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Autore: Kitri    22/02/2013    13 recensioni
"Ancora una volta il ragazzo non rispose. Si limitò a seguire con gli occhi quella meraviglia, che passando davanti al suo tavolo non si era sottratta ad un nuovo gioco di sguardi, regalandogli l’ultima intensa emozione".
Un colpo di fulmine e una serie di coincidenze, un amore che porterà i due protagonisti a riscoprire se stessi.
La mia prima fanfiction!
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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CONOSCERSI 
 
 
«Buonasera Mamoru! Usagi!» li salutò Joe, quando si sedettero al bancone del Crown. La sua espressione di sorpresa nel vederli insieme era palese.
Ma, a parte lui, non c’era nessun altro nel locale che li conoscesse. Quindi Usagi tirò un sospiro di sollievo.
«Cosa vi porto?» chiese cordiale il barista.
«Per me una chiara alla spina. Per te Usagi?» disse Mamoru.
«Anche per me, grazie!» rispose la ragazza.
«Ok, due chiare alla spina! – ripetè Joe - Ve le porto subito!».
E così dicendo si allontanò, per ricomparire dopo un paio di minuti con i due boccali di birra.
 
«Allora, Usagi, dimmi, perché hai scelto di fare il chirurgo?» le chiese Mamoru curioso, mentre cominciava a sorseggiare la sua birra.
Al ricordo del motivo della sua scelta, una leggera malinconia velò gli occhi di Usagi. Ma la ragazza non evitò di rispondere.  
«È stato quando mia madre è venuta a mancare, quindici anni fa. Volevo trovare un modo per curare la sua malattia, in maniera tale che altri bimbi non soffrissero come me e mio fratello Shingo»disse con molta naturalezza, sorridendo al pensiero della sua ingenuità di bambina.
«Mi dispiace, non lo sapevo, altrimenti non ti avrei fatto questa domanda» si scusò Mamoru, alquanto imbarazzato.
«Non ti preoccupare, - la ragazza lo rassicurò– non ho problemi a parlarne. Mia madre è morta da parecchio tempo ormai, ma è sempre qui con me, lo sento! E poi, ho una famiglia meravigliosa, che non mi ha mai fatto sentire sola».
Mamoru rimase colpito da come gli occhi di Usagi si erano di nuovo illuminati parlando della sua famiglia. Di certo, questo non era un punto in comune, dato che lui si sarebbe subito rabbuiato e innervosito parecchio al solo pensiero della famiglia Chiba. Un po’, forse, la invidiava per questo.
«Inizialmente volevo fare l’oncologo – continuò la ragazza, riallacciandosi alla domanda – poi, quando ho capito che il chirurgo è quello che fa il lavoro più difficile, ho deciso che quella sarebbe stata la mia professione. Beh, comunque, a parte i sogni di bambina, non c’è un motivo vero e proprio, è una passione e basta. Penso che tu possa capirmi meglio di chiunque altro o sbaglio?».
«No, non sbagli! Penso come te che sia una passione, un’inclinazione naturale, e che non si possa spiegare il motivo di tale scelta. Anche io da bambino già sapevo che avrei fatto il medico, anche se non per gli stessi tuoi motivi».
Al ricordo delle imposizioni di suo padre un sorriso sghembo, molto più simile ad una smorfia, segnò il volto di Mamoru. Fortunatamente, quella di fare il medico non era stata una vera e propria imposizione, perché lui per primo lo aveva desiderato.
Il fatto è che si chiedeva spesso se avrebbe intrapreso la stessa strada se non fosse stato abituato, sin da piccolo, ad avere a che fare con ospedali e camici bianchi. Ma in fondo, poi, che importanza aveva, se amava il suo lavoro più di qualunque altra cosa?
«Comunque non ho voluto da sempre fare il medico» aggiunse Usagi, che aveva notato il velo di tristezza sui suoi occhi, e cercò di richiamarlo dai suoi tristi pensieri.
«Ah, no? – chiese curiosissimo Mamoru, riportato al presente – E cosa avresti voluto fare? Sentiamo un po’».
«La ballerina di danza classica» e sorrise portandosi il bicchiere alla bocca.
«Davvero?» chiese lui divertito.
«Sì – rispose la ragazza con un’espressione innocente e molto simile a quella di una bambina - Ho studiato danza classica per tanti anni, poi alla fine ho scelto di dedicarmi solo alla medicina, perché entrambe le cose mi portavano via molto tempo. Però non ho mai smesso di allenarmi. A casa ho fatto mettere il parquet e una sbarra per gli esercizi, in soffitta, e anche nel mio appartamento qui ho fatto la stessa cosa nel salotto. Danzo soprattutto quando sono triste o nervosa».
