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Autore: _wayward    24/02/2013    1 recensioni
N. Cassella, soprannominato Cas, e G. Bellaria, chiamato Atlanta per motivi a noi tutt'ora imperscrutabili.
Una gita a Parigi, un numero considerevole di birre ed una discussione sulla grammatica italiana.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Autore: _wayward.
Titolo: La forza inaspettata delle figure retoriche ~
Fandom: Originale » Romantico.
Rating: Giallo.
Genere: One–shot.
Personaggi/Pairing: Cas/Atlanta, altri.
Parole: ~3869.
Avvertimenti: pre–slash.
Disclaimer: Tutto © mio, qualsiasi riferimento a compagni di classe e/o professori realmente esistenti è puramente casuale. Forse.
Note: 1) Scritta sul prompt “freddo” dei magici Faràs su COW–T3 #maridichallenge
2) La frase in francese a metà significa, letteralmente: "Così come non è facile nascondere il fuoco, non è altrettanto facile nascondere l'amore" ed è stata attribuita a Madeleine De Scudery.

Introduzione: N. Cassella, soprannominato Cas, e G. Bellaria, chiamato Atlanta per motivi a noi tutt'ora imperscrutabili.
Una gita a Parigi, un numero considerevole di birre ed una discussione sulla grammatica italiana.





~ La forza inaspettata delle figure retoriche


È ottobre e Parigi risplende – in quel suo freddo vento autunnale che fa alzare le gonne e volare via i cappelli – anche negli occhi di un liceale italiano in gita con la scuola.
Tre giorni, bella merda, praticamente si passa più tempo in pullman e aereo che in città; però qualsiasi scusa è buona per saltare ore scolastiche, soprattutto quelle della Crozzi, che ultimamente sembra più fuori che mai.
Tenta di osservare la Tour Eiffel – che, cavolo, non è così ben visibile da qualsiasi punto di Parigi come nei film – quando un braccio gli gira attorno alle spalle e lo tira lontano dalla finestra dell'albergo a due stelle, l'unico che si sono potuti permettere nonostante l'esorbitante cifra richiesta dalla scuola.
«Allora Atlanta, ti piace l'aria di Parigi?» gli urla qualcuno nelle orecchie – un qualcuno che riconosce fin troppo bene dal timbro della voce e dalla stretta soffocante.
Atlanta scoppia a ridere e annuisce, spingendo Cas lontano, senza ottenere tuttavia grossi risultati.
In quel momento Giovanni esce dalla doccia e si butta sul letto urtando Luca che sta trafficando con il cellulare.
«Oh, ragazzi, ma le avete viste quelle fighe quando stavamo passando vicino alla metropolitana?»
«Miiinchia!» Luca solleva la testa di scatto con un ghigno ben poco casto. «Ce n'era una che aveva due tette così!»
«Cavoli, prima di domani io me la voglio fare almeno una francesina» esclama Cas, dando un pugno sulla spalla ad Atlanta per enfatizzare la frase.
«Almeno una? Ma sentilo, il dongiovanni!» sbotta lui, diventando di quella tonalità bordeaux che da sempre lo caratterizza. «Sei un porco»
Cas ghigna e stanno tutti ridendo quando, pochi secondi dopo, un altro ragazzo entra nella stanza.
«Bella, chi è il porco qui? Che si sente tutto quello che dite, dalla nostra stanza...» chiede Massi, dando quasi la porta in faccia a Giovanni che nel frattempo si era alzato per mettersi i pantaloni.
«No, comunque Cas non si fa proprio nessuna francesina, che già c'è la biondina di prima che mi ha chiesto se hai la ragazza»
«Bionda? Quale?» chiede Cas, interessato.
«Vedi te, quella che ti sei lavorato per tutta la mattina durante la visita alla chiesa»
«Ah sì, la Meri, anche quella...»
È tutto un gioco di sguardi e gesti fra questi diciassettenni allegri.
Felici, senza pensieri.
«Davvero, che poi tu ti fai sempre le primine che non si capisce manco perché...»
