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Autore: ss55    20/02/2013    3 recensioni
Quando la musica incarna la vita stessa, cosa diventa la morte?
Genere: Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era un genio.
Era decisamente un genio; nessuno avrebbe mai potuto scrivere una così perfetta rappresentazione del reale, una così sublime sinfonia, una melodia così.....così viva.
E nessuno, assolutamente nessuno, avrebbe dovuto ascoltare una nota della sua sublime opera senza che essa fosse eseguita perfettamente; non avrebbe tollerato di sentire il dolce frutto del suo genio devastato dagli errori delle prove generali.
Per questo aveva invitato i membri dell'orchestra a studiare separatamente le proprie parti.
Ora, finalmente, li aveva tutti davanti, pronti ad unire i risultati dei loro studi nella sua formidabile visione.
Li guardò tutti, dopo aver fatto un'impeccabile inchino alla platea, ed aprì le braccia, inspirando, con il cuore gonfio di orgoglio.
Poi levò la bacchetta, ed ebbe inizio l'estasi di tutti i suoi sensi.
I flauti avevano attaccato con un motivo chiaro, leggero e spensierato come lo sguardo di un neonato, ed ecco che, al suo comando, si univano a loro gli altri fiati, creando l'andamento incerto ma vispo dei primi passi di un bambino; e tutto era così...così vivido nella sua mente che ormai sentiva il suo stesso essere fondersi con quelle note celestiali.
Tutto in quel luogo pareva essersi fermato, in un enorme sospiro, nella tensione a quella musica, tanto che si potevano vedere le lacrime che sgorgavano copiose dagli occhi di tutti, ed il silenzio, che riempiva le pause, era palpabile.
Lui, guidato dalla sua stessa opera, fece un' ampio gesto con la mano, e gli archi più minuti si unirono alla sinfonia, trasformandola nell'allegra epoca dei balocchi, dove niente è sbagliato e tutto è nuovo.
Con le lacrime agli occhi, si fece trasportare dalla passione, ed invitò gli ottoni a seguirlo, in una nuova melodia, piena di freschezza adolescenziale.
Il suo capolavoro, che ormai era artefice del proprio artefice, aggiunse le percussioni, creando una matura atmosfera di certezze e forza che coinvolse ancora una volta il teatro, avvolgendolo in un rassicurante ammanto di tranquillità.
Dettando al suo corpo, la sua opera gli fece protendere le mani verso l'alto, provocando un crescendo vertiginoso che si spense, quasi riluttante, in una pacata e calma aria di saggezza.
Fu allora che egli spostò lo sguardo sul pentagramma che aveva scritto, ricordando la brusca fine che aveva dato al susseguirsi delle note.
Sorrise, quasi con accettazione, e continuò, incitando l'orchestra per il climax finale: un rullare fragoroso e potente, l'incarnazione stessa della solennità che suscitava quasi terrore.
Sentì il cuore riempirsi di passione in quelle ultime note, e quasi urlò al cielo.
Tutta la stanza sospirò, tesa alla divina visione di quella mirabile opera.
Poi tutto finì, ma non ci furono applausi.
Un silenzio di morte, invece, avvolse il teatro, ormai privo dei propri visitatori.

   
 
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