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Autore: Dreamer91    24/02/2013    7 recensioni
E se il destino avesse voluto che in una città tanto grande come New York, due ragazzi dalle vite completamente diverse, finissero con l'abitare a meno di tre metri di distanza... sullo stesso pianerottolo?
Dal Capitolo uno:
"Stai scherzando spero!" mormorai
"Perché scusa? Non ci sono topi né prostitute per strada... per quanto riguarda i vicini non so... non li ho interrogati... però..."
"Sebastian!" lo bloccai passandomi una mano sul viso "Lower East Side... sul serio?"
"Non ti seguo, B..." mi fece visibilmente confuso slacciandosi la cintura
"Bastian dovrò vendermi un rene per pagarmi l'affitto... e quando avrò terminato gli organi, mi toccherà scendere in strada e fare compagnia a quelle famose prostitute per andare avanti!" gli spiegai concitato.
(...)
"Non fare l'esagerato Blaine... questa volta penso di aver trovato il posto giusto per te! Coraggio, scendi che te lo mostro!" mi incitò scendendo dall'auto e raggiungendomi sul marciapiede
"Anche l'ultima volta lo pensavi, Seb... e siamo dovuti scappare a gambe levate da un travestito in minigonna e tacchi a spillo!" gli ricordai lanciando un'occhiata al palazzo color porpora - innocuo e all'apparenza rispettabile - che si stagliava per ben quattro piani davanti a noi.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Just a Landing'
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Buonasera a tutti e buon Seniel day ^_^ ok, mi sono presa la libertà di battezzare questo giorno in questo modo è che.. mi sento troppo emozionata e sì insomma.. avevo già detto quanto fosse importante questa coppia per me *__* dunque... non so esattamente come, ma in meno di tre giorni sono riuscita a scrivere ben 30 PAGINE (no, non scherzo XD) mi sentivo ispirata e a fatica ho messo il punto alla fine. Diciamo che, stranamente, questa volta è venuto fuori qualcosa che era esattamente come avevo immaginato che fosse. Sono tipo tre mesi che mi frulla in mente questa idea e alla fine mi fa uno strano effetto vederla realizzata. Beh, voglio lasciarvi alla lettura premettendo solo una cosa: c'è un mix perfetto di amore allo stato puro e... un altro sentimento che non vi anticipo ma che per poco non mi ha causato un mezzo coccolone.. ç___ç vi prego solo di non dare di matto e provare a non odiarmi troppo. Aspetto con ansia le vostre impressioni (sperando che riusciate ad arrivare vivi alla fine XD) e... ancora una volta grazie per tutto. Vi amo tanto tanto.. dal profondo del cuore. Buona lettura... il prossimo epilogo sarà quello Tike (perché, vi chiederete voi.. sono una coppia? XD) e penso se ne parlerà Sabato prossimo. Ciaoooooooo <3
p.s. Non serve neanche specificarlo.. questo epilogo è dedicato a te.. con tutto l'amore del mondo Dan mio :* grazie anche per questa meravigliosa immagine che è stata la prima fra tutte e che è appesa sul mio armadio, custodita con estrema gelosia
n.b. Pagina Fb (Dreamer91 )

Epilogo n°6
Sebastian & Daniel
"Fino all'ultimo respiro"




New York City. Ore 06.47 P.M. 28 maggio 2012 (Lunedì)

In venticinque anni della mia vita, potevo dire di aver fatto tante, tantissime cazzate, molte delle quali ancora si ripercuotevano sulla mia vita - ad esempio il non aver ancora mandato a fanculo mio padre, che rimaneva uno dei miei più grandi rimpianti. Avevo un carattere di merda che molte volte mi impediva di ragionare razionalmente, e avevo un orgoglio ancora più ingombrante che non mi permetteva neppure di rendermi conto in tempo dei miei sbagli per porvi rimedio. Avevo cercato più volte di cambiare, di provare perlomeno ad andare con i piedi di piombo in certe occasioni, ma mi ero presto reso conto che non fosse la stessa cosa; perché in fondo, nonostante fossi consapevole di correre il rischio di sbagliare, molte volte lo facevo intenzionalmente, perché accanto al mio orgoglio, vi era una testardaggine che faceva da padrone, a volte perfino spaventandomi.
