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Autore: Fragolina84    20/02/2013    1 recensioni
Makani è la parola hawaiana per vento. Ed è un vento nuovo quello che soffia sui Five-0 e sul comandante Steve McGarrett. Questo vento ha un nome, Nicole Kalea Knight, e il volto di una giovane donna dagli splendidi occhi viola. Basteranno questi occhi a catturare un ex Navy SEAL?
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Steve McGarrett, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'I miei Five-0'
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Capitolo 8
Il desiderio di stare con te è più forte

 
Nicole era stata reticente per tutta la settimana sulla destinazione di quella sera. Steve aveva provato a farla parlare ma non era riuscito a scucirle nulla.
Nella sede dei Five-0 era regnata calma piatta. Era la prima volta in otto mesi che riuscivano a trascorrere una sola settimana senza casi speciali da risolvere. I Five-0 avevano trascorso quelle giornate in parte sistemando rapporti che erano andati accumulandosi in quei mesi di lavoro e in parte allenandosi nella palestra e al Poligono del Dipartimento.
Dopo la gita in barca, Steve e Nicole si erano rituffati nel lavoro evitando di mostrare la loro situazione agli altri. Non si sentivano ancora pronti ad uscire allo scoperto, anche se ad entrambi dispiaceva mentire così agli amici.
Ma per quanto cercassero di non farsi notare – o forse proprio per questo – risultavano assolutamente evidenti le occhiate che si lanciavano e il modo in cui si sfioravano non poteva essere preso per involontario.
Per la cena di quel sabato, Steve si preparò con più cura del solito. Nicole l’aveva pregato di vestirsi casual perciò aveva indossato un paio di jeans neri e una camicia bianca. La donna gli aveva chiesto di passare a prenderla e lui arrivò sotto il suo palazzo in Waykolu Way e la chiamò.
«Nicky, sono appena arrivato. Ti aspetto in macchina».
«Ehm… Steve, sono un po’ in ritardo. Scusami» rispose lei.
«Non c’è problema. Aspetterò».
«Ti prego, sali. Quattordicesimo piano, appartamento A».
Nicole insisteva, perciò Steve parcheggiò la Camaro ed entrò nel palazzo. Prese l’ascensore e raggiunse il quattordicesimo piano. Il suo appartamento era proprio di fronte e lui suonò il campanello. Nicole aprì la porta e il suo cuore perse un battito.
Indossava un vestito con le spalline sottili dello stesso tono di viola dei suoi occhi. Era pochissimo truccata – non ne aveva bisogno, in effetti – e i capelli ondulati erano raccolti e tenuti fermi da uno spillone.
«È assolutamente inconcepibile che tu sia così bella» mormorò Steve, abbassandosi per baciarle la guancia. Lei rise di piacere e si scostò per lasciarlo entrare.
«E komo mai [1]» lo accolse, mentre Steve si guardava intorno incuriosito.
L’anticamera d’ingresso era delimitata da un muro di vetrocemento azzurro. Nicole gli fece strada, introducendolo in un ampio soggiorno in cui era piazzato un divano blu che faceva da divisorio rispetto alla zona cucina. Sulla parete di destra si apriva una portafinestra che dava su un piccolo terrazzo. L’arredamento era di tipo moderno, con i pensili della cucina di colore azzurro, e un tavolo rotondo in cristallo. Dietro il tavolo si apriva un arco oltre il quale s’intravedeva la camera da letto. Nicole era rimasta in silenzio mentre lui si guardava intorno.
«Allora? Che ne pensi?».
«Hai un bellissimo appartamento». Steve raggiunse la finestra e osservò la città dall’alto. Il rumore del traffico arrivava smorzato e ovattato. «Ti piacciono il blu e l’azzurro, eh?».
«Erano i miei colori preferiti ancor prima di incrociare il tuo sguardo» sussurrò in risposta, e Steve sorrise ma non disse niente, continuando a guardarsi intorno. Alle pareti erano appesi alcuni quadri, vedute sognanti ed eteree di spiagge e paesaggi che ricordavano molto le Hawaii. Nicole seguì la direzione del suo sguardo.
«Li ho fatti io», spiegò.
