Serie TV > Dr. House - Medical Division
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Autore: Pietro90    07/09/2007    9 recensioni
“House, guarda in faccia la realtà. Non è più come prima. NIENTE è più come prima, lo vuoi capire? Non c’è nessuno a difenderti ora. Sai bene che dopo quel che è successo l’ospedale non è più lo stesso. Per tutti. Non puoi più fare il bello e il cattivo tempo, non puoi fare di testa tua. Non ora. Non più, ormai. E non si può tornare indietro. E ci dispiace a tutti, credimi. Non guardarti indietro: cerca di guardare avanti, anche se non riesci a vedere niente di meglio.”
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 11

Capitolo 11

S

entiva dei rumori attorno a se. Un lontano parlottare, dei passi. Aprì gli occhi, e li richiuse immediatamente, abbagliato dal bianco accecante del soffitto. Ci mise un po’ a capire che si trovava sdraiato, su un letto. Mosse un mano, che andò ad urtare qualcosa di freddo, di metallico.

Aprì di nuovo gli occhi, stavolta più lentamente, per permettergli di abituarsi alla luce.

Era in un letto di ospedale. Ma certo, ora ricordava.

Aveva avuto un infarto.

Beh, prevedibile, i sintomi erano chiari.  Li aveva ignorati. Li aveva voluti ignorare, probabilmente.

Eppure, era vivo. O almeno, così sembrava… sempre che l’aldilà non avesse l’aspetto di una camera d’ospedale.

Alzò la testa, appoggiandosi sul cuscino, e riuscì a vedere un uomo rannicchiato su una poltrona.

Era sdraiato di traverso, i piedi che sporgevano da un bracciolo, la testa spettinata e reclinata all’indietro… un’ inconfondibile cravatta.

Wilson stava dormendo. Chissà da quanto tempo era arrivato…chissà quanto tempo era stato privo di sensi, lui, se l’amico era riuscito nel frattempo ad arrivare fino a Montreal.

Tipico, era corso a salvarlo.

Guardò la radiosveglia sul comodino: le dieci e quarantasette, sabato nove Marzo.

Tentò di alzarsi, voleva andare in bagno, ma la flebo e i sensori per elettrocardiogramma glielo impedivano. Si mise seduto sul letto, e semplicemente non fece altro che spengere la macchina e liberarsi da tutti quei fili, dopo essersi staccato la flebo. Era tutta roba di prassi. Niente di veramente utile, in verità.

Andò in bagno, fece quel che doveva fare e si lavò le mani. Poi, si diresse verso la poltrona.

Chinò la testa, le mani dietro la schiena,  guardando Wilson dall’alto verso il basso, incuriosito da quella bocca semiaperta e da quella strana, scomoda postura in cui l’amico si era assopito.

Sembrava che House fosse il dottore e Wilson il paziente.

“Ehi, Wilson” fece ad alta voce il diagnosta “Io sono sveglio, non so tu….”

L’oncologo sussultò, quasi cadendo dalla poltrona, e aprì gli occhi di scatto.

“House! Sei… sei…sei un IDIOTA!”

Hmmm… non dovrebbe andare così. Io sarei dovuto stare sul letto, e io mi sarei dovuto svegliare lentamente sotto il tuo sguardo vigile, non viceversa. Ripassati il manuale del Perfetto Medico, amico” fece House sorridendo sornione “Se vuoi la rifacciamo”.

Sei… sei…” fece l’amico, scattato in piedi, passandosi una mano tra i capelli, esasperato.

“Come stai?”

“Meglio di te, a quanto pare” rispose House “Sembri appena uscito da un frullatore”.

“Cosa pretendevi? Mi hanno telefonato alle nove di ieri sera, sono dovuto correre all’aeroporto e saltare sull’ultimo volo della giornata per Montreal, che partiva alle dieci e un quarto… dopo aver preso l’aereo per miracolo, non sono riuscito a trovare un taxi libero per ore, e sono arrivato qui all’una e mezzo… e ho dormito tutto piegato su questa specie di poltrona” concluse, indicando quello che era stato il suo giaciglio per la notte “Cosa pretendevi, che arrivassi anche tutto in ordine?”

Si accasciò di nuovo sulla poltrona.

“E te cosa ci fai in piedi?! Torna subito a letto!”

House sbuffò, e si buttò sul letto, non prima di aver acceso la tv, dove trasmettevano il telegiornale del mattino.

