È una
piccola one shot senza pretese nata questa mattina e scritta come umile regalo
di compleanno.
Dedicata
alla mia Lella a cui faccio tantissimi auguri!
Travolti da un insolito destino nel
freddo mese di febbraio[1]
Questa
mattina il cielo è completamente grigio, solo per qualche istante il sole
riesce a sporcare d’oro questo meraviglioso angolo di Scozia, dove una
magnifica e incontaminata natura regna sovrana: anche sotto un manto di cenere
appare bellissima e mi dona sempre una certa pace.
Il
Castello inizia a svegliarsi, le voci a riecheggiare per le antiche pareti che
nonostante tutto sono ancora qui a raccontare le memorie di un lontano e
recente passato dove il sangue fluiva tra le loro fessure, corridoi che avevano
visto anche amori, amicizie, risa e pianti, la vita che semplicemente scorreva.
Ormai
sono quasi sei mesi che vivo e lavoro qui, non so nemmeno come ho fatto a
ottenere il posto, vista la riluttanza e il palese odio del preside nei miei
confronti e cosa che mi da più fastidio è il non sapere perché, mi avesse detto
chiaramente: «Ti odio perché ti reputo un’idiota.» oppure «Ti odio
semplicemente perché esisti, perché respiri la mia aria.», sarei stata più
contenta e mi sarei messa l’anima in pace. Non si può mica piacere a tutti!
Meno
male che il resto degli insegnanti sono persone del tutto normali, gentili ed
educati.
Mi
ricordo il giorno in cui l’avevo incontrato per la prima volta, tra le strade
affollate di Diagon Alley, ovviamente, persa tra le nuvole com’ero, mi ero
ritrovata a camminare in stradine tetre dall’aspetto poco raccomandabile con
persone poco raccomandabili.
Avanzando
per quei vicoli ogni tanto guardavo a destra e sinistra, le numerose vetrine
piene di strani oggetti attiravano spesso la mia attenzione così come quei
molteplici odori provenienti da chissà dove.
Da
quando avevo messo piede in quel luogo, avevo notato che brulicava di maghi e
streghe troppo maghi e streghe per i miei gusti, lunghi abiti, cappelli a
punta, sembrava più il set di un film fantasy, forse mi sembrava così strano
perché non ero abituata a tutto quello, ne avevo visti sì e no due in tutta la
mia vita, un mio vecchio insegnate della Schola Magica Mediolanensis e uno
della Schola Specialis Incantationum Romae, – ci vuole più a pronunciarle che
ad arrivarci – ma mai tutti insieme.
Anche
al mio paese c’erano parecchi quartieri del tutto nascosti alle persone
normali, bellissime zone caratteristiche di Milano, dove amavo passarci ore e
ore a leggere senza che nessuno venisse a disturbarmi, mentre a Roma erano più
intraprendenti e avresti dovuto mettere un cartello sulla testa che diceva
chiaramente di non disturbare, per non essere importunati.
Amavo
tutto quello, quell’aria che si respirava, i quartieri che frequentavo non
erano molto diversi da quelli Babbani – come chiamano qui quelli che non hanno
poteri magici –, qui invece sembravano mondi diversi, così distanti da non
sembrare così vicini.
Sembrava
mi fossi persa tra le pagine di un libro, e mi piaceva moltissimo!
Comunque
facevano un certo effetto, mi sentivo così fuori luogo con i miei jeans, la mia
maglietta e gli immancabili tacchi dai quali non mi separo tuttora.
Continuavo
a percorrere quei viottoli con il libro sottobraccio e le cuffie nelle
orecchie, persa tra la musica e i mondi che prendevano vita dalla carta che
amavo leggere, quando qualcuno che camminava a passo svelto mi venne addosso
buttandomi a terra.
«Ehi!
Razza di maleducato, potrebbe anche guardare dove mette i piedi!» urlai a quel
pirla che mi aveva praticamente fatto volare sulla strada, se mi avesse rotto
il lettore mp3, lo avrei ucciso senza neanche avergli dato il tempo di
scusarsi, sempre se lo avesse fatto, quel bifolco.
«Come,
prego?» disse lui come se non si fosse accorto di nulla, va bene che sono
piccoletta e lui un colosso, ma almeno a rendersi conto di aver abbattuto
qualcuno come un rugbista, un avversario, sarebbe stato il minimo, neanche
avessi una palla ovale tra le mani. «Dovrebbe prestare attenzione quando
cammina.» cosa? Io? Ma come si permetteva questo cretino!
