualmente.
Il pacchetto che teneva tra le
dita, in equilibrio precario, rischiò quasi di cadere; ma grazie ai suoi ottimi
riflessi aveva evitato un piccolo guaio.
Osservò la carta leggermente
rovinata dalle gocce dell’acquazzone e sorrise tra sé.
Mame-chan andava matto per quei dolcetti.
Perso nei suoi pensieri,
s’inerpicò per le scale, accelerando l’andatura senza quasi accorgersene.
Aveva già la mano libera in tasca,
a frugare in cerca delle chiavi, come d’abitudine, ma ci ripensò.
Suonò il campanello, e attese.
E’ bello avere qualcuno a casa, che attende il tuo ritorno
e ti accoglie sulla soglia.
Il borbottare seccato di Edward non poté che renderlo ancor più di buonumore.
“Arrivo! ARRIVO!!”
Lo sentì ciabattare, e far scattare la serratura. “Ma perché continua a
dimenticarsi le chiavi in ufficio?” lo accolse sull’uscio, brandendo un mestolo
con aria fintamente infastidita, grembiule deliziosamente gigantesco per lui, e
uno sbruffo bianco sul naso.
Capitava, a volte, che il
Colonnello Mustang si dovesse fermare al Quartier Generale più a lungo del normale orario, per delle
riunioni improvvise o per questioni di rilevante importanza… e se ciò accadeva
in uno dei loro rendez-vous habitués, Fulmetall aveva preso l’abitudine di precederlo, e di
imbastire una cena in attesa del suo arrivo. Poi, come di consueto,
s’immergevano in una lettura, o in un confronto stimolante sulle più recenti
scoperte alchemiche.
“Perché ho una cameriera che mi
apre!” ghignò Roy, adocchiando ironicamente la sua mise.
Ed s’inalberò. “Baka Taisa! Io non sono-”
“Pensierino!” esclamò, sventolandogli
davanti al naso la scatolina della pasticceria e, approfittando di quell’espediente per distrarlo, svicolò dentro.
Quando il giovane Elric s’accorse del raggiro, l’altro era già all'interno.
“Ma prego!” ringhiò. “Faccia come se fosse a casa su-”
“Hai il naso sporco di farina.” Lo
interruppe, e allungò un dito verso la sua faccia.
Per un istante, Acciaio pensò che
stesse per ripulirlo. Per toccarlo. Indietreggiò appena, forse spaventato. Di
sicuro impreparato.
Ma l’uomo si era limitato ad
indicarglielo, accantonando poi il tutto, con un semplice “Vado a cambiarmi.”
Tora gli zampettò accanto, dandogli il suo personale
bentornato.
Edo lo osservò sparire verso la
camera da letto, dopo essersi tolto in fretta gli stivali imbrattati e
l’impermeabile zuppo, nell’anticamera.
E si ritrovò a sospirare.
Ma che cavolo gli era preso?
Si sentiva quasi… quasi… deluso.
Si diede dello sciocco. Che razza
di pensieri gli venivano in mente?
Un familiare sfrigolio gli ricordò
che la cena era ancora sul fuoco, e reclamava la sua attenzione.
“Taisa!
E’ pronto fra cinque minuti!” lo avvisò, urlando in direzione del corridoio.
Non aveva ricevuto risposta, ma difficilmente Roy avrebbe potuto ignorarlo.
Erano quasi le 21, e il suo
stomaco brontolava impaziente. A stento, quello del suo superiore si sarebbe
comportato più stoicamente.
Nel momento in cui spense l’ultimo
fornello, coprendo la pentola perché non si freddasse, il campanello di Casa
Mustang trillò.
Ma chi poteva essere a quell’ora?
Guardò d’istinto verso la finestra
del cucinino. Fuori era buio, e pioveva ancora a dirotto.
“Edward!
Puoi aprire tu?!” si sentì chiedere, da lontano. Di
certo il Colonnello era ancora in bagno.
Un secondo squillo impaziente lo
indispose inconsciamente.
Sbuffò, pulendosi le mani con uno
straccio, e dirigendosi all’entrata. Non senza brontolare all’indirizzo
del seccatore di turno, che indubbiamente avrebbe ritardato la loro meritata
cena.
Quando aprì, si trovò dinnanzi
un’avvenente moretta sulla trentina, avvolta in una vistosa pelliccia, un po’ prematura
per quella stagione.