«Guarda che se vai avanti così fra un po' ti arrestano per pedofilia!»
Risate senza fine, una battuta dietro l'altra.
«E Giovanni, che l'anno scorso è andato con le due primine?!» sottolinea Cas facendo le virgolette con le mani.
«Vabbè, quella era l'eccezione. Che poi l'altra era venuta con me solo perché tu non c'eri più stato»
Botta e risposta che più semplici non esistono.
«Ah, è vero»
Ammissione, perdono, risate.
Atlanta ride con tutti gli altri, come sempre. Ogni tanto interviene, fa una battuta, dà uno spintone, una pacca sulla spalla e il gruppo gli viene dietro.
È tutto come gli altri giorni, non ha nulla di diverso quella sera.
Ma forse è perché sono a Parigi, perché sono due giorni che non tocca un libro e i professori non possono dirgli niente per questo, Atlanta si sente euforico.
Euforico e felice.
Non la felicità frivola e superficiale che ostenta solitamente, questa felicità gli parte dalla pancia.
Ha il mondo fra le mani ma non pesa e non può nemmeno romperlo perché assomiglia più che altro ad un palloncino; un palloncino che non esplode.
Cas non lo ha mollato un secondo, per tutta la serata.


È ancora sera, ma stavolta il gruppo dei ragazzi in gita, seguiti dai professori, si riversa in strada.
La cena è stata lunga e sostanziosa e ora non vedono l'ora di andarsene in giro per la città illuminata tranquilli, senza dover forzatamente prestare attenzione a musei, chiese e bizzarre strutture architettoniche.
Giovanni adocchia due ragazze con le minigonne vicino ad un negozio e gli lancia degli sguardi davvero provocanti ma poi passa oltre e raggiunge gli amici.
Massi gli si affianca e gli dà una pacca sulla schiena.
«Che gesto eroico rinunciare a due francesine»
Giovanni annuisce e finge di tirare su con il naso, afflitto.
«Davvero, Gio', è da questo che si capisce la vera amicizia!» esclama Luca, unendosi a Massi nelle condoglianze.
«Allora ragazzi, che vogliamo fare?» interviene Cas, continuando a camminare lungo la via pedonale, seguendo la massa di studenti italiani.
«Boh, quelli di quinta dicono se vogliamo unirci» dice Lobi, comparendo da dietro la schiena di Massi.
«Se, se, tu vorresti unirti a chi dico io di quinta, neh?» insinua qualcuno, a piena ragione visto che Lobi, con il suo annetto in più di tutti loro, è dal primo giorno della gita che ci prova spudoratamente con la secchiona gambe lunghe dell'altra classe.
Lui intanto sorride e scuote le spalle.
«Io ci ho provato» sospira.
«Comunque i prof ci danno un paio d'ore e hanno detto niente droga e niente alcol...»
«Allora non ci resta un granché: discoteca!» declama Massi, saltando.
«... né discoteche»
«Eccheccazzo!»
Tutti scoppiano a ridere alla smorfia di Massi, che ci teneva davvero ad entrare in una discoteca parigina almeno una volta, e anche Atlanta si lascia scappare un “che sfigato” riuscendo per un attimo a sfuggire alla morsa di Cas che da quando sono usciti dall'albergo cammina aggrappato a lui.
«Dài, forza! Siamo a Parigi, il modo di divertirci lo troviamo lo stesso» Luca batte le mani per tirare su il morale a tutti, nonostante Massi sia ancora deluso.
Ma anche la sua delusione sparisce quando, all'orizzonte – accolto dal gruppo come fosse l'elfo domestico che compare dal nulla per salvare Harry e compagnia dalle segrete di casa Malfoy nell'ultimo film di Harry Potter – compare una sala giochi.
Ci entrano quasi tutti, tranne quelli di quinta, andati a sbronzarsi chissà dove, ed è la prima, e probabilmente ultima volta in vita sua che Atlanta vede la Sbazzini, la prof di mezz'età che ha la capacità da far addormentare tutti i propri alunni durante le sue ore, imprecare contro un flipper.