“Chi stai chiamando?” chiese House, vedendo che il collega aveva preso il cellulare.

“Il tuo ufficio… i tuoi mi hanno chiesto di fargli sapere”

“Oh, poveri, hanno sentito la mancanza del loro papà?!” scherzò House con voce stridula.

“Pronto? Chase?” fece Wilson “House sta bene… si, ho dormito in ospedale… infarto, sì… no, non sappiamo ancora la causa… si è svegliato ora…si…cosa? La Cuddy… cosa?”

House alzò la testa di scatto, al sentire il nome della sua direttrice sanitaria.

Ah… “ continuò Wilson “ Sul serio…? Beh, è strano… dici che è una reazione allergica a un farmaco? Può darsi… si… va bene, fammi sapere se ci sono novità. Sì, ciao…” concluse l’oncologo, riattaccando.

“Cosa succede?” chiese subito House.

“Pare che sulla schiena della Cuddy sia comparsa una reazione allergica. Pensiamo ad un farmaco…

“Fategli i test…” House si sdraiò, non era questa la notizia che voleva sentire.

“Signore, ma lei sta bene!” esclamò una voce. Era quella di un anziano medico, probabilmente quello che lo aveva curato. Era appena entrato dalla porta.

“Perché si è tolto la flebo?”

“Preferisco il cibo solido, sa com’è…” rispose House tranquillo.

“Dottor House, lei ha appena avuto un infarto…

“Sto bene  ora…”

“A cosa è stato dovuto, dottor Trevor?” chiese Wilson, rivolto al medico, stroncando sul nascere quella che sarebbe stata una discussione eterna.

Beh…” Trevor si tolse gli occhiali, e se li pulì col camice, strizzando gli occhi “In parte lo stress…

Pfui…” House sbuffò “Non sono stressato, non più di lei. Da quel che dicono molti medici, sembra che lo stress sia alla base di quasi tutte le patologie esistenti.”

“E in parte, signor House, un eccesso di potassio nel sangue. Dovuto…

“… alla mia operazione alla gamba di anni fa, scommetto.” concluse il diagnosta, gelido.

Trevor annuì.

E… questo cosa significa? Dottore, sono passati anni, da quell’intervento…”chiese Wilson, un po’ spaventato.“Purtroppo” fece Trevor “Questo genere di complicazioni è a lungo termine”

House annuì, ricordando le parole di Stacey e della Cuddy, quando aveva rifiutato, tempo addietro, quell’amputazione…lo avevano avvertito della pericolosità di rimuovere quel coagulo… certo che il potassio era rimasto nel suo corpo per tutto quel tempo… nemmeno lui lo aveva previsto.

E…” House fissò il medico di fronte a dritto negli occhi “… potrebbe riaccadere?”

Trevor si rimise gli occhiali, e appoggiò la cartella clinica sul letto, sostenendo il suo sguardo.

“Non lo posso escludere, House. Non lo posso escludere”.

 

*

Erano passati cinque giorni dall’infarto. La sera del quattordici Marzo, House stava sdraiato sul divano di casa sua, a trangugiare Pop-Corn, guardando General Hospital.

Subito dopo aver parlato con il dottor Trevor, a Montreal, era apparso in camera sua quell’idiota di Gillford, che li aveva costretti ad ascoltare il resoconto minuto per minuto della sua disperazione e della sua preoccupazione dopo che House aveva perso i sensi, e il racconto di come le sue conoscenze tra i Direttori Sanitari avessero garantito una maggiore velocità di trasporto verso l’ospedale.

House aveva insistito per farsi dimettere, e lui e Wilson avevano passato il resto del soggiorno a Montreal visitando la mostra. Ovviamente, House si era rifiutato di parlare alla conferenza finale la sera del dieci,  nonostante le suppliche e le lusinghe di Gillford, ed erano partiti la mattina dopo.

Il diagnosta aveva poi scontato i giorni della sua sospensione a  casa, senza pensare a nulla… vegetando. Era svogliato, quasi rassegnato a quello schifoso modo in cui le cose stavano andando… lui allontanato dall’ospedale, la Cuddy in coma, e Kingston re del Plainsboro.

Squillò il telefono.

Era Wilson.

“House, allora domani ti passo a prendere alle sette e mezzo, va bene?”

“Wilson, cosa stai dicendo? Io non posso tornare a lavoro fino a dopodomani…

“House, sto parlando del processo….”