Non ebbe il tempo di chiedersi
cosa indossasse al di sotto,
- SE indossasse qualcosa sotto -, perché lei
prese la parola, salutandolo.
“Ciao, ometto!” e allungò una mano affusolata, dalle appariscenti unghie
smaltate, per accarezzargli con materno affetto la testa.
“Roy-chan
è in casa?” domandò, dall’alto del suo metro e ottanta, tacchi compresi.
Tacchi. Che eufemismo!
Se non fosse stato troppo intento
a chiedersi come quella donna
riuscisse a rimanere in equilibrio su quei trampoli, avrebbe certamente
dimostrato il suo quieto dissenso per
quell’appellativo ingiurioso.
“Ho visto le luci accese…” ritentò
lei, con una vocina dannatamente zuccherosa. “Allora? Roy-chan
è in casa…?”
Non seppe il perché, ma la odiò.
Raramente Edward Elric
aveva provato un odio così viscerale e immotivato verso una persona sconosciuta.
Ma non poté – e non volle – impedirselo.
“Acciaio, ma chi è?”
Giusto quando stava per mandarla
al diavolo, il Colonnello Mustang comparve alle sue spalle, bloccandolo tra di loro.
“Ah! Ehm…” esalò, sorpreso,
vedendola.
“Emily,
sì…” miagolò lei, languidamente, fraintendendo la smemorataggine dell’uomo. “Sono
tornata in città, e mi sono chiesta se…” ammiccò “avevi voglia di passare la
serata con me…”
Non si chiese per quale ragione, ma Edo sperò di cuore che la cacciasse via al più
presto. Possibilmente in malo modo.
Dopotutto… era un loro venerdì,
quello, no?!
Ed era un sacro rituale, quello
che avevano… lui si impegnava sempre per rispettarlo, talvolta anche
trascurando Alphonse, e non poteva accettare niente
di meno dal suo superiore. E l’Alchimista di Fuoco si era sempre dimostrato
fedele a quel patto implicito. Fino a
quel momento. Quindi che si muovesse a liquidarla in fretta, dannazione!
E invece, quei due rimanevano
imbambolati, senza che Mustang ponesse fine a quella spiacevole visita.
Sgradevole.
…per lui era sgradevole, ma per
Roy?
E se avesse preferito di gran
lunga l’improvvisata di quell’oca sui trampoli, invece
che stare con lui?
Ad essere onesti, aveva ben cognizione che il Taisa
avesse sempre avuto un via vai di presenze femminili ad allietare le sue notti.
Era risaputo in tutto il Quartier Generale, e lui lo
aveva sempre accettato. Biasimandolo, certo. Non gli andava giù che una di
quelle sgualdrinelle potesse
affezionarsi a Tora, magari riuscendo addirittura a
convincere il Colonnello a regalarglielo…
Solo per Tora, ben
chiaro. Senza nessun interesse personale...
Gli rivoltava lo stomaco e provava
disgusto, pensando alle donne che cambiava con la stessa frequenza con cui Jean si accendeva una sigaretta nuova. Però…
Da parecchi mesi, invero, si
vociferava che Mustang avesse improvvisamente adottato una condotta morigerata,
tanto da lasciare orde di femmine in lacrime. Ma Ed
non ci aveva mai creduto del tutto.
Perché imporsi un’astinenza
forzata, se non aveva giurato fedeltà a nessuna?
E di sicuro non l’aveva fatto. Altrimenti
il Sottotenente Havoc avrebbe appeso i festoni in
ufficio, se il temibile rivale fosse uscito dal mercato.
Lui, di striscioni, non ne aveva
visti. E quella tizia lì davanti confermava la sua ipotesi iniziale.
In fondo, Taisa
Mustang non sarebbe mai cambiato.
E perché gli desse così fastidio,
a tal punto da sentire un nodo stretto allo stomaco, lui non voleva saperlo. Era
solo fame. Fame e antipatia.
Quella gallina truccata sarebbe
sembrata odiosa persino ad Al, si disse, che
notoriamente trovava simpatiche anche le ortiche.
“Con… te?” ripeté Roy, colto alla
sprovvista; riportandolo al presente.
Ma s’era rincoglionito?
Edward gli diede una forte gomitata, per svegliarlo,
ma richiamò l’attenzione su di sé.