«Sono bellissimi, davvero».
La donna lo sogguardò per un momento, mordicchiandosi nervosamente l’unghia del pollice.
«Sai, ti ho mentito, Steve. Stasera non usciamo a cena».
Steve corrugò la fronte e solo in quel momento si accorse del tavolo preparato per due e del buon profumo di cibo che aleggiava dentro la casa.
«Ho cucinato per te» disse lei semplicemente e Steve sorrise.
Nicole lo fece accomodare sul divano e gli servì un cocktail. Somigliava ad un Blue Hawaii ma doveva aver usato pochissimo Curaçao perché l’alcol si sentiva a malapena.
Per cena mise in tavola un succulento piatto di pollo accompagnato da una gustosa crema all’ananas. Erano gusti tipicamente hawaiani che Steve apprezzava moltissimo. Il cibo era squisito, la compagnia deliziosa, tanto che Steve si sentì completamente a proprio agio.
Mentre gustavano il dessert, una morbida torta al cocco, Steve le fece di nuovo i complimenti per i quadri e lei si allontanò un attimo. Quando tornò aveva in mano un voluminoso album e propose di spostarsi sul divano, in modo da potergli mostrare i suoi lavori.
McGarrett sfogliò con reverenza l’album che lei gli porse. C’erano molti paesaggi in stile fantasy, ma alcuni erano reali e Steve ne sollevò uno, una veduta di montagne ammantate di vegetazione.
«Sembra la zona di Ko’olau» e Nicole confermò che si trattava proprio di quella località.
«Mio padre mi ci portava spesso. Abbiamo passato diverse domeniche a scalare quelle cime e quando l’ho battuto mi è sembrata la cosa più bella del mondo. Una volta ci ho portato anche Danny. E siamo riusciti a trovarci da lavorare anche lì» rise lui.
Così le raccontò di quando lui e Danny erano saliti per osservare i petroglifi che rendevano famoso il luogo. Avevano trovato un corpo e Steve si era calato lungo una sporgenza rocciosa per esaminarlo. Nel risalire si era aggrappato ad una roccia mobile che era franata, facendolo precipitare. Si era rotto il braccio sinistro e Danny era salito in cima alla montagna finché era riuscito ad agganciare il segnale e a chiamare aiuto.
«Certo che voi due i guai li andate proprio a cercare» scherzò la donna.
Steve lanciò uno sguardo all’orologio. «Caspita, sono quasi le due».
La serata era davvero volata via e Steve si alzò per congedarsi. Nicole lo accompagnò alla porta e lui abbassò il capo e le sfiorò le labbra con le proprie.
«Buonanotte, piccola» sussurrò.
«Buonanotte» rispose lei sorridendo e lo osservò mentre si allontanava verso l’ascensore.
All’improvviso quei cinque anni di solitudine le caddero addosso e ne sentì il peso come mai prima di allora. Nello stesso istante, capì con estrema chiarezza che era innamorata di Steve e che non poteva lasciarlo andare via, non quella sera. Lui era già arrivato all’ascensore quando lo chiamò.
«Steve».
Ai suoi orecchi suonò come una preghiera e si voltò. Lei era ancora lì, sulla porta. In tre lunghi passi la raggiunse e le prese il viso fra le mani. La baciò, mentre la sospingeva in casa e con il piede faceva chiudere la porta. La bloccò contro il vetrocemento, continuando a baciarla, interrompendosi di tanto in tanto per guardarla negli occhi. Lei gli si aggrappò e Steve sentì il calore delle sue mani attraverso il cotone della camicia.
Sembrava passata un’eternità quando Nicole lo allontanò da sé e, senza dire una parola, lo prese per mano. Chiuse a chiave la porta e lo condusse in camera. Non aveva acceso la luce, ma quella che filtrava dalla portafinestra aperta era più che sufficiente. La stanza aveva i mobili chiari ma le pareti erano dipinte di azzurro tanto che a Steve parve di essere immerso in uno dei suoi quadri.
Non aveva comunque né tempo né desiderio di guardarsi troppo intorno, completamente preso dalla donna che si fermò davanti a lui. Lei lo baciò, ma stavolta Steve avvertì che era cambiato qualcosa. Nicole gli si strinse contro, aderendo a lui per tutta la lunghezza del suo corpo, e le sue mani lo accarezzarono sulla schiena e sui fianchi.