Fu come se avesse ricevuto una botta in testa. E’ vero… il processo. Lo aveva completamente rimosso. Si era completamente dimenticato che da lì a nemmeno ventiquattro ore Wilson avrebbe avuto il suo scontro con la giustizia.

“Alle sette e mezzo va bene”.

 

*

Erano le sette e mezzo.  Lui stava davanti alla porta. Per la prima volta della sua vita, Gregory House era puntuale. Per la prima volta della sua vita, Gregory House indossava abiti formali. Pantaloni neri, scarpe nere riesumate dall’armadio, resti di un vecchio matrimonio, a cui era andato sicuramente malvolentieri. Giacca, cravatta rossa.  Si sentiva strano vestito così, era come mettersi il camice, era un qualcosa a cui non era abituato.  Faceva freddo quella mattina, freddissimo, ma il cielo era terso, non c’era nemmeno una nuvola. La spessa coltre di neve che avvolgeva Princeton risplendeva e scintillava, quasi abbagliava.  Pensò per un attimo di tornare in casa a cercare un cappotto, ma  il rumore della macchina di Wilson che si avvicinava gli fece cambiare idea.

Appena l’amico ebbe accostato, House salì in macchina  e prese posto accanto a lui.

“Buongiorno.”

“Ciao.”

Anche Wilson era stato molto attento alla forma. Giacca e cravatta a righe erano d’obbligo, per non parlare della pettinatura impeccabile. Aveva il volto di uno strano colore… che si fosse addirittura truccato?

“Nervoso?” chiese provocatorio il diagnosta.

Nooo, figurati… tranquillissimo. Mai stato più tranquillo” fece l’altro stizzito.

“Bene.”

“Testimonierai in mio favore?” chiese quasi d’istinto l’oncologo, senza girarsi.

Quella domanda se l’era posta anche House. Il suo odio per i discorsi in pubblico si scontrava con l’amicizia, e spesso era quest’ultima a soccombere. Stavolta però sentiva che Wilson avrebbe avuto bisogno. La giustizia americana spesso si trastulla con queste cause da quattro soldi, pensava, la gente adora condannare il medico negligente, il professionista incapace che gioca incautamente con la vita dei pazienti. Lo sapeva bene, lui.

Il viaggio in macchina proseguiva nel più totale silenzio, fatta eccezione per la radio che trasmetteva informazioni sulle strade bloccate dalla neve. Non si trattava di un lungo tragitto, un’ ora  di macchina, forse qualcosa di più.

Il tribunale di Trenton era un grosso e moderno edificio nei pressi del centrocittà. Migliaia di persone entravano e uscivano dalle varie aule, divorzi, dispute di proprietà, casi di stupro e via dicendo. Di certo Wilson non sarebbe stato l’unico a essere giudicato, quella mattina.

Parcheggiarono ed entrarono nel vasto salone principale, di forma ottagonale. Il  luogo era illuminato naturalmente da grossi lucernai, e decine di porte si aprivano lungo i lati della stanza, naturalmente affollatissima. Arrivato al desk principale, Wilson chiese informazioni.

“Aula 3” fu la risposta della segretaria “Giudice Webnis”.

Wilson avanzava a passo serrato. L’amico faticava a stargli dietro.

“Ehi, ma dove è finito il rispetto per gli handicappati?” ironizzò il diagnosta.

Wilson si fermò.

“Scusami, è che ho paura di essere in ritardo. E devo  ancora incontrarmi con il mio avvocato”

“Chi è?”

“Un tale Robert Perkins.”

“Non potevi assumere quello del tuo divorzio?”

“No, House, qui siamo nel penale. Kinsley è un civilista”.

“Ah, si tratta di una causa penale?” chiese House leggermente sorpreso.

“Istigazione al suicidio?” fece ironico Wilson “Beh, sai com’è…

“Dottor Wilson?”

House si girò per cercare di capire da dove provenisse la voce. Non riuscì a scorgere nessuno.

“Dottor Wilson, sono qui!”

Il diagnosta quasi sobbalzò dallo stupore notando la persona che stava chiamando l’amico. Si trattava di un ometto alto non più di un metro e cinquanta, in tipica “divisa” da legale, praticamente calvo, che stava agitando le mani sopra la testa nel tentativo di essere notato. Wilson quasi si dovette chinare per stringergli la mano.