Massi va a cambiare i soldi di tutti in gettoni, ormai è abituato a comprare da mangiare per tutti i compagni quando, all'intervallo, è l'unico che scende alle macchinette, e torna con le tasche che trasbordano.
Per la prima mano i ragazzi provano la maggior parte dei giochi.
Atlanta passa praticamente tutti quelli con le pistole e Cas lo segue a ruota, battendolo in quasi ognuno di questi.
Ad un certo punto, per scherzare, lo sfida ad una partita sul ballarò francese e Atlanta infine accetta, nonostante i vari borbottii e ritrosie.
Scelgono una canzone che conoscono bene, l'apoteosi della banalità: waka waka, e iniziano a dimenarsi – «Certo che ballare è tutta un'altra cosa!» esclama Massi, ridendo di loro – sui quadrati colorati.
In breve anche gli altri si ritrovano a circondare la pista e ad incoraggiarli nella loro sfida.
Ridono tutti ora, anche la Sbazzini ride e scuote la testa e probabilmente alla fine è riuscita a vincere, a quel flipper.
Quando la canzone finisce e i risultati dalla partita compaiono sul tabellone ormai l'ilarità è generale, tutti urlano e li incitano a fare un altro giro.
Atlanta, più rosso che mai, i risultati nemmeno li vede: viene travolto da uno dei virili abbracci di Cas, che gli stritola le spalle e gli sussurra direttamente nell'orecchio destro «Che bravi, eh?».
Il mondo palloncino nelle sue mani inizia a volare, Atlanta lo sente perfettamente, e lo porta in alto con lui.


Un paio d'ore, un numero impressionante di gettoni e quattro birre dopo, gli studenti vengono radunati dai professori e riportati in albergo come un gregge di pecore.
No, forse il paragone con le pecore non è proprio corretto.
Quando finalmente tutti i ragazzi e le ragazze sono chiusi nelle camere giuste i professori si ritirano nelle loro stanze, pur consapevoli del fatto che, fra non meno di venti minuti, gli alunni si saranno già mischiati a loro piacere.
Infatti è mezzanotte e venticinque minuti quando Atlanta, Cas, Luca e Giovanni sentono bussare alla porta.
Ne entrano Massi, Lobi e Andrea, che alla sala giochi si era appartato con la Marta di terza.
«Bella, neh, si festeggia?» sussurra Massi tirando fuori le birre dalle tasche.
«Certo che le tue tasche sono infinite» nota Giovanni, alzando lo sguardo dal cellulare – messaggia con una francese molto butch vestita di borchie da capo a piedi con cui ha fatto amicizia nella sala giochi.
Iniziano così a dividersi quelle poche birre portate da Massi, prima ridendo in silenzio, poi alzando progressivamente il volume.
Ad un certo punto escono in terrazza.
La terrazza è piccola è stretta ma loro se la fanno bastare, si siedono per terra a scherzare, con la strada statale vuota sotto e il cielo poco stellato sopra di loro.
Solo la luna si vede brillare, tutto il resto è avvolto da smog francese, eppure, quando Atlanta alza lo sguardo, pensa che è una notte splendida.
Alle due e quaranta, quando Giovanni deglutisce l'ultimo sorso di birra rimasto, la situazione è leggermente diversa.
Lui si sta praticamente addormentando con il cellulare in mano e un sorriso ebete – e un po' da fattone – sulla faccia, Lobi ormai è entrato e uscito dalla stanza almeno una decina di volte e, quando è rientrato per l'undicesima, aveva un succhiotto decisamente in vista sul collo e un alone di profumo da donna quasi nauseante.
Andrea si è chiuso in bagno, o a vomitare o a tirarsi una sega pensando alla Marta: gli effetti dell'alcol su di lui sono fin troppo evidenti.
Massi e Luca sono spaparanzati sul letto semi addormentati – con in mano ognuno una sigaretta che probabilmente non finiranno di fumare – mentre Atlanta a Cas sono gli unici ancora in terrazza.
