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Autore: HeavenIsInYourEyes    24/02/2013    8 recensioni
Così la strinse piano, trattenendola un po’ di più a sé, sussurrandole a fior di labbra un debole –Resti qui?- che era un po’ come dirle "Ho bisogno di te".
-Quanto vuoi.- la sentì bisbigliare dopo quella che gli parve un’eternità.
E si fece bastare quel "Quanto vuoi", che era un periodo di tempo ragionevolmente lungo visto che spettava a lui decidere quando mandarla via.
Già.
Peccato che in un momento di completo blackout mentale, si disse che nemmeno tutto il tempo del mondo gli sarebbe bastato.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, T.O.P.
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Per farmi perdonare del ritardo mostruoso, anche se non esagerato, vi posto questo capitolo che è lungo, forse uno dei più lunghi che abbia mai scritto. Spero arriverete fino alla fine non tanto perché merita, quello spetta a voi deciderlo non a me, ma perché penso che un po’ tutte aspettavano da tempo una svolta del genere, spero. E niente, se non premeste la X rossa nonostante la barra laterale che va accorciandosi, mi rendereste solo felice ^^
Poi. Non sono solita ringraziare all’incipit della storia, ma sono arrivata ad un punto in cui non sapevo più cosa volessi farne di Something, uno dei tanti motivi che mi hanno tenuta lontana da Efp per un po’, e rileggere le vostre parole mi ha dato un po’ di motivazione ad andare avanti anche quando avrei voluto smettere tutto. A Lele_Sun, ssilen, AngelWithAShotgun, uwan, BellaChoi, MionGD, YB_Moon, kassy382 e TheshiningSofia e a tutti coloro che hanno commentato capitoli lontani anni luce –sì, sono tornata indietro a leggerli-, va il mio affetto più sincero. Mi sento sempre un po’ stronza a liquidarvi con un misero grazie. Però è sentito e beh, grazie di nuovo, davvero ♥
Ringrazio altresì chi ha aggiunto la storia fra le seguite/ricordate/preferite e chi legge in silenzio. Thank u with all my ♥ Mi farebbe piacere se chi non si fosse mai fatto sentire lasciasse un segno del proprio passaggio. Siete in tanti a seguire/preferire Something e questo non può che rendermi felice, dico sul serio, ma solo alcune lettrici continuano a dirmi cosa ne pensano (e badate bene, vi amo per questo. Pensare che cinque minuti per me li sprecate mi lascia sempre un po’ commossa. So che può non sembrare, perché sono un po’ tanto una Lindsay quando si tratta di ringraziare sentitamente, ma sappiate che siete per me una reale fonte di sostegno). Non è che cinque minuti del vostro tempo. Un'inezia, se paragonato a quello che spenderete in media per leggere un capitolo che conta venti e passa pagine.
Essendo questo un capitolo per me importante per tanti, troppi fattori, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate.
P
iù di tutti e tra tutti, mi spiacerebbe venisse dato per scontato.
Ci vediamo alle note in fondo.

 Buona lettura ♥

  


 

Capitolo 26

So just forget about the World tonight

 

If I lay here

If I just lay here

Would you lie with me and just forget the World?”

-Chasing cars, Snow Patrol-

 

 

Il cuore gli batteva forte.

Una scarica di pura adrenalina continuava a scorrergli nelle vene, in tutto il corpo, diramandosi fino al cervello che per tutto il tempo non aveva smesso di restare collegato. La prima parte di concerto era andata e ora si stava godendo un po’ di sano riposo mentre udiva il casino distante delle Vip intente ad acclamare GD, ora impegnato nei suoi assoli, rinchiuso in quel camerino che aveva cominciato a considerare il proprio santuario da quando le parrucchiere lo avevano lasciato da solo. E si godette il silenzio, Seung-Hyun, si godette la sensazione di benefica placidità mentre i suoi nervi andavano distendendosi, un sorriso di pura serenità ad increspargli le labbra secche per la stanchezza, con ancora indosso il vociare concitato delle fan che lo avevano seguito con ammirazione in ogni passo, che lo facevano sentire sempre un po’ meno impacciato.

Poco distante da lui, un Dong-Wook che aveva deciso di assistere al suo concerto solo per godersi una bevuta gratis all’Afterparty che ci sarebbe stato, se ne stava rannicchiato sulla poltrona, giocherellando con uno dei tanti pupazzi che erano stati lanciati sul palco e che lui aveva raccolto con bramosia, fulminando Ri che aveva più volte tentato di sgraffignarglieli. Maledetto maknae dalle zampe lunghe –Ti assomiglia.- lo aveva preso per il culo sventolandolo.

Seung-Hyun staccò le labbra dalla bottiglietta e gli rivolse un’occhiataccia –O taci o sparisci.- ma per tutta risposta, quel cretino si mise a ridere mentre tornava a commentare le sue dimenticabili prestazioni.

Seung-Hyun si afflosciò sulla sedia dopo aver gettato un’occhiata fugace al cellulare, lo sguardo lucido mentre il volto madido di sudore andava contraendosi in una smorfia di seccatura mista a delusione: Lindsay non gli aveva scritto. Oh, badare bene, non era un avvenimento di chissà quale rarità, eh. Molte volte lei non rispondeva ai suoi sms, così come lui si dimenticava spesso di doverle scrivere anche se l’ultimo messaggio gli era stato inviato qualche ora prima. Ma quella volta fu diverso. Fu come ritrovarsi per la prima volta ad attendere spasmodicamente quel o quel No che gliel’avrebbero davvero cambiata la giornata. Che un suo Sì, ti raggiungo all’Afterparty gli avrebbe sicuramente fatto battere il cuore all’impazzata, di quei battiti che andavano oltre l’euforia di un concerto appena conclusosi, di quei battiti che andavano oltre il semplice piacere nel ritrovarla stretta a sé per un tempo indefinito sotto le note di chissà quale musica assordante. Eppure c’era stato quel No, c’era stato il suo insistere e poi i suoi messaggi a vuoto.

E ora Choi Seung-Hyun faceva a pugni con la normalità a lungo desiderata, riacquistata e che ora si mostrava in tutta la propria imperfezione. L’ansia di udire la suoneria librarsi nell’aria, le viscere che si contorcevano nel vedere lo schermo illuminarsi, gli occhi che brillavano quando scorgevano quel lampeggiante 1 nuovo messaggio ricevuto. E l’inevitabile delusione nel rendersi conto che no, la vibrazione era stata solo frutto della sua galoppante fantasia e nessuno lo aveva cercato in quell’ora e mezza. Avrebbe dovuto godersi ogni minimo istante di quel momento, ma per ora voleva solo scaraventare il cellulare contro il vetro che continuava a riflettere l’immagine di un Seung-Hyun abbattuto.  E la sentiva, poteva percepirla la delusione di ritrovarsi a dover affrontare una notte di noia senza colei che avrebbe potuto farlo divertire. Perché con Lindsay si divertiva parecchio, nonostante i suoi mutismi e la sua ironia. I discorsi insensati che affrontavano, la sua strabiliante capacità di lambirlo con il suo silenzio mai pesante in cui avrebbe voluto trascorrere il resto della sua vita, bastavano davvero a rendere tutto più piacevole.

Ma, beh, quella volta il silenzio che lo raggiunse non fu di buon auspicio e ciò doveva essersi ben delineato anche sul volto perché dal nulla, Dong-Wook proferì un placido –Qualcosa non va?- che, sapeva, sarebbe stato solo l’esordio di una chiacchierata difficile, sfiancante e che avrebbe prosciugato quel briciolo di autostima che ancora gli aveva permesso di non farla finita.

-No, niente. Solo stasera non ho voglia di andare a quella stupida festa.- il che era vero. A che pro andarci senza Lindsay? Che poi avrebbero finito con lo starsene seduti sul divano a bere birra, a vedere gli altri ballare e ridere, a sorbirsi gli scatti isterici di Ginko e Ri mentre Ji Yong si divertiva a punzecchiarli. Avrebbero finito col parlare di loro, concedendosi episodi della loro vita che non pensavano sarebbero sbucati con così tanta fluidità. E che non facevano allontanare, che non li rendevano peggiori di quanto già non fossero. Che li rendeva solo un po’ più vicini nel loro mantenere una solida barriera pur di non sfiorarsi l’anima. Che poi quella nemmeno si rendeva conto che bastava un suo sguardo per accarezzarlo o un suo bacio per dargli colore.

Bastava lei, bastava solo lei.

-Ma ti sei sempre divertito- mormorò mogio, come se la sua presenza non fosse sufficiente a rendere indimenticabile quella festa –Ho capito: vuoi stare solo con Lindsay, vero?- gli rifilò un’occhiata maliziosa, di quelle che a Ji Yong facevano un baffo –Tranquillo, quel posto è pieno di zone d’ombra.-

Zone… Cosa?!

E senza pensarci, con l’ingenuità caratteristica dei bambini –o dei ragazzi troppo coglioni per starsene zitti- si ritrovò ad esalare un deciso –Ma io non voglio che la nostra prima volta sia in una zona d’ombra della discoteca.- senza respiri, senza pause o virgole inutili, come se fosse inaccettabile una proposta del genere. Perché Seung-Hyun, da ormai tempo immemore, continuava a vedere indelebilmente come sarebbe dovuta essere la sua prima volta con Lindsay, di quelle immagini potenti che gli accartocciavano le ossa, lo lambivano di piacere smisurato che si eclissava all’ombra della sua mano che scendeva sempre più in basso nel buio della stanza.

Il rumore delle molle che scricchiolavano, il suo respiro che andava spezzandosi mentre le sue dita scorrevano sulla pelle nuda, le sue gambe che si attorcigliavano al suo bacino mentre quel Seung-Hyun ricco di passione veniva appena bisbigliato contro le sue labbra ad ogni spinta. Avvertì le guance imporporarsi mentre un ambiguo stimolo andava a stuzzicargli il bassoventre.

-La tua prima— Dong-Wook tossì, poi lo guardò dubbioso –Quindi voi due non--

-Non lo abbiamo fatto.- oscurò sul nascere quella scomoda verità, le mani strette fra le ginocchia e lo sguardo atterrito puntato verso la propria figura allo specchio. Era orribile con tutto quel sudore, il trucco colato e i capelli afflosciati, ma nello studiarsi più approfonditamente, approfittando del silenzio dell’amico che forse era rimasto troppo impietrito da quella confessione per proferire verbo, si era reso conto che la propria bruttezza non aveva a che vedere con la pelle olivastra più pallida del solito, dal viso emaciato o dalle profonde occhiaie che gli appesantivano lo sguardo spento. No, niente di tutto quello. Era qualcosa che aleggiava intorno a lui, come se vi fosse una cappa di spessa angoscia che non permettesse alla felicità di filtrare e colorare l’aura intorno a sé, ora rivestita di un grigio monotono e che rendeva uggioso il suo umore. Come spiegare ad un ragazzo che ha scoperto cosa significava amare, quanto terrorizzante fosse riscoprirsi un po’ troppo presi per quella che, in fin dei conti e a ben vedere, altro non era che l’ennesimo sbaglio? Come dire ad un ragazzo che vedeva ricambiare il proprio amore, quanto estenuante fosse combattere ogni santo giorno affinché nessun Addio venisse pronunciato? Patetico, decisamente, e destabilizzante. Soprattutto per qualcuno che aveva accantonato queste paturnie da anni.

-Ah.-

-Sì, beh, tanto c’è tempo.- esalò volgendo lo sguardo, scoglionato di fronte a quel Ah pronunciato come se l’Apocalisse stesse per insorgere.

-Certo, tutto il tempo del mondo- aggiunse con placidità, per poi mangiucchiarsi l’interno delle guance -Vuoi che ti presti casa mia?- domandò appoggiandosi contro il muro, l’acqua che andava schiantandosi sui pennelli e i trucchi. Ma lo voleva morto, per caso? Perché se quello era il suo intento, ci stava riuscendo benissimo. Che poi, ma quanto era poco dignitoso morire strozzandosi con dell’acqua? Lui era il grande Top! Come minimo si sarebbe aspettato di scorgere in prima pagina il suo nome a caratteri cubitali con di fianco le parole overdose o impiccagione. E poi sarebbe andato a tormentare vita natural durante quei due dementi di GD e Se7en, spacciandosi per l’allegro Casper della YG.

-Cos—No! Assolutamente no!-

-E allora dov’è il problema?-

-Di certo non la mancanza di spazi!-

E allora il dubbio amletico per eccellenza si insinuò nelle pieghe dei suoi pensieri, tra tutte quelle scuse che avrebbe voluto rifilare a Se7en pur di fargli comprendere che se Lin e lui non si erano ancora goduti appieno la loro stramba relazione, era unicamente per la mancanza di qualcosa che andava oltre il suo timore. O quello di lei. Che andava oltre la loro volontà, insomma. Come la mancanza di tempo materiale, la mancanza di privacy visto che qualcuno arrivava sempre a disturbarli, la mancanza di desiderio o energie…

-E se non gli piacessi?-

Che non fosse la mancanza di autostima, solo quello.

Seung-Hyun si morse l’interno delle guance, annotando nella lavagna del proprio cervello quanto coglione fosse ad essere crollato nel giro di un applauso che fece tremare i muri e un sospiro; l’espressione allucinata che l’amico gli riversò senza celare alcunché fu solo l’ennesimo colpo di grazia alla sua autostima già bella che martoriata, zampillante di sangue e voglia di suicidio.

-E perché non dovresti?- domandò scettico –Se esce con te è perché, evidentemente, gli piaci.- osservò con praticità. Quell’evidentemente fu intriso di stizza, quasi non fosse d’accordo col suo punto di vista.

-Ho messo su qualche chilo ultimamente.- si tastò la pancia, arricciando le labbra quando avvertì la tartaruga nascondersi.

-E dovrebbe fregargliene perché…?- le mani di Se7en vagarono a vuoto, alla ricerca della risposta.

-Ma dico, l’hai vista?!- allargò un braccio, quasi a voler scacciare quell’odiosa vocina che continuava a ripetergli Quando ti vedrà, scapperà –Lei è tipo… Bellissima e— si ritrovò a navigare in un oceano di parole impronunciabili, talmente tanto ardue da rappresentare un’impresa troppo titanica per la sua capacità oratoria. E si bloccò, Seung-Hyun, conscio di aver dato fondo alla propria dignità nel mostrarsi così debole agli occhi di quel santo uomo che era Se7en.

E mentre lo vedeva rimuginare sulle sue fisime, ringraziò tutti i santi, gli angeli e i supereroi per il semplice fatto che quello davanti a lui non fosse Ji Yong. Cioè, Ji Yong in una situazione del genere se lo sarebbe divorato, poi l’avrebbe sputato e avrebbe calpestato la poltiglia che ne sarebbe rimasta. E storse il naso mentre rimestava su questo paragone, ma non aveva altro modo per descrivere la sua anima dopo un incontro psicologico con GD. Poltiglia, nient’altro. E, perdiana, dalle ceneri di quello schifo riusciva sempre a rinascere qualcosa di più rinvigorito e che sapeva trovare la strada giusta da seguire. Probabilmente in siffatta situazione, piuttosto che psicanalizzarlo molto malamente, si sarebbe limitato ad un secco Non fare la checca isterica e fattela. Caso archiviato.

Ma proprio mentre stava per fare un altarino mentale in onore di Batman, ecco che Se7en si dimostrò più mentecatto di quanto non desse a vedere -E?- pronunciando un’insulsa ed insipida E.

E? E?!

Quella dannata particella lo avrebbe tormentato per il resto dei suoi giorni. Era abbagliante come il sole che si aspettava un seguito che mai sarebbe arrivato, quando invece avrebbe dovuto farsi bastare ciò che gli aveva concesso fra gli imbarazzi e le risate.

-E… Cosa?-

-Dovresti dirmelo tu.-

-C’è dell’altro?-

-Dio, Seung-Hyun- ah, il caro e vecchio nome. Erano cazzi amari quando il suo nomignolo non veniva tirato in ballo -Non venirmi a raccontare queste cazzate- gli rifilò un’occhiata seccata -Sei bello e lo sai- Seung-Hyun arrossì come uno scolaretto, che nonostante i mille e passa complimenti proprio non ce la faceva ad abituarcisi -Tu hai paura e basta.-

-Ma figurati!- trillò come una ragazzina colta in flagrante a sbavare davanti al computer mentre aveva digitato su Google immagini TizioCheAmo Hot.

-No?- arcuò un sopracciglio.

-Paura di cosa, sentiamo?-

-Hai paura che se ci vai insieme una volta, poi non potrai più farne a meno- batté le mani -Sai cosa dice sempre Han Byul?- si sporse dopo aver giocherellato con quel dinosauro un po’ deforme –E’ più intimo far entrare qualcuno nelle proprie paure che nel proprio letto.-

Seung-Hyun deglutì, dicendosi che già troppe volte l’aveva fatta entrare nelle proprie paturnie senza nemmeno rendersi conto di averle lasciato libero accesso. Lo stesso non si poteva dire di Lindsay, ma solo perché continuava a rendersi più distante quando si trattava di tirare in ballo la sé stessa fragile e che aveva bisogno di rassicurazioni. Era nella merda, insomma.

