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Autore: sleepingwithghosts    21/02/2013    2 recensioni
“C’è una possibilità
che ti stia dando,
c’è una possibilità che ti stia dando la mia vita?
C’è una possibilità
che io stia cadendo,
c’è una possibilità che io stia cadendo dentro i tuoi occhi?
C’è la possibilità che il mio sangue si sia gelato,
che il tuo sangue non sia sbagliato?
C’è la possibilità che io e te,
che te e io,
che noi mi pare si dica noi,
possiamo essere uguali essendo così diversi?
Perché c’è la possibilità che io voglia essere come te,
se questo implica che starai con me”
// è la mia prima Dramione, abbiate pietà di me.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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POSSIBILITY.

 

 

 

Draco Malfoy, la schiena appoggiata al grosso tronco di un albero centenario che aveva sopportato i fardelli di un numero incalcolabile di maghi adolescenti, contorceva fra di loro le mani, l’ansia che gli premeva nello stomaco. Aveva anche lui un fardello, aveva anche lui delle paranoie, era anche lui un adolescente, sebbene volesse negarlo, sebbene si mostrasse sempre forte e superiore agli altri. Ebbene sì, rivelazione del secolo: Draco Malfoy era un ragazzo triste, complessato inutilmente e innamorato come tutti gli altri. Era proprio quello, il peso che si sentiva nello stomaco: il peso della cotta colossale che si era preso per una ragazza, il peso per il fatto che non potesse dire a nessuno chi fosse lei – rabbrividiva a dirlo anche a sé stesso, nel posto apparentemente sicuro che era la sua mente –, il peso dell’umiliazione e della pressione che il suo cognome gli metteva sul collo, ogni secondo e minuto della sua miserabile esistenza.

Era un Malfoy, un maledetto, codardo, Malfoy. E non c’era nessuna possibilità che potesse cambiare il suo cognome, né tantomeno i suoi geni. Era destinato ad essere com’era per tutta la vita, anche se non lo voleva, se non si andava bene. Non c’erano possibilità per lui, e nemmeno per quell’amore che sentiva crescergli dentro. E non gli importava più se le uniche occhiate che lei gli lanciava erano colme di disprezzo, se lo odiasse con tutto il cuore per tutte quelle volte in cui l’aveva offesa, l’aveva trattata male e fatta piangere, per tutte quelle volte che le leggeva negli occhi e nei lineamenti del viso che aveva bisogno di aiuto e lui cambiava strada, magari lanciandole anche un sorriso antipatico prima di scomparire e sentirsi un verme. Perché non c’era nessuna possibilità che Draco Malfoy  e Hermione Granger potessero essere una cosa sola.

Si alzò, il mantello e i pantaloni inumiditi dall’erba su cui era seduto, e raccolti i libri da terra si incamminò verso il castello, l’aria che prometteva pioggia e gli pungeva le guance. Andava lentamente, godendosi quei momenti di solitudine. Era davvero stanco dei suoi amici, tutti così ignoranti e seccanti. Credeva davvero che facendo sbattere fra loro le teste di Tiger e Goyle queste sarebbero suonate a vuoto. Per non parlare di Pansy, che continuava a intrufolarsi in camera sua ogni sera, per uscirne poi amareggiata a causa dei suoi rifiuti. Era stato diverte per un po’ giocare con lei, con il suo corpo minuto e magro. Era una buona valvola di sfogo, alla fine di giornate pesanti di studio, o dopo qualche allenamento di Quidditch insoddisfacente. Ma niente di più. Non era minimamente attratto da lei, erano altre, le ragazze che gli interessavano.

“Ad esempio una mezzosangue dai capelli ingestibili, un’intelligenza superiore alla media e una voce irritante”, disse una vocina dentro la testa di Malfoy, che identificò come la sua coscienza. Si morse la lingua e borbottò qualche imprecazione.

Incupito fulminò chiunque osasse incrociare il suo sguardo, finché, imboccato il corridoio che portava ai sotterranei, verso la Sala Comune dei Serpeverde, sospirò forte e si addossò ad un muro, premendosi le tempie e ignorando le voci sprezzanti dei quadri. Non potevano starsene un po’ zitti, decrepiti e polverosi com’erano? Rimase in quella posizione per un po’, poi sentì dei passi avvicinarsi e corse nella sua stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Si gettò sul letto e chiuse gli occhi esausto, cercando di smettere di pensare. Ci riuscì: si addormentò come un sasso, nel giro di cinque minuti appena, incurante della montagna di compiti che gli spettavano per il giorno dopo.

