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Autore: _blueebird    21/02/2013    11 recensioni
Ci vogliono pochi minuti per leggerla e altrettanti per innamorarti di loro.
Camille, una sedicenne che lotta tutti i giorni per rimanere a galla in una società di pregiudizi, ingiustizie e in continua lotta con la sua timidezza e con i suoi problemi, si innamora. Tra i banchi di scuola, tra gli amici veri e le cattiverie, troverà l'amore che la porterà a crescere, a soffrire e a combattere i suoi demoni.
Una storia che vi prenderà e che vi scalderà il cuore.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Scolastico
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Frenai la bicicletta davanti al vialetto di casa. Il rumore stridulo delle gomme sul cemento era in contrasto con le dolci noti del violoncello di mio padre che vibravano flebili nell’aria. Cello Suite N 1 diBach. In assoluto la mia preferita.
Gian Marco era piantato vicino al garage, simile ad un tronchetto della felicità, che mia madre aveva l’abitudine di sparpagliare per casa. 
Che diavolo voleva? Ne avevo già avute abbastanza la sera precedente: il bacio, l’incomprensione, la corsa a casa di Tamara… desideravo solo finirla il più in fretta possibile. Andare a casa, mangiare il mio piatto di pasta, farmi un thè e magari aprire anche storia, ma di parlare con lui e riaprire questa faccenda, era un opzione che non mi era passata nemmeno per l’anticamera del cervello.
Mi osservava, da tutta la sua altezza, cercando di capire in quel momento, il mio stato d’animo. Tentai di fare la faccia più impassibile che potevo, ma il mio nervosismo stava ribollendo feroce, in cerca di una valvola di sfogo.
“Ciao Camille.” Sussurrò piano come se volesse smorzare con la voce, ciò che era successo ieri. Una nuvola di imbarazzo e freddo si materializzava davanti alla sua bocca, ad ogni respiro.  Feci un cenno con il capo.
“Cosa ci fai qui?” dissi scendendo dalla bici. Sganciai il cavalletto di metallo dell’olandese e mi diressi verso di lui stringendomi nel giubbino. “Volevo discutere con te di quello che è successo ieri”.
“Io sinceramente non ho voglia di parlarne in questo momento.” Dissi incalzandolo. Scostai lo sguardo senza incrociare il suo, ma sapevo che era rimasto sorpreso dalla mia affermazione. “Sono appena stata da Tamara. Tu non immagini nemmeno quanto lei abbia sofferto per quello che è successo, la scorsa notte. Ma forse a te non importa.” Sussurrai. Le mie parole erano cariche di delusione. Così almeno mi era parso.
Nella più inaspettata delle reazioni, Gian mi afferrò le braccia, che avevo accuratamente raggomitolato sotto i seni e mi strinse con violenza. “E a quanto ho sofferto io ci hai mai pensato? Ti sei mai chiesta quanto tempo ho dovuto aspettare, sperare invano che tu ti accorgessi di me? Ti ho immaginata un centinaio di volte bussare alla mia camera, altrettante trovarti vicino a me nel letto tutte le mattine o solamente incontrarti per strada…”  Urlò fuori di sé.
 
Ero così turbata dalle sue parole che mi sembrava di aver sbattuto la testa fortissimo, mi sentivo come un ubriaca a cui versano in testa una bottiglia di acqua ghiacciata.
 
“Lo so cosa prova Tamara. Me lo ha detto suo fratello...  Ho tentato più di una volta di pensare a lei come lei pensa a me. Ma non ci non riuscito. Vedevo sempre e solo te. Ho cercato di farti ingelosire, di sembrare il ragazzo più bello e interessante di questo mondo, ma non c’è stato verso. Ma la verità è che non su può avere tutto Camille, non si può! E se vuoi una cosa, più di te stesso, devi cercare di fare di tutto, tutto pur di possederla, capisci? Pur di averla.”
 
Non si può avere tutto. Mio padre, mia madre, mio fratello, la polvere sul piano. Perché? Perchè non si può essere felici e basta?
 
“Pur di fare male agli altri?” Gli dissi, senza alcun sentimento sul visto. Questa volta ero sicura. E in quel momento mi parve fragile, come mio padre quando aveva abbassato gli occhi, triste, un paio di ore prima.
E in quel momento cominciavo a capire, cominciavano a figurarsi nella mia mente le risposte alle mie domande. I dubbi e i tormenti di una povera bambina di 7 anni, sola nella grande stanza di camera sua, nel grande salotto vuoto, nella cucina in acciaio grande e fredda.
                                                                                        Priorità.
Mio fratello uscii dalla porta di casa guardandoci con fare interrogativo. Si sentiva ancora il sottofondo del violoncello. “Parlerete la prossima volta” esortò freddo, richiudendosi la porta alle spalle.
                                                                                       Musica.
Salutai Gian e mi diressi verso la porta. La bicicletta davanti al garage, oscillava per via del vento.
                                                                                        Figlia.
Avevo una voglia irrefrenabile di stare sola. Di fare le valige e scappare.  Ma non lo feci, non ne avevo il coraggio.
 
 
Sentii un tocchettio lieve alla porta di camera mia. Non risposi. Tornai a guardare il cursore pulsare a vuoto sulla barra del motore di ricerca. La porta si aprii lievemente e comparve il viso di mio fratello; occhi verdi e profondi, come i miei, mi scrutavano fugaci, apparsi da dietro la porta.
“Posso entrare?” chiese quasi timido. Non gli risposi. Chiuse silenzioso lo porta alle sue spalle e si diresse cauto verso il mio letto. “Camille.” La sua voce dolce e calda mi ricordava quella di Fabio, ma aveva un tono molto più premuroso, molto più fraterno.
“Nostra madre è molto preoccupata per te. Dice che negli ultimi mesi ti sei ancora più chiusa in te stessa. Sei sempre così silenziosa, rimani in camera per interi pomeriggi. Beh, so che sei sempre stata una ragazza indipendente e in un qualche modo solitaria, ma in questo periodo mi ha detto che sei diventata  ancora più cupa.” Disse piano. Osservava la luce del lampadario proiettare sagome ellittiche sul soffitto bianco della stanza. Non ci avevo fatto molto caso a questo mio comportamento, ma forse, adesso che ci pensavo, era la verità. “So che hai sempre dovuto rimanere da sola. Per quanto ho potuto, ho cercato di diventare un buon sostituto per nostro padre, ma… la verità è che un bambino di 10 anni fa fatica ad imitare un uomo di 40.” Dopo una breve pausa riprese. “Cam, adesso la mamma ha solo te. E devi essere tu a prenderti cura di lei. Perché per quanto possa sembrare una donna forte e decisa, tanto quanto te, dentro soffre. Soffre nel vederti così, soffre per papà, soffre per me… Cam.”
 
La camera tornò ad essere vuota. Il cursore che pulsava a vuoto, il ticchettio dell’orologio, gli stivali vicino alla scrivania. Qualsiasi problema avessi, non POTEVA e non DOVEVA interferire tra me e mia madre.
 
 
Le diedi un lieve bacio sul collo, mentre era nello studio, interrompendo il suo lavoro e il suo viso serio.







*Angolo dell'autrice*
Scusate, scusate, scusate! Sono stata impegnatissima, ma che dico, ultra impegnata in questi giorni e non ho potuto dedicarmi, come volevo alla storia. Mi dispiace. :( Ma adesso mi rifacciooo! Potete starne certi!
Ditemi cosa ne pensate.
-Sel-
  
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