-Io ce l’ho quasi fatta entrare nel mio letto- gli rivelò con voce che andava scemando, già conscio che il seguito sarebbe stata solo una condanna a morte per la sua dignità –Solo che mia madre ci ha scoperti.-

E da lì, l’apoteosi dell’assurdo.

-Tua ma—OhMio— e giù a ridere come un coglione, le mani sullo stomaco e piedi che scalciavano mentre si distendeva lungo la poltrona.

La risata di Dong-Wook era sempre stata un bel suono, a detta di Seung-Hyun. Era calda, senza sbavature di uggiosità, così infantile da riportarlo indietro nel tempo, quando nessun pesante nomignolo gravava sulle sue spalle, sulla sua coscienza e su ciò che rappresentava. Quando era stato un nessuno in mezzo a tanti qualcuno, senza però sentirsi avvilito.

Ricordava ancora distintamente il giorno in cui l’aveva udita per la prima volta, provando un senso di umiliazione e delusione nei confronti del sé stesso un po’ impacciato che proprio non voleva saperne di imparare quella coreografia a detta di Ji Yong Facile come rubare le caramelle ad un bambino. Del resto, Seung-Hyun non era mai stato granché abile nella coordinazione braccia-gambe, a meno che questo non implicasse una corsa forsennata verso la scuola per non arrivare tardi mentre un numero indefinito di biscotti volava dritto verso la sua bocca. E quindi eccolo lì, il piccolo Seung-Hyun che veniva rimproverato per la ventesima volta da Lee Jaewook, probabilmente con le palle sfracassate di dover interrompere la musica ogni tre secondi, e il giovane Dong-Wook alle prese con un eccesso di risa che lo avrebbe sicuramente portato alla mente. Il fatto era che non c’era stata derisione in quella nota cristallina che aveva vibrato fino a lui, solo un divertimento talmente palpabile da costringerlo ad abbozzare un sorriso fra il sudore e le lacrime faticosamente trattenute.

E niente, dal considerarlo uno Hyung un po’ temibile a colui che possedeva la risata curativa di ogni sua ferita, il passo fu davvero breve.

Ma ora, seduto davanti ad uno specchio nel vano tentativo di districare quel mucchio di nodi formatisi ai capelli e ai suoi pensieri, in quel camerino un po’ anonimo di un palazzetto che sembrava tremare tante VIP lo occupavano, Seung-Hyun si disse che forse in quegli anni aveva sbagliato ogni cosa. Come il fatto che Dong-Wook fosse davvero un cretino di dimensioni bibliche e lui si era lasciato infinocchiare dalla sua faccia d’angelo, dai suoi modi gentili e dalle sue risate lenitive. In realtà era un perfido stronzo che giocava con i suoi sentimenti attorcigliati.

-Non c’è niente da ridere!- sentenziò macabro mentre addentava un biscotto sottomesso alla sua ira, abbandonato lì da quel beota di Daesung. Doveva sfogarsi con qualcuno e visto che non voleva essere accusato di omicidio ai danni di una nota celebrità che mandava in visibilio mezzo mondo coreano e non, doveva sfogarsi su qualcos’altro. Il cibo gli parve la scelta migliore, anche perché spaccare il naso di Se7en avrebbe implicato un dispendio di denaro in risarcimento che non era disposto a versare.

-C’è tutto da ridere, invece!- ribatté l’altro con una mano sullo stomaco, un pugno che sbatteva sul bracciolo e le lacrime che, poteva giurarlo, avrebbe presto inondato la piccola stanza –Cielo, tua madre ti ha beccato con Lindsay e non dovrei ridere?-

-Esatto!-

-Saresti solo meschino a privarmi di tale opportunità.- dribblò il suo scoglionamento, apprestandosi a divenire il maledetto Ji Yong della situazione. Un brivido freddo gli attraversò la schiena quando si ritrovò a pensare che semmai il leader fosse venuto a conoscenza di tale disgrazia, avrebbe trovato il modo di prenderlo per il culo vita natural durante.

-Ma vai al Diavolo.- sbollì la rabbia sui lacci delle scarpe, sciogliendo il nodo e rifacendolo, quasi il nervosismo potesse incanalarsi nei suoi piedi. Chissà mai che cominciassero a farlo zampettare su quel maledetto palco con la grazia di Billy Elliot.

Dong-Wook rise ancora, sempre di quella risata che avrebbe dovuto farlo sentire meno abietto ma che ebbe il potere di farlo incazzare ulteriormente. Seung-Hyun si sistemò i capelli, lo faceva spesso quando non sapeva più come barcamenarsi. Districare i nodi fra quei fili scuri gli era sempre parso un ottimo modo per sbrigliare un po’ dei pensieri aggrovigliati che continuavano a pesargli in testa, come se potessero attorcigliarsi intorno alle sue dita, incastrarsi fra gli innumerevoli gioielli e restare lì, magari per sempre. Ma da un po’ di tempo aveva cominciato a credere che il per sempre fosse una favola che ci si raccontava solo per tirare avanti, quelle classiche frasi che ci si diceva pur di non cadere a picco nel baratro della disperazione e per non provare timore di un futuro dai contorni sfuocati e che traballava ogni giorno di più.

-E quindi?- la domanda di Dong-Wook lo riportò con le scarpe piene di paiette per terra. Controllò le proprie dita, ma nessuna traccia di pensiero sembrò solcarle.

-Quindi che?- lo guardò di sfuggita, impietrito al pensiero che nuove, mirabolanti cazzate sarebbero state scagliate come dardi avvelenati.

-Quindi come va?-

-Oh, bene. Sono un po’ stanco ma—

-No, non come stai te- Dong-Wook gli elargì uno sguardo pregno di superficialità, come se davvero non gliene fregasse nulla delle sue condizioni fisiche –Anche se la tua faccia fa schifo, ultimamente.- aggiunse indicandosi gli occhi leggermente sfumati di nero, talmente allungati da renderlo più bello di quanto non fosse. Gli parve sciocco pensare una cosa del genere a pochi minuti dal concerto, ma aveva sempre avuto soggezione degli occhi dell’amico, sempre. Non tanto per la loro capacità di saper congelare con un solo sguardo, no. Il fatto era che con quello sguardo, lui riusciva sempre a scavargli dentro. E poco importava che avesse erto barriere su barriere, poco importava che avesse celato tutte le preoccupazioni dietro un sorriso e una battuta sciocca, tanto lui avrebbe visto, avrebbe capito, avrebbe taciuto e poi si sarebbe fatto avanti. Dicendogli che andava tutto bene, in quel suo modo un po’ immaturo e a volte infantile, ma che davvero era ciò di cui aveva bisogno. Se glielo avessero portato via, sarebbe stato come svegliarlo nel cuore della notte e dirgli che Ri sarebbe stato spostato in un altro dormitorio, o addirittura confessargli che lo avrebbe radiato dai Big Bang. Sarebbe stato come perdere l’ingenuità e Seung-Hyun sentiva che senza quella, forse non sarebbe stato la persona che era.

Lo guardò, questa volta più attentamente. C’erano cose, anzi no, c’erano persone che andavano preservate. Che facevano bene con uno sguardo, una risata. Dong-Wook era una di queste e fu forse per questo che non se la prese quando quell’insulto gli venne rivolto con disarmante spontaneità.

-E allora come va… Cosa?- poggiò le mani sulle tempie, avvertendo l’incipit di quel mal di testa che, sapeva, sarebbe stato solo un’ulteriore aggravante a quel giovedì cominciato in maniera orribile. Aprire gli occhi e ritrovarsi un messaggio di Lindsay che diceva Non so se potrò esserci stasera. Tribeca., non aveva aiutato il suo umore già nero a vedere un po’ di luce. Già non si vedevano da una settimana e più i giorni passavano, più gli sembrava di perdere tempo prezioso. Di quei minuti che andavano afferrati e mai più liberati, di quelle ore che andavano godute nella loro pienezza, di quei periodi brevi e fugaci che avevano la strabiliante capacità di rimanere ancorati nelle celle più segrete del proprio animo.

Proprio come lei.

E pensare che a dire di molti, l’amore portava solo serenità, permetteva di far viaggiare su di una nuvola rosa su cui nessuna paturnia sarebbe mai potuta giungere, almeno, Daesung gliel’aveva spiegato così. A lui stava portando solo paranoie a non finire, soprattutto se adagiata su di una nube nera e saettante c’era quel puzzle vivente che era Lindsay.

Dong-Wook lo guardò con un sopracciglio arcuato, probabilmente stupito dal tono di voce sofferente con cui aveva esposto quella domanda che, davvero, a lui non sembrava poi così banale, non nella situazione in cui verteva –Tra te e Lindsay, a parte l’incontro con tua madre- esalò infine con praticità, con quell’ovvietà tipica di chi pensa di aver appena detto una banalità. Sollevò lo sguardo e gli rifilò l’occhiata più deprimente che avesse nel repertorio e doveva essere stata bella potente eh, perché dopo aver stretto il peluche lo guardò preoccupato –Va così male?-

Top approfittò di quella mansuetudine per mettere in moto quell’unico neurone non ancora affogato nell’accozzaglia di schifezze che erano i suoi turbinanti pensieri molesti, ora impegnati a disegnare sulla lavagna del suo cervello tutti i passi di danza che tanto avrebbe sicuramente dimenticato, soppesando realmente quel quesito. Andava così male tra Lindsay e lui? Nh, a dir la verità le cose tra loro andavano più che bene, tenendo conto degli standard; A gonfie vele, avrebbe detto un GD in vena di elemosinare qualche perla non richiesta, sempre con quel sorriso da Stregatto maledetto di chi aveva capito tutto ma non voleva rivelare nulla.

-Perché dovrebbe andare male?-

-Hai una faccia.-

-Non c’entra Lin.-

-Quindi va tutto bene.- ripeté con premura, anche se l’aveva colta indistintamente quella nota di traballante incertezza che non gli avrebbe dato scampo.

-Aha.-

-Ma…?-

E Top lo guardò con sguardo assente, desideroso di lasciarsi andare ad una sceneggiata isterica da primadonna che prevedeva lo sbattere della mani sulla cosce, lo sguardo fiammeggiante che vagava da una parte all’altra e la sua voce nevrotica che sbottava rauca un delizioso e liberatorio Mi avete rotto le palle con tutti questi Ma!, cosa che ovviamente non accadde. Perché non era da lui lasciarsi andare a certe pagliacciate in stile SeungRi, non era da lui scaraventare frasi colme di durezza verso i propri Hyung, soprattutto quando davanti a lui sedeva il suo adorato Dong-Wook.

Così si limitò a stringere il tessuto dei jeans, replicando con uno sfibrato –Perché pensate tutti che debba esserci per forza un Ma?- con la speranza che il suo attacco Sguardo tagliente avrebbe potuto trarlo d’impiccio da quella chiacchierata. Ma Sguardo tagliente era un po’ come Fulmisguardo: appena si raggiungeva un livello superiore e una nuova mossa doveva essere insegnata, era sempre il primo ad andarsene con quella musichetta fastidiosa e che sembrava prenderlo per il culo. E poi lui era un Caterpie rammollito al cospetto di un fantastico esemplare di Moltres; sarebbe perito sotto il suo Lanciafiamme.

-Perché dovresti essere l’uomo più felice della Terra- lo guardò con disappunto –Invece sembri sempre in lutto.-

E non comprese appieno le parole di Se7en, ci prestò così tanta attenzione che il mal di testa passò a fargli un salutino, ma più cercava di sezionarle con il bisturi della comprensione, più si ritrovava a brancolare nel buio dell’incertezza. Insomma, era felice, lo era davvero! Perché mettere in dubbio una delle poche cose che ancora nessuno, nemmeno sé stesso, era riuscito a smontare?

Poi, come un fulmine nel bel mezzo di un cielo terso d’azzurro, si rammentò della fatica immane che compiva ogni giorno per non lasciarsi troppo andare, del costante timore che Lin non si sarebbe più fatta né vedere né sentire, della paura di ritrovarsi un giorno a raccogliere i cocci del proprio cuore mentre lei li calpestava con le proprie converse. E lui non era come Ji Yong, che si chiudeva in camera e sfornava capolavori musicali degni del suo genio, che riversava la propria frustrazione sulla carta giocando con le parole, l’unica fonte di sollievo che riusciva a dare un senso alla sua sofferenza. No, Seung-Hyun era la classica persona che vegetava sul divano, che vedeva sfrecciare le immagini che la tele gli propinava senza nemmeno guardarle realmente, quello che avrebbe cambiato canzone perché puntualmente gli avrebbe ricordato lei e i momenti trascorsi assieme, quello che avrebbe affogato i dispiaceri di un amore mancato in una vaschetta di gelato o nella cioccolata calda che Daesung gli avrebbe amorevolmente preparato.

Seung-Hyun era un ammasso di incertezze e patemi, reagiva con tutto sé stesso ai drammi della vita e per ribellarsi occorreva un sonoro quanto non metaforico calcio nel culo.

E quindi già, avrebbe dovuto essere felice. Avere Lindsay tutta per sé era stata un’impresa epocale, la classica sfida al boss di fine livello armati di una semplice spada, avendo dribblato tutti gli incontri casuali, evitato pigramente di imbarcarsi in missioni secondarie, aver dimenticato di allenare gli altri membri del party e riuscire comunque a sconfiggerlo per un qualche miracolo. Che più comunemente veniva chiamato bug. E mentre lasciava che la mente pascolasse verso altri lidi, prepotente tornò a trovarlo il rumore della pioggia che aveva fatto da colonna sonora in quella pessima scena pseudo romantica che era stato il loro pezzo clou, la sincerità disarmante di una Lindsay che aveva fatto da Master decretando le regole inviolabili del gioco…

-Se vuoi, puoi conoscermi meglio.-


E la felicità da tempo persa e inaspettatamente ritrovata.

Fu a quel punto che si rese conto di non aver mai affrontato seriamente l’argomento Lindsay, le sue regole e i probabilissimi addii, giungendo alla conclusione che se non avesse parlato con qualcuno, anche solo per sentirsi dare del coglione, sarebbe esploso. E Dio solo sapeva quanto sarebbe stato difficile raccogliere il suo essere viscoso con un cucchiaino da caffè -Temo solo che possa finire.- esalò con sospensione, cercando di trattenere a sé ogni nota sofferente o amara che avrebbe fatto colare a picco la sua dignità. E probabilmente pure le palle di Se7en, ora serio e composto dall’altra parte della stanza. Gli parve di essersi infilato in una strada sbarrata che aveva come unica deviazione la follia e ovviamente i cartelli erano stati messi da quei due bontemponi di Se7en e GD. Ma a differenza del leader, Se7en sembrò quasi comprendere la natura dei suoi timori, sorridendogli fraterno, come se gli avesse appena dato un’astratta pacca sulla spalla.

-Mi ricordi me quando ho conosciuto Han Byul- portò le mani sulle guance, rovinando quel momento di serietà apparente -Sei così carino!- Seung-Hyun scivolò sulla sedia, mangiucchiando tutti quegli insulti che avrebbe voluto rifilargli con la velocità di un mitragliatore. Ma perché si ostinava a vedere del buono in quel mentecatto, perché?! -Oh, coraggio, stavo scherzando- sventolò le mani, divertito dal suo disappunto –E comunque, davvero, anche per me era così all’inizio- Seung-Hyun grugnì -E’ una cosa che pensano tutti.-

-E che dovrei fare?- aprì le braccia, sferrandogli contro tutta l’inquietudine che aveva in corpo, quel miscuglio di ansia da prestazione sul palcoscenico e ansia da prestazione nei confronti dell’algida Lindsay, ora impegnata in chissà quale acrobatica mossa pur di sfuggire al nuvolo di ragazzi che ci avrebbero sicuramente provato con lei. Nh, fantastico, adesso ci si metteva anche la gelosia a divorare quel briciolo di lucidità che gli aveva permesso di non avere una crisi di nervi coi controcazzi.

-Non pensarci- cinguettò Se7en passandosi una mano fra i capelli, ammiccando alla propria figura nello specchio -Dovresti goderti i momenti che trascorrete assieme e rimandare gli addii. Quelli non puoi prevederli, puoi solo farci i conti quando arrivano- e fu nel bel mezzo delle proprie incertezze che Seung-Hyun si rese conto di un particolare, decisamente non di poco conto: non sarebbe mai voluto arrivare al giorno dell’addio. Era come chiudere un capitolo della propria vita senza nemmeno aver assaporato lo scorrere delle pagine sotto le proprie dita, le parole scorse veloci e mai assimilate, abbandonare il libro senza nemmeno sapere come sarebbe andato a finire. E pensare che lui aveva sempre avuto il brutto vizio di partire dall’ultima pagina, solo per vedere se ci sarebbe stato un lieto fine o i tanto odiati Sad Endings; ora che non aveva idea di dove sarebbe arrivato, aveva il costante timore di arrivare ad un finale aperto che non lasciava nulla di buono sul suo percorso. O un qualsiasi spiraglio di felicità, ecco -Sai? Mi sembra così strano.- il sorriso di Dong-Wook si addolcì, come un fratello maggiore orgoglioso che vede il fratellino porre sul ripiano più alto e ben in vista della propria stanza un trofeo appena vinto.