 

 

L’unica cosa che vedeva guardandosi allo specchio erano quei maledettissimi capelli crespi. Non c’era modo di farli stare come voleva lei, non ci era mai riuscita nemmeno sua madre, regina indiscussa delle trecce. Si disse che aveva perso già anche troppo tempo, e che nessuno avrebbe fatto caso a quel nido di vespe che si ritrovava in testa, perché era sempre così che stavano i capelli di Hermione Granger: da schifo.

Con le spalle curve per la frustrazione, scese nella Sala Comune, dove trovò Harry e Ron presi in una accesa battaglia di scacchi magici. Non fece loro caso, ormai considerandoli un caso perso, e uscì dando la parola d’ordine alla Signora Grassa. Girovagò per i corridoi, assecondando i suoi pensieri: talora si fermava a guardare fuori dalla finestra, con la voglia di farsi una corsa in giardino, ma le sembrava il cielo si stesse facendo di uno strano colore, e non aveva voglia di inzupparsi, per quanto trovasse la pioggia simpatica e piena di poesia; altre volte si scontrava contro qualcuno, a causa della sua stra-maledetta mania di guardarsi i piedi. Alla fine si decise (pensando che era davvero una persona noiosa) e si diresse verso la biblioteca. Prese qualche libro di pozioni, e cominciò ad approfondire la lezione di Piton che si sarebbe svolta il giorno seguente, dedicandosi allo studio per scacciare via quella sensazione di pensieri muti che si trovava in testa. Le sembrava strano, infatti, che nessuno lì dentro parlasse, tranne quelli che le davano della stupida per essersi presa in ritardo con lo studio – cosa non da lei – e quelli che continuavano a riproporle l’immagine dei suoi orribili capelli riflessa allo specchio, certo. Eppure, sebbene se ne stessero muti, li sentiva muoversi, ma non riusciva a decifrarli, non riusciva a capire che cosa volessero dirle. Si disse che probabilmente stava solo diventando pazza, e stressata com’era per gli esami, lasciarla in pace era il minimo che la sua testa potesse fare.

Qualche era geologica dopo, comunque, si rese conto che fuori aveva cominciato a farsi buio, e che era quello il motivo per cui strizzava gli occhi da minuti, incapace di vedere le parole. Decise che avrebbe finito di leggerlo la mattina successiva, in quell’ora buca che aveva, per essere preparata al meglio sull’elisir dell’euforia. C’erano dei punti che stranamente le erano ancora oscuri, sul metodo di preparazione. Corrucciata rimise il libricino nero al suo posto, e uscì dopo aver cortesemente salutato Madama Pince.

Vagando di nuovo per i corridoi della scuola, si ritrovò a pensare per l’ennesima volta a quanto fosse ingiusto, il suo non essere carina. Aveva una bella pelle, quello sì. Pallida ma non troppo, rosata ma non tropo, un colore giusto. Il punto è che nessuno si innamora di te, se hai una bella pelle. Perché lei non aveva proprio nessun altro pregio: aveva un’altezza nella media, le gambe magre – ma niente a che vedere con quelle lunghe e smilze delle modelle che aveva visto nelle riviste babbane – ma troppo corte rispetto al busto. Decisamente le proporzioni non erano il suo forte, se vogliamo tener conto anche degli occhi grandi e della bocca sottile. La ciliegina sulla torta erano quei maledettissimi capelli crespi che la facevano spesso assomigliare a uno scopa di rafia, di quelle che si usano per spazzare i pavimenti all’esterno delle case.

Se avesse potuto esprimere un desiderio – quante volte aveva sognato esistesse davvero un personaggio che usciva da una lampada magica e le desse l’opportunità di esprimere tre desideri, come nelle favole babbane che le raccontava la mamma da piccola – avrebbe di sicuro chiesto di essere più carina e sapeva anche il perché: voleva che qualcuno si innamorasse di lei.

Scosse la testa, perché non c’era nessuna possibilità per lei di diventare carina né tantomeno che qualcuno potesse essere, anche minimamente, interessato a lei. Nessuna possibilità.

 

 

Lo vedeva dal suo volto, che c’era qualcosa che non andava. Draco non sapeva bene cosa, infine mica la conosceva, non ci aveva mai parlato seriamente, se non per litigare, ma gli sembrava che attorno ad Hermione alleggiasse del vuoto. Come sei lei, si sentisse vuota. Era possibile? Poteva essere che lei, sempre sicura di sé e con la risposta pronta, si potesse sentire in quel modo, nel modo in cui la vedeva lui?