Nicole afferrò la camicia e gliela tirò fuori dai pantaloni, andando poi a cercare i bottoni. Aprì lentamente un bottone alla volta finché infilò le mani nell’apertura e gli circondò i fianchi, salendo poi sulla schiena, accarezzando i muscoli lisci e sodi del dorso. Senza mai interrompere il contatto con la sua bocca, gli accarezzò il ventre e il petto finché posò le mani sulle sue spalle e fece scivolare a terra la camicia.
Per tutto quel tempo le mani di Steve erano rimaste posate sui fianchi di lei, ma ora le mosse, sfiorandole la schiena fino a quando si fermarono sulla cerniera del vestito. La tirò delicatamente verso il basso e poi le sfilò le spalline dell’abito finché cadde a terra, allargandosi ai suoi piedi come una pozza di colore. Si liberarono entrambi delle scarpe e Steve la spinse verso il letto, mentre la bocca di Nicole non gli dava tregua.
Steve sfilò lo spillone che le tratteneva i capelli, lasciando che quella cascata le scendesse sulla schiena e lei lo fece sedere sul letto. Si liberò della biancheria e gli regalò la visione del suo corpo. Steve si accorse che fremeva, come se il suo sguardo la stesse materialmente accarezzando. Tese le braccia e Nicole si stese su di lui, riprendendo a baciarlo, mentre lui la accarezzava, assaporando la levigatezza della sua pelle che sembrava seta sotto le dita.
Le mani e la bocca della donna erano una dolce tortura, il suo profumo di vaniglia gli ottundeva i sensi, rendendogli difficile restare cosciente. Di una cosa era del tutto certo: la desiderava, ma non come aveva desiderato le altre donne della sua vita. L’atto fisico dell’amore non era più uno sfogo o un semplice divertimento: era un modo per farla sua, per sancire qualcosa di ben più profondo. E all’improvviso non poté più nascondere a se stesso che era follemente innamorato di lei.
Le mani di lei arrivarono alla fibbia della cintura. Steve inarcò la schiena per aiutarla cosicché potesse sfilargli i jeans e quando fu nudo la fece rotolare sulla schiena, in modo da averla sotto di sé.
Nessuno dei due aveva più parlato, il silenzio rotto soltanto dai loro respiri accelerati. Nicole sollevò le braccia a cingergli la nuca e lo sentì contro di sé.
«Ti prego, Steve. Sono stata sola così a lungo» implorò e lui seppe di non poter resistere oltre.
Cambiò leggermente posizione, ma non la prese ancora. Invece, avvicinò il viso al suo perché c’era una cosa che doveva dirle, qualcosa che gli premeva dentro, qualcosa che chiedeva insistentemente di uscire.
«Aloha au la’oe [2] Kalea» sussurrò e i suoi splendidi occhi viola si spalancarono, diventando tanto grandi da riempirle tutto il viso. Nonostante la scarsa luce, Steve vide una lacrima scenderle dall’angolo dell’occhio e l’asciugò con un bacio, sentendone il sapore salato sulle labbra. Turbato dalla sua reazione, fece per scostarsi ma lei lo bloccò.
«Ti amo» rispose con voce dolcissima e finalmente lo sentì dentro di sé.
A Steve sembrò talmente calda che rischiò di perdere immediatamente il controllo e mentre lei assecondava ogni movimento, sentì una morsa stritolargli il petto, impedendogli quasi di respirare. Capì che era lei che aveva atteso così a lungo e nel momento in cui si stringeva a quel corpo sottile, dopo tanti anni, non si sentì più solo e fu come se lei avesse rimesso insieme i cocci del suo cuore spezzato.
Nei lunghi momenti che seguirono, Steve fu solo vagamente consapevole di ciò che lo circondava, assolutamente concentrato sulla donna che giaceva sotto di lui. E quando lei pronunciò per l’ennesima volta il suo nome, stavolta quasi gridandolo, rallentò il ritmo e la baciò, intrecciando la lingua alla sua.