"Signor Smythe?" la voce esitante ma professionale di un uomo elegantemente vestito riuscì a riscuotermi da quel momentaneo stato di trance in cui mi ero infilato senza neanche accorgermene e subito tentai di assumere un'espressione più adatta al momento. Gli rivolsi un breve sorriso e allungai la mano per stringere quella che lui mi porgeva
"Mi scuso se l'ho fatta attendere... prego, mi segua." e mi fece strada attraverso una porta semi-nascosta fino ad arrivare ad una stanza, abbastanza piccola, dominata per la maggior parte da una grande scrivania particolarmente elegante, un paio di piante chiaramente finte come ornamento e una cassaforte schiacciata in un angolo, che dava l'idea di contenere parecchie cose di valore.
E data l'importanza del negozio, credo sia il minimo...
"Prego, si accomodi." mi invitò facendomi segno verso una delle due poltrone vuote poste davanti alla scrivania ed io mi ci accomodai ringraziandolo. L'uomo, dopo un breve sorriso cordiale, si avvicinò alla cassaforte e dopo aver digitato un breve codice numerico, l'aprì e ne tirò fuori un piccolo cofanetto nero che portò con sé alla scrivania, alla quale si accomodò
"Dunque, signor Smythe... mi ritengo particolarmente soddisfatto del mio lavoro e credo di aver interpretato al meglio la sua richiesta." annunciò visibilmente fiero. Poggiò la scatolina al centro della scrivania e mi fece un gesto, come un invito. Io, con lo stomaco stretto per l'ansia, presi un profondo respiro prima di allungare la mano e afferrarla. Me la rigirai un po' tra le mani, dopodiché la soppesai per alcuni istanti, trovandola particolarmente pesante nonostante fosse così piccola e alla fine, con le mani che tremavano appena, l'aprii.
In quei giorni nella mia mente, mi ero prefigurato più di una volta quel preciso momento: io, che seduto alla sedia dello studio privato di un noto orefice di New York, esaminavo con trepidazione l'oggetto che poi mi sarebbe servito in seguito per compiere la mia cazzata. E alla fine avvenne davvero, perché davanti ai miei occhi si materializzò la perfetta riproduzione dell'anello che avevo chiesto di creare, così reale e splendente, da fare quasi paura. Il respiro mi tremò appena per qualche secondo, tanto che temetti seriamente di essere sul punto di sentirmi male oppure, peggio, di scoppiare in lacrime. E Sebastian Smythe non piange mai, neanche per certe cose.
"Lo prenda pure... lo guardi con più attenzione. In questi giorni mi ci sono dedicato personalmente... la reputo una piccola opera d'arte, modestamente!" si vantò l'uomo, completamente ignaro della tempesta emotiva che stava avendo luogo dentro di me. Una parte gridava ossessivamente di dare retta all'orefice, afferrare quell'anello e guardarlo più da vicino; l'altra, quella coscienziosa e stronza, mi sussurrava in maniera suadente di lasciar perdere e di lasciare certe smancerie ai protagonisti delle soap operas, perché io con certe cose, non avevo nulla a che fare. Eppure, nonostante la risata di questo Sebastian mi risuonasse prepotentemente nelle orecchie, diedi retta al mio cuore innamorato e arrendevole, tanto che con le dita sfilai quella piccola fascetta dalla sua custodia e me la portai più vicina: era sottile, particolarmente discreta, oro bianco satinato e un piccolissimo diamantino incastonato su un lato che brillava alla luce artificiale della stanza. Era bellissimo, esattamente come me lo ero immaginato da più di un mese. Con un mezzo sorriso, me lo rigirai tra le dita, facendo molta attenzione a non rovinarlo, fino a che non trovai ciò che cercavo: l'incisione all'interno della fascetta riportava un nome e otto numeri in fila... Sebastian 29.05.2010. La data del nostro anniversario, il secondo di tanti a venire.