Giovanni sente il cellulare vibrare, per l'ultima volta quella sera, e si addormenta con le parole della francese che gli tirano un sorriso.

Comme il n'est pas aisé de cacher le feu,
il n'est pas facile de cacher l'amour.

Atlanta si sente stanco, pesante e completamente ubriaco.
Pesante probabilmente perché Cas ormai ha abbandonato la testa sulla sua spalla da un po'.
Anche lui è ubriaco e ha gli occhi chiusi, però non dorme; Atlanta lo sa un po' perché il suo respiro non è ancora regolare come quello di un addormentato ma soprattutto perché ogni due minuti si ostina a portare la lattina di birra alla bocca, anche se questa è completamente vuota.
Ad un certo punto Cas si solleva velocemente, sbatte le palpebre con un'espressione contrita, guarda all'interno della lattina e, capendo finalmente che non contiene più alcun liquido, la scaglia poco lontano.
Atlanta lo guarda e sorride, è ancora bordeaux, anche se di meno e questa volta la colpa è veramente della birra.
Poi Cas si lascia di nuovo cadere all'indietro, si sistema meglio sulla sua spalla e gli passa un braccio dietro la schiena in un mezzo abbraccio.
Mezzo, sì, ma ad Atlanta, che diventa ancora più rosso nel pensarlo, sembra il più intimo che abbiano mai avuto.
Quando Cas parla sente il suo fiato sul collo.
«Che bella notte» gli dice.
Atlanta si limita ad acconsentire e chiude gli occhi.
Improvvisamente gli sembra tutto così ovattato che immagina di essere in una barca, a galleggiare sulle onde...
Sicuramente è la birra, però Atlanta ha proprio la sensazione di essere cullato.
«Mi piaci...» è solo un sussurro e la testa dell'altro si appoggia sopra la sua.
«… cosa?» chiede Atlanta.
«Mi piace il rumore di queste stelle» afferma Cas.
L'altro si ferma un attimo in silenzio e ascolta ma, per quanto tenda l'orecchio, non riesce a sentire nulla.
Deve essere la birra.
Ci riprova, chiude gli occhi e si concentra sul rumore delle stelle ma è il silenzio totale.
Alla fine si arrende.
«Non c'è»
«Cosa?»
«Rumore. Queste stelle non fanno rumore, Cas»
C'è silenzio da parte dell'altro per una manciata di secondi, infine arriva un debole “oh” in risposta.
«In realtà» insiste Atlanta. «nemmeno altre stelle fanno rumore. Le stelle in generale non fanno rumore»
Silenzio.
«...er...a u...a...fo...a» sussurra Cas infine.
«Eh?»
«Cosa?»
«Cos'hai detto?»
«Ah» Cas si schiarisce la voce e nel farlo Atlanta lo sente ancora più vicino al suo collo.
«Anafora»
«Che?» questa volta ha capito benissimo, solo che gli sfugge il significato della parola.
«Anafora» ripete Cas. «Quella lì, la figura retorica. Era un'anafora»
Atlanta ha ancora gli occhi chiusi ma li riapre e corruga la fronte; non è mai stato un genio in letteratura, comunque.
«Non mi pare un'anafora» dice, dopo un lungo percorso mentale sulle vie della retorica.
«È un'anafora» insiste Cas.
«No, invece»
«Ti dico di sì»
Le voci si alzano progressivamente, fino a tornare al loro solito livello, e ora tutti e due i ragazzi hanno gli occhi aperti, anche se non si sono mossi un millimetro dalla comoda posizione.
«Sono quasi sicuro che non sia un'anafora» continua Atlanta.
«E io sono sicurissimo che lo sia»
Atlanta tace.
«È un'anafora, quella lì, che dici le cose di sensi diversi»
«Lo so che cos'è» interviene Atlanta. «solo che non si chiama anafora»
«Eh sì invece» Cas improvvisamente si tira su e si mette seduto accanto a lui, per poi farlo spostare e passargli il braccio dietro le spalle così da poter appoggiare la testa vicinissima alla sua.