“E’ il tuo fratellino, questo?”
chiocciò lei, fingendosi interessata, per ingraziarselo. “Oh… forse non vi
assomigliate poi tanto… è il tuo nipotino?” aggiustò il tiro, sorridendo come
una compassata incantatrice mangiauomini.
Questo era troppo.
Davvero troppo.
“Si diverta con lei! Io me ne vado!!” sbraitò, spintonandoli da parte per rientrare. Si limitò
a calzare gli stivali, senza tirare le stringhe. E poi corse giù per la tromba
delle scale.
Roy bestemmiò tra sé, cercando di
fermarlo.
“Ed, aspetta! Aspetta, non…” ma il giovane Elric era già in
fondo.
Oh, dannazione!
A che cazzo era servito allontanarsi dal mondo del
piacere, se poi Acciaio travisava tutto, e lo credeva ancora un farfallone
impenitente?
Come avrebbe potuto fidarsi di
lui, se lo reputava nuovamente così superficiale?
Maledizione! Non ci pensò neppure
su, spinse Emily di lato, richiamandolo. Ma ormai era
oltre il portone.
E allora infilò le prime scarpe
sull’uscio e un soprabito cerato e gli corse dietro. Perché doveva chiarire
quella situazione. E farlo subito.
Che diamine gli era preso? Fare
quella scenata da amante tradito… quella fuga da film di terza classe, sotto
quel dannato tempo da lupi!
Gliene avrebbe dette quattro, ecco
perché lo rincorreva. Ed era uscito anche senza impermeabile, quel testone!
Non ricordava neppure se aveva
chiuso la porta di casa. Sperava in cuor suo che Tora
avesse un po’ di senno e non decidesse di uscire, e
magari scappare, proprio quella sera.
Gliene bastava uno, di piantagrane!
Aumentò la corsa, fiducioso di
poterlo raggiungere in fretta. Se Fullmetal avesse
avuto un minimo di buonsenso, non avrebbe mai scelto la via più corta e meno
raccomandabile a quell’ora, per tornare agli alloggi
militari, dove credeva stesse andando.
Ma Acciaio non sapeva nemmeno dove
stesse di casa, il buonsenso!
Non era solo alto come un fagiolo,
a volte quell’idiota aveva anche il cervello grande
come quel legume!
E Roy non avrebbe mai dormito,
senza essersi accertato che fosse al sicuro.
Non che quel nanerottolo non fosse
in grado di difendersi, però sembrava sconvolto!
E non poteva certo chiamare nei
dormitori degli Ufficiali, e spaventare Al, nel caso
non fosse ancora tornato.
Ma, perché diamine era scappato?!
E, - accidenti a lui! – avrà avuto
pure le gambe corte… ma sapeva correre dannatamente
veloce!
L’Alchimista d’Acciaio avanzava
rapidamente, incurante della pioggia scrosciante, con una rabbia burrascosa che
non riconosceva come propria.
Si sentiva tradito. Ferito e
tradito.
E più cercava di raccapezzarsi,
più sentiva un grosso mal di testa scuotergli il cervello.
Che razza di figura aveva fatto!
Di sicuro, in quel momento, il
Colonnello e la sua amichetta stavano ridendo di lui, della sua sparata
infantile.
Non voleva neppure prendere in
considerazione l’idea che fosse qualcosa di diverso
dallo sfogo di un bambino capriccioso, a cui avevano sottratto un giocattolo.
…in fondo, Roy… era questo, per
lui?
Era solo questo?
Un adulto che gli dedicava un po’
del suo tempo. Che lo trattava da pari, che lo incoraggiava e lo aiutava,
nell’approfondire i suoi studi?
Era affezionato al Taisa… solo per quello?
Per semplice egoismo?
Rabbrividì a quel pensiero, o
forse per il freddo che gli era penetrato fin nelle ossa.
Cosa diamine era diventato, per
lui, Roy Mustang?
Ma soprattutto... quando era diventato così bravo a
mentirsi?
E l’Alchimista di Fuoco intanto
correva, anche se rallentato dall’ingombrante impermeabile, nelle orecchie il
sangue che pulsava veloce, e un peso all’altezza del cuore.
Sarebbe mai riuscito a raggiungerlo?
Quando ormai non ci sperava più, riconobbe
la familiare treccia bionda sfrecciare nella traversa di fronte a lui.