Seung-Hyun non comprese il perché di quella delicatezza fraterna, soprattutto perché ogni loro discorso era sempre stato intervallato da qualche battuta. Ma c’era dolcezza nei suoi gesti, di quella che scaldava il cuore, che faceva stare bene e che leniva un po’ del dolore che lo attorcigliava.

-Cosa?- e mai più domanda fu stupida.

-Vederti così- anche se la risposta fu altrettanto idiota –Ti ho lasciato con una cotta e ti ritrovo innamorato.-

Il fiato gli si spezzò a livello dei polmoni, lo stomaco si contorse in una morsa squarciante mentre avvertiva brividi freddi percorrergli la spina dorsale. Innamorato. Di Lindsay. Lui innamorato di Lindsay… Era talmente assurdo che più continuava a ripeterselo, più gli pareva insensato. Illogico. Innaturale, addirittura, talmente tanto impossibile da rasentare l’illusione. O un’utopia, in questo caso. Perché sarebbe stato terribile oltre ogni immaginazione, riscoprirsi innamorati della Moore…
 

-Niente obblighi?-
 

Cosa c’era di peggio di un amore a senso unico?

-Non dire cazzate.- soffiò, dilaniato dal vago senso di angoscia che quell’osservazione aveva trascinato con sé.

-Non è una cazzata- lo guardò accigliato, come se non accettasse tale presa di posizione di fronte alla sua geniale opinione –La vera cazzata è che tu continui a dirti di no.-

Lo guardò abbattuto –Dirmi di no? Ma a cosa?-

-Al fatto che ne sei innamorato.-

E a quel punto, Seung-Hyun comprese di essere ormai giunto al capolinea. Dove sarebbe potuto scappare se i pensieri continuavano a trattenerlo?  Dove fuggire se nemmeno lui capiva cosa Diavolo lo stesse facendo correre con così tanta foga? Che l’amore era bello, avrebbe dovuto accoglierlo nella propria vita come un amico perso e ritrovato dopo anni di solitudine, come si accoglie un parente disperso e di cui si erano perse le tracce. Accoglierlo come se fosse l’essenza stessa dell’esistenza di ogni essere umano.

Ma a lui faceva paura. Una paura fottuta. E nessun posto gli sembrava adatto a rintanarlo.

-Io non credo.- sbottò massaggiandosi le tempie.

-Non credi o non vuoi crederlo?-

Con volto solcato da stanchezza si volse, conscio di non essere più sicuro di nulla –Io ne sono certo, va bene? Non la amo, non amo Lindsay- di quella sicurezza che avrebbe dovuto far ammutolire Dong-Wook perché davvero, lui non amava Lindsay, sarebbe stato solo un masochista, un cretino colossale a cadere nella rete di colei che avrebbe finito con rispondergli con un lacerante quanto mortale Io no. Perché era così, no? Se lei avesse detto Io non ti amo, lui sarebbe morto, no? E allora perché innamorarsene? Perché farsi del male? Perché l’amore voleva costringerlo ad assaporare la felicità se tanto poi gliel’avrebbe strappata senza lasciargli nulla in cambio? Solo i ricordi, ma avrebbero finito col mandargli in frantumi ciò che di più buono covava nel proprio animo –Io non voglio amarla.- lo esalò a fatica, piano, straziato al pensiero di essere troppo debole in confronto a quel vago sentimento che prendeva largo in lui.

-Seung-Hyun, non è qualcosa che vuoi o non vuoi. L’amore sceglie te, non sei tu a scegliere lui. Capita e basta- la voce di Dong-Wook risuonò placida nella stanza, con accortezza, quasi avesse il terrore di farlo sprofondare ancora di più -Capita quando non te lo aspetti. Quando pensi che non sia la volta buona, ecco, quello è il momento giusto. E non devi lasciartelo scappare.-

Fu strano per Seung-Hyun rendersi conto di come sua madre e Se7en la pensassero allo stesso modo. Forse era privilegio per pochi credere nelle bellezze dell’amore, non avere paura del domani e della sofferenza. Forse erano dotati di una forza che lui non possedeva e se non cedeva in sé stesso, dubitava che Lindsay avrebbe mai potuto credere in un ipotetico noi –Non sarebbe meglio?- domandò apatico, svuotato di ogni voglia di comprendere –Se lo lasciassi scappare, soffrire di meno.-

-Ne sei sicuro?- rise un poco –L’amore che si ci lascia scappare è una delle cose peggiori che possa capitarti. E’ una di quelle ferite inguaribili che nemmeno il tempo riuscirà a cucire. Se la lasci andare, la vorrai per sempre- gli rivolse un sorriso complice –Meglio averla ora che non averla affatto, non pensi?-

Seung-Hyun passò una mano fra i capelli, la fece scivolare sulla guancia truccata per poi far scemare il suo percorso contro le labbra, stando attendo a premerle bene contro il palmo pur di non esalare qualche stronzata. Che di vaccate, decisamente, ne erano volate parecchie. In quel momento, se gli avessero chiesto quale superpotere avrebbe voluto avere, di sicuro non avrebbe risposto l’invisibilità o saper volare, no. Lui avrebbe voluto poter tornare indietro nel tempo, ecco. Sarebbe voluto tornare a venti minuti prima, quando stava ridendo e scherzando con Dong-Wook sulla propria sfiga; sarebbe voluto tornare indietro a quel giorno di pioggia per dirle No, non voglio conoscerti meglio perché sei di una noia mortale; sarebbe voluto tornare a quella notte nel ripostiglio e dirle fra le birre Hai ragione, non è una buona idea; sarebbe voluto tornare a molti mesi prima per dirsi No, non è lei quella giusta, continuare a credere che fosse il male in Terra e che dietro quel bel viso dai tratti occidentali non ci sarebbe stato nulla di interessante da scoprire…

 

-E se solo guardassi tutto da un’altra prospettiva,

ti accorgeresti di quanta bellezza c’è dietro il muro.-

 

Sarebbe voluto tornare alla monotonia della propria banale esistenza.

Sorrise amaro, di quei sorrisi che lasciavano ben intendere quanto questi fossero solo chimere, fioretti che mai avrebbe realizzato. Perché sarebbe sì tornato indietro, ma avrebbe rifatto esattamente le stesse cose, avrebbe ricommesso gli stessi sbagli e solo per arrivare a lei. A lei che rendeva tutto un po’ migliore, non speciale quello no, ma migliore non era poi così male; a lei che non si rendeva bella ai suoi occhi, che gli aveva mostrato il peggio di sé e dentro sé continuava a tener segregato ciò che di buono aveva da offrirgli.

A lei che era stata l’unica capace di strappargli il cuore con un banale Scusami.

A lei che non voleva essere trattenuta e nemmeno si accorgeva di continuare a restare.

-Ehi…?- la voce che vibrò nell’aria non gli apparteneva, non vi si riconobbe, ma ormai non si riconosceva nemmeno in quel ragazzo stanco che lo specchio continuava a riflettere -Come hai capito di amare Han Byul?-

Dong-Wook strabuzzò gli occhi, preso in contropiede da quel quesito. Era talmente disperato che continuava a porgere quella domanda a chiunque gli capitasse sotto tiro, pur di placare quella marea che continuava ad inondare le sue certezze –Non lo so- e ti pareva… -Non è qualcosa che capisci, capita da un giorno all’altro.-

Lo guardò scettico –Quindi un giorno mi sveglierò e mi accorgerò di amarla?-

-A me è successo così- alzò le spalle –Ricordo che doveva fermarsi da me un giorno, poi è rimasta la sera dopo e quella dopo ancora. Prima che me ne accorgessi, il giorno era diventata una settimana e la settimana un mese- il sorriso che sbocciò sul suo volto fu uno spettacolo di rara bellezza, di quelli che gli mozzavano sempre il fiato in gola e allora si ricordava di dover respirare solo perché la testa cominciava a girargli. Che forse era vero, forse l’amore rendeva davvero belli –Ricordo di essere rientrato una mattina e di averla trovata ancora a letto. Ho capito di amarla così, solo guardandola, non so spiegartelo- rise un poco -Era venuta a casa mia per caso e mi sono reso conto che era casa solo perché lei era lì, con me- tornò a guardarlo, la tipica espressione di chi non vedeva vacillare il proprio credo neppure per un istante –Non è abbastanza questo per definirsi amore?-

-Una volta non lo si capiva dal fiato che manca, dalle vertigini, dalla mancanza quando lei non c’è?- sventolò le mani, continuando a reputare quelle delle frasi fatte che la gente aveva inventato solo per generalizzare i sintomi da innamoramento. O da passaggio dall’avere un cervello pensante a divenire dei coglioni assurdi.

-Io non credo a quelle cazzate- sventolò una mano -Non posso respirare, non riesco a mangiare, non riesco a divertirmi, non riesco a vivere… Io quelle cose riesco a farle benissimo senza di lei- guardò un punto del muro, come se Han Byul fosse comparsa dal nulla -Solo con lei sono migliori.-

Migliori. Quindi era solo quello? Forse davvero la vita era fatta di momenti che non dovevano essere per forza speciali, di attimi che andavano goduti nel loro essere effimeri. Forse davvero era amore quando ci si rendeva conto che tutto ciò che si era sempre fatto, diventava un po’ migliore solo perché c’era qualcuno con cui condividere quel tutto. Forse Lindsay era l’amore che gli aveva sfondato le porte, forse doveva smetterla di farsi mille e più paranoie, forse doveva.

Forse…

Però quel messaggio continuava a non arrivare e Seung-Hyun era stanco di crogiolarsi nell’insicurezza, nell’irrequietezza di un umore che andava altalenando solo perché nelle mani di una burattinaia senza cuore troppo esperta per lasciarsi sopraffare dai sentimenti del burattino.

-Io sono felice con lei, lo sai?- mormorò rigirandosi il cellulare fra le mani, la nuca contro il poggiatesta e lo sguardo rivolto al soffitto –A volte penso che questo basti. Non può bastare solo questo?-

Dong-Wook rimase in silenzio, poi si grattò la nuca -Forse ti stai innamorando e nemmeno te ne sei accorto.-

-Ma per favore!- lo guardò -E’ passato così tanto tempo! Me ne sarei accorto.-

La vibrazione del cellulare fece vibrare anche le pareti immobili del suo animo adombrato, mentre il cuore cominciava a scalpitare furiosamente nell’ansia che le sue poche parole scivolassero davanti i suoi occhi ora più brillanti.

E mentre attendeva che il messaggio si aprisse, con tutta la lentezza estenuante di quel mondo, il sospiro di un Dong-Wook ormai giunto al capolinea della propria pazienza, risuonò alto e scoccante, distraendolo -Seung-Hyun?- il proprio nome pronunciato con calma lo mise sull’attenti -L’amore non è mai puntuale, lo sai?-

Aggrottò le sopracciglia, corrugò la fronte, si perse nel suo fievole sorriso che sembrava voler decretare la fine di quella discussione. Ma gli parve che giunti a quel punto ci fosse tanto, troppo da dire, che lui ancora non aveva mica capito che Diavolo gli stava accadendo -Che—

-Oi, Hyung, dobbiamo tornare di sopra.- la voce calda di Taeyang irradiò l’aria mentre la sua nuca faceva capolino dalla porta. Se7en gli rivolse un breve sorriso prima di alzarsi e lanciare il pupazzo sulla sedia.

No, nessuno gli aveva detto che l’amore non era mai puntuale…
 

-E’ Lindsay?- domandò Dong-Wook sulla soglia, le mani in tasca.

-Aha.-

-E cosa dice?-
 

E nemmeno Lindsay lo era…

 

Faccio un po’ tardi ma arrivo.

Mi porta Ginko. Buon concerto :)

 

E lui non sapeva se quello fosse amore o semplice cotta o una sbandata destinata ad eclissarsi all’ombra di ciò che avrebbe voluto costruire con lei…

 

-Che ci vediamo dopo.-

Se7en inclinò il capo e gli sorrise –Sei felice ora?-

-Io, con lei… Sono felice. Sul serio.-

–... Sto meglio.-

 

Sapeva solo che Lindsay rendeva davvero tutto un po’ migliore.

 

*****


Che.Noia.

Dall’alto della zona vip, Ji Yong ammirava quel tripudio di banalità e futilità che continuava a dimenarsi con movenze un po’ smarrite, tipica delle persone che decantano di voler andare a ballare solo per sfogarsi e poi si ritrovano a guardarsi in giro alla disperata ricerca di qualcuno che potesse colmare il vuoto delle loro notti. Le palpebre gli si abbassavano senza poterle trattenere pur di privarlo di quello spettacolo di oscenità. Erano lì a dirgli No padrone, non guardi, protegga la sanità del suo cervello e le diottrie dei suoi stupendi occhi. e quando GD cominciava a conversare con parti anatomiche del proprio corpo che non riguardavano quel muscolo dove il sole non batteva mai, significava che la noia aveva deciso di farlo morire in fretta. E ci stava riuscendo, la maledetta, privandolo di ogni sua più piccola gioia. Ri, ad esempio, era fuggito in pista con quella molla impazzita della Fujii, per l’occasione vestita da bambolina che avrebbe alimentato i suoi incubi peggiori; Seung-Hyun si era smarrito in un covo di ballerine che continuavano ad attorniarlo senza lasciargli possibilità di respirare, mentre Daesung e Taeyang pascolavano per la sala come due anime in pena, conversando amabilmente con qualche fan che si avvicinava loro. Di quel tripudio di tedio, però, fu il loro adorato Hyung a catturare la sua attenzione, quasi ci fosse qualcosa che stonava nel suo atteggiamento così fluido, complice gli ettolitri di alcool ingurgitati: dov’era finita America? Insomma, aveva rotto tanto le palle perché la sua amata forse non li avrebbe deliziati della sua amorevole presenza e ora che era lì, rivestita di scazzo, la lasciava a piede libero in quella mandria di esagitati in preda agli ormoni in crisi d’astinenza?

Ji Yong sorrise a cuore aperto mentre la vedeva avvicinarsi.

Mai lasciare incustodite le cavie, mai.

-Che due palle…-

Gli parve di aver udito il coro dei cherubini beargli le orecchie mentre si accorse che vicino al tavolo delle bevande, un esemplare di Lindsay Moore selvatico sostava a nutrirsi presso l’oasi dell’alcol. Oh, qual gioia per i suoi poveri occhi stanchi e martoriati, ora risanati da quella splendida immagine che, sapeva, non avrebbe fatto altro che portargli solo tanto gaudio.

Perché da un po’ il suo divertimento aveva cominciato a sfibrarsi, a rinsecchirsi talmente tanto che nemmeno una bella tortura psicologica ai danni di quel povero santone di Daesung aveva sortito l’effetto sperato, ovvero appagarlo. E si ritrovò a sbuffare al pensiero che nessuna delle sue adorate cavie, ormai, sembrasse disponibile a giocare un po’ con lui. Da quando Ri usciva con Ginko viveva su di una nuvola talmente rosa da divenire inguardabile tanto era oscena, di quelle fatte di dolciastro zucchero filato che gli facevano salire la bile fino alla bocca della gola; vani erano stati i suoi tentativi di forarla con i suoi dardi intrisi di ironia Ri sembrava protetto dalle intemperie della sua cattiveria. Seung-Hyun poi nemmeno a parlarne. Dopo la loro chiacchierata in sala di registrazione si era reso ancora più inavvicinabile, quasi la scoperta di essere ormai preda dell’amore lo stesse rendendo un decerebrato. Che già lo era, solo che ora era giunto allo stadio terminale.

Si guardò attorno, appurando che nessun molestatore potesse privarlo di qualche minuto di gioia, poi con passo mellifluo si avvicinò ad una Lindsay che, troppo concentrata sulle bevande, non si rese conto del suo arrivo –Non dovresti bere così tanto- mormorò al suo orecchio, vedendola saettare di lato –Gli ubriachi commettono sempre cazzate.-

-Te le fai anche da sobrio, invece.- gli rifilò quel mezzo insulto con scazzo, le guance già rosse mentre il bicchiere mezzo vuoto oscillava pericolosamente verso il basso. Ah, che goduria, decisamente! Cosa poteva chiedere di più di una Lindsay ubriaca e che sembrava afflitta da chissà quale pensiero turbolento?

