Libri > Orgoglio e Pregiudizio
Segui la storia  |       
Autore: Rain Princess    21/02/2013    11 recensioni
Tempi moderni, ma la storia è sempre la stessa: l'orgoglio e il pregiudizio offuscano, oggi come 200 anni fa, la mente di Lizzie Bennett, psicologa in un consultorio, e di William Darcy, manager "scomodo". Il tutto condito con una strana commistione di personaggi e situazioni sospese tra l'antico e il moderno, tra le buone maniere e i social network.
Dal primo capitolo:
"... intanto, nella sua mente, questo “salvatore di aziende” prendeva le sembianze di un uomo sulla cinquantina, sovrappeso e con la giacca chiusa a malapena sulla pancia prominente, capelli sulla via del diradamento e baffi da tricheco, viscido e calcolatore. Magari anche un po’ maniaco. Sicuramente munito di ventiquattrore in cuoio marrone.
Sì, eccolo lì, lo poteva quasi vedere muoversi per la stanza."
Buona lettura!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elizabeth Bennet, Fitzwilliam Darcy, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
E bentornati!!
Innanzitutto torno col capo cosparso di cenere per l'immenso ritardo, avevo detto un paio di settimane e ho sforato abbondantemente le 3.. scusatemi davvero, ho avuto una sessione d'esami allucinante ma ho praticamente concluso, manca solo un piccolo passo ancora e poi.. tesi!

Altra cosa: un grazie ENORME a tutte le ragazze che mi hanno lasciato una recensione, ben 10 per il primo capitolo è anni luce oltre le mie più rosee
aspettative!! Grazie, grazie, davvero di cuore!
Grazie anche a chi ha solo letto, i numeri parlano da soli e vederli salire è comunque una grande soddisfazione!

Che dire, ho adorato scrivere parecchie parti di questo capitolo, ci sono più rimandi all'originale e.. ok basta, ne parliamo magari nelle note giù!

Buona lettura!


Ps: grazie ad Ale e Kate per il continuo supporto e feedback :)


Capitolo 2

Non è mai troppo poco



È una verità universalmente riconosciuta che un po’ di alcol in circolo liberi per qualche ora la testa dai pensieri spiacevoli. Il problema è che tanto poi ritornano.
 

Come diamine aveva potuto farsi prendere tanto la mano durante il colloquio? Non le era mai successo di perdere il controllo in quel modo, men che meno con un perfetto estraneo. L’indignazione per le domande del tricheco ancora pulsava forte ed era convinta di essere nel giusto, ma di certo non si era dimostrata distaccata e professionale come ci si aspettava e aveva detto che fosse.
“Ah, maledizione!” inveì Lizzie tra i denti portandosi istintivamente la testa tra le mani. Adesso si vergognava fin nel midollo per la sua reazione.
Si trovò a ripensare al breve colloquio e ad esaminarlo da varie angolazioni, analizzando le sue parole e chiedendosi se, usandone di diverse, il suo discorso sarebbe apparso meno aggressivo, ma il risultato non cambiava poi di tanto. Continuava ad essere ferma nella sua convinzione, ma amava il suo lavoro e non voleva perderlo. Se avesse potuto, avrebbe riavvolto il tempo per condurre la conversazione in modo meno viscerale, ma non era ovviamente possibile, per cui afferrò il telecomando dello stereo e fece finalmente partire la musica che usava per rilassarsi e che desiderava ascoltare dall’inizio di quella giornata. Chiuse gli occhi, poggiò la testa sulle braccia incrociate e, con un profondo sospiro, cominciò a lasciarsi cullare dai suoni di un prato di montagna.
 