Atlanta non sa perché ma sente chiaramente le guance imporporarsi come al loro solito e, per mascherarlo, continua quella disputa sulla figura retorica.
«Non è piuttosto un ossimoro?» chiede, dando un colpo di tosse.
«Ma che ossimoro e ossimoro, quello è un'altra cosa»
«E cosa?»
Cas sbuffa spazientito e fa un gesto con la mano come per scacciare via una mosca.
Atlanta, invece, si lascia scappare un sorriso: sa benissimo che Cas non ha la minima idea di cosa sia un ossimoro – in effetti nemmeno lui ce l'ha, ma questi sono dettagli, si dice.
«È un'altra cosa» afferma infine l'altro. «questa ti dico che è un'anafora»
Poi entrambi commettono un errore.
Si voltano, tutti e due, nello stesso momento, e i loro sguardi si trovano incatenati l'uno all'altro come, direbbe la loro professoressa di filosofia, l'eraclitismo e l'eleatismo nei fisici pluralisti, come Socrate e Alcibiade o come gli atomi di Democrito, in costante movimento ma sempre attratti fra loro al fine di costituire la materia.
Più probabilmente – e questo è quello che pensa invece Atlanta – c'è qualcosa, nella birra che si è appena scolato, che fa brillare in un modo tanto... curioso gli occhi di Cas che non riesce a smettere di guardarli.
E anche per Cas deve essere la stessa cosa, visto che iniziano a passare i secondi ma nessuno dei due accenna a girare la testa.
«È un'anafora» la voce di Cas, non si sa come, è tornata ad essere poco più di un soffio. «È come se dico mi piace guardare il tuo profumo»
«O che mi piace ascoltare la tua pelle, o, non so, vedere il tuo sapore»
Le guance di Atlanta tornano ad essere bordeaux e lui, che si sente come se un batterista gli stesse suonando un ritmo fin troppo veloce nel torace, si chiede come faccia Cas a dire quelle cose con una faccia tanto da stupido quanto da innamorato in quel modo.
Infine Cas si sposta.
Ma non si sposta più lontano, si sposta più vicino e Atlanta va nel panico quando sente il suo respiro sulla bocca.
Non lo farà”, “E' troppo da gay”, “No, dài, è uno scherzo”, “Deve essere la birra”, “È sicuramente la birra”, “Non lo sta facendo”, “Quella col cazzo che era un'anafora!” pensa, praticamente in simultanea, quando Cas lo bacia.
E c'è poco da fare, perché Atlanta vorrebbe che fosse soltanto uno sfregamento di labbra, chessò, uno scontro fra elettroni, un'interrogazione di quelle che durano cinque minuti perché fai scena muta e il professore, pietoso, ti manda a posto.
Invece no, assomiglia di più a quando il professore, tutt'altro che pietoso, capisce che non hai studiato ma se ne frega e, anzi!, ci impiega un'ora in più a lasciarti andare, stravolto e strisciante verso il tuo banco, sconfitto ancora una volta da quel giudice scolastico che, questa volta, non si è accontentato di farti pescare un numero inferiore al quattro da infilare nel registro ma ti ha adoperato come capro espiatorio per avvisare altri studenti allergici allo studio casalingo della loro prossima fine.
Poi, la batteria, il silenzio e il rumore delle stelle, finisce ed è il peso di una testa sulle gambe che avverte Atlanta che Cas si è addormentato.
Scorrono via manciate di secondi.
Solo dopo un paio di minuti Atlanta si lascia andare, appoggia il capo al muro, chiude gli occhi e tira un sospiro.
Di sollievo, di rassegnazione o di stanchezza, non lo sa nemmeno lui.
Si addormenta in poco tempo, complice la birra e un Morfeo motorizzato, con un abbozzo di sorriso sulle labbra e un dubbio che gli preme nella zona fra un orecchio e l'altro e che, nonostante il suo grande interesse per la letteratura, non riguarda alcuna figura retorica.


Il mattino dopo è un devasto totale.
Atlanta si risveglia completamente sdraiato sul balcone alle urla dei suoi compagni di classe e si tira a sedere ancora assonnato per cercare di capire cose sta succedendo.