“Signor Perkins, buongiorno!” fece Wilson “Lui è il mio collega, il dottor House. Testimonierà in mio favore”

“Non ne avrà bisogno” fece l’avvocato scuotendo la testa “Lei è in una botte di ferro. Non possono accusarla ne di istigazione ne tantomeno di negligenza professionale, ne abbiamo già parlato. La legge è dalla sua”

“La legge sì…” fece House “Ma i giurati?”

Un po’ interdetto dal commento del diagnosta, Perkins prese in mano una ventiquattr’ore nera e prese a zompettare allegramente verso l’aula.

Appena arrivati presero posto, Wilson al banco degli imputati accanto a Perkins, e House subito dietro di loro, annoiato. Era già stato a molti processi, ma era la prima volta che vi andava in qualità di testimone e non di imputato. Chi l’avrebbe mai detto che un House si sarebbe dovuto trovare a sostenere un Wilson colpevole? Si trattava di un vero e proprio “ribaltamento di ruoli”.

“Entra il giudice Roger Lucas  Webnis” annunciò la guardia giurata di fronte a loro.

Si alzarono tutti in piedi (naturalmente eccetto House) mentre un uomo corpulento e baffuto avvolto da una toga avanzava a passi pesanti nella stanza. Sedutosi, dall’alto del suo banco aprì l’udienza con le frasi di rito.

“Giovedì 15 Marzo, apro l’udienza per il processo penale all’imputato dottor James Wilson, accusato di negligenza professionale e conseguente istigazione al suicidio nei confronti di Rowan Moore, deceduto in data Giovedì 28 Febbraio,  apparentemente spinto a togliersi la vita a causa del dolore lancinante provocatogli dal suo male. La parola all’accusato, dottor James Wilson, primario di Oncologia al Princeton Plainsboro Teaching Hospital. Come si dichiara l’imputato?”

“Innocente” fece fermamente Wilson.

“La parola all’accusa, avvocato Derris”.

Un signore sulla cinquantina si alzò dal banco dell’accusa. Aveva l’aria di essere un avvocato molto esperto, di quelli astuti e spietati, che sanno come mandarti sulla sedia elettrica anche solo per un furto di biciclette. I piccoli occhi neri si guardavano intorno con circospezione, studiavano il campo, la gente, il giudice. Quell’avvocato era una macchina da guerra.

“Signor Giudice, signori della Giuria, testimoni qui presenti” esordì pomposo, compiendo ampi e tragici gesti con le mani “in qualità di avvocato della famiglia Moore vi espongo come si sono svolti i fatti. Non potrete fare a meno di notare con quanta superficialità e con quanta crudeltà…

“Obiezione, vostro onore!” strillò  Perkins.

“Respinta. Vada avanti,  Derris.”

“E con quanta crudeltà il dottor Wilson abbia spinto il suo paziente al suicidio. Dovete sapere che Rowan Moore era affetto da ormai quasi un anno da un letale tumore al polmone, che lo avrebbe portato alla morte entro cinque o sei mesi. Cinque o sei mesi di vita che il dottor Wilson gli ha tolto in maniera barbarica e spietata!”

“Obiezione vostro onore” trillò Perkins, svettando dal suo metro e cinquanta “ci si rivolge al mio cliente con termini diffamatori!”

“Accolta” fece il giudice “Avvocato Derris, moderi i termini. Nessuno qua è un barbaro.”

Evidentemente contrariato, Derris si schiarì la voce e proseguì.

“… in ogni caso, la responsabilità del dottor Wilson è palese. Giovedì 28 Febbraio, nel pomeriggio, Rowan Moore si è presentato nel suo studio chiedendogli di rivedere la terapia del dolore. Il dottor Wilson lo ha brutalmente respinto…

“Obiezione!”

“Respinta”

House alzò gli occhi al cielo. Se la sorte di Wilson dipendeva da quell’ometto isterico di Perkins… allora sarebbe stato molto più semplice patteggiare per la pena.

“Il dottor Wilson ha preferito dedicarsi a mere questioni burocratiche di scarsa importanza…

“O-B-I-E-Z-I-O-N-E vostro onore, non si trattava certo di mere…

Perkins, SILENZIO! Parlerà quando sarà il momento!” tuonò Webnis.