Quando spense la musica effettivamente si sentiva meglio. Continuava a pensare di aver messo troppa enfasi nel suo discorso, sapeva anche che questo non avrebbe bendisposto Mr Darcy nei suoi confronti, ma aveva un fascicolo di tutto rispetto e contava di poter fare affidamento su quello per mantenere il posto.
Fece un profondo respiro e decise di provare a non torturarsi più. Prese il telefono e compose il numero dell’analista a cui la struttura  faceva riferimento. Al terzo squillo la linea si aprì.
“Laboratorio Spencer, salve, in cosa posso esserle utile?”
Lizzie riconobbe la voce dall’altro lato della cornetta e si sorprese ad avere voglia di scherzare.
“Ah bene, vedo che si batte la fiacca lì!”
“Prego, scusi?” rispose la voce sorpresa dall’altro lato e Lizzie proruppe in una sana risata liberatoria.
“Ah! Accidenti Lizzie, sei tu! Ma come ti viene di rispondere così al telefono?”
Lei immaginò l’espressione del suo interlocutore e non poté frenare una nuova risata che continuò ancora per qualche secondo, poi riuscì a rispondere.
“Ah Mark, sei sempre uno spasso!”
“Dottoressa Bennett,” disse Mark fingendo un tono arrabbiato “si sta per caso prendendo gioco di me?”
“Non mi permetterei mai, dottor Spencer!” scherzò Lizzie. “Ah, dottore, lei sì che sa come migliorare la giornata ad una povera psicologa”
“Lieto di saperlo, dottoressa!”
Lizzie sentì il sorriso nella voce all’altro capo del telefono e sorrise a sua volta.
“Bene allora, visto che sei talmente libero da poter fare addirittura da centralinista, prendi l’agenda e segna un appuntamento con una mia paziente per domani mattina alle 9.”
“Che esami deve fare?”
“I primi esami di routine: emocromo completo, sideremia e in più ci metti anche la beta HCG.”
“La gravidanza non è ancora accertata?”
“No, la ragazza ha fatto solo un test e abbiamo bisogno di una conferma, anche se ho pochi dubbi al riguardo, i sintomi ci sono.”
“Va bene, allora ti segno tutto. Nome della paziente?”
“Tess Johnson. Verrai tu a fare il prelievo?”
“Dottoressa Bennett, lo so che non resisti al mio fascino e ogni scusa è buona per vedermi, ma si dà il caso che, checché  tu ne pensi, io sia uno specializzando molto impegnato.”
“Quanto la fai lunga! Sei solo dannatamente bravo, che io sappia ho incontrato il tuo fantomatico fascino solo per telefono!”
“Su su, mi lusinghi e lo so che in questo momento ci stai male per il mio rifiuto, ma sarà per un’altra volta e con molto piacere!”
“Quanto sei scemo, Mark!” rispose Lizzie sorridendo, decisa a smorzare il discorso. Non aveva mai capito fino a che punto Mark volesse fare il gentile con lei e non le piaceva essere troppo ambigua nelle sue chiacchierate con lui.
Qualcuno si schiarì la voce, costringendo Lizzie ad alzare gli occhi dal foglio che stava scarabocchiando mentre parlava. Mr Darcy era fermo sulla soglia, scuro in volto. Chissà da quanto era lì e cosa aveva ascoltato. A giudicare dall’espressione del suo viso, troppo era la risposta ad entrambe le domande.
In un attimo Lizzie si riscosse.
“Bene, dottor Spencer,” disse per far capire che la sua non era una telefonata di piacere “la ringrazio. Aspetterò il risultato delle analisi.”
“Ma Lizzie, che…” chiese sorpreso Mark dall’altro lato, ma Lizzie lo interruppe. Non aveva proprio tempo né modo di spiegargli.
“Buon lavoro e a presto.” Salutò sbrigativamente ed attaccò quasi lanciando la cornetta sulla base, neanche fosse incandescente o veicolo di una malattia contagiosa.
Lo sguardo di Mr Darcy divenne ancora più cupo mentre la scrutava dalla porta. Lizzie si sentì incredibilmente piccola.
“Mr Darcy, non è…”
“Non reputo corretto usare le utenze della struttura per scopi personali.” la interruppe lui.
Ecco, ovviamente aveva frainteso.
“Non era una telefonata personale, stavo prenotando un prelievo per una mia paziente.” cercò di giustificarsi Lizzie.
