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Autore: CAMM    20/02/2013    2 recensioni
La verità?
Tom era un emerito coglione, in tutto e per tutto, un ragazzo cresciuto in fretta, troppo preso dal suo ego, fin troppo spavaldo ed estroverso, che amava scherzare con la vita.
Connie era tutto il contrario, aveva paura della vita, lei.
Connie non era stupida e quando ripensò ai loro mondi opposti le venne istintivo alzarsi dalla sedia, congedarsi sbrigativamente con l’amica e infilare in quattro e quattr’otto la porta.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mark Hoppus, Nuovo personaggio, Tom DeLonge, Travis Barker
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CHAPTER THREE

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Demetra si alzò dal letto e lungo la schiena nuda percepì un brivido gelido. Afferrò da terra una felpa del fratello e un paio di pantaloni troppo larghi, della tuta di suo padre.
Diede una manata alla sveglia già malridotta.
Osservò la sua stanza, era un totale casino, s’appuntò mentalmente di sgombrare almeno il percorso letto-porta nel pomeriggio. Si preparò svogliatamente notando che il fratello, stranamente, non aveva occupato il bagno prima di lei.
-Tooooom!- Urlò allora la sorella guardando ancora una volta l’orologio, erano già in ritardo.
Entrò nella camera di Tom continuando a urlare qualche minaccia e imprecando tutti i Santi del Paradiso.
Tom non era letto, non era in bagno, non era in cucina e nemmeno in sala. Era sparito.
Beh, cazzi suoi.
A quel punto, uscì di fretta da casa componendo il numero del fratello al cellulare.
Prima che Tom riuscisse a finire di dire ‘Pronto’ Demetra cominciò a urlargli dietro: -Si può sapere dove cazzo sei andato a finire? Madonna, Tom, ti prenderei a sprangate quando fai così-
Tom riattaccò senza risponderle, non aveva voglia di scazzi quella mattina e sua sorella incazzata era decisamente uno scazzo.
Demetra camminò decisa fino al cancello della scuola, quella mattina non era decisamente cominciata al meglio.
Con gli occhi cercava Travis, ma nulla da fare, non c’era. Pensò mentalmente che facesse sega quel giorno, ma due minuti dopo le sue braccia inchiostrate le avvolsero i fianchi. Erano quelle le piccole gioie che amava, le sue braccia calde, i suoi occhi chiari, il suo sorriso.
Demetra si girò di scatto per dargli un lieve bacio a fior di labbra, Travis impose più passione a quel bacio e le loro lingue si incontrarono piacevolmente.
Si divisero solamente dopo che Tom impose la sua presenza punzecchiando la spalla della sorella.
-Dem, dì a mamma che mi fermo da Mark dopo scuola, per provare-
Demetra osservò gli occhi nocciola del fratello. Mentiva.
-E dove vai?- Gli disse fissandolo e provocandogli un leggero senso di oppressione.
-Cazzi miei, Demetra!-
La ragazza entrò a scuola con il viso rivolto verso il pavimento.
Come un automa che programmato va da sé, Demetra entrò in classe, si sedette, appoggiò i libri al banco e sprofondò lentamente nella sedia. Liberò la sua mente da tutti i più piccoli pensieri e cominciò a canticchiare mentalmente una di quelle canzoni  che aveva nell’iPod, di quelle che di cui nemmeno sapeva il titolo, di loro sapeva solo il fresco sapore delle note che facevano da sottofondo ai suoi pensieri.
Cercava di non pensare, di non ricordare.
20 febbraio 2007.
20 febbraio 2013.
Erano già passati sei anni, sei anni spazzati via dal vento delle primavere precoci, sei anni.
Tom spariva nel nulla ogni 20 febbraio da sei anni.
Non si sapeva cosa facesse, con chi stesse, spariva nel nulla, come a non voler ricordare.
I due fratelli detestavano quel giorno, pesava loro nelle spalle più di qualsiasi altro giorno dell’anno, si sentivano carichi di sentimenti, di consapevolezze, di amaro.
Il cielo prometteva pioggia e le nuvole cupe non facevano altro che far ricordare tutto.
 