“… di scarsa importanza, piuttosto che dedicare il suo tempo ad un suo paziente terminale, piuttosto che regalare qualche mese di vita in più ad un innocente. Il dottor Wilson, pertanto, deve essere dichiarato colpevole di tutte le accuse,  senza riserva alcuna.  Ho finito, vostro onore”

I mormorii di assenso che si diffondevano rapidi per la giuria non promettevano nulla di buono.

Era il momento dell’arringa di Perkins.

Sarebbe stato più semplice dichiararsi colpevoli, a quel punto.

“Vostro onore, le questioni burocratiche inventate da Derris non sono certo la causa delle azioni del… del mio assistito” iniziò l’avvocato, nervoso “Si trattava di un importantissima fornitura di macchinari senza la quale l’andamento dell’ospedale sarebbe stato seriamente compromesso.”

“Di che materiale si trattava?” chiese Webnis.

Beh…Perkins si schiarì la voce “Si trattava… di…

“Di macchine per le radiografie.”

House si era alzato in piedi.

“House, che diavolo fai!” sibilò Wilson.

“Macchine per la dialisi, strumenti per la sala operatoria, defibrillatori… e ancora, materiale sterile… tutta robetta di cui generalmente un ospedale necessita, per andare avanti.” concluse, ironico, prima di rimettersi a sedere.

“Dottor House” fece Webnis “Lei non è stato chiamato in causa. Faccia un altro intervento del genere e la farò allontanare.”

Wilson si girò verso l’amico, furente.

“Ma mi vuoi mandare in galera?”

“No, a quello ci penserà Perkins, il tuo geniale avvocato” rispose caustico House.

“Obiezione, vostro onore” fece Derris “La vita umana va salvaguardata in ogni caso”

“Accolta” fece Webnis.

Perkins andò seriamente in confusione. Il resto dell’arringa fu confuso, male espresso. I giurati ormai avevano le idee chiare: Wilson era passato per un pazzo assassino, che preferisce correre dietro a macchinari piuttosto che salvare la vita ai pazienti.

Alla fine della pietosa orazione, il giudice si alzò.

“La giuria  si ritira ora per esprimere il verdetto…

“Sono finito…” mormorò Wilson, con la testa fra le mani.

“Chiedo di poter testimoniare in favore di James Wilson” fece una  nota voce.

House stava in piedi, col bastone. Fissava il giudice dritto negli occhi.

“House, lascia perdere… non peggioriamo le cose…” mormorò sconsolato l’amico.

“Tanto, peggio di così…” fu la risposta.

“Accordato” fece il giudice, rimettendosi seduto.

House salì al banco dei testimoni. Dette una rapida occhiata all’aula gremita.

“Buongiorno a tutti. Sono il dottor House. Forse qualcuno mi conosce. Lavoro al Plainsboro da otto anni ormai. E da altrettanti anni conosco il dottor Wilson. Sapete, lui è un maniaco della precisione e della moralità. Ogni tanto io glielo dico … Cosa te ne importa di curarlo, tanto è condannato! Ma no. Si ostina disperatamente nel migliorare quei due  o tre mesi di vita. La gente lo ringrazia anche, quando lui annuncia la morte! Stupido, eh, sforzarsi tanto per una persona già spacciata!? Sì, anche io la penso così. E infatti non sono oncologo, ma diagnosta. Per me la gente è spacciata solo quando l’elettrocardiogramma è piatto. Purtroppo però c’è anche qualche medico noiosamente corretto, da noi. E Wilson è uno di quelli.”

La sala era percorsa da mormorii di stupore e di ammirazione. Qualcuno guardava House di traverso, altri con sospetto, taluni con fervida curiosità, per quello zoppo che parlava in un tribunale come se si trovasse al bar. La giuria chiacchierava, mormorava, fremeva. C’era chi scuoteva la testa, c’era chi invece annuiva.

“La situazione al nostro ospedale non è delle migliori, come saprete. La nostra direttrice sanitaria è in coma. Wilson, già primario di reparto, ha dovuto fare le sue veci. Pensate che sia semplice? Bene, è come scalare una montagna senza corda e piccone.  Non so se rendo l’idea. A mani nude.