"Allora... è soddisfatto di come è venuto?" mi domandò l'orefice, impaziente. Finalmente, rilassandomi un po' sulla mia sedia gli rivolsi un sorriso sincero e perfino lui parve sospirare
"Assolutamente. Ha fatto un ottimo lavoro, signor Gray... davvero ottimo." mi congratulai, riponendo l'anello nella confezione per tenerlo al sicuro. L'uomo ridacchiò, arrossendo appena sulle guance coperte dalla barba bianca
"Mi rende sempre euforico sapere che il mio lavoro viene apprezzato da un cliente. Nel suo caso posso perfino dire di esserne lusingato, signor Smythe. So quanto fosse importante per lei ed è proprio per questo che mi ci sono impegnato tanto." spiegò sciogliendo un po' di quella freddezza iniziale che si era creata tra di noi. Gli sorrisi ancora
"Non ne avevo dubbi... sapevo di andare sul sicuro con lei." risposi soddisfatto e lui arrossì ancora. Era un uomo anziano, forse aveva perfino superato l'età della pensione, eppure continuava a fare il suo lavoro e continuava a farlo nel migliore dei modi.
Dopo qualche altro complimento, ci occupammo della parte finanziaria ed io gli consegnai l'ultima parte dei soldi che avevamo pattuito all'inizio, con una piccola aggiunta per l'ottimo lavoro e soprattutto per la celerità con cui aveva eseguito la commissione; lui, dopo un primo rifiuto e tanto imbarazzo alla fine aveva accettato ringraziandomi senza sosta e facendomi perfino un mezzo inchino. Dopodiché, accompagnandomi personalmente fino alla porta del negozio, mi aveva salutato calorosamente e mi aveva detto
"Un anello del genere merita una persona speciale. Spero vivamente che il suo compagno apprezzi il gesto." e ci congedammo. Io, con la mia scatolina di velluto al sicuro nella tasca interna della giacca, mi chiesi come avesse potuto capire che quell'anello fosse per un uomo dato che a parte il mio nome inciso dentro, non c'erano altri indizi ed io non ne avevo mai parlato. Probabilmente il suo era istinto o forse... quello che stavo per fare era talmente tanto chiaro che perfino agli occhi esterni di un'orefice di settant'anni diventava semplice da intuire.

New York City. Ore 05.17 A.M. 29 Maggio 2012 (Martedì)

Alla fine, contro ogni scommessa, il 29 Maggio era arrivato ed io avevo addosso più ansia di quanta immaginavo di averne. Non ero mai stato un tipo che si lasciava comandare dall'agitazione, anzi: avevo affrontato senza problemi il diploma e la laurea mentre i miei coetanei si lasciavano rodere dalla preoccupazione rischiando quasi di farsi venire veri e propri attacchi di panico. Generalmente avevo un modo di fare troppo strafottente e forse per questo non mi preoccupavo in maniera eccessiva, però... quella mattina era tutto diverso. Quella mattina, volente o nolente, sarebbe cambiato tutto. E ancora non me ne ero reso veramente conto.