«Veramente
è lei che dovrebbe stare attento a dove mette i piedi, magari guardare davanti
a sé invece di fissare i passeri nel cielo.»
«È
lei che si trovava in mezzo alla strada persa chissà dove.» perdita di pazienza
stimata in tre, due, uno…
«Io
non ero persa in nessun luogo e non ero nemmeno in mezzo alla strada, razza di maleducato
che non è altro!» gli urlai cercando di alzarmi da terra, il sedere era
piuttosto dolorante e avrei preso volentieri a calci quell’uomo dove non gli
batteva il sole giusto per il gusto di fargli provare quel dolore. Non mi aveva
neanche aiutato a tornare in piedi, figuriamoci se si sarebbe scusato.
«Invece
di stare con quei… quei cosi, quei tappi alle orecchie, dovrebbe prestare
attenzione ai suoni che la circondano.»
«Prestare
attenzione all’elefante furioso che sarebbe arrivato, vorrà dire.» bisbigliai
più a me stessa che a lui.
«Come,
prego?» “come, prego?” Solo questo sapeva dire? Avrebbe dovuto pregare
parecchio per evitare di essere preso a calci.
«Quei
cosi sono “quelle cuffie”, si chiamano cuffie, c-u-f-f-i-e e ci si sente la
musica, m-u-s-i-c-a.» a volte mi chiedevo se fossimo nel ventunesimo secolo o
direttamente nel Medioevo.
Raccolsi
il lettore da terra per costatarne il funzionamento e notai, con sommo
dispiacere – e qualche nota di rabbia – che era completamente andato,
distrutto, mi aveva abbandonato per colpa di quello zoticone vestito di nero,
tra l’altro, va bene che il nero andava sempre di moda, ma così era troppo,
sembrava un Becchin-mago, non è che portava anche un po’ iella? Fino ad allora
non è che me ne avesse portata poca, quindi il mio dubbio era del tutto
legittimo.
«Adesso
ci si sente un paio di bacchette, altro che musica! L’avevo appena comprato,
miseria ladra.» sbottai sconsolata.
«Non
faccia la saccente, so benissimo cosa sono le cuffie e la musica, non vengo
mica dal Medioevo.» l’avevo detto io!
Si
abbassò per raccogliere il mio libro da terra, mancava solo che avesse rovinato
anche quello lo avrei veramente ucciso dopo ore e ore di sofferenza, mi
sorprese nel vedere come lo teneva in mano, cercò di sistemare le pieghe che si
erano formate, quasi lo carezzava, sembrava uno che aveva un immenso rispetto
per quegli oggetti così preziosi. Lo guardava in un modo che ricordava me
stessa, nei suoi occhi neri c’era lo stesso identico amore che avevo io per i
libri.
Quella
constatazione mi spiazzò.
«Stephen
King.» disse semplicemente porgendomi il piccolo e vecchio volume. «”Shining”,
gran bel libro, non la facevo lettrice di questo genere.» cosa? Io e King
avevamo una relazione da quando mio padre me lo aveva regalato appena dodicenne,
mi aveva detto: “Tieni, figlia mia, scoprirai molto dell’animo umano leggendo
questi libri, scoprirai che l’uomo ha le sue passioni e le sue debolezze e ti
aiuterà ad affrontare le tue paure.”, avevo pianto e per la felicità mi era scoppiato
il cuore non appena lo avevo stretto tra le mani.
«E
di cosa mi faceva lettrice?» più passava il tempo e più quel mago – nonché
pirla maleducato – m’incuriosiva.
Mi
fissò per lunghi istanti piegando spesso la testa da entrambi i lati, sentivo
il suo sguardo penetrarmi la pelle, era agghiacciante ma piacevole, dovetti
ammetterlo, poi mi disse: «Romanzetti rosa.» sentenziò senza battere ciglio.
Romanzetti
rosa? Ma come si permetteva! Io che mi perdevo tra mille saghe fantasy, romanzi
storici e grandi classici della letteratura mondiale!
«Senta,
signor… come diavolo si chiama? Giusto per scusarmi al meglio prima di dirle
quanto è idiota e di darle un pugno sul naso.»