-Oh, qualcuno qui sembra arrabbiato- studiò la sua espressione contratta in una smorfia di durezza e Ji Yong lo accolse come un invito a procedere –E’ perché Seung-Hyun sta parlando con quelle ragazze?- le sue labbra si arricciarono, l’indice volò in picchiata verso il bersaglio. E sorrise di fronte all’espressione di pura tranquillità che il suo Hyung aveva assunto di fronte a quello sfoggio di gnocca, dimentico della ragazza.

-Non me ne frega niente- le guardò di fuggita, poi tornò a concentrarsi sulla vodka –Può anche ballarci assieme, se vuole.-

-Non vuoi ballarci tu con lui?- sarebbe stato divertente vedere quella libellula della Moore ballare con Top l’ippopotamo. Uno spettacolo da filmino, esilarante.

-Non mi piace ballare.-

-A me sembrava il contrario- portò l’indice sotto il mento e come un fulmine inaspettato, quel ricordo lontano e sbiadito tornò prepotente a soccorrerlo. C’era una sconosciuta sui tavoli, agghindata con un’improbabile vestito da poliziotta hot che guardava la folla con scazzo, poi la loro Fantastic Baby. E l’espressione di pura sospensione di Seung-Hyun. Quella, più di tutte, fu l’unica immagine che si palesò in tutta la sua nitidezza, ricordandogli perché mai avesse cominciato a nutrire speranze in quei due dementi. Certi sguardi parlavano per lui, certi sguardi non si dimenticavano. Certi sguardi erano solo l’inizio della catastrofe –La serata Police Department non ti dice nulla?-

E certe espressioni non potevano venire ignorate. I suoi occhi larghi per la sorpresa, le mani ingioiellate strette intorno al bicchiere, le labbra schiuse mentre le parole sembravano essersi rannicchiate negli anfratti più bui della sua mente. Aveva la tipica espressione di chi viene preso in contropiede e non sa più da che parte voltarsi. E Ji Yong adorava vedere quell’espressione sbocciare sul volto delle sue vittime. Lo facevano sentire potente e sulla via buona e giusta per far concludere quella serata con la propria eclatante vittoria.

-E’ stato un malinteso.- sciorinò spiccia, inumidendosi le labbra.

-Oh, ma è stato divertente- guardò Seung-Hyun, richiamato dalla sua rauca risata mentre una ballerina continuava a mormorargli qualcosa all’orecchio -Non riusciva a staccarti gli occhi di dosso.-

-Chi?-

-Ma come chi?- si dondolò sui piedi, sentendo il cuore riempirsi di incolmabile gioia –Seung-Hyun, chi se no?- abbassò la voce, rivolgendole un sorriso carico di aspettativa per un’eventuale sceneggiata. Ma si rammentò di avere a che fare con la discreta Lindsay, quella che allargava gli occhi ma non spalancava mai le labbra, quella che scoccava frasi pregne di collera ma non alzava mai la voce, quella contenuta pur nella sua incertezza. La Lindsay che stava donando talmente tanta felicità al suo adorato Hyung che quasi avrebbe voluto abbracciarla solo per ringraziarla. Era stata come un Sole nel loro grigiore e, diamine, nessuna da tempo aveva avuto questa capacità. A parte una squinternata dai capelli rossi, ma questo lo pensò solo per il rum aveva cominciato a giocare a calcio con i suoi neuroni.

-Non dire cazzate- esalò lei portando una ciocca sfuggita alle forcine dietro le orecchie –Nemmeno mi sopportava, all’inizio.-

-Non c’è bisogno di sopportare qualcuno per trovarlo bello- Lin gli parve intimorita –Non te l’ha mai detto?- il silenzio che ne seguì, fu un secco No che stimolò la sua ilarità.

-Lui non mi sommerge di complimenti.- non colse alcuna nota di sofferenza nella sua voce, nemmeno il presentimento di una crisi esistenziale o di un calo di autostima. Lindsay gli dava l’idea di una ragazza che era stata talmente tanto infangata da parole vuote, da non venire più stimolata quando la sincerità l’abbracciava. Aveva il tipico sguardo di chi era abituato a non ricevere amore e quando incrociava qualcuno disposto a donarglielo senza rimesse, cominciava ad avere paura. Per un istante, per un misero e breve istante, si sentì talmente tanto affine che avrebbe voluto dirle Seung-Hyun pensa davvero che tu sia bella, solo per veder spuntare sul suo viso il seme della meraviglia. Quello stesso seme che lui, da tempo, aveva deciso di non piantare più.

Ma tornò in sé quando credette di vederla spiccare il volo -E ti dispiace?- inclinò il capo.

Lin lo guardò per un po’, poi alzò le spalle –Mi basta ciò che mi dice.-

Ji Yong ghignò, approfittando dei suoi scivoloni –Tipo? Che a letto sei uno schianto?-

-A parte che non me lo direbbe- sentenziò macabra, quasi si stesse trattenendo dallo spaccargli la bottiglia di vodka in testa –Non abbiamo ancora fatto niente.- ah, la sincerità disarmante di Lindsay che lui tanto apprezzava si era ripresentata più audace e spavalda che mai. Gli era mancata, Dio quanto gli era mancata!

-Oh, da te non me lo sarei mai aspettato- ed era vero, eh, forse quella era una delle poche cose che le aveva rivolto con assoluta genuinità. Conoscendo i suoi trascorsi, si sarebbe aspettato racconti mozzafiato di loro due sotto le coperte nelle vesti di conigli troppo presi dalla passione, che preferivano trascorrere le loro domeniche ad attorcigliarsi intorno alle lenzuola piuttosto che uscire a passeggiare. E il lampo di genio bussò alle porte della sua mente brillante, sorridendogli compiaciuto –Sicura di non uscire con lui solo per i soldi?-

Certe situazioni andavano sfruttate, non stupidamente ignorate.

-Devo prenderlo come un insulto?- Lin arcuò un sopracciglio, ma non si perse in una marea di offese che molte gli avrebbero rivolto a suon di schiaffi e isteria. L’intelligenza di Lin stava nel saper individuare le frecciatine atte al puro e semplice pungolamento, evitandole con un’alzata di spalle e un’occhiata di raggelante indifferenza. Era un toccasana conversare con lei, di quelli che gli permettevano di respirare a pieni polmoni e sentirsi pervadere da aria pulita.

-Dico solo che non mi sembra da te, ecco tutto- la guardò sorniona –Non sei tu quella che preferisce giocare?-

Lin nascose le proprie parole dietro la birra, con la vana speranza che quelle maledette tornassero nel suo stomaco e lì sostassero, ma l’ebrezza non era dalla sua parte –Stiamo giocando, eh.-

-Che gioco strano- soppesò le sue parole –Pensavo che gli scopamici non perdessero tempo.-

-Seung-Hyun non è così e lo sai anche tu.- oh, certo che lo sapeva, lo sapeva benissimo. Ma se quella sciocca cavia credeva che si sarebbe fatto bastare questa giustificazione, si sbagliava di grosso.

-No davvero. Così come?- domandò placido, un vago accenno di sorriso a dipingergli il volto, quasi volesse incoraggiarla in quella discussione.

-Non è portato per le storie di solo sesso.- sentenziò guardando la bottiglia, le labbra arricciate mentre la sua mente sembrava in fase di metabolizzazione.

Ji Yong la affiancò, appoggiandosi al tavolino mentre lo sguardo andava infrangendosi contro Seung-Hyun che, a quanto sembrava, non si era accorto del loro essere troppo ciarlieri. No, Top non era portato per le storie di mero sesso, era troppo emotivo per poterle affrontare senza pensiero alcuno. Seung-Hyun era il classico ragazzo che si faceva trasportare dalle emozioni, che nascondeva i propri problemi dietro una dura scorza di menefreghismo quando in realtà aveva bisogno di continuo sostegno. Come quella sera, quando si era ritrovato a cantare vagando nel limbo del timore che Lindsay non si sarebbe presentata alla festa. E vederlo tornare a brillare quando una frase e uno smile avevano compiuto il loro lavoro. Lui era così, era talmente attaccato a tutto quel miscuglio di emozioni che gli nuotavano dentro da sentirsi un naufrago se solo una di loro andava disperdendosi. Forse era per questo che continuava a tenersi stretto Lindsay. Forse lei era la colla che teneva ben saldo quel gomitolo che gli permetteva di continuare a vivere.

Lei e nessun’altra.

Si chiese cosa sarebbe accaduto se l’americana se ne fosse andata da un giorno all’altro. Lei nemmeno si rendeva conto di che casino avrebbe combinato se solo avesse deciso di non far più parte della sua vita. E lei doveva capirlo, doveva rendersi conto di quanto potere possedesse, di come il cuore di Seung-Hyun fosse ormai nelle sue mani e se solo avesse stretto troppo, lo avrebbe fatto finire in poltiglia fatta di sangue e sentimenti stropicciati.

-E tu lo sai perché, mh?-

-Perché è buono.- mormorò tornando a bere, l’espressione serena di chi ha la carta vincente nel proprio mazzo. Peccato che lei avesse una misera coppia, lui una scala reale.

-No, è perché non sarebbe solo sesso tra voi- la guardò di sbieco, nessun sorriso mentre la vedeva irrigidirsi prima che la cocente verità le venisse sbattuta in pieno viso –Linnie, nessuno sente ciò che prova lui ora per te.-

-Non chiamarmi Li--

-Dico davvero- la interruppe con bruschezza, questa volta intenzionato a disseminare di dubbi le sue certezze invalicabili –Potrai andare con chi vuoi, ma ciò che prova lui per te, non lo sentirà nessun’altro.-

E lo udì, il battito del suo cuore che andava accelerando, il respiro che andava affievolendosi mentre il dubbio si insinuava in ogni più raggrinzita piega del suo cinico essere. Del resto lo aveva detto che Seung-Hyun non aveva avuto occhi che per lei, dall’alba dei loro tempi.

-Dovresti smetterla di sparare cazzate.-

-Se ti fa sentire più tranquilla, chiamale pure cazzate- la ragazza incassò il colpo con un sorso di birra –Insomma, non hai mai pensato che potesse esistere qualcuno solo per te?- scrutò i lineamenti di Lindsay dipingersi di confusione, così palpabile che per un istante sembrò intaccare la musica di sottofondo. E Ji Yong non la udì più. Non dopo che il No placido di Lindsay lo ebbe raggiunto come un tram in piena corsa. Che quel No era di una sincerità disarmante che non pensava gli avrebbe rifilato con così tanta velocità. Ci rimase un po’ male nel constatare che la cavia, quella notte, non sembrava intenzionata a farlo divertire chiudendosi dietro la propria proverbiale ermeticità -Tutti lo pensano.- sentenziò ferreo, tornando a guardare la bolgia che avrebbe dovuto definire divertimento, ma tutto ciò che gli sovveniva era noia. L’unico divertimento, nel vero senso del termine, erano quei piccoli criceti che si muovevano lì in mezzo, meritevoli della sua pigra attenzione. C’era una Lindsay che aveva la testa così arrovellata di pensieri che poteva percepirne il peso solo standole di fianco; c’era Seung-Hyun che riversava il proprio nervosismo circondandosi di futilità accompagnato da tequila e chissà quale altro alcolico a lui sconosciuto; c’erano Ginko e Ri, infine, che erano l’apoteosi della scemenza, e sembravano brillare di luce propria mentre si dimenavano nella pista, peggio di quella palla stroboscopica che irradiava tutta la sala. Gli parve, per un breve quanto insignificante istante, che il sorriso della Fujii avesse rischiarato metà stanza, dissipando perfino quel drappo nero che la Moore si ostinava ad indossare, ma forse si sbagliava. L’aveva detto che era stato un istante insignificante.

-Io non sono tutti, eh.-

-Linnie, pensavo sapessi fare di meglio.- scosse la nuca di fronte all’infantilità e prevedibilità di quella risposta. Ah, era un piacere vedere che le persone, per certe cose, non sapevano andare oltre la banalità delle cose.

Lin roteò gli occhi, poi catalizzò la propria attenzione sulla bottiglia gelida che continuava a rigirarsi fra le mani –Ci ho pensato, quando ero piccola- confessò mordendosi l’interno delle guance –Poi i miei si sono separati e non ci ho più creduto.-

-Creduto?- arcuò un sopracciglio –Pensavo stessimo parlando di pensare.- sottolineò con marcatura, quasi volesse evitare che i due concetti divenissero un’unica questione. Perché non c’era errore più grande nel mescolare il pensiero e il credo, soprattutto in quell’argomento delicato che stavano affrontando. Pensare che qualcuno avrebbe cominciato a rappresentare il tutto della vita di una persona era un’idea, l’immagine che sfreccia nella mente quando si vedeva una coppia felice, un film romantico, quando semplicemente ci si rendeva conto che i corpi non erano fatti per restare soli. Ma credere… Credere significava aspettare una vita intera, rendersi conto che quello era un passaggio che nella vita di ognuno doveva succedere se si voleva evolvere.

-Credere, pensare, che differenza fa?- alzò le spalle –Quando smetti di credere, smetti anche di pensare.-

Nei suoi occhi nocciola rivide il sé stesso di molti anni prima, quel Ji Yong che aveva abbandonato ogni affetto per dedicarsi completamente al proprio egoismo, che tanto nessuno sapeva badare a sé stesso, figurarsi se avrebbero perso tempo a curarsi di lui. Ma c’era qualcosa in Linsay che andava oltre l’incapacità di sapersi prendere cura di sé, che andava oltre l’egoismo. Aveva lo sguardo di chi aveva perso tutto e una volta ritrovato, decideva non riprenderlo con sé, perché tanto non sapeva che farsene. L’amore è cattivo, l’amore fa male, sua sorella glielo aveva spesso detto, ma peggio ancora è la solitudine, aggiungeva con un sorriso.

E Lindsay ci si stava inabissando.

-Dovresti ricominciare.-

-Anche tu.- lo guardò con stanchezza, quella stessa stanchezza che leggeva nei proprio occhi prima di andare a dormire o quando guardava gli occhi di qualche amante prima di perdersi nei meandri del piacere. Avrebbe voluto dirle che Seung-Hyun era la sua felicità, che non doveva commettere l’errore di lasciarsela alle spalle…

-Oi, qualcosa non va?-

Ma a volte la felicità arrivava senza bussare, interrompendolo. Armato di tequila, sorriso che andava allungandosi da angolo ad angolo e sguardo luccicante, di quelli che gli facevano capire quanto avesse fatto bene a rompere le palle a quei due.

Guardò Seung-Hyun di striscio, avvertendo Lindsay agitarsi al proprio fianco. Ah, ma come poteva lasciarsi sfuggire tanta bellezza, quella sciocca cavia? Insomma, il volto di Top emanava così tanta serenità che avrebbe dovuto fargli una foto e appenderla in camera, rimirandola nei giorni più grigi della propria esistenza.

-Oh, Hyung, parlavamo proprio di te- cinguettò caramelloso mentre vedeva il suo sorriso adagiato su Lindsay farsi sempre più invisibile –America mi stava dicendo quanto tu fossi stupendo questa ser— la gomitata della ragazza lo bloccò, anche se al dolore si mescolò l’ilarità.

-Ma non è vero! Questa è una cazzata!- la sua voce stridula gli beò le orecchie. E l’espressione confusa e afflitta di Top fu un piacere per il suo cuore straziato. Perfetto! Erano pura gioia per la sua anima agonizzante!

-Oh, quindi non lo trovi bello?- Lin aprì le labbra ma non le diede il tempo di trarsi in salvo –Peccato, no? Perché Top ti trova bellissima- gli occhi del ragazzo si allargarono –Non la trovi stupenda questa sera?-

-Ma che cazzo dici, Ji Yong?- domandò lugubre.

-Oh, quindi nemmeno tu la trovi bella?-

-Co--

-Che palle.- Lindsay si divincolò da quel discorso.

L’allontanamento di Lin fu solo il preludio di una catastrofica e metaforica bomba che era stata appena sganciata. Esplosione tra 3… 2… 1…

-Ma che cazzo hai che non va, si può sapere?!-

Si beò del ruggito dello Hyung appena ferito che aveva visto sfuggire l’antilope dagli occhi da cerbiatto –Mi annoiavo.-

-Tu—

-Però dovresti dirglielo più spesso che è bella- soppesò placido –Insomma, come ragazzo fai un po’ schifo.-

Seung-Hyun strabuzzò gli occhi mentre agitava il bicchiere di tequila -Che le hai detto, Ji Yong?- lo sguardo truce dello hyung lo fece sghignazzare di puro gusto, mentre tratteneva a sé un mucchio di risposte solo per pungolarlo in quell’attesa snervante.

-Niente di peggio di quanto non abbia fatto tu- lo vide velarsi di confusione –Insomma, invitarla e poi stare con quelle, non si fa.- scosse la nuca, fece oscillare l’indice, gustò appieno l’espressione di puro terrore che andò delineandosi su ogni più minuscolo muscolo del suo volto, ora contratto come nemmeno L’urlo.