Con la coda dell'occhio guardai la radiosveglia sul comodino e con un leggero lamento mi resi conto che fossero ancora le cinque e diciassette del mattino e che mancasse più di mezz'ora al suono della sveglia. Il tempo, quando l'ansia aumenta, diventa inesorabile e rende il tutto più difficile da sopportare. Mi agitai tra le coperte, girandomi su un lato e schiacciai il viso sul cuscino. Da quella posizione la visuale era a dir poco perfetta: Daniel mi dormiva accanto, con la guancia posata sul suo cuscino a meno di dieci centimetri da me, il respiro regolare e leggero e i capelli biondi, sconvolti dal sonno. Era rilassante guardarlo dormire soprattutto perché sembrava così innocente e sereno ed era l'ideale per poter calmare il mio stomaco agitato; mi avvicinai appena, sfiorandogli una gamba con il ginocchio e lui si mosse, borbottando qualcosa ma continuò a dormire beato, strappandomi perfino un sorriso. In quelle circostanze, quando potevo concedermi di osservarlo senza essere disturbato, mi rendevo veramente conto di quanto fortunato fossi a potermi permettere di chiamarlo.. mio. Sarei stato capace di rendere onore a tutta quella meraviglia o come al solito avrei rovinato tutto? La cosa peggiore era il credere che fosse la scelta più giusta per entrambi e quindi sarebbe stata una doppia sconfitta scoprire che mi fossi sbagliato e che avessi compiuto un passo più lungo della mia stessa gamba.
Maledizione.. sono capace di farmi venire un attacco di panico da solo, perfino nel letto...
Alle cinque e ventuno successe qualcosa: Daniel emise un lunghissimo sospiro, si mosse leggermente e infine sulle sue labbra si stese un sorriso, uno di quelli che avrebbe potuto fare solo da sveglio e che mi fece bloccare il cuore per qualche istante
"Mmm.. ti piace quello che vedi?" la sua domanda fu sussurrata in tono talmente tanto sottile da sfuggire a qualsiasi tipo di orecchio, anche ai più esperti, ma non a me. Io lo conoscevo troppo bene e poi ero talmente tanto vicino che ne ero perfino riuscito a leggerne il labiale
"Assolutamente!" esclamai in risposta, sorridendo a mia volta e avvicinandomi appena. Lui ridacchiò, mentre poggiavo la mano sul fianco e lo attiravo più a me. Si stiracchiò appena, allungando un po' le gambe e intrecciandole alle mie subito dopo, per poi aprire lentamente gli occhi. Esattamente come era successo la prima volta che ci eravamo incontrati, la vista di quelle iridi chiarissime e limpidissime mi fece perdere un paio di respiri e lo stomaco mi si strinse di nuovo in una morsa, che quella volta non aveva niente a che vedere con l'ansia. Era lui che mi faceva quell'effetto, era l'emozione di averlo così vicino, la soddisfazione di sapere che fosse l'unico al mondo ad essere così speciale per me e che fosse nel mio stesso letto, nella mia vita e nel mio cuore. E con quella bella sensazione di calore che mi riscaldava il petto, gli rivolsi un altro sorriso
"Buongiorno!" mormorai mentre con la punta delle dita accarezzavo la sua pelle del fianco, sotto la maglietta del pigiama. Espirò lentamente, sorridendomi a sua volta
"Buongiorno a te!" rispose, colto da un leggero brivido, forse a causa delle mie carezze. Si sporse leggermente per passare la punta del naso lungo tutto il mio collo e quella volta il brivido colse in pieno me, facendomi sospirare
"Mancano ancora.." iniziò con calma, per poi sporgersi verso il comodino e controllare l'orologio "Ventinove minuti al suono della sveglia e tu.. hai già gli occhi aperti!" constatò sorpreso, ma anche parecchio compiaciuto
"Anche tu se è per questo." risposi, affondando la mano sempre più in profondità, percorrendogli la base della schiena e beandomi di quel calore corporeo che riusciva a mandarmi in estasi
"Touché!" esclamò ridacchiando "Forse perché non vedevo l'ora di fare questo." e si avvicinò, portando una mano sulla mia nuca e finalmente fece incontrare le nostre labbra: all'inizio fu un semplice sfiorarsi timido e assonnato che si trasformò in un lento assaporarsi a vicenda e che divenne sempre più profondo ed intimo. Dio, quanto erano belle quelle labbra.. così morbide, così delicate e con quella consistenza meravigliosa che riusciva come al solito a togliermi la ragione con pochissimo. Ma quello che senza ombra di dubbio rischiava di farmi seriamente impazzire, era il suo sapore. Era unico al mondo, era avvolgente, era appagante, era stimolante, era... tremendamente e fottutamente eccitante. In vita mia ne avevo baciati tanti - e non me ne vantavo di certo a quel punto - ma nessuno riusciva neanche lontanamente ad avvicinarsi al sapore del mio Daniel. Forse perché era lui ad essere speciale, era lui a non essere paragonabile a tutti gli altri. Lui rappresentava quel qualcosa di unico e raro ed io avevo avuto il privilegio di guadagnarmelo e tenermelo stretto. Speravo soltanto che, con quello che stavo per fare, avrei accresciuto e fortificato quell'unione senza rovinare tutto, come invece temevo disperatamente di fare.