Avrebbe voluto (lo avrebbe voluto così tanto!) chiederle cosa c’era che non andava. Avrebbe voluto dirle che sarebbe andato tutto bene, anche se magari non era così. Voleva carezzarle la guancia e farla sorridere, magari guardarla asciugarsi le lacrime in quello strano modo in cui lo faceva sempre, magari asciugargliene lui qualcuna, con una ciocca dei suoi capelli.

In un secondo si ritrovò in piedi, le braccia lungo i fianchi, a camminare verso il tavolo dei Grifondoro. Sentiva degli sguardi pungere sulla schiena, e qualcuno che lo chiamava, ma lui non ascoltava. Non riusciva ad ascoltare proprio niente se non quella vocina nella testa che gli diceva “Che cosa stai facendo?”, e il punto era che non lo sapeva proprio, quali fossero le sue intenzione, ma non riusciva a fermare i piedi, che lo stavano portando da lei.

Si fermò dietro alle sue spalle e la chiamò, con intanto la testa che gli rimbombava di “Che cosa cazzo stai facendo, Draco?”. Era ovvio che stava per fare un casino, e l’errore più grande della sua vita, ma lo stava facendo e non riusciva a fermarsi, non ce la faceva proprio.

 

 

Hermione si voltò lentamente, perché l’aveva riconosciuta quella voce, e si chiese di nuovo se era diventata pazza o cosa. Draco Malfoy, i capelli biondi che sembravano risplendere di luce propria,

era alle sue spalle, impettito, che la cercava con lo sguardo.

Hermione deglutì. «Che vuoi, Malfoy?»

«Parlarti», dicendolo fece vagare lo sguardo sugli altri Grifondoro. «Da soli»

«Come?»

«Avevo una mezza idea di aprire la bocca e fare uscire delle parole, non ho ancora imparato ad usare la telepatia», disse cominciando ad irritarsi. Lei rimaneva semplicemente a fissarlo, gli occhi marroni sgranati e immobili. Allora Draco sbuffò e le prese un polso, strattonandola un po’, per farla alzare, e la portò fuori dalla Sala Grande, sotto lo sguardo stupito di tutti, professori compresi.

Appena fuori la lasciò andare. «Mi dispiace, ma non sembravi aver l’intenzione di muoverti».

«No, infatti», disse lei dopo un po’, ritrovata la voce. «Allora?»

«Come stai?»

Hermione pensò di strozzarsi. «Che cosa?», chiese con la voce che uscì in una sorta di grido stridulo. Stava per caso sognando? Era vittima di qualche pozione che Ron le aveva messo nel bicchiere di succo di zucca? No, no di sicuro, era un tale zuccone.

Lui la guardò sprezzante e sbuffò. «È evidente che non ti hanno insegnato la nostra lingua da piccola e che ho fatto male a pensare che avessi qualcosa che non andava. Ci vediamo, Granger».

Fece per andare, sentendosi davvero uno stupido, ma la voce di lei lo fermò. «Sto bene». Lui si voltò di nuovo. Era sicuro stesse mentendo, quindi se ne rimase in silenzio. «Perché lo vuoi sapere, comunque?».

«Non sembrava». Hermione alzò le spalle, un nodo che le si formava in gola e che stava rischiando di farla piangere. Ma non l’avrebbe fatto, non davanti a quella serpe di Malfoy. Stava di sicuro organizzando qualcosa con i suoi amichetti, ma lei non i sarebbe cascata. «Incontriamoci stasera fuori della biblioteca, ho una cosa da farti vedere».

«Non infrangerò le regole per incontrare te, al buio, pronto a farmi qualche scherzo»

Draco strinse le mani a pungo, lungo i fianchi, chiuse gli occhi e buttò fuori l’aria dal naso. «Ti prego, fidati», disse, la voce stanca. Poi aprì gli occhi, e erano così azzurri da sembrare di vetro.

«Non posso farlo, non posso fidarmi di te, Malfoy».

Lui sospirò e annuì. «Come preferisci, io ci ho provato. Ti aspetterò comunque. Davanti alle porte della biblioteca a mezzanotte». Le diede l’ultima occhiata e rientrò nella sala, e sedutosi al suo posto riprese a mangiare, ignorando le domande dei suoi compagni.

