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Autore: Kalbalakrab    20/02/2013    3 recensioni
Questa fiction partecipa al contest indetto da Zael (The Pridestalker) e Fay (Destroyed Fairy) "Parallel Times".
I personaggi sono Shindou e Kirino in quella che è la battaglia del fiume Yalu.
***
< "Ranmaru..." ripete, e per un attimo sono felice di averlo detto a qualcuno. Se dovessi morire, potrò essere sicuro che ci sarà qualcuno,qui dentro, a sapere che quel corpo,il mio corpo, aveva anche un nome. >
Genere: Guerra, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kirino Ranmaru, Shindou Takuto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Sono in piedi in un fiume.
L'acqua gelata mi arriva alle ginocchia, bagna la stoffa della divisa blu. E' un blu scuro, come tutto attorno a me in questo momento. Se il fiume fosse stato poco più basso, penso, il freddo pungente dell'acqua avrebbe risparmiato i pantaloni, lasciando asciutta la pelle delle gambe stanche che trascino ad ogni passo. Avrebbe incontrato la plastica spessa,ma di seconda mano, degli stivali verdi, troppo grandi, che ogni ragazzo è stato costretto ad indossare e che il fiume inghiotte nel suo punto più profondo.
Mentre mi affretto ad uscire dall'acqua mi accorgo di come nel buio della notte sia quasi impossibile distinguere le sagome degli ufficiali o di qualsiasi altra persona.
Mi domando se anche io, in questo momento, passi inosservato alla vista altrui. Probabilmente sì. Un tempo sarebbe stato diverso. Le mie lunghe ciocche chiare sarebbero state sicuramente visibili nonostante la notte senza luna. Ma in guerra non c'è tempo per capelli legati, apparenza distinguibile o cose simili. In guerra c'è solo l'anonimato. Tutti uguali. Uniformi indentiche, armi identiche, elmi identici. Non abbiamo nome nè parenti e non importa la nostra età, nonostante queste siano le uniche cose che ci permettano di diversificarci gli uni dagli altri.
Mentre esco dal fiume inizia a piovere.
E' pioggia battente, rumorosa, odora di calce e mi accorgo che non bagna. Alzo gli occhi al cielo, ma non è dalle nuvole che scende. Se aprissi la bocca per dissetarmi, non riuscirei a sentire la freschezza delle gocce d'acqua sulla punta della lingua.
"Il nemico sta attaccando!" urlano.
Non piove, sono proiettili. Missili. Ci bombardano dall'alto e mi accorgo solo ora di essere stato fortunato ad avere attraversato il fiume prima degli altri. Prima di chi sta cadendo, in una sequenza disordinata, nell'acqua. Senza vita.
Aumento il passo, corro.
Corro per quanto fiato ho in corpo.
 
Le luci di un accampamento vicino sono l'unica fonte di luce nel buio che mi avvolge da ore e mi ritrovo a sospirare sollevato. Ma non c'è niente di cui essere sollevati e più ne divento consapevole più inizio a credere che siano stati più fortunati di me, quelli caduti questa notte nel fiume.
Almeno non devono sopportare un altro giorno in questo inferno.
 