-Se l’è presa?- il suo sguardo fiammeggiante per un momento lo bruciò –No, no, io lo so che non se l’è presa. Lindsay non se la prende per queste cose.- cantilenò come un mantra, facendogli tenerezza.

-Tu dici?- la sua tranquillità fece afflosciare la sua sicurezza –Hai visto anche tu che se n’è andata.-

-Se ne sarà andata perché le avrai rotto le palle- si grattò la nuca, l’incertezza ben scorgibile nel suo tono di voce rauco e un po’ strascicato. Ah, qual gioia un Top che voleva negare l’evidenza quando era palese che lì, l’unica fonte di disagio in una Lindsay avvolta da chissà quali problemi, era proprio lui. D’altro canto, Ji Yong era solo stato un ulteriore repellente, ma proprio non poteva considerarsi la fonte principale della sua fuga –Ji Yong, che le hai detto?- ripeté sull’orlo dell’ira, assottigliando gli occhi gonfi.

-Sai? Dovresti correre da lei- ignorò la sua domanda -Credo stia incominciando a capire un po’ di cose.-

-Un po’ di cose?- Dei, Seung-Hyun sbronzo era più lento del solito e già non è che brillasse per genialità, eh –Tipo?- agitò un indice minaccioso, ma GD lo scostò dalla propria visuale.

-Tipo che se non parla, potrebbe esplodere- buttò lì con tedio, attendendo il momento più propizio per potergli dare la spinta giusta –O che comincia ad avere un disperato bisogno di te- e fu epica, anzi no, fu indimenticabile l’espressione di pura sorpresa che aveva dipinto il bel volto dello Hyung. I suoi occhi larghi furono una nota di colore in mezzo a quel lerciume, il suo sorriso penzolante che non sapeva se mostrarsi o restar celato fu un toccasana per il suo cuore stanco e il suo Oh, cazzo fu favoloso, un paio di parole che mai più leggiadre gli parvero. Fu sensazionale quel miscuglio di ansia e incredulità che cominciarono a pervaderlo, che andarono diramandosi in ogni anfratto del suo corpo. E Ji Yong sorrise. Di quei sorrisi un po’ raccapriccianti ma di sincero affetto, che finalmente la sua cavia stava cominciando a capire e allora lui cominciava a sentirsi realizzato -Non sei contento?- domandò fingendo sorpresa, le ciglia fini sbatacchianti e le labbra arricciate intorno alla cannuccia.

Seung-Hyun scostò le labbra dalla bottiglia, rivolgendogli un’occhiata incerta –No, no, lo sono!-

-Ma…?-

-Ma la smettete di pensare che debbano esserci dei ma?!- la sua sfuriata memorabile –Che palle che siete!- seguita da un tripudio di giovanile volgarità che straziò di piacere il cuore di Ji Yong. Si asciugò una lacrimuccia invisibile e trattenne le risate. Doveva mantenere serietà se voleva vedere la sua cavia infilarsi nel corridoio giusto di quel labirinto in cui si era infilato.

-Vuoi farmi credere che non ci sia un Ma?-

Seung-Hyun sbuffò il proprio nervosismo, poi si guardò attorno –E’ che mi sembra strano- lo guardò diffidente –Te lo ha detto lei?- gli sembrò una sciocca ragazzina che non crede alla dicerie di corridoio, ovvero che il bello della scuola voleva uscire solo e soltanto con lei. Insomma, aveva la tipica espressione di una Haruko Akagi qualsiasi a cui avevano appena detto che Kaede Rukawa, l’algido Kaede Rukawa che mai si sarebbe accorto di una donna nuda –a meno che non si fosse coperta con un pallone da basket, ma anche lì avrebbe notato solo la palla sferica arancione-, aveva adocchiato proprio lei. Fantascienza, pura utopia, un miracolo irripetibile. Tutto quello si poteva leggere nella diffidenza di Seung-Hyun, ora stremato più che mai al pensiero che quello potesse rivelarsi un becero scherzo.

Ma pur nella sua infida cattiveria, pur nei suoi giochetti estenuanti, Ji Yong gli aveva mai mentito? Lui aveva sempre avuto ragione, lo aveva sempre spronato a fare i conti con la realtà e sé stesso e se adesso si trovava lì, ad un passo dall’afferrare Lindsay Kaede Rukawa Moore, era solo merito suo e della sua stronzaggine.

Si compiacque di sé stesso, mise da parte l’amore che nutriva nei propri confronti e si dedicò a lui e alla sua scemenza abissale –No, non lo ha detto lei- storse il naso –Sai che quella non parla- lo vide sprofondare nella sfiducia mentre le sue spalle andavano incurvandosi e lo sguardo puntare al pavimento appiccicoso –Ma glielo si leggeva. Seung-Hyun, le ho detto che nessun altro, ora, sente per lei ciò che provi tu nei suoi confron—

-Tu cosa?! Ma sei diventato pazzo?! Ma come cazzo si fa—

-Era felice- il suo cicalare asfissiante si interruppe, come un disco che viene tolto di colpo e produce quel suono fastidioso di chi ha appena rovinato l’atmosfera –Non l’ho mai vista così felice.- che ok, non era andata propriamente così ma era scientificamente testato da sé stesso che a volte alcune bugie davano risultati positivi ineguagliabili. Perché Lin non aveva sorriso, si era riparata dietro la cascata di capelli mentre un seccato Non dire cazzate, aveva dato sfogo alla sua confusione, ma Ji Yong era andato oltre quel banale commento. Aveva visto l’imbarazzo di chi non sa reggere il peso di dichiarazione di tale portata, la fragilità di chi non sa come reagire di fronte ad un’eventualità del genere. Aveva visto, sentito, assaporato la paura di una ragazza che, in fondo, era molto più simile a lui di quanto avrebbe mai potuto immaginare.

Seung-Hyun parve brillare, poi si estinse, come se avesse avuto l’opportunità di vedere nel futuro prossimo –Sono nella merda. Adesso mi lascia e—

-Dovresti parlarle- ripeté piano, tornando all’inizio del ciclo evolutivo di quella discussione –Ne ha bisogno- puntò lo sguardo su di lui, l’ombra di un sorriso sul volto sottile –Ne avete bisogno, tutti e due.-

Seung-Hyun parve tergiversare, cercando tempo in quella bottiglia, attendendo spasmodicamente che qualcuno venisse a richiedere la sua compagnia; quando si rese conto che nessuno voleva passare del tempo con Top, si arrese all’evidenza delle cose. Che qualcuno che l’aspettava c’era, andava solo raggiunto. E con un sospiro che parlava per lui, con un’imprecazione così deliziosa da far vibrare le pareti incrostate della sua anima, Seung-Hyun si mosse, superandolo con una spallata e un macabro –Se finisce tutto per colpa tua, ti uccido.- che lo fece ridere di gusto.

Se tra quei due fosse finita, non sarebbe stato di certo per colpa sua. Il fautore del più grande spettacolo dopo i loro concerti, non poteva permettere di rovinare tutto con il gesto o la frase sbagliata. Gli dispiacque che Seung-Hyun nutrisse così poca fiducia nei suoi metodi di aiuto, ma capì che l’amico era solo braccato dalla fottuta paura di perdere forse l’unica capace di farlo star bene. No, decisamente, non avrebbe mai permesso che il suo amato Hyung ci rimettesse per colpa dei suoi sbagli.

Fu Daesung a rovinare il suo trastullo, acquattandosi al suo fianco con l’espressione di una mamma che vede rincasare il proprio figlio strisciante per le troppe birre ingurgitate  -Perché ridi?-

-Perché lo trovo bello.- esalò spiccio, asciugandosi le lacrime mentre si lasciava adocchiare da una bionda finta come poche.

-Cosa?- domandò il ragazzo arcuando le sopracciglia, sottraendogli la birra. Come se avesse bisogno di alcol per sentirsi al settimo cielo.

Lo guardò accigliato; possibile che non capisse? -Non cosa. Chi.- puntualizzò saccente, godendo della sua espressione contrariata per non aver ricevuto ancora una risposta ben precisa.

-E allora chi, sentiamo?- si mise a braccia conserte, seguendo la linea del suo sguardo. Che puntava verso quella porta che dava sul terrazzo che, a ben vedere, era solo l’entrata per il Paradiso.

-Ma Seung-Hyun! Chi se no?!- scoccò la lingua e, come mai dopo tanto tempo, gli rivolse un sorriso di pura e sincera felicità fraterna -Non trovi che sia bello il nostro Seung-Hyun quando è innamorato?-

 

******

 

Se ne stava rannicchiata contro il muro, la birra fredda fra le mani e lo sguardo perso nel cielo, talmente patinato dalla luce dei lampioni che nemmeno una stella le fu scorgibile. La musica proveniente dalla pista non aiutava i suoi scomodi pensieri, che vagavano alla ricerca di un senso, smarriti e impauriti di collidere fra loro e creare un’esplosione di confusione inossidabile. Sì sentì a casa, Lindsay, forse come mai prima di allora. Quello non era il cielo di Seoul, apparteneva alla sua Brooklyn cosparsa di lampioni, gremita di auto che sfrecciavano nel cuore della notte; era seduta al tavolo della propria cucina, perdendosi ad ammirare la libertà oltre la finestra del quattordicesimo piano che gettava su di una strada troppo affollata, non appoggiata contro il muro di un’anonima discoteca che, davvero, le faceva rimpiangere lo strambo Tribeca. L’aria intorno a sé sapeva di sigarette appena consumate sotto lo sguardo accigliato di una Emily che aveva ormai da tempo imparato a mangiarsi un mucchio di gelide parole, la mascella che andava indurendosi come se davvero avesse appena ingoiato un cubetto di ghiaccio.

Invece quella sera, molte parole erano librate fino a lei, talmente tanto pesanti da far diventare l’aria irrespirabile. E allora Lin era evasa, che quella musica assordante non le permetteva di pensare, che neppure Ji Yong le dava tregua per capire cosa Diavolo le stesse succedendo, anzi, aveva solo reso i suoi dilemmi ancora più intricati. Perché mai, mai, si era sentita così nei confronti di un ragazzo. Come se gli dovesse qualcosa, come se meritasse il suo rispetto e non i classici assilli di una ragazza che preferisce divertirsi anziché gettare le basi per un futuro solido. E quando si era avvicinato, quando le aveva rivolto quell’espressione di pura felicità, quasi non vedesse l’ora di liberarsi da quello sciame di ballerine per giungere fino a lei, si era riscoperta incapace di reggere a tutto quello…
 

-Nessuno sente ciò che prova lui ora per te.-

Come Diavolo ci riusciva, lui?

Gli aveva mostrato lo schifo che la circondava, gli aveva piazzato davanti al naso il peggio di sé stessa, quel peggio che proprio non voleva saperne di rendere migliore e lui aveva accettato tutto, tutto. Anzi, no, era restato. Accettare e restare erano due concezioni diverse di una stessa medaglia, constatò mentre la birra scivolava lungo la gola. Si poteva accettare, prendere nota di tutti i difetti dell’altro e provare a sopportarli, anche se spesso diventavano troppo pesanti da reggere. Ma restareRestare implicava una buona dose di volontà affinché quell’acerba relazione non appassisse alla prima difficoltà. E il solo fatto che fossero completamente diversi in tutto, era un ostacolo bello grande da superare, no?

Non fece in tempo a darsi una risposta mentre la brezza fredda della sera congelò quel poco di lucidità che le era rimasta, forse quella risposta non la voleva nemmeno. Udì un rumore alla propria sinistra e l’ultima persona che avrebbe voluto trovarsi fra i frammenti di pensieri sparpagliati, fu proprio Seung-Hyun.

-Oi, eccoti- l’oggetto delle sue sconnesse paranoie si palesò con un sorriso e una mano alzata –Sei scappata via.- le rivolse un sospiro colmo di senso di colpa, come se fosse lui la causa principale della sua fuga. E lo era, ma non pensava di essere divenuta uno sciocco libro aperto. Presuntuosamente, Lindsay si era sempre ritenuta un diario segreto, ma non di quelli per bambini con il lucchetto falso e che bastava scassinare con una forcina per capelli. No, si era sempre considerata un diario serio, di quelli col lucchetto inapribile, nascosto nell’anta più buia di un armadio che nessuno apriva. E la chiave… Quella se l’era portata via un uomo sulla quarantina dai capelli un po’ brizzolati e una barba incolta che da piccola aveva sempre odiato perché pizzicante. Ma i suoi baci sulle guance, le sue risate mentre lei esclamava uno schifato Bleah!, quelli li avrebbe volentieri riavuti indietro.

La portafinestra che veniva chiusa con delicatezza ebbe il potere di ridestarla, mentre gli occhi andavano gonfiandosi per la miriade di pensieri che si erano brutalmente scagliati contro lei, facendo riemergere quel passato che credeva ormai morto. Sbirciò al proprio fianco, scorgendo la figura immobile di Seung-Hyun che beveva della tequila contemplando davanti a sé, come se volesse lasciar il caos all’interno della stanza e godersi un silenzio tutto loro, di quelli che non avevano bisogno di riempire per sentirsi bene. Che sfociavano in una dolcezza che intimoriva, ma aveva la strabiliante capacità di saperla riscaldare.

Ma perché continui a tornare?

-Fa freddo stasera.- buttò lì senza un apparente motivo, come se avesse deciso di recidere il flusso dei suoi pensieri solo per non farla smarrire ulteriormente.

-Dovevi portarti una giacca.- fece una smorfia quando avvertì la birra bruciarle lo stomaco, come punizione per la sua sgarbatezza non richiesta. Stupide difese che si ergevano per istinto che per reale necessità.

Ma Seung-Hyun non se la prese. Rise un poco, non grugnì, e la guardò con occhi brillanti –Credevo che tre maglioni bastassero.- spiegò prendendo un lembo fra le mani, giocherellandoci.

E fu allora che Lindsay si rese conto di quanto bello fosse Seung-Hyun, che lei fino a quel momento non se ne era granché accorta. Come essere ciechi, riottenere la vista e rendersi conto di quanta bellezza l’avesse circondata. Di quanto lui fosse dannatamente indelebile. Ma di quello non si stupì mentre lo vedeva passarsi una mano fra i capelli; la sua immagine si era marchiata a fuoco prima ancora che si rendesse conto di provare attrazione nei suoi confronti. C’era il suo volto marcato, dagli zigomi alti, incorniciato da quel mare di capelli scuri che, ogni volta, le facevano un po’ provare nostalgia per quel menta che tanto gli aveva deriso. Avrebbe perso ore ad affondare nei suoi occhi scuri dal classico taglio orientale ma erano talmente allungati che nessun trucco sarebbe riuscito a delinearne la profondità. E poi c’era il sorriso, un po’ asimmetrico ora che lo vedeva dipanarsi davanti ai suoi occhi lucidi senza alcun motivo, come se l’ imperfezione avesse dovuto intaccare quel viso dal profilo nobile. Le parve di essere al cospetto di un principe arabo e se il maglione un po’ largo e i jeans sgualciti non lo avessero fasciato, probabilmente avrebbe faticato a credere che quel ragazzo davanti a sé fosse un semplice rapper coreano.

Lo vide coprire uno sbadiglio e Lin si destò, avvertendo i brividi salirle lungo tutto il corpo intorpidito dall’alcol. La sua fiacchezza era palpabile, di quelle che le facevano pensare che forse avrebbe dovuto lasciarlo solo a riposarsi, che se andava avanti di questo passo sarebbe crollato sul palco, un giorno. Ma lei diceva sempre Sei stanco, torno a casa, e lui puntualmente rispondeva No, resta, non sono stanco. E niente, lei si tratteneva e gli prosciugava quel poco di energie che le concedeva, perché Lin sapeva solo egoisticamente strappare, mai donare. I suoi capelli spettinati, il volto solcato da visibile stanchezza mentre gli occhi gonfi andavano socchiudendosi per la pesantezza, le mani che continuavano a stropicciarli pur di non farli crollare completamente…

-Qualcosa non va?-

E la sua voce. Diamine, la sua voce fu un vero e proprio pugno allo stomaco. Di quelli che glielo fecero contorcere in una morsa di dolore, che andò a stimolare il suo senso di colpa tenuto a tacere per tutta la durata della festa. E non riuscì a sopportare tutto quello, Lindsay, non ce la fece mentre si divincolava dal suo sguardo così sereno ma velato di preoccupazione da trafiggerle il cuore, non ce la fece nel rendersi conto che nonostante la fatica perdesse tempo con lei,  mentre ravanava nella propria mente alla ricerca di qualsiasi scusa plausibile che, sapeva, lui avrebbe accettato senza porre domanda alcuna.

Perché si faceva bastare tutto ciò che lei gli concedeva.

Morse il labbro inferiore mentre le mani andavano a nascondersi nelle tasche del cappotto, la birra finita e che non fungeva più da riparo, lo sguardo puntato alla propria destra nel vano tentativo di non affogare nei suoi occhi contornati da confusione.