Hermione non fece lo stesso: scappò in camera sua, il cuore che le batteva all’impazzata, la testa piena di dubbi.

 

 

A mezzanotte e tredici, come segnava il suo orologio da taschino – quello di suo nonno, che gli aveva lasciato alla morte – nessuno si era ancora presentato. Dracò capì che lei non sarebbe venuta, che non era riuscito a farla fidare di lui. “Che cosa ti aspettavi?” Si aspettava ci fosse una possibilità, che avesse sentito il suo cuore fermarsi quando le parlava, che avesse capito quanto fosse stato difficile per lui aver fatto quel gesto davanti a tutti, che avesse capito che era lui, che si sentiva vuoto, perché non aveva lei. Ma era evidente che non aveva capito un bel niente, e che la realtà fa molto più schifo delle aspettative.

Lasciò il libro che aveva portato con sé vicino alla colonna ai lati delle grandi porte della biblioteca. Magari qualcuno l’avrebbe trovato e bruciato. Non gli interessava più. Non gli interessava più nulla tranne fumarsi una di quelle sigarette che Nott era riuscito a rubare da un qualche babbano, mesi prima.

 

Hermione sgusciò fuori dal letto, ancora vestita, e mentre con una mano si infilava il mantello, con l’altra impugnava la bacchetta e la Mappa Del Malandrino, presa in prestito – spudoratamente rubata dal baule sotto il letto – da Harry quel pomeriggio. La Signora Grassa le aprì per dovere, non senza parecchie lamentele circa l’ora e le punizioni che le sarebbero state assegnate se fosse stata beccata, ma lei la zittì con un shh ricco di significati, e si lasciò la Sala Comune alle spalle. Le gambe le tremavano, e non sapeva se era per il fatto che stava infrangendo un milione di regole che si sarebbero trasformate in un mucchio di punti in meno ai Grifondoro, o per il fatto che si stava fidando di Malfoy. Incespicò un po’ di volte sui suoi stessi passi, poi decise che così non poteva andare avanti. «Avanti Hermione, ormai sei uscita. Lumos». Prese a camminare più velocemente, e raggiunse la biblioteca in fretta, senza incrociare – controllando la mappa ansiosamente ogni cinque secondi –  nessun professore, nessuno studente, e nemmeno Miss Purr, quell’odiosa gatta. Le sembrava stesse andando tutto troppo bene. Pensiero fondato, dato che quando giunse sul posto concordato nessuno, tantomeno Malfoy, la stava aspettando. Si lasciò cadere a terra, appoggiando le spalle alle porte. Come non aveva fatto a non notarlo nella mappa, quel piccolo particolare, il fatto che non ci fosse proprio nessuno sveglio e nei paraggi? L’ansia di essere scoperta, ovvio. Era proprio una stupida, cretina, inutile zucca vuota! Aveva voglia di prendersi a schiaffi, o di sbattersi la testa contro il muro. Tutta l’intelligenza di cui era dotata dove l’aveva lasciata, di preciso? Si rese conto che stava piangendo perché si odiava così tanto. Alzandosi barcollò, e per non cadere si aggrappò all’inutile colonna che si trovava lì, vicino alla porta della biblioteca. Le sue dita sfiorarono qualcosa: un libro dalla copertina nera e consumata. Nel prenderlo fece cadere dei fogli. Fu quando si abbassò per raccoglierli che capì: era la cosa che Malfoy voleva mostrarle. Vi inserì i fogli sparsi, e raccattate tutte le altre cose che si era portata a presso, corse verso la sua stanza, alla ricerca della sicurezza del suo letto e del buio sotto le coperte, dove poteva leggere quelle che, con quella prima occhiata, le sembravano delle poesie.

 

 

“Sei come il fiume che mi fa tornare a casa quando mi sono perso, sei come un fiume.

Sei come un fiume selvaggio, selvaggi sono i tuoi capelli.

Sei come un fiume profondo, profondo come i tuoi occhi.

Sei come un fiume che scorre forte, forte come le tue lacrime.

Sei come un fiume per me, e io non faccio altro che seguirti.