-Babbo, ti prego, portaci al mare- Aveva supplicato la mora ragazza tutta entusiasta.
-Sì, papi, ti prego, portaci al mare!- Continuava a ribadire anche il fratello. I due avevano sempre il sorriso da complici stampato sulle piccole labbra sottili.
-Va bene, ragazzi, salite in macchina, famiglia- Accontentò il padre, dopo le mille suppliche.
Grant era sempre stato un padre facilmente corrompibile, non riusciva a dire no agli occhi grandi di Demetra e Thomas, più li guardava e più li amava, erano le due più grandi soddisfazioni della sua vita. Nessuno più di loro due riusciva a rendere ogni momento allegro e pieno di leggerezza. Ogni tanto ci pensava, pensava a come sarebbero cresciuti in fretta, pensava a come un loro sorriso gli faceva tornare l’energia anche dopo un’infernale giornata di lavoro, pensava a loro ed era soddisfatto; quella soddisfazione che ti colpisce il cuore e ti rende pieno.
Di certo non avrebbe mai detto che tutto sarebbe potuto finire così.
Grant, quel 20 febbraio, guidava la macchina felice, pensando a come quella giornata sarebbe scivolata via tranquilla e troppo in fretta; a come avrebbero potuto giocare con la sabbia e come si sarebbero potuti divertire nell’acqua salata del mare.
-Papà, accendi la radio?- Chiese Thomas che sedeva nel sedile posteriore, affianco alla sorella.
Grant accese quell’aggeggio da cui uscì l’ultima canzone di Mika, Relax. Il ritmo era coinvolgente e tutti e quattro, pure Caroline, la madre, si ritrovarono a cantare a squarcia gola quel singolo.
Erano una famiglia felice, con i loro alti e bassi, come tutti, ma erano legati per davvero.
Demetra ricordava perfettamente la strada per il mare, uscirono dall’autostrada ed al primo incrocio, una macchina non rispettò la precedenza.
Andava ad una velocità impressionante, quella macchina.
Grant non aveva allacciato la cintura.
Demetra poteva ancora sentire lo stridulo rumore delle ruote sull’asfalto, dei freni che tentarono di alleviare quello scontro.
Il corpo di Grant si catapultò in avanti, sfondò il parabrezza e cadde a terra.
Privo di vita.
 
Era inutile cercare di dimenticare, quel tarlo nella mente di Demetra e Thomas continuava a mangiarsi i loro sentimenti, a mangiarli dentro.
Le lezioni mattutine finirono presto, la pausa pranzo arrivò prima che Demetra potesse accorgersene. La sua mente, quella mattina, apparteneva ad un altro pianeta completamente differente.
-Dem, hai capito cosa ho detto?-
Demetra non aveva minimamente calcolato Connie, anzi, a dir la verità non s’era nemmeno accorta che le fosse accanto.
-No, Connie, non ti stavo ascoltando- Connie si accorse subito che l’umore di Demetra era alterato, ma cercò di non darne troppo peso.
-Ti ho chiesto dove è finito Tom, è da quel pomeriggio che non l’ho più visto, ma ti ha parlato almeno,t’ha detto qualcosa?-
Connie non sapeva nulla del 20 febbraio.
-Cazzo, Connie, smettila di rompere il cazzo con Tom, non ‘ha detto nulla e non credo che gliene sbatta qualcosa di una come te; quindi non rompere più il cazzo con questa storia, intesi?-
Stava per fare la sua uscita di scena trionfante quando si voltò un’ultima volta verso l’amica –E cerca di dimenticarti Tom, è pur sempre mio fratello, Cristo!-
Ancora una volta Demetra non era riuscita a tenere a freno il tono di voce; le teste di quasi tutta la scuola erano rivolte verso Connie che sfoggiava un colore scarlatto nelle gote.
Demetra era nervosa, nervosa e suscettibile; con il vassoio in mano si dirise verso il tavolo rotondo più in disparte di tutti gli altri.
Travis si accorse che la ragazza dai fluenti capelli castani non sedeva al solito tavolo, la cercò tra l’ammasso di ragazzi. La vide in disparte e la raggiunse.
-Che hai, Deme?-
Che domande erano? Cosa conosceva lui di Demetra se non i suoi dolci fianchi e le sue fragili gambe snelle?
-Un cazzo- Rispose determinata la ragazza, addentando parte della cotoletta che le era stata servita.
-Bene, cosa tu abbia non lo posso sapere, senti, se sei una donna mestruata, rilassati, non sputarmi in faccia e ci vediamo tra cinque-sei giorni- Il ragazzo tatuato si alzò e tornò da dov’era venuto.
Ma che cazzo voleva? Che ne sapeva lui di Demetra?
Travis non capiva un cazzo, non era un ragazzo interessato ad andare veramente a fondo nei problemi altrui, a lui bastavano anche solamente le dolci curve di Demetra.
Il nervosismo cresceva dentro lo stomaco di Demetra, pensò che forse avrebbe fatto bene a sparire anche lei, quel fottutissimo 20 febbraio.
Scappare dai problemi sarebbe stata una soluzione? Avrebbe davvero avuto un senso?
Fece un sospiro profondo, socchiudendo gli occhi.
No, scappare non aveva senso.
Si alzò senza far caso al cibo ancora nel suo piatto, uscì dalla mensa e raggiunse i bagni.
Alzò il rubinetto al massimo cercando di sciacquarsi la faccia.
Alzò gli occhi dal lavandino e si ritrovò un individuo peloso che si specchiava con attenzione e narcisimo.
-Mark?!- Disse alzando un sopracciglio.
-Oh, ma che brava, sai il mio nome- Disse con un tono d’ironia.
Ce l’avevano tutti con lei quel giorno?
-Sei nel posto sbagliato, è il bagno delle ragazze!-
-Oh, no, non sono nel posto sbagliato- Concluse la discussione con nonchalance ed uscì dal bagno.
Demetra lo rincorse chiamandolo.
-Mark! Sai dov’è finito mio fratello?-
Scosse la testa accompagnando il tutto con un: -No, avrà fatto sega-
 