“Non sembrava proprio una telefonata professionale, dottoressa Bennett” ribatté seccamente lui calcando il “professionale”. La guardava con uno sguardo tagliente, in quel momento più che mai la stava soppesando. Lizzie decise di puntare sulla sincerità.
“Lo so, ma solo perché conosco il dottor Spencer da anni, ma le assicuro che…”
“Allora la prego di tenere le conversazioni personali al di fuori del consultorio.” la interruppe di nuovo lui.
Il suo tono non ammetteva repliche. Lizzie si rese conto di sentirsi come una bambina beccata a fare una marachella e la cosa la infastidì, lei non era così. Tuttavia sapeva che la situazione poteva essere facilmente fraintendibile e mitigò la voglia di rispondergli a tono.
“Certo, Mr Darcy. Non è mai successo e non succederà.”
Non era il caso di andare oltre. D’altronde, se Mr Darcy avesse ascoltato un po’ di più della telefonata, avrebbe capito che, in fondo, la sua era davvero una telefonata di lavoro.
Lizzie continuò a guardare Darcy sulla porta. Dopo qualche secondo, con un movimento piuttosto aggraziato che faceva uno strano contrasto con la sua espressione accigliata, si riscosse dalla sua immobilità e si avvicinò alla scrivania. Lizzie non fece neanche in tempo a chiedersi cosa altro volesse che lui le rispose.
“Ad ogni modo, ero venuto per questo.” Ed allungò la mano destra verso di lei.
Lizzie non capì il gesto fino a quando, col pollice e l’indice, Darcy non le fece pendere davanti agli occhi un oggetto che riconobbe subito.
“Il mio braccialetto!” esclamò stupita mentre il suo sguardo saltava al suo polso destro, normalmente occupato dal gioiello che ora dondolava appena di fronte a lei, per poi tornare al suo interlocutore.
“Non ne dubitavo” rispose piatto Mr Darcy.
“Perché lo ha lei? Come…?” Davvero non capiva.
“L’ho trovato nel mio ufficio una decina di minuti dopo la sua teatrale uscita dal mio ufficio.”
Lizzie sentì le guance scaldarsi a quel commento, sapeva di aver dato spettacolo ma sentirselo dire era oltremodo imbarazzante.
“L’avevo notato durante il nostro, seppur breve, colloquio. Deve averlo perso mentre gesticolava. Ecco a lei.”
Mr Darcy avvicinò di più la mano e lei accolse nel palmo della sua il bracciale.
“Grazie” riuscì solo a bisbigliare.
“Prego. E ora ritorni al suo lavoro dottoressa, senza ulteriori distrazioni.” La ammonì, ma il tono non era più severo come all’inizio di quel loro secondo round. Lizzie annuì leggermente col capo e la figura di Mr Darcy scomparve dal vano della porta, che si richiuse dietro di lui.
Lizzie rimase imbambolata a fissare il vuoto per qualche minuto, nascondendo di tanto in tanto il viso tra e mani per il crescente imbarazzo. Ora a quello per il loro primo colloquio si aggiungeva non solo quello derivante dalla consapevolezza che anche a Mr Darcy il suo tono era sembrato teatrale – proprio come Marianne! -, ma anche quello per essere stata beccata a fare un’apparentemente ammiccante telefonata dal posto di lavoro – tra l’altro conclusa in fretta e furia, come se avesse avuto davvero qualcosa da nascondere – e infine quello dovuto al suo immaginarsi gesticolare come una tarantola davanti a lui.
Avrebbe potuto sentirsi e rendersi più ridicola? Si sarebbe volentieri sepolta sotto tanta, tanta terra per la vergogna.
Fu il suono del suo cellulare a riscuoterla da quel momento di autocommiserazione. Sul display lampeggiava un nome amico: Charlotte.
“Ehi, Char.”
“Lizzie, cos’è questo tono afflitto?” chiese subito l’amica, preoccupata. Accidenti, era così evidente?
“Lascia stare Char, ho avuto una giornata pessima. Dimmi.”
“Beh, a questo punto puoi solo dirmi di sì! Volevo proporre a te e Jane una serata tra di noi, andiamo a prenderci qualcosa da bere, chiacchieriamo e ti tiriamo su. Che ne dici? Avviso io Jane?”
Lizzie non dovette nemmeno pensarci su.
“Sì Char, ti prego! Ho bisogno di affogare il mio imbarazzo in tanto, tanto alcol!”
 