Ci staccammo qualche istante dopo - troppo presto, decisamente troppo presto - e la sua mano scivolò morbidamente tra i miei capelli, tirandoli appena ma senza provocarmi nessun dolore. Ciò che in quel momento però aveva ottenuto tutta la mia attenzione, erano i suoi meravigliosi occhi, magnetici e liquidi, così pieni di emozioni che sarebbero state troppo difficili da spiegare a parole. Sapevo solo che in un oceano così, sarei anche potuto annegare e lo avrei fatto senza alcun problema perché sarebbe stato essenzialmente un bel modo per andarsene.
Vorresti legare a te questa sensazione per il resto della vita?...
Mi sorrise ancora, mentre un'emozione nuova gli colorava gli occhi e li accendeva maggiormente, dopodiché finalmente riuscì a parlare
"Buon anniversario, Sebasatian!" mi augurò, sfiorandomi il labbro inferiore con la sua bocca e facendomi tremare.
Anniversario... anniversario... anniversario...
"Mmmm buon anniversario anche a te, piccolo!" risposi, reso quasi sordo dal rumore del mio stesso battito nelle orecchie e da un leggero fischio prolungato che non mi fece capire nulla. Seppi solo di essermi sporto nuovamente verso di lui e di essermi perso ancora, avvolto nel suo sapore, accarezzato dalle sue labbra e coccolato dalle sue mani che continuavano ad intrufolarsi nei miei capelli, sconvolgendoli. Mi sentivo una sorta di assetato mentre spingevo languidamente la lingua nella sua bocca, alla ricerca disperata della sua; uno di quelli che, dopo giorni e giorni di digiuno forzato, finalmente ritrovano il sostentamento, e lui era lì.. caldo e solido accanto a me, attorno a me, ed era come se avessi appena ritrovato la mia oasi felice in mezzo a tutto quel deserto arido. Daniel parve accorgersi che qualcosa mi stesse tormentando, perché con molta delicatezza si discostò da me e mi posò la mano libera sulla guancia, che accarezzò lentamente
"Quanto entusiasmo. Se questo è l'effetto che ti fa... potremmo festeggiare qualcosa ogni giorno!" ridacchiò, continuando ad accarezzarmi e lasciandosi cogliere da un altro brivido, mentre io continuavo ad sfiorargli la schiena ampia e rilassata da sotto il tessuto della maglia. Poi con un piccolo sorriso beato e ancora leggermente assonnato, fece scendere la mano fino al petto e lì la bloccò, all'altezza del cuore, quasi volesse controllare, contarne i battiti e assicurarsi personalmente che stessi davvero bene. Era davvero preoccupato in un certo senso, perché in fondo mi conosceva davvero bene e sapeva che quando qualcosa mi turbava, diventavo smanioso e irrequieto. E sapeva anche di avere il potere di calmarmi, anche con poco, un solo sguardo, una carezza, magari una parola sussurrata e tutto andava meglio. Forse però quel giorno ce ne sarebbero volute un bel po' di parole per mettere pace alla guerra che mi stava tormentando all'interno. E, ovviamente... riuscì a comprendere anche quello.
"Mmm... stavo pensando..." iniziò allungandosi un po' fino a posare le labbra sulla linea ultra sensibile del mio collo e lì respirare più profondamente. Mandai giù una manciata di saliva, mentre il mio corpo rispondeva di conseguenza a quel contatto così intimo e sensuale
"Mmm?"