Solo allora si rende conto di quanto gli fanno male la schiena e il ginocchio destro e si promette mentalmente che no, mai più dormirà sulla terrazza di un hotel francese.
E nemmeno di uno italiano, aggiunge, sentendo un inquietante scricchiolio provenire dal fondo schiena.
Giovanni è in accappatoio che impreca contro il proprio cellulare (probabilmente la sveglia non ha suonato, pensa Atlanta, e quasi ride al pensiero che quella sveglia è proprio quella che suona più volte, in classe), di Luca si sente solo la voce proveniente dal bagno, voce distorta dal rumore di uno spazzolino elettrico e Lobi, invece, è perfettamente vestito e lavato, ma addormentato con la testa su un comodino.
Lui però si sveglia veramente solo quando Cas, sveglio e pimpante, entra nella stanza chiudendosi dietro la porta non prima di lasciar intravedere Massi, nel corridoio, con una faccia da funerale.
«Allora ragazzi, pronti a far colazione?» urla praticamente, con un sorriso.
Lobi sussulta e tira su la testa, ancora addormentato.
«Sì, va bene mamma» biascica, facendo scoppiare a ridere tutti gli altri.
«Ehi, 'tlanta!» lo chiama, infine Cas. «Ti conviene cambiarti in fretta che i prof sono già incazzati che quelli di quinta sono tutti ancora mezzi ubriachi e non hanno voglia di aspettare»
Atlanta annuisce, si alza e inizia a cambiarsi, mentre Giovanni, Luca e Cas discutono sulla sbornia di quelli di quinta.
«Chi è che è andato a ubriacarsi, di quinta?»
«Tutti, direi» ride Cas in risposta.
«Bella, però sono anche stupidi, potevano farlo più “discretamente” no?» fa Luca.
«Seh, come noi, dài» interviene Giovanni.
«Sì, sì, proprio come noi»
La frase, non si sa perché, provoca l'ironia generale e Atlanta, terminato di rivestirsi, esprime la sua perplessità ad alta voce.
«Perché, che è successo?»
Cas lo raggiunge, gli da uno spintone e gli passa il braccio sulle spalle.
«Aha, vuoi sapere che è successo mentre tu facevi il bello addormentato sul terrazzo?» gli chiede, indicandogli un sacchetto contenente le lattine di birra vuote, ai piedi del letto di Giovanni.
Atlanta ride e scuote la testa.
«Me lo dici o no?»
«Eh, te lo dico, te lo dico, anzi. Fattelo raccontare da 'sti sfigati» sembra arrabbiato dall'espressione, ma in realtà il tono è decisamente divertito.
Alla fine è Luca che prende la parola e inizia a raccontare, gesticolando e spalancando gli occhi come suo solito.
«In pratica sai che ieri avevamo messo la sveglia, no? Beh, non è suonata»
«Che poi secondo me invece è suonata e non l'abbiamo sentita» interviene Cas.
«Sì, probabile» risata generale.
«Beh, comunque non ci siamo svegliati e abbiamo continuato a dormire. Solo che i prof a un certo punto han visto che non scendevamo e sono venuti a chiamarci.»
«Alla fine mi son svegliato io con le urla della Crozzi che ci chiamava in continuazione e niente, le ho risposto che eravamo svegli eccetera eccetera e pensavo che se ne andasse! Invece no, a un certo punto stavo svegliando Massi e sento il rumore della porta che gira e, insomma, è entrata e ci ha trovato tutti che dormivamo, tranne me, chiaro, Gio' sul letto, Massi e Lobi per terra e te e Cas fuori in balcone, con le lattine di birra dappertutto e due sigarette sul tappeto... Cioè, è diventata bianca, ho pensato che stesse per svenire!»
«Minchia» si lascia scappare Atlanta.
«Mih, davvero» commentano gli altri.
«E no, vabbè, poi s'è ripresa, ha guardato meglio e ha visto che-»
«Che non eravamo morti di overdose!» esclama Cas, scoppiando a ridere.