Mamoru la guardava esterrefatto e rideva.
«Danzi nel salotto di casa tua?!? Sei sorprendente Usagi!».
«Ti ringrazio per avermi definito “sorprendente” e non “pazza” come fanno le mie amiche ogni volta che mi trovano in calzamaglie e tutù » disse la ragazza, ridendo a sua volta.
«No, non penso che tu sia pazza. Certo non è una cosa usuale, ma non fai altro che dedicarti a una tua passione per scaricare le tensioni. Solo che mi chiedo cosa mai farai, invece, quando sei allegra».
«Ah, in quel caso metto su un cd dei Depeche Mode e canto a squarciagola».
Mamoru era ancora più sorpreso.
«Ti piacciono i Depeche Mode?» chiese con un’espressione meravigliata dipinta sul volto.
«Sì – rispose la ragazza che ancora non capiva la sua sorpresa – e anche i Radiohead, i Coldplay, i Beatleas, i Talking Heads … ».
Mamoru stentava a crederci.
«Beh, dal punto di vista musicale abbiamo parecchio in comune. Hai appena nominato tutti i miei gruppi preferiti!».
«Allora, se ci sarà una prossima volta insieme in sala operatoria, al posto di quel lamento palloso scelto dal dottor Kou, magari potremmo metter su In rainbow o Music for the Masses».
«Lamento palloso? – ripetè Mamoru ridendo di quella definizione – Comunque la trovo un’idea magnifica e … ci sarà sicuramente un prossima volta insieme in sala operatoria!».
Quando il ragazzo pronunciò quest’ultima frase, i due si guardarono negli occhi intensamente.
In un attimo, l’atmosfera tra loro cambiò e diventò carica di elettricità.
Mamoru guardava estasiato quegli occhi, quella bocca e quei lineamenti, delicati e sensuali nello stesso tempo.
Sapeva di desiderare la donna che aveva di fronte dal primo momento in cui l’aveva vista, ma non riusciva a capire in che modo e perchè quel desiderio sembrasse diverso rispetto a quello provato verso altre donne.
Anche Usagi sapeva di desiderare quell’uomo in maniera differente in confronto ad altri, ma, al contrario di lui, era perfettamente in grado di dare un nome a quella sensazione che la invadeva. Sapeva benissimo che si trattava di qualcosa di molto pericoloso, quel qualcosa da cui lei finora era fuggita. E proprio per questo fu lei a cercare per prima di sciogliere la tensione che si era creata.
«Allora, dottor Chiba - esclamò fingendo naturalezza – Finora ho parlato solo io. Ora tocca a te! Raccontami qualcosa».
«Tipo?» chiese lui.
«Il motivo per cui hai fatto il chirurgo me l’hai detto già e, ora, conosco anche i tuoi gusti musicali. Potresti parlarmi della tua famiglia, dei tuoi amori … che ne so?».
Sul volto di Mamoru calò ancora una volta una leggera ombra. Non aveva poi così tante cose da raccontare, come lei. Lei che era così solare e allegra, mentre lui così freddo e cinico.
«Beh, - esordì con un po’ di titubanza – della mia famiglia non c’è molto da dire. Vivo da solo da dodici anni ormai. Mia madre la sento al telefono ogni settimana e di tanto in tanto passa a trovarmi. Con mio padre, invece, non parlo da quando sono partito. Litigammo per divergenze di opinioni e da allora ci ignoriamo. La mia famiglia, ora, sono i miei due migliori amici, Heles e Motoki, i dottori Tenou e Furuhata, che presto conoscerai».
Usagi ascoltava seria le sue parole e, anche se era molto curiosa di sapere il motivo della lite con il padre, non chiese niente. Dalla sua espressione aveva capito che era qualcosa che faceva molto male a Mamoru. Quindi si limitò ad ascoltare pensierosa.
«Per quanto riguarda gli amori, invece, - continuò lui, questa volta tornando a sorridere sornione - c’è ancora meno da dire. Non c’è mai stata una donna capace di farmi innamorare».
«Dici sul serio? - chiese Usagi con grande stupore, dopo quell’affermazione – Non è possibile che non ti sia mai innamorato o che non ci sia mai stata una donna che ti abbia fatto battere il cuore».
“In realtà una che mi fa battere il cuore c’è- pensò tra se Mamoru guardando con intensità quegli occhioni azzurri davanti a lui – ma di certo non posso dirtelo”.