E commise l’errore di chiamarlo,
cercando invano di fermarlo. E lo vide infilarsi in un vicolo semibuio, a
destra, senza rallentare mai e poté solo inseguirlo.
Ma perché cazzo
non si fermava?!
Con un ultimo scatto, quasi
disperato, lo raggiunse, bloccandolo a ridosso di una casa diroccata, evitando
per miracolo di cadere.
Il sollievo lasciò posto alla
rabbia, e lo sbatté contro il muro con malagrazia.
Edward, che fino a quel momento aveva evitato in tutti i modi di
guardarlo, si volse, per fronteggiarlo.
Sembrava furioso, ma perché? Era
lui, semmai, a doversi sentirsi furente!
“Perché diavolo te ne sei andato a
quel modo?!” lo aggredì a parole.
“Era ovvio che fossi io, quello
sgradito.” Sibilò, tenendogli testa. “E volevo
togliere il disturbo per la sua serata con quella… quella.” Replicò, con disprezzo.
Roy, accecato dall’ira, non ci
vide più
“TU! …Piccolo, brutto bastardo!” ringhiò,
afferrandogli la giacca all’altezza delle spalle e strattonandolo. Anche
l’auto-mail di Fullmetal compì un gesto simile,
scattando sulla difensiva, artigliando l’impermeabile sullo sterno. “Che cazzo ne sai, tu,
di me! Eh?! Cosa ne vuoi sapere?!” Sembrava un fiume in
piena, mentre ringhiava quelle parole, sbatacchiandolo sulla parete ad ogni
frase, per rafforzare il concetto.
Per un istante, Acciaio pensò
seriamente che fosse impazzito.
“Taisa...
la prego, la smetta…” tentò, soffiando quelle parole direttamente in faccia
all’altro. Ma era troppo tardi. Il fiume in piena aveva rotto gli argini.
“Che ne sai di me?” ripeté Mustang, stavolta quasi con voce
incrinata. Lo sguardo da invasato. “Dei miei sentimenti… che ne sai?”
Ed sussultò, per l’improvvisa disperazione che percepiva. Ma la
stretta che lo inchiodava rimaneva ferma, salda. “Ti sogno ogni notte. E ti
penso ogni giorno. Ti desidero ogni maledettissimo istante della mia giornata!
Come cazzo pensi che stia, a vederti in ufficio e
dovermi trattenere… a casa mia, e non poterti mai sfiorare… sono un uomo,
dannazione! Ma mi sono innamorato di te!!” deglutì a
fatica, scuotendo la testa per calmarsi, quindi puntò nuovamente lo sguardo, smarrendosi
in quell’oro fuso, i loro respiri che quasi si
fondevano, tanto erano vicini. “Io… io… fermami, prima che faccia una
sciocchezza.” Il tono era duro. Ma era una supplica.
“E se io… se io non volessi fermarti?” sussurrò Edo,
perdendosi a sua volta in quel nero lucido.
Roy tremò. Se d’aspettativa o di
rabbia non era dato saperlo.
“Non prendermi in giro,
ragazzino!” lo ammonì furibondo.
Ma Edward
non attese oltre.
Azzerò le distanze contraendo la mano
che teneva il soprabito verso di sé, tirandoselo addosso.
E fu solo un cozzare di labbra e
denti e amore e disperazione. Inesperienza. Eppure resistette. E divenne bacio.
Quando respirare si fece necessità,
rimasero le loro fronti a contatto, gli occhi dell’uno fissi nell’altro.
“Non. Giocare. Con. Me.” Ripeté
l’uomo, greve. Ma la voce gli tremava.
Oh, sì...
...a giocare col fuoco ci si brucia...
Ed ansimava ancora, affannato. E
lo fissò. E fu l’unica risposta che riuscì a dargli.
Perché qualsiasi parola sarebbe sembrata una promessa vana.
A Roy sembrò bastare. E se lo
strinse contro, trascinandoselo dietro, quando le forze e la tensione lo
abbandonarono. Se lo abbracciò stretto, inginocchiato in quel vicolo sudicio. Sotto
il diluvio scrosciante. Come a proteggerlo da tutto. Perché non aveva la minima
intenzione di farselo scappar via.
E riprese a baciare le sue labbra
bagnate.