Il suo turno al consultorio finiva alle 17 e, come da abitudine, Jane e Lizzie si ritrovarono all’uscita del consultorio.
Jane accolse la sorella con uno dei suoi migliori sorrisi e Lizzie si trovò a pensare, per l’ennesima volta, a quanto fosse straordinaria nel ventunesimo secolo l’esistenza di una creatura delicata e pura, d’altri tempi, come sua sorella. Mise la tracolla della borsa in spalla e la raggiunse cercando di restituirle quel sorriso così spontaneo ma, evidentemente, il risultato non doveva essere stato un granché perché subito Jane le chiese
“Lizzie, che hai? Cos’è quella faccia?”
‘Ok, devo imparare a controllare la mimica facciale!’ pensò Lizzie.
“Tranquilla, ho solo avuto una brutta giornata al lavoro.”
“Che è successo? Ne vuoi parlare?”
“Non ora, per carità!” la fermò Lizzie. “La cosa è già troppo penosa per doverla ripetere anche a Charlotte, preferisco farlo direttamente quando ci sarà anche lei, e solo quando avrò almeno due Martini in circolo!”
Jane rise e le strinse delicatamente un braccio intorno alle spalle, poi si incamminarono verso casa e intanto le raccontò, con gli occhi che le brillavano, com’era andata la sua giornata coi suoi bimbi.
 