Come dirgli che tutto non andava? Che cominciava a sentirsi di nuovo fuori luogo in casa propria, che stava seriamente dubitando della propria sanità mentale, che cominciava a preoccuparsi del proprio futuro, che tutti i Sei una delusione di Emily, che tutti i Ne va del tuo futuro! di Mark stavano tornando prepotentemente a farle visita, questa volta armati di un rancore così pungente da divenire insopportabile, che la Columbia forse era davvero la cosa migliore per lei…

-Mi fai preoccupare se non parli.-

Che Seung-Hyun stava iniziando a diventare quel tutto che lei aveva sempre allontanato. Con ostinazione, con fermezza. Come se fosse un male incurabile da cui era meglio salvaguardarsi.

-Non dovresti.- sbottò brusca, cercando di raccogliere con un cucchiaino quel briciolo di durezza che le era rimasto in corpo. Ma come poteva trattarlo male se si ostinava a lambirla di non richiesta gentilezza?

Seung-Hyun si appoggiò allo stipite, gli occhi così taglienti da perforarle da parte a parte, anche se nessun velo di rabbia sembrò scalfire la loro imperturbabilità. Solo tanta confusione spirava in loro e Lin si chiese perché Diavolo non si incazzasse con lei una volta tanto. Una sana e bella lite avrebbe sicuramente portato al punto di rottura, alla definitiva divisione di due anime che, davvero, non erano fatte per incastrarsi, per divenire un’unica entità –E come non potrei?- osservò indicandola –Te ne sta lì così e pretendi che non mi preoccupi?- e invece si ostinava a trattenerla, a cercare di capire cosa non andasse nel suo umore così altalenante quando lei, per prima, faceva di tutto per non darsi delle risposte.

Lin riportò lo sguardo su di lui, nemmeno fosse oltraggiata dal suo prendersi cura di lei e la sua psicopatia –Così come?- poté avvertire il proprio corpo tendersi come corde di un’arpa, perfino i delicati lineamenti andarono indurendosi, come se quella maschera di scontrosità potesse qualcosa contro la sua amorevolezza. Come se potesse nascondergli la tempesta burrascosa di emozioni che continuavano a mescolarsi in lei, a non darle tregua, che la stavano portando sulla soglia di un esaurimento talmente tanto epocale che forse no, forse questa volta non avrebbe retto, si sarebbe lasciata andare.

-Sofferente.- fu un suono apatico, privo di qualsivoglia emozione che potesse aiutarla a comprendere cosa girovagasse nella sua testa, ma che lui fosse ormai capace di guardare oltre la sua indifferenza, questo avrebbe dovuto capirlo già da tempo. Andare da Seung-Hyun armata di buona volontà affinché non potesse comprenderla era una battaglia inutile, di quelle in cui non restava che arrendersi all’evidenza: i nemici erano troppi e lei era solo una, debole e talmente tanto spaventata da non saper neppure maneggiare la proverbiale ironia come arma. Solitamente era sempre a doppio taglio, con lui poi aveva fatto più male che bene, ma era servito a mantenerli su due fronti ben opposti, invalicabili. Invece Seung-Hyun si era pericolosamente avvicinato, aveva superato le innumerevoli trincee che aveva scavato nel corso della sua infanzia strappata fino a raggiungere la torre più alta in cui si era ermeticamente barricata pur di non essere salvata. E, cazzo, mai avrebbe pensato che qualcuno volesse davvero sottrarla da quella solitudine che aveva finito col divorarla.

Avvertì gli occhi allargarsi spropositatamente e quando le lacrime premettero contro le palpebre che si abbassavano velocemente, Lin avvertì ogni scheggia di rabbia volatilizzarsi, lasciando spazio all’arrendevolezza –Non sono sofferente.- mugugnò piano, mordendosi l’interno delle guance.

-Certo- l’ironia di quel certo le rubò uno sbuffo; ma perché non si fingeva comprensivo e la invitava a levarsi dalle palle? O si levava lui, era uguale –Hai litigato con Ginko?-

-Figurati!- schizzò con stizza, sbavando quel drappo di placidità che stava cercando di fasciarla. Era impensabile una cosa del genere; Ginko era forse l’unico essere vivente sulla faccia della Terra che alla domanda Hai mai litigato con qualcuno?, avrebbe seraficamente risposto NoNo, io non le faccio quelle cose!, e con tutta l’indignazione che tale possibilità avrebbe trascinato con sé. Ginko era così buona, così comprensiva che cullava sempre il suo nervosismo e rendeva tutto un po’ sopportabile. Le mancavano le chiacchierate davanti ad una tazza di the, dovette ammetterlo in uno sprazzo di inafferrabile lucidità.

-Hai sentito tua madre?-

-Ma va.- abbassò il capo, conscia che le domande si sarebbe esaurite nell’arco di un sospiro e un silenzio di meditazione. Il tempo di rendersi conto che questa volta le sue paure erano talmente primordiali da avere radici fossilizzate così in profondità da essere inestirpabili.

-Hai litigato con tuo padre?-

-Nah- sventolò una mano, memore dell’abbraccio che Mark le aveva estorto contro il suo volere quando aveva annunciato che aveva prenotato l’aereo per tornare a New York. Si stropicciò il volto, incurante che il meraviglioso lavoro di Ginko andasse a donnine, tanto il morale era così a terra che probabilmente glielo si poteva leggere in faccia -Sono solo stanca, Seung-Hyun- bofonchiò estenuata -Giù c’è troppo casino.- che era un po’ come dirgli  che voleva starsene da sola, che c’era troppa gente e il loro chiacchiericcio non le permetteva di far chiarezza dentro sé, che perfino lui era fonte di disturbo…
 

-Vuoi che torni dopo?-
 

Poi arrivavano certe banali domande e comprendeva che forse non sarebbe mai riuscita a dare un senso a ciò che la affliggeva, non quando la causa principale del suo tormento si dimostrava così delicato e caparbio.

Tra tutte le domande che avrebbe potuto rivolgerle, proprio quel Vuoi che torni dopo?, le era stato teso con comprensione, come se avesse captato già nei loro sporadici messaggi che qualcosa la stava tormentando. Perché il classico Vuoi restare da sola?, implicava l’abbandono, prevedeva che sarebbe stata lei a doversi mettere in moto per poterlo ritrovare, come se riponesse piena fiducia nella sua bussola, nemmeno fosse lui il Nord verso cui dirigersi; ma Vuoi che torni dopo?, significava che lui l’avrebbe aspettata. Forse in quella stanza oltre la finestra, forse al piano di sotto, forse vicino al tavolo degli alcolici, ovunque… Col pensiero costante rivolto a lei. Lei invece stava facendo i conti con la propria vita senza curarsi di lui, di quel po’ di buono e bello che le stava riversando senza rimesse. Dio, il suo egoismo non aveva limiti.

-Non mi dai fastidio.- capitolò, spostandosi un poco sulla panca. Lo avrebbe invitato silenziosamente, tanto lui avrebbe colto la sua implicita disponibilità a veder sfumare la propria solitudine tanto agognata. E poi le sue labbra erano troppo impegnate a consumare ogni più infima goccia di birra rimasta.

Lo vide afflosciarsi sulla panca, la nuca contro il muro e gli occhi chiusi, come se stesse approfittando di quello sprazzo di tranquillità per riposarsi. E vedendolo così vicino, con il suo braccio che sfiorava il proprio, a Lin venne la malsana idea di appoggiare la nuca pesante sulla sua spalla e magari chiedergli di sorreggerla un attimo, che con tutti questi pensieri non riusciva più a sopportarsi. Ma si trattenne, strinse i pugni nelle tasche, nascose le labbra nel giaccone e attese paziente che lui se ne andasse…

-Pensavo non venissi.-

Ma ovviamente no, non se ne voleva andare.

Non vi fu accusa nella sua confessione, solo desiderio di non far scemare lì la loro fugace conversazione –Lo credevo anche io.- ma lei non era collaborativa, no affatto.

-Pensavo te la fossi presa perché non sono stato con te tutta la sera.- aggiunse poco dopo, la sua mano che sfiorò il suo ginocchio. Lin rabbrividì e d’istinto chiuse le cosce mentre un brivido di inaspettato piacere le carezzò il bassoventre.

-Figurati.-

-O perché sono stato con quelle ballerine.-

-Alcune erano molto carine.-

La sua risata mista a sbuffò la costrinse a voltarsi –Vuoi darmi un po’ di soddisfazione?- ironizzò aprendo un occhio, per poi agitare le mani –Oh, Seung-Hyun, odio quando ti comporti così! Devi calcolarmi di più quando siamo assieme, mi sento tagliata fuori se non mi guardi!-

Raccapricciante… Ma che imitazione era mai quella?!

Lin gli diede una pacca sul braccio, un sorriso di intrattenibile divertimento a dipingerle il volto dapprima impassibile –Non ho quella voce! E non direi mai quelle cose.-

-No, tu ci infileresti un Che palle ogni tre parole- Lin sbuffò, ma non appena la risata di Seung-Hyun si placò, le sue parole la raggiunsero leggere –Mi è sempre piaciuta questa tua spontaneità.-

Lin si barricò dietro il giaccone, ma a quanto pareva il silenzio aveva deciso di abbandonarla –Sempre?-

-Ok, non sempre- si massaggiò la nuca, un sorriso impercettibile a colorire il volto più pallido del solito –Decisamente non da sempre- la guardò di sottecchi e Lin guardò altrove, impedendogli di mirare il sorriso spontaneo che le aveva strappato –Ma da un po’ non mi dispiace.-

Che era un po’ come dirle che lei, nella sua interezza, non gli dispiaceva. Ma questo lo aveva già capito da tempo, non era una sprovveduta. Lo aveva letto nei suoi occhi scuri sulla panca di una pista da ghiaccio innevata; lo aveva fiutato in un ripostiglio zeppo di birre, alcolici e Coca Cola, assaporando un bacio che non credeva sarebbe più ricapitato e che lei stessa gli aveva rubato. E lo aveva avvertito indistintamente nei mille che erano seguiti, sotto la pioggia, in una camera da letto fiocamente illuminata, in un soggiorno che odorava di lui e che l’aveva sommersa dei suoi ricordi di un’infanzia felice, lasciando che la paura venisse spazzata via dalla sua gentilezza.

E avrebbe voluto dirglielo che da un po’, nemmeno lui le dispiaceva più.

A dir la verità avrebbe voluto dirgli tante cose, approfittare dell’ebrezza per confessargli tutte quelle piccole sfaccettature del suo essere che aveva impresso dentro sé e che, ogni benedetta volta, il fiato un po’ glielo spezzavano. Come il suo far scricchiolare il collo quando era stanco, ad esempio, o il suo passarsi una mano fra i capelli in un gesto così spontaneo e sensuale da farla smarrire, compiuto senza che lui nemmeno se ne rendesse conto. O il suo sguardo, di quelli che la facevano sentire leggera, sospesa nelle proprie incertezze. Di quelli che, banalmente, le facevano dire Tu mi guardi come nessun’altro.

Frasi da farle accapponare la pelle, certo. Ma cacchio, davvero la guardava come nessuno mai prima di allora.

E si chiese se sarebbe mai riuscita a dissipare l’affetto dai suoi occhi, se davvero avrebbe rovinato tutto come suo solito e avrebbe finito con lo sbrindellare quel poco di felicità che avevano conquistato. Che forse, davvero, lei era brava solo a fare danni e a lasciare un gran vuoto negli altri.

-Seung-Hyun…- lo chiamò piano, carezzando il suo profilo con sguardo assorto mentre domande stupide riaffioravano nei meandri della sua mente arrovellata -Ti sei mai domandato se io uscissi con te per i soldi?- chiese a bruciapelo, sospinta dalle parole di un Ji Yong più profetico del solito. Probabilmente se non le avesse rivolto la parola, Lindsay non si sarebbe avventurata sul tetto di una discoteca sconosciuta; probabilmente se non gli avesse parlato, Seung-Hyun non l’avrebbe raggiunta. Sicuramente, e al Diavolo tutti i probabilmente, se Ji Yong non avesse interferito nella loro vita, entrambi sarebbero stati come due rotaie che procedevano parallele senza mai incontrarsi.

E non seppe se essergliene grata o correre dentro e spaccargli la faccia. Ormai non sapeva più nulla.

-Figurati- lo aveva esclamato con sicurezza, guardandola con occhi colmi di fiducia –Non sei quel genere di ragazza.-

No, sono peggio.

-E come sarei?- si rese conto troppo tardi di averglielo davvero chiesto e davvero ad alta voce. Tutto di Seung-Hyun si era fermato, quasi volesse trovare una risposta azzeccata a quello che, forse, considerava un indovinello. Come il classico Secondo te sono ingrassata?, che comportava puntualmente l’inizio della lite peggiore che una coppia potesse affrontare. Perché un esalato con estrema sincerità avrebbe portato al calo dell’autostima della parte lesa che, povera, non vedeva i propri sforzi di dieta ferrea ripagati; un No sarebbe stato visto come contentino, e allora l’uomo si ritrovava a tergiversare, a capire di essere finito in un labirinto senza uscita, perché nessuna risposta sarebbe stata accettata. Era come ritrovarsi davanti a Don Corneo e poco importava che la risposta data fosse stata giusta o sbagliata, tanto alla fine si cadeva comunque nella botola. Il gioco doveva pur andare avanti, in qualche modo.

Quindi se Seung-Hyun si fosse limitato ad un’alzata di spalle e un mugugno indefinito, lo avrebbe accettato, lo avrebbe preso con sé e si sarebbe fatta bastare quei complimenti striminziti che tanti, troppi le avevano rifilato. Un classico Sei bella, il sempre gettonato Sei un angelo sceso dal cielo, il carosello della banalità, insomma. Ma c’era qualcosa in Seung-Hyun, qualcosa di così buono che mai le avrebbe permesso di dubitare della sua genuinità, nel caso le avesse rivolto qualche frase trita e ritrita. Che lui era davvero il classico bravo ragazzo, che dietro quel volto da assassino della Yakuza si celava una persona sempre disposta a sorriderle anche quando con il suo grigiore avvolgeva la loro relazione, che dietro la sua notorietà c’era normalità, quella che perfino lei aveva dimenticato che sapore avesse…
 

-Non lo so- si massaggiò il collo –Non sono mai riuscito a capirlo…-
 

E sapeva di birra gelida fra le mani, di brezza che scompigliava loro i capelli, di una primavera che cominciava a schiudersi davanti i suoi occhi e di confessioni appena percettibili e che sapevano di tequila, ma che le tarparono il respiro…
 

-Non sei banale, sei diversa-
 

Sapeva della sua mano che cercava la propria, sentirla fredda e incerta mentre ricambiava la stretta, sapeva del suo sguardo scuro e acuminato ma mai lacerante, sapeva di affetto sincero e che un po’ intimoriva …
 

-Sei molto meglio di ciò che credi.-
 

Sapeva di tutto ciò che l’aveva sempre spaventata.

Lo sguardo di Lin annegò nel suo per un istante indefinibile di tempo, cullata dal suo pollice che si ostinava a disegnare cerchi sul dorso della mano congelata. Se non avesse intrecciato le loro dita, forse non sarebbe riuscito a trattenerla, giacché l’ansia di una possibile dichiarazione stava cominciando a farla cadere in uno stato di nero terrore. Ma se rimase lì, fu solo per quella sua stramba visione delle cose: che lei non si considerava abbastanza e allora al Diavolo ciò che lui pensava, lì l’unica cosa che contava era ciò che Lin pensava di sé stessa. Seung-Hyun si metteva da parte, come sempre, l’anteponeva a tutto, per motivi a lei oscuri. Bastò davvero poco per sentirsi smarrita, soprattutto perché la sé stessa indifferente cominciava a bisticciare con quella parte a lungo accantonata in un angolo, dando per scontato che fosse sempre lì presente. Che era un insieme di affetto, emozioni, bontà. Tutte cose che non le erano mai servite e che lui continuava a prendersi senza chiederle il permesso, senza restituirgliele, come se avesse trovato la chiave di quelle catene e fosse riuscito a scacciare tutti i suoi fantasmi.

Avvertì le sue labbra sulla fronte, la mano libera fra i capelli corvini mai in ordine, il battito accelerato del suo cuore quando poggiò l’orecchio sul suo torace, in quella parvenza di abbraccio che sembrò racchiuderla dalle intemperie del proprio minuscolo mondo. Sarebbe rimasta lì a lungo, avrebbe voluto dirgli che con lui si sentiva protetta come mai dopo tanto tempo, che la serenità scappata a bordo di un taxi giallo sembrava essere ricomparsa più forte e potente di prima, sussurrandole una miriade di scuse che mai avrebbe pensato di poter ricevere. Ma si trattenne, incapace anche solo di poter pronunciare simili parole che continuavano a restare rannicchiate agli angoli della bocca, dondolandosi e ostinandosi a non volersi spargere nell’aria fresca.

