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Autore: stillsurprised    24/02/2013    0 recensioni
Guardai le foto sopra la mensola. Ne afferrai una.
I suoi occhi azzurri. I suoi capelli biondi. Il suo sorriso. Ed io.. io che lo osservavo curiosa.
Io.. io avevo distrutto la vita di una persona. Ancora non me n'ero resa conto.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Echo

Avevo totalmente perso il controllo.
Non riuscivo ad andare avanti ed era solo colpa mia.
Guardai le foto sopra la mensola. Ne afferrai una.
I suoi occhi azzurri. I suoi capelli biondi. Il suo sorriso. Ed io.. io che lo osservavo curiosa.
Io.. io avevo distrutto la vita di una persona. Ancora non me n'ero resa conto.
Guardai ancora una volta la foto. Forse per memorizzarla bene nella mente, poi la scaraventai a terra.
Quando lo feci avevo lo sguardo perso nel vuoto, come se non avessi più emozioni. Forse era proprio così. Io non avevo più emozioni.
Almeno non più da quel giorno..
 
I litigi erano divenuti frequenti. Lui non tornava a casa la sera. O meglio lo faceva, ma non prima delle due di notte. Si appoggiava al divano e poi si addormentava, stanco.
Tutto era successo perché io avevo perso il suo bambino nei primi mesi di gravidanza e non riuscivo ad andare avanti.
“Rifiuti la perdita, è normale Bella” così diceva la mia psicologa.
Già, perché avevo degli incontri settimanali con una professionista.
“Devi parlare” così diceva lui, Justin, mio marito.
Quando riuscii ad accettare, più o meno, ciò che era accaduto decisi di lasciarmi andare.
Ripresi a fumare e a bere -smisi per la gravidanza-, ad uscire con le mie amiche di università.
Nessuno più mi riconosceva, ma io non davo troppo conto al giudizio altrui, tranne ad uno.
Tranne a quello di Justin.
Se tornavo tardi lo trovavo ad aspettarmi sveglio con un bicchiere di rum tra le mani e il camino acceso.
Mi guardava, spegneva il fuoco e andava a dormire.
Fu proprio quello che ci spinse a litigare. 
Lui diceva che non ero in me, che stavo affrontando tutto male, che non ero io quella persona.
Più litigavamo, più ci allontanavamo.
Mi faceva male. Mi faceva male non poter baciare, toccare, accarezzare mio marito.
Così, quando decisi di calmarmi e trovare il giusto equilibrio, tutto stava cambiando nella sua vita.
Lui era quello irriconoscibile e io non sapevo come comportarmi.
Ricordo un litigio fra i tanti: l'ultimo.
Avevamo appena finito di fare sesso, perché sì non riuscivamo più a far l'amore da mesi oramai. Eravamo come due estranei anche nel nostro letto.
Ci alzammo per rivestirci. Lui non mi guardava, ma io avevo bisogno di sentirgli dire che mi amava, che tutto poteva andare bene.
Stava per mettersi la sua camicia, ma io gliela presi di mano e sorridendo me la infilai. Lui aveva su una faccia annoiata.
“Mi sta bene no?” sorridevo ancora, ma lui no “Ridammela, Isabella” era serio. Molto.
“Suvvia, Justin! Ti piaceva quando le indossavo prima. Dicevi che ero sexy” mi avvicinai a lui e usai lo sguardo più dolce che avessi, ma ancora niente. 
“Appunto, mi piaceva. Eri sexy. Me la ridai?” era serio. Duro.
Mi irrigidii e me la sfilai per dargliela. Quasi gliela buttai in faccia. 
“Chi sei? Di certo non mio marito” usai un tono molto acido. Lui andò in bagno senza rispondermi.
Sapeva che mi dava più che fastidio quando non ricevevo risposta. Lo seguii e riuscii ad entrare prima che lui mi potesse chiudere la porta in faccia.
“Allora?” si spogliò e si voltò a guardarmi “Allora cosa Isabella? E' cambiato tutto! Tu sei cambiata!” disse con un tono di voce alto “Non ti riconosco più, Justin! Tu non sei questo!” alzai la voce anche io. 
In poco e niente ci ritrovammo ad urlarci in faccia le cose più cattive del mondo. E non era mai successo.
Fu proprio lui a crollare. Nel vero senso della parola. 
Si piegò sulle ginocchia e cominciò a piangere come un bambino. Si sedette e tirò le ginocchia contro il petto. Le strinse forte. 
Piangeva. Piangeva a singhiozzi. Piangeva come mai aveva fatto.
Io ero lì. Davanti a lui. Lo guardavo senza muovermi. 
Arretrai e mi ritrovai nella camera da letto. Mi sedetti sul letto. Guardai il vuoto.
Passarono i giorni. Io e Justin non vivevamo più assieme.
Ero ritornata nella casa dei miei genitori. Lui mi mancava, sempre e comunque. In qualsiasi momento della giornata. Tutto mi ricordava lui.
Ritornai da lui. A casa nostra. 
“JUSTIN! JUSTIN SONO A CASA!” urlavo sperando che lui ci fosse. Lo cercai ovunque. Salii nella nostra camera.
Le lenzuola erano rosse. Sporche di sangue. Il suo.
Lui era lì. Il suo bellissimo volto più bianco di sempre. 
Un coltello infilzato nel suo corpo. 
Mi avvicinai di scatto e glielo sfilai con forza. 
“Ti prego. Ti prego dimmi che ci sei. Dimmi che sei qui. Che sei vivo” le lacrime uscirono da sole “Ti prego..” sussurrai, poi presi a singhiozzare. Chiamai la polizia e l'ambulanza, poi mi stesi al suo fianco abbracciandolo. “Ti amo” gli sussurrai “Ti amo per entrambi” sussurrai di nuovo, per tutti e due.
 
Raccolsi i pezzi di vetro, poi nel voltarmi trovai la lettera che lui mi aveva lasciato.
In realtà non era una lettera. Era solo una busta contenente all'interno un foglio.
La aprii. All'interno, sul foglio, c'era scritto “TI AMO. SEI E SARAI PER SEMPRE LA MIA GIULIETTA”
Lui era morto per amore. Lui era morto perché ci credeva. Credeva in noi.
Andai a buttare i pezzetti e guardai il biondino che era seduto al tavolo mentre colorava.
“Cos'è?” gli chiesi e gli baciai la testa “Tu -mi indicò- me -si indicò- e papà -indicò una terza figura-”
Sorrisi dolcemente e lo presi in braccio “Se tuo padre lo vedesse ne sarebbe contentissimo” “Mamma mi racconti di papà?” “Ancora, Justin?” “Ancora” “Va bene” 
Portai il bambino con me sul divano e lo poggiai sulle mie gambe ricominciando a raccontare tutto da capo. Sin dall'inizio.
Infondo aveva ragione lui. Avrei dovuto solo aspettare.
   
 
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