Tornò a casa accelerando il passo più del solito, sfilò il cellulare dalla tasca dei jeans e digitò un breve messaggio di scuse per quello che era successo a mensa indirizzato a Connie.
Arrivò davanti a casa e notò una chioma troppo colorata seduta sul marciapiede, la testa china.
Demetra picchiettò la spalla dell’amica, i loro occhi si lanciarono uno sguardo di scuse reciproche.
Scuse sincere, di quelle che valgono più di mille parole dette al vento.
Fu in quel preciso momento che Demetra decise che dopotutto Connie era l’unica persona che conosceva da così tanto tempo che poteva definirsi quasi migliore amica.
L’unica con cui aveva condiviso momenti di pazzia, di felicità, di serietà; l’unica con cui si sentiva sempre a suo agio; l’unica con cui riusciva a litigare. Era la pura verità, Demetra non aveva mai quel coraggio che bisogna avere quando si litiga, quando alzi la voce e dici le prime cazzate che ti passano per la testa.
Demetra questo riusciva a farlo solamente con Connie.
Le due si abbracciarono timidamente, non erano solite a questo tipo di effusioni, erano due ragazze talmente orgogliose che non si concedevano mai nemmeno un piccolo contatto fisico.
Le due entrarono in casa DeLonge ancora ammutolite, salutarono Caroline che stava stirando.
Andarono in camera della mora e si sedettero a gambe incrociate, una di fronte all’altra come facevano sempre quando Connie dormiva dai DeLonge.
Nella mente di Demetra passarono rapidamente tutte le conversazioni che aveva avuto con l’amica in quel letto, in quella posizione. Erano infinite, ore ed ore passate a chiacchierare, a ridere, a giocare. Cercò di ricordare quando anche Tom si infilava nelle loro discussioni, come se si fosse sentito escluso dalla loro amicizia; cercò di ricordare gli sguardi di Connie nei confronti di Tom, quegli sguardi colmi di semplicità e di sorrisi.
Scrutò quegli occhi chiari dell’amica.
-Connie, ti devo dire una cosa-
Connie la guardò con quegli occhioni grandi, sembravano quasi ingenui.
-Dimmi- La sua voce risuonò gentile e disponibile.
Le due passarono tutto il pomeriggio a parlare, Demetra le raccontò tutto ciò che non sapeva su suo padre, su Grant.
Fu difficile, non l’aveva mai raccontato a nessuno, l’aveva sempre visto come qualcosa di suo, a quella sera si fogò, sputò tutto fuori e, andando a letto la sera si sentì un po’ meno pesante.
 
 
Thomas era salito sulla collina dai fiori azzurri.
La collina dove lo portava papà la domenica, era un posto loro, un luogo che sapeva ancora il suo profumo.
Si sedette in cima alla piccola collina, nell’erba ancora bagnata dalla rugiada, si accese una sigaretta. Il fumo della sigaretta, l’odore del tabacco contrastavano a pieno con quel posto.
2007-2013.
Sei anni. Un’eternità, pensò.
Cominciava a dimenticare i lineamenti del suo volto, i loro ricordi diventavano sempri più vacui ed offuscati. Stava cominciando a dimenticarsi di suo padre.
Spense la Marlboro rossa senza finirla, si portò le mani alla faccia e in quel momento cercò disperatamente di ricordare il suono della sua voce, il respiro caldo sul suo volto, i suoi sorrisi sinceri.
Strinse la mani a pugno.
Non riusciva più a ricordare, non riusciva più a sentire le sue mani che s’appoggiavano delicate al suo volto.
Guardò il cielo, era vero che le anime stanno lassù?
Cercò tra le nuvole grigie uno spiraglio, una speranza.
-Dove sei, papà?-
Una lacrima gli rigò il volto, si asciugò.
Si alzò, c’era un albero lì di fianco. Aveva rabbia in corpo, Dio se ne aveva.
Cominciò a prendere a pugni quel tronco d’albero, come se fosse stata colpa sua se suo padre era morto.
Gli occhi bruciavano, quasi non riusciva a tenerli aperti mentre le nocche s’arrossavano e sanguinavano.
L’adrenalina e la rabbia cessarono.
Abbracciò l’albero.
Sentì nell’aria per l’ultima volta quel profumo che tanto lo ricordava.
S’accasciò a terra, s’asciugò le lacrime e s’addormentò.

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Sciao a todos!
Prego di avere pietà di me per questo schifosissimo capitolo, è stato un parto atroce! non sapevo che scrivere, seriamente.
Rigrazio di cuore tutti quelli che hanno recensito, continuate a farlo :)
Vi lascio il link della mia storia originale se volete leggere qualcos'altro di mio: I won't let you go
  
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