"Dato che ci avanza questa mezz'ora imprevista... potremmo provare a... riempirla in qualche modo, che dici?" mi chiese, risalendo lentamente con le labbra lungo la mascella, fino a poggiarle morbidamente a qualche millimetro di distanza dalle mie. Respirai forte, riaprendo gli occhi, che non mi ero accorto di aver chiuso, e per un istante, un solo misero istante, mi ritrovai a chiedermi se non fosse quello il momento giusto. In fondo bastava allungare il braccio verso il comodino, recuperare la scatoletta di velluto che l'orefice mi aveva consegnato il giorno prima e mettergliela davanti, magari provando a mettere su un sorriso decente, nonostante l'agitazione alle stelle, e infine... tirare fuori finalmente quello che da più di un mese mi rivoltava il cervello.
Eppure... preferii evitare, prima di tutto perché volevo avere ancora un momento per pensare a come organizzare il discorso, ma poi... sì insomma.. lui mi aveva appena offerto un buon modo per distrarmi e festeggiare e chi ero io per deludere un ragazzo così splendido il giorno del suo secondo anniversario?

New York City. Ore 07.45 A.M. 29 Maggio 2012 (Martedì)

Dopo esserci concessi quel momento di intimità - che di mattina, chissà come, acquistava sempre un fascino diverso - ed esserci fatti a turno una doccia - benché io avessi provato a convincerlo a condividerla, con scarso risultato - ci ritrovammo seduti al tavolo della cucina a fare colazione. O meglio... lui faceva colazione, io mi limitavo a sbriciolare l'estremità di un cornetto ripieno alla crema, con lo stomaco chiuso in sciopero per protesta. La situazione dentro di me non era affatto mutata, nonostante la piacevole liberazione data dal recente orgasmo: ero ancora un fascio di nervi tesi, mi faceva male qualsiasi cosa, continuavo ad arrovellarmi in cerca delle parole giuste ma anche di quelle sbagliate per evitare così di utilizzarle quando fosse stato opportuno. Mi domandavo quanto potesse essere difficile compiere un gesto del genere per uno come me, un gesto tanto diverso dal mio modo di agire e di pensare, un gesto che, al Sebastian di qualche anno prima, avrebbe causato un attacco acuto di disgusto. Ora però volevo farlo, a tutti i costi, sentivo di averne bisogno, sentivo di voler fare un altro passo verso di lui, volevo legarlo ancora più a me così da non permettergli di scappare mai. Era egoistico come discorso, me ne rendevo conto, ma in fondo l'amore era anche quello ed io mi distruggevo di amore per Daniel.
Mi ritrovai a fissarlo, a seguirne in movimenti mentre girava il cucchiaino nella tazza del latte e controllava le mail dal tablet: era così concentrato, con quella smorfia pensierosa ed assorta, quella piccola ruga in mezzo alla fronte e parte del labbro inferiore stretto tra i denti; quello era un gesto che Daniel compiva spesso, la maggior parte delle volte senza neanche pensarci, e che era capace di mandarmi in panne il cervello. Più di una volta lo avevo pregato di trattenersi perché vederlo così scatenava in me delle reazioni avventate, ma lui mi aveva sempre sorriso maliziosamente e, di conseguenza, ignorato del tutto. In quel momento, nonostante si stesse mordendo il labbro e fosse tremendamente sexy, riuscii a contenermi perfino dal riprenderlo, perché avevo altro per la testa e proprio non ce la facevo ad essere il solito Sebastian disinvolto di sempre, non con quello che mi portavo dentro né con il peso della scatolina di velluto nella tasca interna della giacca.