«Per
una donna così di buone maniere, è del tutto superficiale conoscere il mio
nome.» poteva esistere al mondo persona più irritante? Assolutamente no, ancora
adesso non ne ho trovata nessuna che arrivasse ai suoi livelli. «Adesso se vuole
scusarmi ho di meglio da fare che stare ad ascoltare una donna così cortese e a
modo.» possibile che nessuno gli aveva lanciato addosso qualche fattura nel
corso di tutta la sua vita per farlo stare zitto? Inaudito!
«No,
sono io che me ne vado e spero tanto di non rivedere mai più la sua zotica
faccia, maleducato di un mago che prima mi butta a terra, rompe il mio lettore
mp3, poi non mi chiede neanche scusa e non mi aiuta nemmeno a rialzarmi! Lei
invece le buone maniere le ha studiate dall’Inquisizione Spagnola?»
«Le
ho raccolto il libro però.»
«Vada
al diavolo!» gli urlai mentre mi allontanavo da lì, prima di commettere davvero
qualche sciocchezza, avevo una pazienza solida come il gesso che mi tirava la
maestra alle elementari, la mia amica me lo diceva sempre di stare calma e di
essere diplomatica, ma era più forte di me, non ci riuscivo per nulla, e
incontrare certe persone non aiutava di certo.
«Pensavo
che il diavolo non volesse più vedere la mia zotica faccia.» mi disse con tutta
la calma di questo mondo prima di sparire dalla mia visuale. Finalmente!
Sarebbe
andato d’accordo con la mia amica: una statua di calma e diplomazia.
Come
mi dava sui nervi, fortunatamente non l’avrei mai più rivisto.
Invece
il destino ti prende spesso per il culo, gioca con te come se fossi un cucciolo
di antilope tra le zampe di un leone, se ci penso adesso mi viene da ridere e
piangere al contempo per tutto quello che è successo da un anno a questa parte,
certe notti mi svegliavo con le lacrime agli occhi sentendomi fuori luogo, di
troppo, con le mie stupide paranoie che mi soffocavano il cuore.
Poi
mi bastava un sorriso di chi mi voleva bene e tutto svaniva come sabbia tra le
dita, si accumulava ai miei piedi, un piccolo mucchio che riuscivo ogni volta a
calciare lontano.
È
bello avere vicino tante persone che tengono a me, fanno uscire il sole quando
il cielo è completamente grigio, e anche oggi mi sarebbe bastato quello, vedere
il sorriso della mia amica che correva per i corridoi con pergamene e ampolle
in bilico tra le braccia, sentire il suo inglese ancora un po’ sporcato da quel
dialetto romano che non aveva mai abbandonato, mandare lettere su lettere a chi
avevo lasciato in Italia ma mai perso: quella è la mia meravigliosa vita in un
castello nascosto tra il paesaggio scozzese.
Mi
sono alzata con ancora molto sonno, avevo passato intere ore a correggere dei
compiti di Incantesimi e avevo finito per addormentarmi sulla scrivania, fino
alle cinque in cui un rumore mi aveva svegliata e con molta fatica mi ero
trascinata a letto per un po’ di sano riposo sul materasso.
Ravvivo
il fuoco perché fa parecchio freddo in questa giornata di fine febbraio, questo
tempo poi mi mette di cattivo umore, come se già il fatto di invecchiare non è
un buon motivo per essere insoddisfatti. Per un istante volgo lo sguardo verso
alcuni scaffali dove ci sono i miei libri e i resti del mio piccolo amico
elettronico.
Mi
viene in mente quella mattina in cui avevo deciso di andare in un posto
tranquillo dove stare in pace, avevo trovato un piccolo masso ai piedi di un
albero in una radura nascosta da un fitto bosco: cosa c’era di meglio di
quello?
Mi
ero portata dietro l’ultimo libro di Ken Follett e in un attimo ne avevo
divorato gran parte, poi avevo deciso di riposare un po’ gli occhi – gli
occhiali quando li metti?, diceva sempre la mia amica. Che urto! Però aveva
ragione, li sentivo spesso stanchi e le diottrie sarebbero di certo scappate di
quel passo – e anche un po’ la mente, dedicare un po’ di tempo a me stessa
prima della “grande baldoria” – come l’aveva battezzata la mia amica – che mi
aspettava per il mio compleanno.
Faceva
freddo, ma ero ben coperta e sotto il sole si stava bene, anzi benissimo tra i
rumori della natura.