Quando entro nel perimetro circondato da guardie e da lunghi metri di stoffa bianca, mi accorgo che i ragazzi, con cui condivido l'unico momento di silenzio dal trambusto della guerra, sono già tutti nelle proprie brande, a riposare.
Se anche volessi, probabilmente, non riuscirei a dormire.
Cammino in silenzio sino all'angolo ospitante il mio futon. Lascio sfilare via dai capelli umidi e appiccicati di sudore l'elmetto, posandolo ai miei piedi. Dell'arma che ci hanno dato mi importa poco, nonostante molti qui ci si appendano come se la propria vita dipendesse da essa.
Sciocchi.
Cosa può fare la lancia contro il fuoco? la lama contro la polvere da sparo? Nulla.
"Nemmeno tu riesci a dormire?"
appena mi siedo mi accorgo di come il ragazzo nella branda di fronte alla mia stesse facendo solo finta di dormire.
Ha il viso stanco, ma sereno, a differenza del mio.
Gli occhi sono di un nocciola che mi ricorda quello dei tronchi degli alberi, quando ancora crescevano e avevano foglie verde acceso sui loro rami. Quando non erano spezzati e fumanti.
Ha i capelli corti, come tutti ormai, ma si può intuire da quei pochi centimetri che se se li fosse lasciati crescere, gli sarebbero venuti giù come cascate ondulate color terriccio.
"Quando chiudo gli occhi vedo, sento."
non c'è bisogno di specificare a cosa, lo capiamo entrambi.
Lui sorride e si tira su a sedere per potermi guardare meglio.
Adesso mi ricordo di lui. Il primo giorno che la flotta mi portò qui, strappandomi dalla mia famiglia, era tra i ragazzi che accolse me e i nuovi arrivati, spiegandoci come funzionavano le cose. Doveva avermi dato lui quell'arma bianca e mi domando se all'ora fosse a conoscenza della sua poca efficacia.
"Non capita a tutti forse?"
abbozza un sorriso comprensivo e io faccio lo stesso
"Loro almeno riescono a dormire..."
cala il silenzio tra noi, durante il quale rimaniamo a guardare i lettini occupati dagli altri ragazzi. Il loro petto va su e giù, respira, vive. Non è fermo immobile come quello dei cadaveri insanguinati nel fiume.
"Da quanto sei qui? Da molto più di me" mi correggo "Di noi...?"
lo vedo esitare un attimo e abbassare lo sguardo sui propri stivali, su cui sono state intagliate delle tacche.
"Tre settimane." mi dice infine, dopo aver contato ogni taglio minuziosamente inflitto alla plastica rigida degli scarponi.
Tre settimane.
E' più di quanto pensassi. Io sono qui da cinque giorni e mi sembra una vita. Anzi, mi sembra di non aver mai avuto una vita prima d'ora.
"Penso di essere il più" e si ferma. So che la parola che sta cercando è "longevo", ma non riesce a dirla "Grande,qui." dentro di me gli sono grato per aver usato quel termine,nonostante io non sia mai stato fra quelli sicuri di poter tornare a casa vivo e vegeto.
Il ragazzo continua a parlare
"Mi chiamo Shindou Takuto. Sono il figlio di uno dei generali."
Ecco come fa,mi dico. Deve esser stato istruito sin da piccolo a certe cose. Chissà come sarei cresciuto circondato da armi e guerra,anziché da alberi rigogliosi e la tranquillità della mia terra. Avrei avuto la sua stessa voce ferma e sicura? la sua stessa espressione rasserenata, di chi sa come vanno le cose? e sarei riuscito a sopravvivere per tre settimane?
No.
Mi rimprovero mentalmente. Non riuscirò a sopravvivere nemmeno un altro giorno, se continuo a pensare in questo modo.
"Io sono Kirino" decido di rispondergli, ma lascio passare diversi secondi prima di pronunciare il mio nome. L'ultima volta che l'ho sentito proveniva dalla bocca di mia madre...lo stava urlando,in lacrime "Ranmaru".
Vedo Shindou chinare appena la testa e sorridermi come in una normale presentazione. Ma non c'è niente di normale,qui.
"Ranmaru..." ripete, e per un attimo sono felice di averlo detto a qualcuno. Se dovessi morire, potrò essere sicuro che ci sarà qualcuno,qui dentro, a sapere che quel corpo,il mio corpo, aveva anche un nome.
"Significa orchidea,non è vero?" annuisco e lui continua "Mi piacerebbe vederne una..."
Guardiamo entrambi fuori da uno dei buchi nella stoffa bianca, ma sono gli alberi spogli che incontra il nostro sguardo, non orchidee colorate.
Lascio che il silenzio risponda per me a Shindou e quando dopo diversi minuti non lo sento più parlare, mi accorgo di non voler essere l'unico ancora sveglio.
Mi muovo,sperando che il rumore contro il lenzuolo attiri la sua attenzione e lui riapre gli occhi
"Non hai proprio sonno"
parla di nuovo e per un attimo mi sento in colpa
"No."
Shindou non sembra esserserla presa,anzi, mi sorride e torna a puntarmi il suo sguardo autunnale addosso.
Riapro bocca, faccio per parlare quando un tuono fa sussultare entrambi. Scattiamo in piedi terrorizzati, così come molti dei ragazzi che stavano dormendo fino poco prima.
Ma non è un attacco nemico.Solo un tuono,di quelli veri. Pioggia, di quella che bagna, che disseta, e solo ora mi domando come io abbia potuto confonderla prima nel fiume. La pioggia non porta con sè le ceneri dei morti, ma le lascia scivolare via. Mi calma, in un certo senso, pensare che c'è sempre qualcosa di naturale, di inarrestabile, che può portare via il sangue con cui abbiamo macchiato la terra su cui viviamo.
Mi avvicino a Shindou,rimasto in piedi a fissare dallo squarcio nella stoffa l'esterno,ora più calmo,così come tutti nel rifugio.
"Pensi che vinceremo? Tu sei qui da più di noi. Sii onesto. Abbiamo delle probabilità di vincere? di tornare dalle nostre famiglie?" ci sarà una famiglia per me, se mai dovessi tornare? mio padre è stato preso per la guerra,ma mia madre e mia sorella...
Shindou non mi risponde. Mi indirizza solamente uno sguardo compassionevole, di chi vorrebbe rassicurarmi,ma anche di chi sa di non avere più la forza di mentire. Ha infuso sin troppa falsa speranza negli ultimi giorni ai nuovi arrivati, che non ne ha più per me.
Entra qualcuno e ormai tutti svegli ci giriamo a guardare  verso l'ingresso
"La pausa è finita, ci servite di nuovo lì fuori."
Sì, per fare da diversivi mentre l'Impero attacca il nemico con le flotte navali, penso, con un moto di rabbia per come la nostra vita viene trattata da quegli uomini in uniforme. Mi accorgo che uno di loro potrebbe anche essere il padre di Shindou e mi fermo a guardare di nuovo il suo viso per cercare un'espressione diversa da quelle che gli ho visto fare fin ora.
Non avrei dovuto fargli quella domanda.
Se fossi stato zitto,forse, avrei avuto la possibilità di sentire di nuovo la sua voce, di far finta almeno per un attimo di avere un dialogo normale con un ragazzo della mia età.
Seguo i miei compagni, recuperando l'attrezzatura dal mio letto, quando sento la mano di qualcuno poggiare sulla mia spalla
"Ranmaru"
Shindou è tornato a parlare. A parlarmi.
"Le Orchidee sono in grado di adattarsi ad ogni genere di habitat,per sopravvivere."
Non mi ha detto che ce la faremo. Non mi ha dato speranza, ma mi accorgo che mi ha dato qualcosa a cui tenermi aggrappato. Come i miei compagni con le loro armi.
Vorrei rispondergli, ma Shindou è già sparito assieme agli altri.
"Ma muoiono nei deserti..."
gli rispondo completando la sua frase,conscio che non potrà sentirmi.
Giro la testa e guardo fuori: piove ancora.
Per oggi, mi dico, sono salvo.
   
 
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