Lasciò andare la sua mano e le parve di lasciarsi andare alla paura, ma quando sollevò il capo e incrociò il suo sguardo, si rese conto che non glielo avrebbe permesso, che c’era ancora tanto, troppo da dire e fare in quella notte che sembrava voler dare loro una possibilità in più. Quale questa possibilità fosse, a Lindsay sfuggiva. Forse c’entrava con il mucchio di confessioni che lui reprimeva, ma gliele si potevano leggere negli occhi velati di ebrezza e sincerità; forse c’entrava con le confessioni che lei avrebbe dovuto concedergli, solo per rendersi un po’ più trasparente, per correttezza nei confronti di quel ragazzo che l’aveva accettata per il caos che era; forse c’entrava con il sesso che mai era riuscito a sfociare, al desiderio folle di sapere come le labbra di Seung-Hyun avrebbero carezzato il suo corpo, come sarebbe stato vedere il suo sguardo scorrere su ogni più minuscolo lembo della sua pelle mentre le mani ne tracciavano ogni tratto con minuzia e delicatezza, avvertire i loro corpi incastrarsi come se fossero nati per quel momento, risvegliarsi con il suo odore forte sulla propria pelle… C’entrava con loro e allora i forse andavano bene vicino ai tutto il resto non aveva importanza e da nessun’altra parte.

Quindi accantonò i forse, le possibilità della vita e si fece più vicina, pur restandogli distante con la mente e con il cuore, che quelli proprio non se la sentiva di lasciarseli alle spalle.

Era nell’inverno della propria vita, Lindsay, quando si rese conto di avere un dannato bisogno di quegli abbracci che si trasformavano in sesso. Era da un po’ che non ne sentiva l’urgenza e, cacchio, mai le si era presentata così pulsante. Perché con Seung-Hyun stava bene, non aveva bisogno di spogliarlo per provare qualche emozione. Era strano da dirsi e anche banale, ma quando lui sorrideva, lei poteva avvertire la terra mancarle sotto i piedi.

Ma adesso poteva udirla, squarciante e inappagata, che le stritolava lo stomaco e le fece venire i brividi al pensiero di poter avvertire le sua ossa sotto le proprie mani senza vestiti a fungere da barriera. Quella fame di stringere e venir stretta, di udire il suo respiro farsi sempre più spezzato mentre i loro nomi divenivano l’unico sottofondo accettabile, avvertire l’anima straziarsi come se fosse l’ultima notte sulla Terra, il suo ultimo ricordo di Seoul. Provare, per una volta, l’impercettibile sensazione di affetto che si diramava sottopelle.

Aveva voglia di dimenticare del mondo fuori dalle loro braccia, di dimenticarsi. E dimenticarlo, perché no?

Avvicinò il volto ma non ebbe bisogno di fare molta strada, giacché Seung-Hyun aveva azzerato ogni distanza. E più che dimenticarsi di sé stessa e tutto il resto, fu come perdersi senza voglia di far ritorno a casa.

Il suo respiro che sapeva di tequila andò a mescolarsi al proprio, speziato di birra e frasi taciute, così scomode da pesarle sul fondo del cuore. Come che, incredibile ma vero, trovava i suoi capelli di una morbidezza tale che le dita sembravano perdersi per il semplice gusto di non lasciare più quei fili scuri; che la delicatezza che riponeva nel baciarla o anche il solo sfiorarla, nessuno l’aveva mai adoperata; che si sentiva una ragazzina impacciata alle prese con il primo ragazzo che le faceva la corte, quando ai suoi piedi c’era uno stuolo di pretendenti che avevano sempre un posto per lei nei loro pantaloni; che non si era mai sentita così bene, che quando la baciava la paura si eclissava all’ombra del suo cuore che batteva incessantemente…
 

-Seung-Hyun…?-

-Mh?-
 

Che doveva lasciarselo alle spalle. Il tempo di dare una svolta alla propria vita con un esame che forse davvero gliel’avrebbe cambiata. Doveva dirglielo, non si meritava le sue bugie.

Ma la vita era così. Un po’ stronza, un po’ annoiata e mai dalla sua parte. Le piazzava davanti certi sguardi e poi pretendeva che li dimenticasse. E lei soffocò, furono le parole che non voleva dirgli a farle mancare l’aria. Che un insignificante Devo tornare in America per fare un test alla Columbia, sarebbe stato solo il preludio della più grande catastrofe della sua vita da ventiduenne e non le parve così magnifica la visione di lui che se ne andava incazzato sbattendo la portafinestra, rischiando di far crollare a terra il vetro che, con l’urto, si sarebbe inevitabilmente rotto. O forse a fare crack sarebbe stato il suo cuore, non riusciva più a distinguere le cose con chiarezza.

Era la birra, doveva essere quella maledetta a farla sentire completamente inadeguata mentre le labbra di Seung-Hyun si depositavano con morbidezza sulla fronte. Era lei che continuava a darle il tormento, a parlarle mentre avrebbe solo voluto svuotare il cervello da ogni pensiero o problema, a chiacchierare davanti una tazza di the con la sua coscienza che sembrava sul punto di esplodere…
 

Prima o poi dovrai dirglielo…

 

Torno a New York…
 

-Oi? Che c’è?- le baciò il collo, l’orecchio, le strappò un granello di lucidità…

Se non è così importante…

Vado alla Columbia, devo fare un test…
 

-Sei strana...-

Perché tutti questi problemi?

-Cosa c’è che non--

-Macchina o camera da letto?- lo aveva sussurrato sulle sue labbra, il fiato corto e l’ebrezza che cominciava a fondersi al suo buonsenso, dentro sé l’estrema urgenza di sopprimere quel fiume di pensieri contrastanti tra loro avendolo completamente. E ciò la fece restare in bilico sul filo della ragione, che forse avrebbe finalmente scorto la sua follia e avrebbe deciso di tenersene ben lontano, che il suo animo tormentato non era poi così interessante come spesso le aveva ripetuto.

Che lei era banale, tutto qua.

Che lui era uguale a tutti gli altri, doveva esserlo.

Si sarebbero scambiati le ossa, le anime, si sarebbe vestita del suo odore per qualche ora, quel briciolo di raziocinio che ancora non li aveva fatti spogliare dei loro abiti e dei loro freni e che li teneva in equilibrio su quella linea che divideva i giochi da tutto ciò cui lei rifuggiva.

E Lindsay si disse che non avrebbe rimosso quel momento di bellissima sospensione, che mai le era capitato di vedere un ragazzo pensare seriamente a che risposta darle. Il suo sguardo sembrava dirle Sei sicura? Non vuoi aspettare?, le sue mani che continuavano a tenerla per la vita sembravano volerle dire Posso aspettarti, non c’è fretta, le sue parole mai versate sembrarono volerle dire Meriti più di una macchina o una camera da letto. Ma niente di tutto ciò giunse a farla rinsavire, nulla sembrò spezzare quell’attimo di smarrimento in cui entrambi sembravano navigare.

E poi lo sentì, appena udibile e scalfente –Macchina…- la sua incertezza la infilzò, prendendola in contropiede, ma la sua richiesta fu talmente implorante da lasciarla ipnotizzata. Che la voleva, la desiderava più di ogni altra cosa.

E infine la guardò. Di quegli sguardi che parlavano per lui, perché non sapeva cosa fare o dire, che sostituivano qualsiasi parola vuota o gesto sfibrato…
 

-Ovunque. Lontano da qui.-
 

Che voleva trattenerla un altro po’. Solo per un po’.

 

*****

 

Il tempo era sospeso, fermo, immobile.

Fatto di baci talmente delicati da apparire effimeri, fatto di parole bisbigliate talmente piano da risultare inudibili, ma lasciavano dietro sé ondate di smisurato piacere che si diramavano per tutto il corpo. Fatto di sguardi che si cercavano, si perdevano, poi tornavano a cercarsi, quasi non potessero restare separati così a lungo. Fatto di respiri che avevano cominciato a librarsi all’unisono, in quell’armonia di piacevolezza che da anni non tornava a fargli visita.

Mai Seung-Hyun aveva pensato che i suoi sogni si sarebbero realizzati in una notte di inizio marzo, nella sua auto, lontano dalla baraonda di quella festa che aveva bollato come noia. E ora la sua Lin era lì, a cavalcioni su di lui, spoglia della maglietta e di quel velo di angoscia che non l’aveva abbandonata per tutta la nottata. Perché l’aveva letta, l’afflizione, su ogni più piccolo lineamento di Lindsay, l’aveva vista nel suo ostinato mutismo, nella sua ricerca perpetua della solitudine quando perfino il caos sembrava volerla trascinare dentro sé. Gli era parso, per un misero istante, di vederla allontanarsi a spalle ricurve, quasi un enorme segreto ne appesantisse la sfibrata gracilità. Aveva addirittura temuto di essere lui la fonte dei suoi problemi.

E diamine, Dio solo sapeva quanto Lindsay avesse bisogno di essere sorretta. Era la rovina di sé stessa e nonostante tutto, perdurava nel consumarsi fra qualche birra e un silenzio che le avrebbe fatto da padrona. E che nemmeno tutti i Vuoi che torno dopo?, di questo universo sarebbero serviti. Ma davvero, era bastato solo quello per permettergli di entrare nel suo minuscolo ritaglio di quiete. Era incredibile come fosse diventato semplice riuscire a convivere con il suo disordine, imparare a farsi andar bene la sua innata capacità di non provare nemmeno a riordinare l’androne della propria esistenza, quasi se ne fregasse della gente che avrebbe potuto criticare i suoi disastri.

Perché Lindsay si circondava di disordine, ma ci avrebbe volentieri convissuto.

Ricordava come la schiena avesse perfettamente aderito al sedile, permettendole di accoccolarsi come un felino che ha trovato un giaciglio sicuro; ma ancora di più, ricordava la perfezione con cui Lin si incastrò fra le sue braccia. Sì, Lindsay si incastrava, era questa la sua abilità. Si era incastrata nella sua vita come una spina nel dito che nemmeno delle pinzette sarebbero riuscite a togliere; si era incastrata fra i suoi pensieri e aveva deciso di non lasciarli più, di abitarli, farli propri, divenirne la protagonista e lui era uno spettatore troppo pigro per cambiare canale; si era incastrata fra i suoi sentimenti e aveva cominciato a tessere ragnatele di confusione così spesse da divenire intagliabili.

Si era incastrata nella sua vita, come un tassello di puzzle mancante che dava una completezza a quel vago senso di vuoto che a lungo lo aveva attanagliato. Che lo aveva definito, che non lo aveva più fatto sentire una macchietta priva di significato.

Che la parte peggiore di Choi Seung-Hyun era bella tanto quanto quella migliore. E Lindsay ad ogni bacio, ad ogni tocco, ad ogni sorriso appena accennato che mozzava il fiato in gola, nemmeno si rendeva conto di stargli strappando tutto. Avrebbe voluto chiederle di lasciargli almeno il cervello, per ricordarsi di tutto quello quando gli avrebbero chiesto Qual è stato il momento più bella della tua vita?, e tornare a sorridere nel rivederla scivolare fra le sue memorie sgualcite dallo scorrere del tempo, e sentire il cuore battere per fargli percepire la sua sciocca presenza, rammentandogli che alla fine si andava avanti.

Con o senza di lei.

Perché il fatto che stessero per varcare le soglie della loro più celata intimità, non significava forse avvicinarsi al baratro dell’epilogo? E se lei, una volta entrata nelle sue più nascoste paure, avesse deciso di non farne parte, non sarebbe stato come chiudere definitivamente quell’io e te che, diamine se per lui lo era, stava diventando un noi? E mentre avvertiva la sua schiena stretta tendersi sotto le proprie mani che la percorrevano in leggeri tocchi, risalendo, si disse che quel pesante noi non avrebbe avuto lo stesso sapore se il volto di lei non fosse stato quello di Lindsay, che quel noi sarebbe stato un suono talmente brutto da divenire impronunciabile.

Si frustrò al pensiero che certe visioni prendessero forma proprio mentre Lindsay gli stava lambendo il collo di baci e morsi, ma più le sue mani continuavano a portarsi via i suoi gemiti, più cominciava a perdere il controllo. Ogni suo tocco appena pronunciato, mai marcato, era un colpo al bassoventre. Mai, da quando l’aveva conosciuta, era stato sospinto da un desiderio così viscerale di farla propria. Mai con nessuna, ad onor del vero. E quando lo coprì con quella marea di capelli corvini che continuava a stringere fra le dita, ogni domanda svanì, venne accantonata mentre il piacere cominciava ad offuscargli la vista.

Si smarrì quando il suo bacino collise con il proprio, strappandogli forse più di un rauco gemito e un incessante mordersi il labbro inferiore mentre gettava la testa all’indietro, i pantaloni troppo stretti per i suoi gusti. Ma Lin non sembrava intenzionata a farlo perdere completamente, quasi lo stesse torturando per il suo essersi adagiato nella sua esistenza, per aver faticosamente cercato di entrarne a far parte anche se solo come misero contorno.

O forse lei era così, che concedeva sé stessa per ritrovarsi.

Lindsay era quel tipo di donna che fra le braccia di un uomo, non andava da nessun’altra parte. E non parlava del senso fisico della cosa, quanto più di quello mentale. Lì, in quell’auto, su quel sedile posteriore, era con lui e per lui, al Diavolo tutto quei ragazzi che scalfendola l’avevano resa la sua Lindsay, che forse avevano disperatamente tentato di sottrarle un po’ d’amore, senza rendersi conto che lì l’unica a portarsi via qualcosa era sempre lei, mai il contrario. E avrebbe voluto chiederle di aspettare, di pazientare perché proprio il suo cuore non voleva smetterla di battere così forte. E avrebbe voluto chiederle Ma davvero non lo senti? Davvero non senti che sta per esplodere?, perché lui poteva avvertilo come mai prima di allora, talmente tanto rumoroso che perfino la musica di sottofondo diventava inesistente.

E lei forse se ne era accorta, perché si era fermata e non lo aveva più lasciato andare con quella muta richiesta di non tirarsi indietro.

Lo sguardo di Lin era impenetrabile. Non riusciva a divincolarsi dalle sue iridi nocciola che non perdevano di vista le proprie, velate di passione e quel pizzico di timore per ciò che, inevitabilmente, sarebbe accaduto. E mentre le sue dita affusolate si apprestavano a sfilargli il primo maglione di una lunga serie, Seung-Hyun si rese conto di quanta eroticità vi fosse in quel momento sospeso sulle note di Bad Boy.

I respiri che riempivano l’abitacolo e si erano mescolati alle note delle sue canzoni, i finestrini che si appannavano quasi volessero nascondere i loro corpi che non smettevano per un istante di sfiorarsi, la delicatezza di Lin nello sfilargli il secondo maglione senza fretta, come se tutto il tempo del Mondo fosse a loro completa disposizione, mentre veniva gettato lontano. E avrebbe voluto che il Mondo si fermasse, consentendogli di imprimere nella propria memoria ogni singolo fotogramma di quello che Ji Yong avrebbe definito il miracolo della natura. Lui preferiva definirlo miracolo e basta, senza sottigliezze ad imbellirne l’aspetto già di per sé fantastico; del resto l’attesa snervante di averla tutta per sé lo stava ripagando come nemmeno nelle sue più fervide e libidinose fantasie.

Mai la voce di Lindsay gli era parsa così dolce in quei sussurri appena accennati, le labbra che si muovevano sfiorandogli l’orecchio. E lui non aveva potuto fare nient’altro se non lasciarsi guidare dalle sue mani esperte, dalle sue movenze così spontanee da spingerlo a chiedersi come mai, tra loro, l’unico ad avere una fottuta boia fosse lui. In un momento di scarsa lucidità, quando le dita di Lin erano andate ben oltre la sua immaginazione, avrebbe voluto sussurrarle con tutta onestà e rochezza quando fosse ormai sul punto di innamorarsene.

Perdutamente, con tutta la disperazione che aveva in corpo, spinto da quella vocina chiamata certezza che continuava a ripetergli quanto mai e poi mai sarebbe riuscito a trovare una ragazza come lei. Un’amica, un’amante, l’unica in grado di farlo sentire Choi Seung-Hyun. E non era poco. Se per anni venivi chiamato da tutti Top, era normale ritrovarsi piacevolmente sorpresi quando un’americana simpatica come un calcio nelle palle gli dimostrava ampliamente quanto poco gliene fregasse del suo rap fluente, della folla adorante che gridava il suo nome e gli lanciava pure qualche reggiseno e della sua villa con piscina.

Lei aveva raschiato il fondo della sua notorietà, facendosi andare bene quel ragazzo pieno di paturnie, con l’insicurezza di una ragazzina che iniziava a scoprire il mondo, abituato allo sfarzo e a quel credo che recitava Se sei bello, tutte ti vogliono. E lei non lo aveva voluto, l’aveva respinto facendolo morire più di quanto avrebbe pensato, poi era tornata per riparare al danno, aggiustando tutto. Dandogli una possibilità inaspettata e che gli era parsa come un miracolo.