All'improvviso, dopo aver messo da parte il tablet con una smorfia, si girò verso di me e mi sorrise, facendomi arrossire
"A cosa stai pensando?" mi domandò, portandosi alla bocca la tazza del latte e continuando a guardarmi, con i suoi occhioni grandi ed espressivi
A cosa sto pensando? A tutto e a niente... a tutto quello che potrebbe succedere dopo oggi, a tutto quello che cambierà, a tutto quello che dovremmo affrontare... a niente sarà più come prima, a niente rimpianti, a niente può farmi cambiare idea a questo punto...
"A te!" risposi in un soffio, e in effetti era vero: la maggior parte dei miei pensieri erano rivolti a lui, soprattutto in quegli ultimi giorni. La tazza si abbassò lentamente e da dietro sbucò un sorriso emozionato e anche leggermente lusingato. Si morse di nuovo il labbro, sempre nello stesso punto - aveva anche un lato preferito, ovviamente - ed io fui attraversato interamente da un lungo fremito, che riuscii a trattenere arpionandomi al bordo del tavolo. Quella volta parve accorgersene, perché liberò il labbro dalla stretta, sorrise colpevole ed arrossì appena, dopodiché abbandonò la sua sedia per raggiungermi, sedersi sulle mie e congiungere le nostre labbra. Rimasi per qualche istante spiazzato, mentre la sua bocca iniziava a muoversi morbidamente sulla mia, ma mi adattai poco dopo, lasciandomi scappare un sospiro frustrato e leggermente disperato, mentre gli circondavo la vita con un braccio e stringevo forte. Ultimamente succedeva una cosa strana quando eravamo assieme, soprattutto nei momenti con quello: più lo avevo vicino e più volevo che si avvicinasse ancora, quasi che si fondesse con me ed era stupido perché era davvero impossibile fondere due corpi solidi ma... il desiderio per lui era talmente tanto - e non mi riferivo solo a quello fisico - da rendermi pazzo. Stringevo forte di notte quando mi abbracciava per dormire - "Ahia, Sebastian... mi lascerai i lividi così!" - stringevo forte la sua mano quando me la prendeva, magari mentre eravamo seduti sul divano a guardare la tv, o quando eravamo in macchina; stringevo forte la sua pelle mentre facevamo l'amore e benché lui la prendesse sempre come un'azione dettata dalla passione del momento, c'era un altro motivo dietro tutto quello. C'era la disperata voglia di averlo, in ogni senso possibile, in ogni forma, in ogni momento della mia vita. Iniziavo scioccamente a sentirmi male se per caso in un'intera giornata non ci vedevamo spesso o se non ricevevo almeno un suo messaggio ogni mezz'ora. Non era ossessione la mia né tanto meno gelosia o roba del genere... era semplice amore... soffocante, avvolgente, totalizzante amore. Che mi consumava ma allo stesso tempo mi dava la forza per alzarmi ogni mattina e per affrontare il mondo.
Ed è esattamente quello che voglio fare per i prossimi anni a venire... finché morte non ci separi...
"Mmm... maledizione.. avrei voluto aspettare fino a questa sera a cena ma... non riesco!" esclamò tra il frustrato e il divertito, facendo scivolare la mano sulla mia nuca con molta attenzione per non rovinarmi la piega dei capelli. Sollevai un sopracciglio, confuso
"Non riesci... a fare... cosa?" domandai e quella curiosità da parte mia bastò a farlo capitolare del tutto. Si aprì in un sorriso radioso e brillante che mi ricordò tanto l'innocenza e la purezza di un bambino, dopodiché scivolò giù dalle mie gambe e corse via in salotto per poi riapparire qualche secondo dopo con una busta tra le mani
"Questo.." annunciò elettrizzato, allungando la busta bianca vero di me "É il mio regalo per te per il nostro anniversario. Tanti auguri, amore mio!". Quella che gli lessi in viso era autentica trepidazione e infatti mi sembrò perfino di vederlo tremare leggermente con le mani attorno a quella busta bianca. Con un sospiro leggero, allungai la mano per afferrarla e prima di aprirla l'analizzai brevemente: era piatta e lunga, molto simile a quelle buste usate per spedire le bollette solo che quella era anonima e soprattutto non sigillata. Dal lembo appena rialzato estrassi due cartoncini di poco spessore che mi fecero accigliare: nella mia vita avevo viaggiato molto, soprattutto fuori dagli Stati Uniti e pertanto sapevo perfettamente riconoscere un biglietto aereo quando ne vedevo uno e quelli erano proprio biglietti aerei a nome di Sebastian Smythe e Daniel Philips. Li controllai per bene e scoprii fossero della business class, che la partenza fosse fissata dopo circa un mese ad un orario improponibile della notte e che la destinazione fosse...