Sei come il solo fiume che mi fa tornare a casa quando mi sono perso,

quando mi sono perso dentro la mia testa,

quando mi sono perso e sono io a non essere forte,

a non essere selvaggio e ribelle e coraggioso,

a non essere”

 

Faceva vagare la bacchetta irradiante luce su e giù per quei fogli, da sotto le coperte, nella posizione più comoda che era riuscita a trovare. Da quello che poteva vedere, era una specie di diario. Un diario per le poesie. Hermione notò, dalle date e le ore appuntate agli angoli dei fogli, che le scriveva soprattutto durante la notte, notte fonda. A eccezione di qualcuna, scritta durante le lezioni, o sul tardo pomeriggio. Si ricordò che a volte l’aveva scorto seduto all’ombra di un albero, giù vicino al lago, tutto solo. Erano indubbiamente scritte bene, curate, riviste e corrette. Le passò per la mente che forse scrivere lo faceva stare bene come a lei leggere. Doveva essere così.

Le passò per la mentre anche il pensiero che fosse innamorato, e si fermò ad alleggiarle al livello della fronte. Continuava a chiedersi perché diavolo voleva farglielo vedere. E soprattutto perché diavolo l’avesse lasciato sopra a quella colonna, dove tutti, una volta giorno, avrebbero potuto trovarlo. Li dentro c’erano tutti i suoi pensieri, i sentimenti che, anche dopo essere arrivata all’ultima poesia, Hermione pensava non provasse. Le era sempre sembrato una persona spregevole. Magari non le aveva neppure scritte lui, quelle poesie, e lei aveva frainteso tutto. Chiuse il libro e lo poggiò sul comodino, decisa a riconsegnarlo al proprietario il giorno seguente.

 

 

«Complimenti». Hermione era stata ore a torturarsi per decidere come e quando avesse dovuto restituirgli il diario, per poi arrivare alla conclusione che in ogni caso tutti avrebbero saputo che si erano incontrati, specie dopo l’episodio del giorno prima. In quella scuola erano tutti dei gran pettegoli, nessuno si faceva mai gli affari propri, e se succedeva, ci pensava Pix. Ergo, appena aveva scorto Malfoy seduto su una panchina a ripassare chissà quale materia, gli si era avvicinata, e gliel’aveva appoggiato affianco.

«Come… sei venuta? Ieri sera, intendo»

Lei annuì, abbassando lo sguardo. «Immagino te ne fossi già andato»

«Hai trovato comunque quello che volevo mostrarti, quindi»

Hermione lo guardò e si morse un labbro. «Perché volevi lo leggessi?». Improvvisante, Draco, non seppe che cosa dire. Certo, avrebbe voluto dirle che quelle poesie erano dedicate a lei, ma si sarebbe reso troppo vulnerabile. Cosa che comunque ormai sembrava fare sempre, in sua presenza. Accidenti a te, Draco. Riuscì solo a stringersi nelle spalle. «Alcune sono molto belle». Rimase impettita per alcuni secondi. «Ora ho lezione». Gli voltò le spalle e si incamminò, pensierosa. Forse non aveva risposto perché, come aveva ipotizzato, non era stato lui ha comporle. Ne era quasi certa. Finché non sentì che la chiamava. Di nuovo.

«Aspetta»

Hermione non ce la faceva più. «Senti, Malfoy, che cosa ti sta succedendo? Tu sei uno stronzo con tutti, ed è da quando mi hai visto per la prima volta che mi insulti dicendomi schifosa mezzosangue. Ora o ti sei bevuto il cervello, o ti sei bevuto il cervello, perché io sono ancora una schifosa mezzosangue, e tu, Draco Malfoy, purosangue discendente da due famosissime stirpi di maghi, non parli con quelli come me». Aveva detto anche una parolaccia o se l’era immaginato? Vai così Hermione, sembri quasi sicura di te. Il punto era che Draco le stava sorridendo. «Che c’è?»

«Alle cinque alla Gufiera, cerca di essere puntuale, questa volta». E se ne andò, di nuovo, dandole un appuntamento. Draco Malfoy aveva deciso di farla uscire pazza e si era bevuto il cervello. Si era di sicuro bevuto il cervello. O forse era solo innamorato?

 

 

Avrebbe tanto voluto appoggiarsi alla balaustra, ma un briciolo di intelletto per capire che non era il caso di farlo, era rimasto nella testa di Hermione. Si limitò quindi a guardare il paesaggio da li su, e a osservare lo stile di vita dei gufi che le giravano attorno. Quando cercò di accarezzarne uno, questo la morse. Maledetto gufo.