Nicole arcuò la schiena sotto di lui, rovesciando la testa all’indietro, gli occhi serrati, mentre gli stringeva i fianchi con le ginocchia. Mentre quella bolla di piacere esplodeva nell’intimo della donna, Steve la seguì a ruota, abbandonandosi alla stretta di quelle braccia sottili, respirando il suo respiro, mentre entrambi ansimavano per riprendere fiato.
Quando il cuore di Steve finalmente rallentò la sua galoppata, si scostò da lei con estrema dolcezza, coricandosi al suo fianco. Nicole gli si rannicchiò contro, posandogli la testa sulla spalla muscolosa. Rimasero così, immobili, per un tempo lunghissimo mentre la tenda della portafinestra si muoveva pigramente nella leggera brezza che veniva dall’esterno. Poi la donna si girò verso di lui, posandogli le mani intrecciate sul petto e appoggiando il mento su di esse. Steve le scostò i capelli dalla fronte con una carezza.
«Vorrei essere più bravo con le parole, per poterti dire ciò che sento dentro». Fece una pausa, come se stesse racimolando il coraggio. «Venti giorni fa, quando sei entrata nel mio ufficio, ti confesso che ti ho guardata come penso ti guarderebbe qualsiasi uomo sano che ti incontrasse. Sei una bellissima donna, su questo non ci sono dubbi. E, per di più, io avevo chiuso da due mesi la mia storia con Catherine». Si pentì immediatamente di averla nominata e Nicole dovette avvertirlo perché gli baciò delicatamente il petto e lo incoraggiò a proseguire. «Ma appena ti sei avvicinata, ho sentito un richiamo diverso. Non era un semplice bisogno fisico, quanto piuttosto un’attrazione che mi impediva di starti lontano a lungo. Nonostante ti conoscessi appena, mi sentivo integro soltanto quando eri al mio fianco. Ma a tutto questo andava aggiunto che eri una mia sottoposta e non era né etico né professionale pensarti in certi termini».
Steve piegò un braccio sotto la testa, continuando a guardarla negli occhi mentre proseguiva.
«Spaventato da quello che sentivo e incapace di riconoscere che mi stavo semplicemente innamorando di te, ne ho parlato con Danny». Steve sogghignò al ricordo della conversazione avuta con il suo migliore amico. «Per lui non c’erano dubbi: dovevo lasciare da parte qualsiasi preconcetto e farmi avanti con te».
«Sono contenta che Danny ti abbia spinto a farti avanti» ridacchiò la donna.
«Quella notte al Moonlight, quando Alvarez ti ha aggredita, mi odiai per averti mandata allo sbaraglio in quel modo. Quando ti ho sentita gridare nell’auricolare, mi si è mozzato il respiro. Detestavo che tu fossi lontana da me. Tu te la sei cavata splendidamente, ma quei secondi per me sono stati lunghissimi».
Con la mano libera le accarezzò il viso che la luce della luna che filtrava dalla finestra faceva apparire pallido e sereno. «E poi ti ho baciata sulla spiaggia. Cosa c’è di più scontato di un bacio a Waikiki Beach?».
Nicole si tese su di lui, sfiorandogli il petto con il seno nudo, baciandolo teneramente sulla bocca.
«Non avevo previsto assolutamente che quella serata finisse così. Non c’era nulla di premeditato, eppure quando ti ho baciata, ho sentito che era giusto e naturale che fossimo lì».
Posò le mani ai lati del suo viso, trattenendola accanto a sé.
«I miei dubbi permangono ancora. Ma mi impegnerò con tutto me stesso per far funzionare questa storia con te».
Nicole taceva e Steve fu preso da una certa ansia. Sebbene fosse stato più facile del previsto, non era abituato ad esprimere i propri sentimenti a cuore aperto e improvvisamente ebbe paura che lei non lo ricambiasse allo stesso modo. Aprì la bocca per parlare ma lei gli posò due dita sulle labbra.