«Anche! E che non erano tante birre e mi ha intimato di svegliare tutti, fare un sacchetto con le lattine da buttare senza far vedere ai professori e di essere giù per le nove e un quarto»
C'è un momento di silenzio in cui tutti tirano un sospiro e si sente il respiro regolare di Lobi che dorme, ma dura poco: nemmeno un minuto dopo tutti stanno ridendo a crepapelle delle loro disavventure e le ire, lo spavento e la sbornia sono ricordi ormai lontani.
Cas spinge Atlanta sul letto e gli si siede praticamente sopra, ignorando le lamentele per la schiena e il ginocchio dolorante.
E mentre stanno scendendo le scale per raggiungere il salone dove faranno colazione, nel momento in cui Cas gli si appende al braccio trascinandolo verso due sedie vicine, Atlanta si lascia scappare un altro sospiro.
Di sollievo o delusione.
Delusione e sollievo.
Non è cambiato nulla.


Viaggio di ritorno.
Sono stati tre giorni massacranti, alla fine, ma ben vissuti.
Tutti i ragazzi sono stati felici di quella gita – forse i professori un po' meno – e ora si ritrovano distrutti ma soddisfatti, in un pullman piuttosto comodo, a dormicchiare sognando il momento in cui potranno finalmente riposarsi nel calduccio dei loro letti.
Alcuni.
Altri invece, recidivi, sfruttano la loro unica occasione per vincere sui loro giudici aguzzini: le partite a carte del viaggio.
«Allora, me lo butti quel due che faccio la napola?»
Atlanta ghigna e posa sul tavolo da gioco improvvisato un cinque.
«Manco per sogno»
Stanno giocando a scopa, lui, Elena, Lobi e il professore di lettere, Cespuglioni, che, nonostante tutto, si trova in netta difficoltà. Accanto a loro gli altri compagni di classe formano una specie di cerchio – anche se la Crozzi cerca di farli sedere continuamente perché “non si può stare in piedi mentre il pullman viaggia” – innescando un tifo sfegatato per l'uno o per l'altro.
Anche Cas è lì vicino che sbircia fra le mani del professore tentando inutilmente di suggerirgli quali carte invece buttare.
«Ah, questa no!» esclama ad un tratto Elena, guardando impotente il prof. rubare il suo due di quadri.
«No, prof!» commenta Giovanni, solidale. «Ho visto da qui il rumore delle sue speranze frantumarsi»
Tutti scoppiano a ridere mentre una Crozzi perplessa sussurra: «Visto... il rumore..?»
Giovanni annuisce pavoneggiandosi e si rivolge a Cespuglioni.
«Sì, certo, prof, ha visto che bravo ad usare quest'ossimoro?»
Anche il professore ride e scuote la testa.
«Non è un ossimoro» interviene ad un tratto Atlanta, stizzito, gettando sul tavolo il sette bello perché impossibilitato a fare altro. «E' un'anafora»
Giovanni alza le spalle e da una botta sulla schiena a Luca, vicino a lui.
«E vabbè, quel che l'è» commenta, ridendo.
Poi Atlanta alza lo sguardo dalle carte e si accorge di un altro sguardo, piantato nei propri occhi.
È Cas che gli ammicca sorridente per una manciata di secondi, prima di tornare a sbirciare le carte di Cespuglioni.
Uno sguardo complice, si trova a pensare Atlanta e nel momento in cui lo pensa diventa un poco rosso ma nessuno ci fa caso, con tutte le volte che diventa bordeaux.
Ha delle pessime carte, pensa anche, ma, senza nemmeno saperne il motivo, si ritrova a sorridere pure lui.
Nello stesso momento anche Cespuglioni sorride – per forza, il sette bello è ancora sul tavolo, è il suo turno e lui ha un asso – e alza gli occhi al cielo, prima di affrettarsi a vincere quella partita, pregando Petrarca affinché perdoni i suoi alunni, quella massa di capre sorridenti e ignoranti, che non sanno nemmeno distinguere una sinestesia.


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