«“There’s such a sad love deep in your eyes. A kind of pale jewel open
and closed within your eyes. I’ll place the sky within your eyes.”[2]» con le cuffie
nelle orecchie avevo iniziato a cantare, io credevo solo nella mia mente o
almeno a bassa voce, invece no, «“There’s
such a fooled heart beatin’ so fast in search of new dreams. A love that will
last within your heart. I’ll place the moon within your hearth.”[3]» cantavo proprio come se stessi su un palco per un
mio personalissimo concerto.
D’altronde
ero da sola, quindi che m’importava.
All’improvviso
mi parve di sentire una voce, pensai che fosse solo la canzone che mi dava
quell’impressione, quando un’ombra mi coprì il volto facendomi sentire una
ventata di freddo sulla pelle. Abbassai il volume del lettore e lentamente
aprii gli occhi.
«Dovrebbero
arrestarla per distruzione di un bene pubblico.» no, non lui, ti prego. Che
avevo fatto di male per meritarmi una simile sfiga, per giunta il giorno del
mio compleanno.
«Per
cosa, scusi? Non mi sembra che stia facendo nulla di male.»
«Ah
no?! Con il suo bel canto ha spaventato gli animali nella foresta e sta facendo
avvizzire gli alberi.» mi stava prendendo per il culo, per caso? Perché a me?
Eppure non avevo mai fatto nulla di male a nessuno per essere punita con tale
supplizio.
«Non
ha nient’altro da fare nella sua vita oltre a starmi sempre tra i piedi?»
«Potrei
dire la stessa cosa?»
«Sono
quasi tre ore che sto qui, lei è arrivato adesso, non mi sembra difficile
dedurre chi sta tra i piedi di chi.»
«Sono
circa quarant’anni che vengo qua a leggere, quindi mi sembra piuttosto
difficile che io segua lei.» era pacato, aveva un sorriso appena accennato
sulle labbra e una luce strana negli occhi, non so perché, ma quella canzone di
David Bowie mi sembrava così perfetta per quell’uomo che mi era davanti
nonostante non lo conoscessi affatto. Era una strana sensazione che non ho mai
saputo spiegare, nemmeno adesso dopo sei mesi che insegno alla Scuola di Magia
e Stregoneria di Hogwarts.
«Io
sono qui da nemmeno una settimana, quindi mi sembra difficile che io la segua
visto che non sapevo che viene qua. Tra l’altro se lo avessi saputo, sarei
rimasta lontana almeno un paio di chilometri!» si mise a ridere il bifolco, una
risata leggera, calma come lo era lui, gli illuminava il viso rendendolo più
amabile. Ok, proprio amabile no, almeno accettabile.
«D’accordo,
la lascio alla sua musica sperando che al mio ritorno non trovi un disastro
naturale causato dalla sua terribile voce.» va bene che non ero intonata, ma
chi era lui per fare simili battute, come si permetteva?! La mia pazienza era
sull’orlo del baratro, una folata di vento e sarebbe precipitata paurosamente.
«No,
ma le pare, me ne vado io, il più lontano possibile da lei, ci mancherebbe, la
lascio alla sua natura incontaminata così non potrò distruggergliela.»
«La
prego, rimanga, lei è molto divertente.» continuava a ghignare paurosamente,
cos’era, il suo sport preferito prendermi per il culo? «Comunque il mio nome è
Severus.» adesso ero degna di conoscerlo? Cos’era cambiato nel frattempo? Mi
ero persa qualcosa, quest’uomo era un vero mistero, eppure mi ero sempre
reputata una brava a inquadrare le persone, ma con lui non c’era niente da fare,
sembrava un maniero inespugnabile comprensivo di fossato, coccodrilli e immenso
esercito a difesa.
Che
nome era Severus? Alzai le sopracciglia guardandomi bene dal non dirgli che mi
sembrava strano.
«Qualche
problema col mio nome?» appunto…
«No,
è solo un po’ bizzarro» guardarmi bene… certo, certo.
«E
il suo strabiliante nome quale sarebbe?»
«Claudia.
Non è niente di che, neanche mi piace, ma è un nome romano di cui andarne
fiera, Severus è quantomeno strano, mai sentito prima. Un nome strano per una
persona strana.»
«Trova
che io sia strano?» un suo sopracciglio andò paurosamente verso l’alto. Uno
solo! Come ci riusciva?
«Beh,
nemmeno tanto normale.»
«Ah
è così?» in quel momento non mi sembrava poi molto calmo.