Si chiese, mentre avvertiva il suo ventre sollevarsi e abbassarsi, come certe cose potessero inaspettatamente cambiare. Odiarla, trovarla l’essere più infimo che mai gli si fosse presentato innanzi e volerle bene, apprezzarla, ritrovarsene così invaghito da perdere il lume della ragione. Un lume che si stava spegnendo piano piano, come una delle tante candele che sua sorella aveva sempre acceso di notte e puntualmente andavano estinguendosi nella leggera brezza notturna di un’estate ormai passata.

Si chiese cosa sarebbe accaduto se Lindsay non si fosse presentata a casa sua, quel piovoso giorno di inizio febbraio.

Si chiese dove sarebbe lui, ora, se gli altri non lo avessero costretto a rincorrerla al Tribeca.

Si chiese se davvero fossero destinati o se quella botta di fortuna poteva definirsi Jiongisticamente puro e semplice culo; si chiese se il Karma lo stesse ripagando per il suo essere buono e paziente; si chiese se la vita lo stesse premiando per i sacrifici che aveva fatto. Si chiese tante, molte cose mentre le dita fini di Lindsay risalivano sulle sue braccia ormai scoperte, ma mosse ancora il bacino e tutti i si chiese andarono svanendo, sparpagliandosi come foglie al vento d’autunno.

Si diceva spesso che prima di morire, si rivedevano le immagini della propria vita in un flash. Le gioie, i dolori, i momenti significativi, tutti mescolati in una sequenza di fotogrammi talmente veloci da sparire in un battito di ciglia. Forse era per questo, forse stava morendo mentre Lin continuava a torturargli il lobo dell’orecchio con piccoli morsi…
 

-Forse ti stai innamorando e nemmeno te ne sei accorto.-
 

O forse, quando ci si innamorava, si rivedevano tutte le scene di quel film sbiadito che era stata la loro conoscenza. Come fotogrammi di una 8mm dimenticata in un polveroso e buio cassetto di quella camera da letto chiusa ermeticamente, che poi era il suo cuore ora in procinto di esplodergli in petto mentre Lin lasciava che le sue mani si avventurassero per il suo corpo fremente.

Si morse la lingua pur di cacciare indietro tutte le parole che avrebbe voluto confessarle e che per punizione gli stavano raschiando la gola da cui solo rochi gemiti riuscivano ad evadere, avvertendo tutti i sentimenti collidere tra loro, e spaventato al pensiero di rovinare tutto con qualche dichiarazione improvvisa, timoroso che il suo corpo aderente al proprio non fosse altro che una chimera, la strinse a sé con quanta più forza avesse, baciandola, sperando il suo respiro potesse mescolarsi al proprio e trarlo in salvo, che ormai l’aria cominciava a mancargli.

C’era dolcezza nelle sue labbra carnose, c’era delicatezza nelle sue lente carezze che gli procuravano mille brividi di pungolante piacere, una dose di sensibilità che mai aveva pensato Lindsay potesse possedere, lasciandolo ogni volta lambito da quell’inspiegabile calore che lo faceva sentire completo.

Le sfilò il reggiseno, avvertendola tremare come una foglia d’autunno fra le proprie braccia; fece scorrere i polpastrelli sulla sua pelle liscia percependoli bruciare ad ogni tocco leggero, lasciò scivolare le mani dal seno al ventre, alla sua schiena, facendola aderire a sé con bramosia sempre più opprimente. Sentì il suo seno premergli contro il petto, dando il via ad una scarica di brividi che gli annebbiarono la mente, costringendolo ad allontanarsi dalle sue labbra rosse per recuperare un po’ di aria, giusto il tempo di sbattere le ciglia mentre gli occhi cominciavano a divenire lucidi per il piacere irrefrenabile di lei.

E Lin gli sorrise. Di quei sorrisi rari e meravigliosi che gli donava di rado, solo in occasioni che davvero ne richiedevano l’urgenza. Di quei sorrisi così abbaglianti da divenire inguardabili per la troppa bellezza, quasi ne fosse indegno. E gli piacque da morire, come mai prima di allora. Con i capelli sciolti e scompigliati che sembravano richiamare una delle tante fantasie che aveva avuto su di lei e che aveva occupato i suoi sogni che puntualmente si eclissavano sotto il getto di una doccia gelata; con il trucco sbavato che le conferiva un’aria da bambola di porcellana gettata in un angolo e data per scontata mentre lui avrebbe voluto continuare a ripeterle, in un’infinita cantilena, quanto lui mai avrebbe permesso ciò. Che l’avrebbe riposta sul comodino più in vista, l’avrebbe collocata in una teca di cristallo e l’avrebbe mostrata orgoglioso al mondo intero. L’avrebbe protetta.

Che quella bellezza ora seminuda che gli stava togliendo l’ultima maglietta, era sua e di nessun’altro e non avrebbe più permesso che la paura o addirittura l’amore potessero procurarle altre ferite. Aveva sofferto troppo, Lindsay. Si meritava qualcosa di più del suo semplice rispetto.

In un attimo di totale blackout si ritrovò con la vista appannata e solo quando il freddo improvviso del panico gli contorse lo stomaco, si rese conto di come ormai la maglietta fosse un ricordo lontano. Lì, a terra e sgualcita, come tutte quelle memorie che aveva cercato di accartocciare pur di non lasciarsene sopraffare. Continuava a fissarla, a tenere le mani ferme e frementi sulla sua vita sottile, incapace di dirle qualsiasi cosa, sperando che i suoi occhi nocciola non cominciassero a scorrere sul suo corpo. E non lo fecero, non si allontanarono per un attimo dai suoi. Avvertì i polpastrelli di Lin sciare sul suo ventre e per un istante gli venne in mente che se si fossero spinti oltre, probabilmente non sarebbero più potuti tornare indietro. Nessun Aspetta sarebbe stato tollerato, nessun Fermati sarebbe stato perdonato.

Fu strano pensare una cosa del genere proprio in quel momento, ma si rese conto che nei loro gesti c’era una consapevolezza che prima non avevano adoperato. Che questa volta niente e nessuno li avrebbe interrotti, che erano stanchi di rimandare ogni volta, di spingere un po’ più in là quello sfrenato desiderio di potersi assaporare. E poco importava se questa sarebbe stata la loro prima ed unica volta. Si volevano, il resto sarebbe arrivato dopo.

Chiuse allora gli occhi, cercando di esiliare i complessi e le paure che continuavano ad appesantirgli le spalle, il cervello e il cuore, riaprendoli quando sentì l’inconfondibile rumore della cintura che veniva sfilata. Con un gesto impulsivo strinse i polsi di Lin con forza, continuando a fissarli con timore crescente. Era davvero disposto a spingersi così in là? Era davvero pronto a lasciarla entrare?
 

E’ più intimo far entrare qualcuno

nelle proprie paure che nel proprio letto.-
 

Era pronto a innamorarsi di nuovo dopo così tanto tempo?

Aveva paura, darle libero accesso in quella vischiosità significava non farla più uscire. E tenere stretto a sé il ricordo di qualcuno che non lo avrebbe voluto, non avrebbe fatto altro che divorare lentamente la sua anima. Non ora, non domani, forse in un futuro talmente tanto vicino che poteva distinguerne chiaramente i contorni. E fu come arenarsi, fu come chiedersi quale fosse il senso della sua esistenza se il suo senso se ne sarebbe presto andato via perché disturbato da una relazione dove uno cominciava a farsi pretendere troppo.

Annegò nei suoi occhi nocciola che non avevano smesso per un istante di carezzargli il volto. Nessuno sbuffo giunse dalle sue labbra carnose, nemmeno un sospiro che avrebbe preannunciato un suo secco Torniamo a casa seguito da un probabile E’ meglio se la smettiamo qui. Con te mi annoio, perché, diamine, c’era davvero da annoiarsi con lui. Si frequentavano o qualcosa di vagamente simile da qualche mese e ancora non avevano fatto un’uscita decente che non contemplasse l’utilizzo di occhiali da sole, sciarpe e fughe da fan impazzite; avevano avuto molte occasioni per potersi rotolare sotto le lenzuola, concludendo il tutto con un nulla di fatto. E Lindsay Moore, giusto per intenderci, quella che probabilmente passava prima fra le coperte di un uomo e poi gli chiedeva il nome, si sarebbe sicuramente stancata di questo suo tira e molla da ragazzina. E si sarebbe svigorita prima del dovuto. Perché non era portata per condividere i problemi degli altri, i suoi erano stati talmente tanto pesanti che ancora ne portava i segni.

E immancabilmente, finiva col contagiare chi la circondava.

Lasciò la presa e si stropicciò il volto, incapace di gestire quella situazione che tanto aveva sognato. Incredibile come la realtà potesse essere così spaventosa.

Leggero e vellutato, un -Seung-Hyun…- lo colpì in pieno petto, costringendolo a farsi spazio fra i propri timori per incrociare il suo volto, cosparso di un sorriso che non credeva sarebbe spuntato, non giunti a quel punto e che gli diede il presentimento di un addio -Dovresti rilassarti.- ma che fu solo un intervallo, una pausa fra i loro tremiti.

Le mani di Lin si aggrapparono alle proprie, guidandole fino alla sua vita stretta, permettendole di farsi più vicina, con accortezza, quasi avesse il timore di allontanarlo. Le sue braccia intorno al collo, le dita affusolate fra i capelli neri e lui racchiuso nel suo abbraccio che trasmetteva calore e comprensione, facendolo sentire ancora più inadeguato.

-Guarda che l’ho già fatto, eh.- rimbrottò brusco, mordendosi la lingua per la sua totale coglionaggine. Ma quanto era scemo? Lei lo trattava bene e lui, per tutta risposta, si comportava da permaloso. Si odiò, sul serio. E se lo avesse odiato anche lei non avrebbe potuto di certo biasimarla. E odiava anche la tequila che continuava a mettere alla berlina quel casino cosmico che erano le sue emozioni, mentre la lucidità cominciava a relegarsi in disparte.

E odiò anche lei perché non paga di starlo rendendo un rincoglionito, rise leggera, cristallina, perforandogli l’orecchio destro su cui le sue labbra erano librate, per poi sussurrare un morbido –Lo so.- che salvava tutto, in quel momento; le sue ansie, le sue paure, i suoi timori, e che gli fece comprendere come avesse ben colto i semi della sua scarsa autostima.

-E se stessimo sbagliando?- lo aveva pronunciato sulla sua spalla, lasciandosi inebriare dal profumo di pesca che emanavano i suoi capelli, così fini da solleticargli il volto. Avrebbe voluto immergercisi tutta la notte se ciò significava spingere più in là quel momento.

Ma Lin rise ancora. Di quella risata cristallina che gli beava l’anima, gli distendeva i sensi e lo costringeva a sentirsi un cretino colossale –E’ solo sesso. E’ una delle poche cose che so di non poter sbagliare.-

Già, sbagliare. Avrebbe voluto rinfacciarle quanto fosse stato un errore, da parte sua, vegliarlo dopo essersi comportata da stronza, quanto avesse sbagliato nello sceglierlo fra i tanti che di sicuro sarebbero stati più bravi in quel giochetto che lo stava portando all’esaurimento. Ma scostò i capelli dal suo volto, studiò le sue lentiggini tracciandone disegni immaginari, scrutò i suoi occhi nocciola alla ricerca di un barlume di timore, cosicché potesse smettere, ma mai Lin gli parve così sicura. E allora cercò mille scuse ma nessuna gli parve congeniale, accampò mille motivi pur di adagiarla sul sedile e recuperare i vestiti, ma tutti si rifiutavano di andargli in contro. Era banale a dirsi, ma Lin stava cominciando a rappresentare quello sbaglio madornale che almeno una volta nella vita andava compiuto e puntualmente, pur avendo la possibilità di cambiare la carte in tavola, lo si ricommetteva.

E si arrese, con un sospiro che avrebbe dovuto allontanarla –Io penso—
 

Non devi pensare--
 

Un ordine sussurrato a fior di labbra, incrinato nella sua fermezza…


-Dimenticati di tutto...-


Una richiesta premuta sulle sue labbra, che la fece restare, che lo costrinse a rimanere...

 

-Dimenticati del mondo, per un po’. Ti prego.-
 

E lui perse la testa, smarrì ogni paura e si dimenticò di tutto il resto che non era loro.

Lin gli rivolse un breve sorriso e prima che potesse anche solo scollegare il cervello, si ritrovò a stringerla a sé in un muto abbraccio, che a parole non se la sentiva di dirle grazie. Le mani di Lin si posarono sulle proprie, aiutandolo nella lenta discesa dei suoi jeans skinny mentre avvertiva il cuore pulsargli in gola nello scorgere le sue mutandine di pizzo nero.

Perché non sapeva dove sarebbero arrivati e accantonò anche la paura di perderla quando venne spogliato di ogni abito, di ogni paranoia, perfino della sua essenza. Accantonò il timore di non essere abbastanza quando l’abbracciò nella sua nudità, quando la sua pelle diafana si mescolò alla propria, olivastra e rovente, quando la guardò e si disse che niente di più bello aveva colorato la sua vita.

Fu come perdersi quando le sue ossa vibrarono sotto le dita, quando soffocò il suo nome fra i suoi capelli, sulle sue labbra, sul suo seno, quando annegarono nel piacere, quando avvertì l’anima vibrare ad ogni spinta, ad ogni colpo di bacino, ad ogni bacio, ad ogni sussurro incrinato…

 


 

Fu come se il Mondo, per un po’, si fosse davvero fermato.

 

 

 

 

 

A Vip’s corner:

*Heaven usa DissolvenzaDiPowerPoint su temibile Sex Scene… E’ super efficace*

Mi riscuso per il ritardo. Ho avuto serie difficoltà a stendere questo capitolo non per mancanza di tempo o ispirazione. Ero e sono stanca, sono piuttosto frustrata e demotivata, tanto da chiedermi cosa mi spingesse a portare avanti Something, abbiate pietà di me e delle mie crisi depressive che si sono riversate nel capitolo. Capitolo che, stranamente, mi piace. Anche questo, credo sia uno dei pochi a convincermi in ogni POV. Ho amato, ma amato per davvero, i POV di Top e Lin. No, niente di personale, solo che i loro pensieri sono usciti come volevo io, con le parole che volevo io e quindi sono contenta. GD è psicopatico ma è di una stronzaggine amorevole. Amatelo anche voi come lo amo io, amen.

Vorrei concentrarmi sull’orrida pseudo sex-scene richiamando gli angeli in coro affinché cantino un glorioso Aelluja. Sì, lo hanno fatto e sì, sono riuscita a non descriverla ♥ Per chi si aspettava una scena di sesso sfrenato et spinta, mi spiace, ma non è mai stata nei miei piani e soprattutto non era mia intenzione scriverla. Davvero, ci ho provato ma è stato uno sfacelo D: Mi sembrava una pessima canzone dei Modà. Non me ne vogliano le fan dei Modà, ma a me tutte quelle mani che si inseguono nella notte mi inquietano non poco D:  Credo che questo sia uno dei miei limiti. C’è chi riesce, c’è chi no. Io proprio no. Ecco, parlando seriamente di questa scena: ero combattuta se farla avvenire come è avvenuta. Nella stesura originale doveva essere sì Lindsay a prendere l’iniziativa, ma non con quel Macchina o camera da letto. Doveva avvenire tutto in maniera molto naturale, anche se non ad una festa, ma posso dire che questa scena mi piace, non tanto perché mi sa di reale, dati i miei standard, ma perché è ciò che la mia Lin avrebbe detto. Quella frase credo rispecchi appieno il personaggio che ho creato e arrivata a fine stesura non me la sono sentita di cambiare le carte in tavola. Insomma, è Lindsay e questo mi basta ♥ E poi, io amo le scene che sfumano. Cielo, non fraintendetemi, adoro leggere scene a rating rosso, soprattutto quando scritte come il buon Dio Italiano comanda, ma da qui al riuscire a scriverle il passo è più lungo delle mie gambe e io non sono propriamente un gigante.

Comunque, se voleste dirmi quanto schifo ha fatto, lo apprezzerei volentieri ♥ Se notaste eventuali errori o sbalzi temporali strani fatemelo notare, per favore. Ho finito di stendere il capitolo all'alba delle 4,30 e ho il timore di essermi fatta sfuggire qualcosa, nonostante la rilettura da cima a fondo. Mi sareste d'aiuto. Ribadisco poi che come al solito, il capitolo è pieno zeppo di citazione di altri autori infinitamente più bravi della sottoscritta, indi per cui a loro vanno tutti i diritti e il mio amore incondizionato.

 

Alla prossima ♥

HeavenIsInYourEyes.

   
 
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