 
Il brusio di sottofondo era una costante al Longbourne.
Quella sera il pub era discretamente pieno, la musica in filodiffusione batteva al ritmo di un rock british e non molto arrabbiato, i bicchieri tintinnavano scontrandosi tra di loro in brindisi vari o con le superfici lucide dei tavoli e del bancone del bar.
Lizzie si sentiva un po’ stordita da quel rumore continuo, ma non avrebbe saputo dire se a causarle quello strano senso di straniamento fosse la mancanza di silenzio o la dose interessante di alcol che le girava nelle vene. Alla fine aveva davvero seppellito l’umiliazione, ma al Martini aveva preferito un’ottima birra tedesca, di cui ormai solo un dito era rimasto a decorare il fondo del boccale con qualche bollicina.
Si era astratta dalla conversazione in cui erano coinvolte Jane e Charlotte e stava meditando sul perché la birra facesse la schiuma quando la sorella la strappò a quei pensieri improbabili.
“Andiamo, Lizzie, smettila di pensarci!”
“Non ci stavo affatto pensando!” rispose lei con la migliore espressione indifferente che la birra le permettesse di fare. “Meditavo sulle meraviglie della birra!” e afferrò il boccale per buttare giù l’ultimo sorso.
Charlotte, intenta a guardare altrove, non aveva notato il movimento dell’amica e scelse proprio quel momento per richiamarne l’attenzione con una sonora sgomitata. E fu così che il tanto agognato ultimo sorso andò a finire in parte sul tavolo, in parte sul viso di Lizzie.
Ci fu un momento, una sola frazione di secondo in cui si sarebbe voluta arrabbiare con l’amica. Ma la ridicolaggine della situazione, unita al fatto che davvero sembrava che quel giorno non ne andasse dritta una, la portarono a scaricare tutta la frustrazione accumulata con una fragorosa risata.
Charlotte e Jane la seguirono a ruota, era una scena troppo comica per non riderne e la risata di Lizzie, ormai con le lacrime agli occhi e incapace di fermarsi, sapeva essere contagiosa come poche. Finalmente, dopo un paio di minuti, riuscirono a ricomporsi e ad evitare di finire a ridere di nuovo.
Lizzie si asciugò gli occhi con un fazzoletto e constatò che il mascara non si era dimostrato waterproof come prometteva la pubblicità, ma fece spallucce. Si sentì finalmente leggera per la prima volta dall’inizio di quella giornata, e pronta a godersi quel che restava della serata.
Non appena intravide un cameriere appressarsi a loro alzò la mano. Il ragazzo si avvicinò sorridendo, saltellando un po’ trafelato tra le sedie.
“Cosa vi porto?” chiese a tutte ma guardando Lizzie in particolare.
Lei guardò le due ragazze e ordinò per tutte.
“Tre Martini Bianchi. È ora di dare una svolta frizzante a questa serata!”
 