«Bene,
adesso è tardi, mi aspettano alla mia festa, è stato bello rivederla.
Ovviamente il “è stato bello” era ironico.» tornò a sorridere come aveva fatto
prima, un sorriso che gli stirava appena le labbra carezzate da alcuni raggi di
sole, speravo che gliele bruciasse, così non avrebbe parlato per molto tempo.
«Festa
per cosa?» chiese curioso.
«È
il mio compleanno.»
«Allora
auguri, anzi, le auguro di non rivedermi mai più.» sorrise nuovamente
prendendomi la mano posando un casto bacio sulle dita, quella sensazione di
freddo mi fece provare un intenso brivido lungo la spina dorsale.
«Grazie.
Il miglior augurio che qualcuno potesse farmi.» di non rivederlo o il
baciamano? Rilassati, Claudia, era solo uno zotico e solo perché tu da amante dei
vecchi classici non vedevi l’ora che qualcuno fosse così gentiluomo d’altri
tempi, non significava che potesse essere diverso da un bifolco.
Mentre
mi allontanavo, ancora stordita da tutto quello, inciampai in una radice che
sporgeva dal terreno, rovinando disastrosamente con la faccia sulla terra
umida. Perfetto!
Avevo
sentito anche uno spaventoso scricchiolio provenire dalla tasca interna della
mia giacca: estrassi i resti di quello che era il secondo mp3 acquistato in
meno di due settimane, non potevo crederci.
Maledetto,
Severus!
È
passato così tanto tempo da allora, ma ancora conservo quei ricordi come se
fossero oggetti preziosi, non so per quale motivo, lì c’era pur sempre quello
zotico di Severus che mi aveva rotto ben due lettori mp3 e mi aveva irritato
come mai nessun altro, tra l’altro ancora mi irrita e parecchio.
Forse
perché nonostante tutto ripensare a quegli episodi mi fa sorridere.
Una
volta fatta una veloce doccia ed essermi data una vestita decente, giusto per
non far di nuovo arrabbiare il beneamato preside per il mio abbigliamento,
scendo in Sala Grande per fare colazione, oltre il sonno ho parecchia fame, ma
quello è del tutto normale.
La
mia amica mi dice sempre di moderarmi che mi fa male mangiare parecchio, cosa
che fa male pure a lei, ma ci piace così tanto il cibo che è difficile
resistere alla tentazione.
Ovviamente
corse sulla riva del lago erano diventate una routine.
Seduti
al tavolo degli insegnanti, ci sono tutti, tranne il preside che essendo
preside fa come vuole, spesso mi chiedo se vive di aria, di spirito o di
effluvi da pozioni.
I
ragazzi, nonostante è appena iniziata la giornata, sembrano tutti così allegri
nel loro vociare, persi tra tutti quegli odori che invadono la grande stanza, è
così bello ispirare a fondo tutta questa vita.
Mentre
parlo in tutta tranquillità con la professoressa McGonagall, un gufo plana
davanti al mio viso, a pochi centimetri dal mio piatto, tra le sue zampe un
pacchetto e una pergamena.
Strappo
la carta argentata con il nastro verde – Serpeverde?! – e lo apro, al suo
interno, con mia grande sorpresa c’è un lettore mp3 nuovo di zecca.
Soltanto
una persona mi viene in mente che può fare una cosa del genere, ma com’è
possibile che il mio zotico vestito di nero si sia abbassato a un gesto tanto
gentile e per di più si è ricordato del mio compleanno?
Sicuramente
di lì a poco sarebbe finito il mondo.
Prendo
la pergamena con un po’ di timore per quello che vi avrei letto, la scrittura è
minuta e precisa, molto delicata ed elegante, somiglia in tutto e per tutto a
chi l’ha composta.
“Mi dispiace che l’augurio dell’anno scorso non si sia
avverato.
Severus, quello dal nome strano.
P.S. a Hogwarts non funziona.”
A
me non dispiace per niente.
[1] Il titolo fa il verso al titolo del film di Lina Wertmüller “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto” con Giancarlo Giannini e Mariangela Melato.
[2] C’è un amore così triste nel profondo dei tuoi occhi. Come un pallido gioiello che si apre e si chiude dentro ai tuoi occhi. Metterò il cielo dentro ai tuoi occhi.
[3] C’è un cuore ingannato che batte fortissimo in cerca di nuovi sogni. Un amore che duri dentro al tuo cuore. Metterò la luna dentro al tuo cuore.