Volevo inoltre precisare alcuni punti dell’arringa dell’egregio avvocato Derris. Il tumore al polmone crea, nel paziente normale, un dolore lancinante che però causa un’estrema debolezza. Per uccidersi ci vuole, oltre che una buona dose di adrenalina, una forza psico-fisica non indifferente. Bene, il tumore al polmone non porta ad uccidersi. Sono convinto – e se qualcuno qui se ne intende un minimo di medicina ne converrà – che la situazione psico-fisica del signor Moore fosse alterata in partenza. Sono sicuro che il signor Moore soffrisse già di attacchi di ansia e di iperattività, nonché di frequenti attacchi di nevrosi.  Dico bene, Derris?” fece House, provocatorio, rivolto all’avvocato dell’accusa.

Sì… sì, in effetti è così. Non… non credevo che fosse rilevante” borbottò contrariato, le braccia incrociate sul petto.

“Capisco. Beh, un particolare molto comodo da omettere nella sua arringa” continuò House.

“Dottor House” lo interruppe il giudice “Non faccia insinuazioni”.

“Bene. Sarò breve, gente. Wilson ha agito in piena consapevolezza delle sue azioni, sapeva benissimo che il paziente era in grado di resistere per altri dieci minuti e sapeva bene che non sussisteva nessun pericolo di vita. L’equilibrio psico-fisico di base  del paziente non era di sua competenza, anche perché niente era stato dichiarato al momento dell’anamnesi. Cari signori, i medici devono essere processati dai medici, e non dagli avvocati. Perché gli avvocati non stanno in sala operatoria a tamponare un cuore, o a estrarre un fegato. Non sanno se una persona è in pericolo di vita o meno. Non sanno se un tumore al polmone possa portare o meno al suicidio. Ho finito”.

House tornò a sedere. Ci fu  qualche minuto di silenzio.

Un applauso. Prima isolato. Sempre più forte. In pochi secondi il fragore divenne assordante Qualcuno nelle prime file si alzò.

Wilson  guardò House negli occhi, senza parole.

House si sedette, e guardò verso Webnis, trionfante.

“Ordine, ordine” fece il giudice, sbattendo il martelletto e riportando la calma.

“Prendiamo … atto della testimonianza, dottor House.”

Si alzò.

“La giuria si ritira per il verdetto. La seduta è sospesa”.

 

 

E finalmente, dopo le vacanze, eccomi di ritorno! XD Chiedo venia, perdono pietà e comprensione per la mia lunga assenza!  Sono stato preso dal vortice delle vacanze  (e dalla lettura di Harry Potter 7 ghghghg ) Come promesso, la ff va avanti! Spero che da questo momento in poi  gli aggiornamenti saranno più regolari, anche perché ormai siamo alla fine: si tratta di altri 3  o 4 capitoli!!!

PS: però una cosa buona l’ho fatta: per farmi perdonare, capitolone più lungo del solito! Avete notato ?!

Ma ora, rispondiamo alle (ormai vecchie) recensioni:

 

vally Beh, si, in effetti vi ho lasciato un po’ col fiato sospeso! Sono un po’ perfido, lo ammetto! XD grazie della recensione, a presto!

remsaverem: putroppo invece vi ho proprio lasciato friggere XD!  Grazie dei  complimenti… spero che continuerai  a leggere!

Siyah: una luuuunga pubblicità! ;-) comunque anche stavolta House salva la pellaccia! Mi raccomando, spero che ancora ti ricorderai della mia fic dopo tutto questo tempo senza aggiornare… sigh sob! XD a presto!

angelikfire: ah, allora quella maledizione che mi ha fatto andare dei calcinacci nell’occhio sinistro era opera tua! XD non ho fatto morire House. Sono salvo, vero? O_o comunque grazie mille della recensione… fammi sapere se ti è piaciuto il capitolo!

madda: … vedo che ti ho lasciata nel panico più nero O_o spero che adesso tirerai un sospiro di sollievo! XD

fabio93: ti ringrazio moltissimo dei complimenti e sono contento che tu abbia iniziato a leggere la fic! Ah, per quanto riguarda il chiodo, quella che il ragazzo anemico aveva nella gamba era solamente la traccia di un vecchio chiodo già rimosso, non il chiodo in se! Ecco perché la risonanza non fa danni! XD mi raccomando fammi sapere se ti è piaciuto questo nuovo capitolo!

the bride: la nostra messicana, che ormai sarà tornata in italia! Hola! Già tremo pensando alle tecniche di attacco O_o spero che il capitolo ti sia piaciuto! Spero di evitare l’uccisione!!! Grazie dei bellissimi complimenti, fatti viva presto!!!

 

Alla prossima puntata, gente!

Pietro90

 

 

 

 

  
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