Un Martini e quasi due ore dopo, ridendo ancora di cuore anche per il proprio equilibrio un po’ precario, Lizzie seguì le altre verso l’uscita del locale. Salutarono i ragazzi che ci lavoravano e, uscendo, si infilò sotto il braccio di Jane che la guardò rilassata: Lizzie non era assolutamente il tipo da angosciarsi per nulla, quindi l’espressione che le aveva visto sul viso quel pomeriggio l’aveva preoccupata abbastanza. Certo, si era resa conto che il colloquio non fosse andato proprio nel migliore dei modi, ma era ferma nell’idea che Mr Darcy avesse avuto un buon motivo per farle quelle domande. Ovviamente Lizzie non era stata dello stesso avviso ma ora, stretta al suo braccio, sorrideva tranquilla. Certo dipendeva anche da quello che avevano preso al Longbourne, ma poco importava. La sola cosa fondamentale era aver visto la tensione lasciarla, per fare di nuovo posto al solito carattere forte e vitale che la contraddistingueva.
Jane strinse un po’ di più la presa sulla mano della sorella e, con Charlotte dal’altro lato, si incamminarono verso il bordo della strada per fermare un taxi, a quell’ora la metro aveva già chiuso.
Non notarono un paio di occhi che le accompagnò fino a quando la notte divenne troppo buia per essere osservata dalle vetrine del Longbourne.
 

Il taxi andò spedito per le strade del quartiere di Kensington e si fermò all’indirizzo dato. La casa di Charlotte distava neanche cento metri da quella dei Bennett per cui, come sempre, le ragazze scesero tutte all’indirizzo di Charlotte e poi le due Bennett avrebbero fatto il breve tratto di strada a piedi.
Pagarono la corsa e scesero sul marciapiede. Con una mano sul ferro battuto del cancelletto e le spalle alla sua casa con le mura color corallo, Charlotte si batté l’altra mano sulla fronte.
“Lizzie, mi hai fatta bere troppo, stavo per dimenticarmene!”
“Ah, io ti ho fatta bere?! Ma se ogni scusa era buona per guardare il cameriere!”
“Ehi,” disse con finto sdegno Charlotte “ho una certa età io, devo pur trovare un partito da accalappiare!”
“E allora ringraziami per averti fatto bere!” ribatté Lizzie.
“Ah, lasciamo perdere và, hai sempre ragione tu!” la punzecchiò l’amica. “Tornando a noi, stamattina una collega mi ha detto che sabato sera c’è una bella serata al Netherfield. Che ne dite, ci andiamo?”
Lizzie ci pensò un secondo. Il Netherfield era un locale nuovo e abbastanza in voga al momento, ma non troppo posh da farla sentire a disagio. Guardò Jane per capire che ne pensava, lei era la più riservata delle due. Ma la sorella sorrideva entusiasta all’idea, evidentemente aveva bisogno anche lei di una serata diversa.
“Ci stiamo!” esclamò allora a voce un po’ troppo alta. Charlotte esultò.
“Bene, allora farò in modo di farci inserire in lista.”
Lizzie sorrideva a trentadue denti ma si vedeva che era stanca, chiaro segno che fosse arrivato il momento di portarla a casa. Charlotte fece un cenno a Jane che però non le sfuggì.
“Oh, andiamo ragazze, non sono ubriaca!” esclamò piccata. Poteva reggere molto di più.
“No, ubriaca no, ma brilla eccome. E poi è tardi e domani hai il turno presto in consultorio, quindi fila a nanna! Jane, mettila a letto, già così domani sarà un’impresa farla alzare!”
Jane le fece l’occhiolino.
“Tranquilla Char, ci penso io a questa furfante!”, strinse un braccio intorno alla vita della sorella, di poco più alta di lei, e le mandò un bacio con la mano libera. Anche Lizzie salutò allo stesso modo e si allontanarono dal cancelletto, buttando però ogni 2-3 secondi uno sguardo fino a quando Charlotte non sparì dietro al portone bianco di casa sua.
Quando fu tranquilla per l’amica, Jane allungò il passo. Era pur sempre tardi e non le piaceva camminare per strada a quell’ora, quella sera avevano fatto un bello strappo alla regola per essere un’uscita infrasettimanale.
In giusto cinque minuti arrivarono al portone di casa loro e rientrarono. Solo allora Jane si sentì tranquilla e tirò un sospiro. Come d’abitudine, prese il cellulare dalla borsa e fece uno squillo a Charlotte per rassicurarla poi, il più silenziosamente possibile, salirono nella loro camera al primo piano.
Lizzie si sedette sul bordo del suo letto e chiuse gli occhi. Era talmente stanca che non oppose resistenza quando Jane le sfilò la giacca.
“Non penserai mica che io sia tanto ubriaca da non riuscire a spogliarmi?”
“No Lizzie, so che non arriveresti mai a tanto. Ma stai letteralmente dormendo in piedi, ti do solo una mano a fare prima.”
Jane era così. Buona, dolce, spontanea ed amorevole con tutti, ma Lizzie era davvero il suo punto debole. Era la persona a cui teneva di più in assoluto. L’unica in grado di capire quel profondo affetto era Lizzie, perché lo corrispondeva in pieno. E, mentre Jane le sfilava le scarpe, si chinò in avanti per darle un bacio sulla chioma bionda.
“Grazie Jane, non so che farei senza di te” ebbe la forza di dire mentre si sfilava maglia e pantaloni.
Afferrò il pigiama e si trascinò in bagno sbadigliando sonoramente. Si lavò e struccò in fretta, infilò il pigiama e lasciò il bagno a Jane. Ebbe appena il tempo di mettersi sotto le coperte che crollò.
Quando Jane rientrò nella stanza, Lizzie dormiva già profondamente. Scosse la testa sorridendo, si infilò nel suo letto e spense la luce.
 