Sulle guance accaldate. Il naso
gelato. Le palpebre abbassate.
Il collo, su cui scorrevano
rivoletti d’acqua.
E infine, baciò anche la pioggia.
Fine
Disclaimers: I personaggi citati
in questo racconto non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna
forma di lucro, da parte mia.
Il capitolo prende il titolo
dall’omonima canzone di Billie Myers,
che io adoro. (Prima o poi ci farò una song-fic! *__*)
Note varie: scrivere questo capitolo
è stata una sofferenza. Nella mia testolina filava che era una meraviglia, ma
poi stenderlo si è rivelata un’impresa ardua! Ç__ç
Però ci tengo in modo particolare, perché è il clou della storia stessa. Siamo
ad un punto di non-ritorno, (anche se noi sappiamo che la raccolta fa dei salti
cronologici), è il giro di boa...
Sono un po’ titubante, lo ammetto.
Perché avrei potuto renderlo diversamente, o forse vi aspettavate che Roy si
dichiarasse comodamente sdraiato sul divano, con Ed al fianco e Tora in braccio… ma è nato così. E non me la sentivo di
cambiarlo.
Perdonatemi, se vi ha deluso. Ç__ç
Detto questo, ‘baka’
significa stupido, per chi non lo sapesse. E risveglia in me antichi ricordi,
su un certo Do’aho e una Baka
Kitsune che mi hanno fatto battere il cuore per lungo
tempo…
Chi mi conosce da tempo, sa che la
mia pignoleria è leggendaria. Prima di scrivere qualcosa, ne valuto la
veridicità, controllo le fonti e così via.
Parecchio tempo fa, ho incontrato
una song-fic intitolata appunto ‘Kiss
the rain’.
L’autrice in questione sosteneva in breve quanto segue:
Una locuzione gergale è ‘kiss the rain’,
che però – a dispetto della somiglianza - ha poco a
che fare con romantici eventi atmosferici, in quanto si traduce con un efficace
‘baciami il culø’, ‘leccami le scarpe’…
‘ciucciami il calzino’! (per
dirla come Burt Simpson)
…non esattamente poetico, eh? ^____^
Adesso non ascolterete più la
canzone di Myers con lo stesso trasporto… ^__=
Mi sono documentata ovunque,
chiedendo a persone più esperte di me, nella lingua inglese.
Ma nessuna di loro ha saputo darmi
conferma di quest’affermazione.
Sarebbe quindi semplice trattarla come una bufala.
Tuttavia… se ricordate nel video che accompagna questa canzone, Billie sta cantando e sfasciando - e vado a ricordi - una camera intera, mentre fuori scende un acquazzone tremendo, sembrando un tantino incazzata/disperata. Il che mi fa dubitare un pochino del valore romantico che le viene attribuito… perché fare un video così, altrimenti?
In sintesi: chiunque possegga
informazioni sicure su quest’argomento
(tranne la traduzione che gira nel web, che già posseggo) avrebbe la mia
gratitudine, se mi chiarisse il dilemma. (Soprattutto
in funzione di una mia eventuale song-fic).
In ogni caso, ho fatto in modo che
il titolo si potesse interpretare sia in modo letterale, che secondo l’ipotesi
‘scurrile’. Difatti, sia Roy che Ed erano un tantino incazzati…
PRECISAZIONI AL CAPITOLO PRECEDENTE.
Molti di voi mi hanno chiesto che collocazione temporale avesse. (Ad alcuni, ho già risposto in pvt). Io immagino sia inserita dopo che i mici sono nati. Per capirci, quando Ed va da Roy, la sera, e legge sul divano con lui.
Per il titolo, forse è bene chiarire: in pratica, si gioca
sul 'prendo', nell’accezione sessuale del termine,
(povero maglione stuprato! >.<) e in quella del prendere senza chiedere,
fare il maleducato. Tora 'vive' la casa come vuole,
e fa parecchi danni, perché 'prende' ciò che gli serve, quando vuole, e non
domanda... (le tende strappate, i lacci
rosicchiati... i graffi sul legno…)
Ok. credo sia tutto…^^’’ perdonate il trattato
infinito! >.<
Torno a
ringraziare di cuore i lettori affezionati e quelli nuovi, per le vostre
adorabili recensioni.
Come sempre, sono graditi commenti,
consigli e critiche.
Grazie (_ _)
elyxyz