«Adesso tocca a me». Trasse un respiro, come preparandosi per un’immersione. «Dopo Patrick non c’è stato più nessun altro. Ho tenuto tutti a distanza, forse per paura di fare di nuovo gli stessi errori. Ma quando ho incontrato te, non è stato più possibile tenerti fuori. Se dicessi che non sono stata colpita dal tuo aspetto fisico mentirei, ma c’era qualcosa di più in te. Leggevo sul tuo viso una forza particolare ed è stato questo carisma ad affascinarmi». Lo baciò di nuovo. «I tuoi dubbi sono anche i miei, credimi. Ma il desiderio di stare con te è più forte».
 Steve l’attirò a sé e la baciò. Fecero di nuovo l’amore, ma stavolta in modo diverso. Ciò che prima era stato tempesta e frenesia, ora lo assaporarono dolcemente, centellinando il piacere, finendo per provare la sensazione di essere slegati dai propri corpi e di fluttuare in un sogno. E quando ritornarono sulla terra, Steve tirò su entrambi il lenzuolo e rimasero a parlottare finché il chiarore del primo mattino s’insinuò nella stanza, dedicando quel tempo ad esplorare le loro menti come avevano fatto con i loro corpi, finendo poi per addormentarsi abbracciati.
 
Nicole fu la prima a svegliarsi. Rimase immobile per non disturbare Steve, che respirava profondamente al suo fianco. Con l’orecchio incollato al suo petto ascoltò i battiti regolari del suo cuore, richiamando alla mente ogni magico momento di quella notte.
Poi, cercando di non svegliarlo, si alzò. Erano le undici e venti e, nonostante le poche ore di sonno, si sentiva assolutamente riposata. Si gettò addosso la vestaglia e si diresse verso il bagno. Ne uscì cinque minuti più tardi, non prima di aver preparato un asciugamano pulito e uno spazzolino nuovo per lui accanto al lavandino.
Steve dormiva ancora perciò tornò a letto e si appoggiò ad un gomito, restando ad osservarlo. Ben presto però non le bastò più e si chinò per baciarlo ma prima che potesse farlo, gli angoli della bocca gli si sollevarono in un sorriso. Steve aprì gli occhi, fissando su di lei i suoi limpidi occhi color verde acqua.
«Aloha» sussurrò lui.
«Eri sveglio, allora» lo accusò la donna e lui sogghignò.
«Era un po’ difficile riuscire a dormire con te che non stai mai ferma».
Nicole sbuffò e gli pizzicò il fianco. «Ti va di fare colazione?».
McGarrett ci pensò su un po’. «Solo se posso cucinare io».
Lei si strinse nelle spalle. «Oh, certo. Fa come se fossi a casa tua. Faccio una doccia mentre tu fai lo chef, ok?».
«E se la doccia la facessimo insieme?» chiese lui con un’occhiata maliziosa.
«Hai sempre idee così interessanti, Steve?» replicò lei.
Si infilarono insieme nell’immensa cabina doccia di Nicole. Ovviamente riuscirono a restare seri per meno di un minuto.
«Ma non avevi detto di volermi lavare la schiena?» chiese Nicole all’improvviso.
«È quello che sto facendo».
«Non mi sembra. Sei decisamente a sud, comandante». Ovviamente tutto terminò fra ansiti e sospiri.
Quando finalmente uscirono dal bagno – Nicole aveva osservato che probabilmente avevano consumato tutta l’acqua del palazzo – erano entrambi affamati come lupi. Steve, vestito solo dei jeans, si mise a rovistare nel frigo per preparare dei pancake. Nicole gli ronzava intorno e lui ogni tanto si chinava a baciarla. Aveva appena messo una cucchiaiata di pastella nel tegame che suonò il campanello. Nicole alzò gli occhi al cielo e gli gettò le braccia al collo.
«Facciamo finta di non essere in casa, che dici?» propose mentre il campanello suonava ancora, premendosi spudoratamente contro di lui. Ma il suo proposito venne subito vanificato.
«Lo so che sei in casa, c’è la tua macchina» urlò Summer, bussando alla porta.
Stringendosi nelle spalle con rassegnazione, Nicole lo guardò negli occhi.
«Scusami. Me ne libero in un secondo».
Nicole spalancò la porta mentre Summer si accingeva a bussare di nuovo. Steve, appoggiato al bancone della cucina, osservava la sua sagoma distorta dal vetrocemento.