Un rumore martellante raggiunse Lizzie nelle profondità del sonno in cui si trovava, risvegliandola. Alla cieca, provò ad allungare la mano per spegnerla ma non la trovò, così decise di aprire gli occhi e alzare la testa dal cuscino.
Non l’avesse mai fatto! Una fitta fortissima le perforò la tempia destra e la portò a tuffare di nuovo la testa sul cuscino e a trattenere un lamento tra le labbra proprio mentre Jane entrava nella stanza.
“Buongiorno Lizzie” le disse a voce bassa sedendosi sul bordo del letto della sorella. Un mugugno fu tutto ciò che ottenne in risposta.
“Mi sa che hai sottovalutato il mal di testa di stamattina, eh? Eri molto stanca ieri.”
Un altro mugugno. A volte soffriva di mal di testa e la sera prima, tra la fredda aria invernale e le ore piccole aveva giocato una scommessa a perdere contro sé stessa.
Jane le scostò i capelli dal viso e si rialzò ridacchiando.
“Ok, ho capito, donna mugugnante. Vado a prenderti un paio di aspirine”.
Lizzie festeggiò all’idea di avere altri due minuti di tregua prima di doversi alzare davvero, ma Jane tornò comunque troppo presto.
“Ecco qua le tue belle amichette. Tirati su, Lizzie!”
Fu una specie di impresa, ma alla fine Lizzie si sedette in mezzo al letto e prese le pastiglie che Jane le porgeva, poi prese la mano che la sorella le porgeva e si alzò mentre Jane iniziava a scendere.
Col mal di testa che le faceva ad ogni passo, scese le scale pregando di non incontrare nessuno. Neanche il tempo di pensarlo che, mentre varcava la soglia,
“Lydiaaaaaaaa! Alzati o farai tardi anche oggi!”
Il suono soave della voce di Mrs Bennett trapanò la tempia dolorante di Lizzie spingendola a fare un passo indietro, come se avesse urtato contro qualcosa.
“Ah, Jane, tua sorella mi farà diventare matta di questo passo! E mai una volta che tuo padre intervenisse! Devo fare sempre io la parte della cattiva!” sbottò a voce alta poi, dirigendosi verso la porta urlò di nuovo nel vano scale “Lydiaaaaa!”
Intanto Kitty era scesa in cucina, ridendo già troppo rumorosamente.
La povera Lizzie si portò le mani sulle orecchie per difendersi da quell’attacco su tutti i fronti e guardò Jane in cerca di aiuto o, almeno, di un po’ di comprensione.
“Scendo, scendo!” gridò a sua volta Lydia dal piano di sopra e facendo le scale a saltelli, con un’irruenza innaturale per quell’ora del mattino. O forse era Lizzie a non avere la forza di sostenere l’abituale fracasso di casa Bennett.
Lydia la superò come un tornado e andò a sedersi vicino a Kitty, per poi cominciare subito a ciarlare. Lizzie mormorò un “buongiorno” molto poco cordiale e si diresse al bancone della cucina per farsi un caffè nero e forte.
Mentre si sedeva fece l’ingresso in cucina suo padre che, passando alle sue spalle, le fece una leggera carezza sul capo ed andò a prendere posto a capotavola.
Mary emerse dallo studiolo con gli occhiali già inforcati e si sedette. Il caffè uscì e Lizzie si alzò per versarselo in una tazza; intanto gli altri parlavano e si passavano pane tostato, burro e marmellata in un tintinnio continuo di bicchieri, coltelli e cucchiai.
Mentre si sedeva e preparava a sorseggiare il caffè, la madre richiamò la sua attenzione.
“Cielo Liz, che brutta cera hai stamattina!” la rimproverò, neanche fosse colpa sua.
“Ho mal di testa, mamma”
“Beh, che c’entra?” si indispettì, “Non è che perché hai mal di testa puoi essere sciatta e disordinata! Dovresti curarti di più, te l’ho sempre detto! Ma tu e le tue sorelle non mi volete ascoltare! Poi non c’è da meravigliarsi se, all’età che avete, vi ritrovate senza uno straccio di fidanzato! Io alla tua età avevo già avuto Jane, te ed aspettavo Mary!” predicò Mrs Bennett mettendo molta enfasi in ogni frase che pronunciava.
“Mamma, è primo mattino, per favore…” cercò di interromperla Lizzie, ma invano. Mrs Bennett era partita con una delle sue tirate.
“Ah, menomale che almeno Kitty e Lydia mi ascoltano e seguono i consigli della loro mamma. Loro si che si curano! Di questo passo troveranno un marito prima di voi due!”
Jane, con il viso seminascosto dalla tazza, lanciò uno sguardo di soppiatto alla sorella. Lizzie, dal canto suo, aveva lo sguardo rivolto al cielo ed aveva, snza ombra di dubbio, smesso di ascoltare la madre da un pezzo.
Caduta nel vuoto l’invettiva materna, dopo un paio di minuti Liz, Jane e Mary si alzarono per finire di prepararsi ed evitare di dare alla madre una chance per riprendere da dove si era fermata. Mrs Bennett era famosa per la sua capacità dialettica, per così dire.
‘Certo,’ pensò Lizzie guardandosi allo specchio nel bagno “tra le occhiaie da mal di testa, il colorito spento e il malumore latente, questa mattina c’è ben poco da recuperare e curare…”
 