«Secondo me non vuoi dirlo, ma non posso costringerti » insinuò Usagi, guardandolo negli occhi come per cercare di leggervi un segreto.
Mamoru trasalì.
Sembrava che quella ragazza gli avesse letto nel pensiero. Sorrise mordendosi il labbro e rigirò la domanda.
«E a te, Usagi? Chi è che fa battere il cuore? Quello della sera al Crown o quello della sera al ristorante?» le chiese lui allusivo, ma soprattutto curioso di sapere.
Usagi sorrise mordendosi le labbra a sua volta, facendogli capire di aver afferrato l’allusione ai loro primi incontri e di ricordarsi benissimo di lui.
“Sei tu quello che mi fa battere il cuore” pensò.
«Nessuno dei due! Sono frequentazioni occasionali» rispose secca.
«E il nostro Seiya Kou?» azzardò Mamoru, ancora più curioso di prima.
«È un amico, te l’ho già detto!» ribadì lei.
«Ma lui non sembra pensarla così. Si vede lontano un miglio che gli piaci».
«È un problema suo quello che pensa. Io lo considero un amico, anche se gli voglio molto bene».
Mamoru si sentiva stranamente soddisfatto da queste risposte, quasi sollevato.
Stando a quello che diceva lei, il suo cuore era libero.
Il suo cuore?!? E da quando gli interessava il cuore di una donna?
«Comunque, dottor Chiba, sei bravo a evitare le domande e a spostare l’attenzione su di me – esclamò la ragazza – Poi, se non sbaglio, anche tu non eri solo quelle due sere … ».
Anche Usagi era curiosa di sapere, ma non ebbe il coraggio di chiedere direttamente, quindi si limitò a una mezza constatazione, sperando che lui abboccasse.
Mamoru sorrise per la furbizia della ragazza.
«La donna del Crown è la mia migliore amica, la dottoressa Heles Tenou, di cui ti ho parlato prima. La donna del ristorante, invece, è una “frequentazione occasionale”, come diresti tu » rispose ammiccando sull’ultima frase.
Anche la curiosità di Usagi ora poteva dirsi appagata.
Mamoru era libero e, come aveva immaginato sin dal principio, non era uno che si innamorava facilmente.
In un’altra situazione, per Usagi sarebbe stato l’amante ideale: bello, attraente, intelligente e senza complicazioni. Ma lui era Mamoru Chiba, l’uomo che le stava facendo perdere la testa, quindi decisamente l’ultimo con il quale iniziare una relazione senza conseguenze.
 
Passarono così il resto della serata a parlare e a raccontarsi, dimenticando di essere una specializzanda e il suo superiore, un’allieva e il suo insegnante.
In quel momento erano solo Usagi e Mamoru, due ragazzi giovani e belli che si stavano conoscendo, un uomo e una donna che, nonostante le resistenze, si stavano innamorando.
Solo a mezzanotte passata si resero conto di quanto fosse tardi e di quanto tempo fossero rimasti lì, persi l’una nei racconti dell’altro, rapiti dalle loro emozioni, spaventati da quel sentimento nuovo e sconosciuto che si stava facendo strada nei loro cuori e nelle loro menti.
Raggiunsero il parcheggio dell’ospedale.
Erano l’uno di fronte all’altra vicino all’auto di Usagi.
«Sicura che non vuoi che ti scorti fino a casa con la mia macchina?» le chiese di nuovo Mamoru premuroso.
La ragazza ancora una volta gli rispose che non ce n’era bisogno.
Si guardavano quasi disorientati, persi l’uno negli occhi dell’altra, come era accaduto fin dal loro primo incontro.
Il desiderio tra i due era tangibile.
Entrambi sapevano che sarebbe bastato poco per finire col fare l’amore proprio lì, in quel parcheggio, travolti dalla più assurda e insana passione. Ma entrambi sapevano anche che sarebbe stato un grande sbaglio, e non solo a causa delle conseguenze nel loro lavoro.
Se quel desiderio fosse stato assecondato, se quella passione fosse stata consumata, il sentimento che sentivano nascere dentro di sé avrebbe vinto e sarebbe venuto fuori prepotente, conducendoli insieme a un punto di non ritorno.
Ed entrambi avevano troppa paura di quel sentimento: lui perché non lo aveva mai conosciuto, lei perché non voleva averci più a che fare.
E così, quella sera, Mamoru e Usagi lasciarono che fosse proprio quella stupida paura a prendere il sopravvento, separandosi a malincuore con un semplice, ma dolce ciao.
  
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