«Ciao, Sum» esclamò. «Di certo anche gli inquilini del primo piano ora sanno che sono in casa» borbottò.
La ragazza cercò di entrare ma Nicole le sbarrò il passo. «Come mai da queste parti?» chiese Nicole, cercando di prendere tempo.
«Avevi promesso di chiamarmi. Aspettavo notizie del bel comandante. E su, fammi entrare».
Steve, che aveva inteso benissimo il commento di Summer sul bel comandante, ridacchiò silenziosamente. Di nuovo, Summer cercò di aggirarla, ma Nicole la bloccò.
«Non è un buon momento, Summer». A quel punto, prima di rischiare di rompere un’amicizia, Steve decise di intervenire, dirigendosi verso le due donne.
«Nicky, dove trovo il phon?» domandò, fermandosi di botto quando vide Summer. «Oh, salve» mormorò con cortesia.
I riccioli rossi di Summer sussultarono per la sorpresa mentre i suoi occhi verdi saettavano dai pettorali di Steve al viso di Nicole.
«Scusate, non volevo interrompervi» si giustificò Steve.
Summer ritrovò la voce. «No, dispiace a me di avervi interrotto».
Con un gesto della mano, Nicole li presentò. «Sum, questo è il comandante Steve McGarrett. Steve, la mia amica Summer».
Si strinsero la mano finché Nicole mise fine a quella pantomima.
«Ti chiamo io, Summer».
L’amica capì l’antifona e li salutò in fretta, girando sui tacchi e raggiungendo l’ascensore. Nicole richiuse la porta e scoppiò a ridere.
«La sua espressione mentre ti squadrava era a metà tra quella di un bambino la mattina di Natale e quella di chi sta subendo un colpo apoplettico! Impagabile».
Dopo colazione uscirono e bighellonarono per Kalakaua Avenue, passeggiando mano nella mano. Per chi li osservava era evidente che erano una coppia, e chi li incrociava coglieva immediatamente il legame che li univa. Mentre ritornavano verso il palazzo di Nicole, lo squillo del cellulare di Steve li riportò entrambi sulla terra.
«È Danny» mormorò Steve e accettò la chiamata. «Ciao, Danno».
«Ciao, Steve. Hai qualche impegno stasera?».
Steve strinse i denti. «Ma non avevi Grace questo weekend?».
«Infatti. È proprio lei che mi ha pregato di chiamarti. Vorrebbe che uscissimo per una pizza. E per quanto il mio stomaco si ribelli all’idea che voi due prendiate ananas e prosciutto, mi farebbe piacere la compagnia del tuo brutto muso».
In sottofondo si udì la voce di Grace. «Ti prego, zio Steve». La bambina aveva una vera e propria adorazione per Steve, che chiamava addirittura zio. Dall’altra parte, anche lui le voleva molto bene e in passato avevano trascorso molte serate divertenti in pizzeria o semplicemente a casa sua. Si sentiva combattuto: da un lato non voleva scontentare la piccola – che non vedeva da un paio di settimane – mentre dall’altro c’era Nicole. Fu proprio la donna a risolvere la questione. Aveva sentito la conversazione e ora annuì, facendo cenno a Steve di accettare.
«Ok, Danny. Passi a prendermi tu?». Guardò l’orologio. «Va bene, ti aspetto alle sette. A dopo».
Ripose il telefono in tasca e cinse con un braccio le spalle di Nicole, mentre riprendevano a camminare.
«Mi spiace». Si fermarono accanto alla Camaro e Steve pescò le chiavi dalla tasca dei pantaloni. «Pensavo che avremmo concluso la giornata in maniera diversa».
«Non posso monopolizzarti in questo modo. Anche se nemmeno a me sarebbe dispiaciuto poter passare un altro po’ di tempo insieme. Ma è giusto che tu vada. Ci vediamo domattina, in ufficio».
Rimase in strada finché scomparve alla sua vista, mentre il sole gettava l’ultima luce sul mondo. Poi, con un sospiro di beatitudine, rientrò nel suo appartamento.

 


[1] Benvenuto, in lingua hawaiana
[2] Ti amo, in lingua hawaiana
  
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