Quando arrivò al consultorio, Lizzie ringraziò mentalmente il silenzio che c’era per i corridoi. Poi ne ricordò la causa e si sentì avvampare.
Entrò nel suo ufficio per posare giacca, borsa e sciarpa e si diresse nella saletta relax per prepararsi un altro caffè nero per il mal di testa, aspettando ad occhi chiusi che la miscela filtrasse. L’aroma forte del caffè le entrò nelle narici, dandole un minimo di sollievo. Quando il bip della macchinetta la avvisò che il caffè era pronto afferrò la tazza, bevve un sorso e, vincendo il fastidio provocatole dai neon dell’ambiente, aprì gli occhi e si decise a tornare nel suo ufficio.
Nel corridoio i neon erano più forti e Lizzie si riparò gli occhi dalla luce con una mano. Fece una decina di passi verso il suo ufficio poi, all’improvviso, urtò contro qualcuno spuntato inaspettatamente da dietro l’angolo.
Un paio di gocce di caffè caldo le finirono sulla mano, ma per fortuna non si sporcò ulteriormente. Lei.
“Ahi, accidenti!”
La persona contro cui era sbattuta, ancora non meglio identificata, aveva una bella macchia di caffè che si allargava sulla camicia bianca.
“Oh, scusami, ero distratta dal mal di testa!” disse Lizzie per giustificarsi, senza nemmeno alzare la testa, tutta presa a cercare di pulire la macchia col fazzoletto preso nella saletta.
“Non… non si preoccupi, signorina!” furono la voce che non conosceva e il tono formale ma gentile, per niente arrabbiato per l’accaduto, a convincere Lizzie ad alzare la testa.
Si trovò davanti un ragazzo di qualche anno più grande di lei, carino e, nonostante il disastro sulla sua camicia, con un’espressione piuttosto divertita sul viso. Dopo essere rimasta imbambolata un paio di secondi, si riscosse.
“Mi dispiace, sono mortificata!”
Il ragazzo abbassò un po’ la testa imbarazzato, ma che faceva, arrossiva?
“Non deve signorina, anche io ero distratto e non l’ho vista arrivare. Se fossi stato più attento avrei potuto evitare lei e… la sua tazza di caffè!” disse sorridendo. “Lei è sicura di non aver riportato danni?”
‘Oddio, ma da dove è sbucato fuori?’ pensò Lizzie sorpresa.
“No, no, credo di stare bene, grazie!”
‘Insomma!’ pensò poi.
“Bene, mi fa piacere. Allora, concluso l’incidente, lasci che mi presenti: sono Charles Bingley” disse, ed accompagnò la presentazione con un altro sorriso pulito e una mano tesa verso di lei.
Lizzie lo osservò stupita dalla sua gentilezza, gli strinse la mano e si presentò.
“Bene, e io sono Elizabeth Bennett”
Una specie di lampo passò nello sguardo del ragazzo di fronte a lei ma subito scomparve. Un attimo dopo una voce troppo particolare per essere dimenticata li interruppe.
“Ah bene Charles, vedo che sei arrivato”
“Si, scusa il leggero ritardo Will, abbiamo avuto un piccolo contrattempo” spiegò con un ghigno divertito Bingley, indicando prima sé stesso e poi Lizzie. Lo sguardo di Mr Darcy si spostò dal ragazzo alla sua camicia a Lizzie e si indurì.
‘Perché mi guarda così?’
Con ancora una mano stretta intorno alla tazza e l’altra sospesa a mezz’aria, dove aveva incontrato quella di Bingley, Lizzie pensò che le stava già meno simpatico. ‘Non poteva evitare di sottolineare questo disastro, accidenti?’
“Buongiorno, Mr Darcy”
“Dottoressa Bennett” ribatté subito gelido, e poi si rivolse all’altro. “Charles, ho bisogno che tu mi raggiunga nel mio ufficio”
“Certo” si riscosse Bingley, poi si rivolse a Lizzie. “Dottoressa, è stato un piacere fare la sua conoscenza!” la salutò cortese e raggiunse immediatamente Darcy il quale, dopo averla tenuta inchiodata con uno sguardo gelido, girò i tacchi e se ne andò senza dire una parola.
“Anche per me” disse al vuoto Lizzie, poi si riscosse e tornò nel suo ufficio, il mal di testa semmai ancora più feroce.
Posò la tazza sulla scrivania e ripensò all’accaduto. Si nascose la testa tra le mani quando realizzò che, oltre alle voci di ‘pazza schizzata, approfittatrice del telefono del so ufficio e maldestra maliarda’, ora doveva aggiungere alla lista dei motivi per essere licenziata anche ‘sbadata’ e ‘potenziale omicida con tazze di caffè bollente’.
Inoltre, e  questo davvero non se lo spiegava, perché Mr Darcy l’aveva guardata in quel modo così freddo? Possibile che ce l’avesse ancora per il giorno precedente? O magari era per la camicia una volta immacolata dell’amico?
Non lo credeva possibile, ma si sentì ancora più in imbarazzo del giorno precedente. Se non avesse avuto mal di testa avrebbe preso volentieri a testate la scrivania ma, data la situazione, si disse che non era il caso.
Si sedette sbuffando, afferrò la tazza e ne bevve un sorso abbondante.
“Alla faccia della tua tanto decantata professionalità” si disse, ritrovandosi a ridere di sé stessa e a voler quasi piangere contemporaneamente. Ma ormai quel che era fatto era fatto, doveva solo pensare a fare bene il suo lavoro e ad evitare di fare ulteriori danni.
Prese una cartellina e cercò di mettersi al lavoro.
 

Altrove, qualcuno scuoteva la testa.


Eccoci.. Spero che l'attesa sia stata degnamente ricompensata.
Nel momento della lettura chi vi aspettavate che fosse il povero sfortunato che impatta con Lizzie? Ho avuto la tentazione di interrompere il capitolo in quel punto, ma non sarebbe stato completo e non era giusto lasciarlo così monco, ma mi sarebbe piaciuto leggere vostre ipotesi.. Che ve ne pare dei nuovi Longbourne e Netherfield? Vi gustano? Personalmente il momento più divertente da scrivere è stato il risveglio, mrs Bennett sa dare tante soddisfazioni! Ma sono soddisfatta anche di Mark, diamo il benvenuto al mio unico personaggio originale della storia! :)


Vi ringrazio ancora per essere passate e chiedo pietà per le note pietose e se ci dovessero essere dei refusi, sono davvero reduce da una settimana pesantissima..
Spero di essere più veloce col prossimo aggiornamento, un pezzo del capitolo è già scritto, spero di finirlo in poco!
A presto!
  
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Orgoglio e Pregiudizio / Vai alla pagina dell'autore: Rain Princess