Aveva deciso di arrivare in anticipo, anche se questo agli occhi di Malfoy avrebbe potuto significare che lei era interessata. Che poi lei era interessata, anche se non sapeva bene a che cosa. Rimaneva il fatto che era nervosa e si sentiva i pensieri muti di nuovo e il mal di stomaco. Quell’agonia sarebbe finita prima o poi? No, sei un’adolescente, scimmiottò la sua testa. Davvero simpatica.

«Sei venuta».

Sussultò nell’udire la sua voce, ma si voltò e annuì. «Certo»

«Volevo farti vedere questa». Le porse un foglietto, strappato da quel suo diario nero. Vi erano delle parole scritte, un’altra poesia.

 

“C’è una possibilità

che ti stia dando,

c’è una possibilità che ti stia dando la mia vita?

C’è una possibilità

che io stia cadendo,

c’è una possibilità che io stia cadendo dentro i tuoi occhi?

C’è la possibilità che il mio sangue si sia gelato,

che il tuo sangue non sia sbagliato?

C’è la possibilità che io e te,

che te e io,

che noi mi pare si dica noi,

possiamo essere uguali essendo così diversi?

Perché c’è la possibilità che io voglia essere come te,

se questo implica che starai con me”

 

Sul momento, le mancò il fiato. Prese un po’ d’aria. «È molto bella. Le scrivi tu, quindi»

«Certo che le scrivo io. Chi pensavi lo facesse?»

«Io non pensavo proprio niente»

Draco sorrise. Era follemente innamorato di lei. Specialmente quando sembrava lo odiasse – cosa che con molta probabilità era la verità –, perché sentiva dell’energia uscirle dal corpo, e scagliarsi contro di lui. Alzò le braccia, in segno di resa. «Quale ti piace di più?»

Hermione si morse il labbro inferiore, pensandoci su. «Questa, quella che hai appena letto»

«Perché?»

«Penso… penso…»

«A cosa pensi, Hermione?»

Per tutti i cappelli di Merlino, l’aveva chiamata per nome? Davvero? «Penso che tu sia innamorato»

La mascella di Draco si contrasse e i pugni lungo i fianchi si chiusero. Ora era vulnerabile. Molto vulnerabile, troppo vulnerabile. Rilassò le braccia, e lentamente si avvicinò a Hermione. Lei rimase immobile, incapace di fare qualsiasi cosa. Lui appoggiò una mano sulla sua guancia, sempre più calda e sempre più colorita, e poi le baciò le labbra. Si allontanò di qualche millimetro e sussurrò «C’è la possibilità che il mio sangue si sia gelato, che il tuo sangue non sia sbagliato?»

«Sono una schifosa mezzosangue, il mio sangue è sbagliato, per te»

«Non è giusto»

Rimasero in silenzio, a guardarsi uno a pochi centimetri di distanza dall’altra. «Ti sei innamorato di me?». Draco annuì, il nervosismo di nuovo in volto. «Perché?»

«Mi sento a casa, quando vedo i tuoi capelli»

«I miei capelli sono orribili», disse corrucciata Hermione.

«Sei coraggiosa»

«Sono una Grifondoro»

Draco non sapeva che cosa rispondere, e di certo non le avrebbe detto a voce alta che , la amava. Le prese in mano una ciocca di capelli. «Mi sento a casa, quando vedo i tuoi capelli, quando vedo che sorridi, quando vedo che mi odi»

«Sei tu, che ti facevi odiare», balbettò lei.

«Facevi?»

Hermione sorrise.

 

 

 

 

 

 

 

Note.

Probabilmente mi sono bevuta io il cervello, altro che Draco. Era da secoli che volevo scrivere qualcosa relativo al mondo di Harry Potter, e ultimamente ho questa ossessione viscerale: le Dramione. Oggi dovevo studiare questi tre capitoli di chimica, sapete, ma non ne avevo alcuna  voglia, ed ecco che esce questa storia. Per altro, è lunga sette pagine. Ora voi direte: e allora? E allora io non ho mai scritto nulla di più lungo di tre pagine. Mi sento Dio in questo momento.

Comunque, lo scopo di queste note, era quello di dirvi che le due poesie (sì, ultimamente scrivo anche poesie, checosamistasuccedendo) sono ispirate a due canzoni: Possibility e I Follow Rivers di Lykke Li di cui sono innamorata da circa due annetti.

Niente, direi che mi farebbe molto piacere se qualcuno di voi recensisse questa cosa, tanto per sapere se devo darmi all’ippica o se in futuro potrò scrivere di nuovo ispirandomi al mondo di Harry.

Mi eclisso. Love always, Deborah.

  
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