"Polinesia?" domandai con un sorriso sorpreso, sollevando gli occhi. Lui arrossì immediatamente e si strinse nelle spalle
"Il ragazzo dell'agenzia me l'ha consigliata caldamente... ha detto che in questo periodo è fantastica e che è stata classificata come uno dei pochi paradisi terrestri rimasti ancora incontaminati. É anche riuscito a trovare un volo abbastanza economico solo che siamo costretti a partire alle due e trentasei della notte per atterrare alle ventuno del giorno successivo e fare scalo a... mmm... Sydney mi pare. Sarà una specie di tour de force ma... a quanto pare ne vale la pena e... sì insomma.. credo che dopo tutto questo stress, il lavoro, il caos di questa maledetta città, i problemi con i tuoi genitori e.. tutto il resto.. penso che ce lo siamo ampiamente meritati!" e mi sorrise incoraggiante, quasi avesse paura che da un momento all'altro potessi alzarmi e fare a pezzi quei preziosi biglietti che dovevano essergli costati parecchio.
Polinesia... paradiso terrestre... stress.. lavoro.. problemi con i miei... ce lo siamo meritati...
Inconsapevolmente mi ritrovai a ridacchiare perché quello doveva proprio essere una specie di scherzo del destino oppure la dimostrazione tangibile che forse quello che stavo per fare non era tanto avventato o stupido. Forse quel viaggio era capitato davvero al momento giusto.
Posai i biglietti sul tavolo e mi alzai in piedi, mentre lui continuava a tormentarsi il labbro inferiore; portai una mano sulla sua guancia e glielo liberai con il pollice - stavo perdendo la ragione per colpa di quel gesto - e mi concessi qualche istante per perdermi nella profondità di quegli occhi chiari, che erano ancora più belli del solito. Dopodiché mi piegai leggermente per sfiorargli le labbra con le mie e sorridergli
"É magnifico, Dan... grazie mille!" sussurrai e finalmente l'agitazione che lo avvolgeva parve dissolversi e si sciolse anche lui in un sorriso felice
"Non sono mai stato in un posto tanto bello... e soprattutto.. io e te non ci siamo ancora concessi una vacanza insieme. Direi che è arrivato il momento opportuno per mandare tutti al diavolo e partire!" mormorò divertito, allacciandomi le braccia al collo e facendomi ridacchiare
Non hai neanche idea di quanto tu abbia ragione...
Mi sporsi appena per incastrare il viso nell'incavo del suo collo e lì mi misi a respirare lentamente, facendo scorta del suo profumo mentre una strana adrenalina piacevole mi avvolgeva lo stomaco, quasi anestetizzandolo dal dolore. Iniziavo a convincermi del fatto che fossi pronto, che non esistesse un momento migliore di quello e che, se ci avessi pensato ancora, avrei perso l'occasione e mandato tutto al diavolo. Quindi dovevo farlo, in quel preciso istante, con ancora quella bella emozione addosso, buttandomi semplicemente.
"Mmm... ti amo tanto.." soffiò lui direttamente nel mio orecchio, facendomi sospirare
Sì... è decisamente il momento...
Feci scivolare una mano nella tasca della giacca, mentre con le labbra percorrevo il profilo della sua mascella e continuavo a respirare sulla sua pelle morbida, ad occhi chiusi e con il cuore palpitante nel petto. Estrassi la scatolina dalla giacca e mi discostai un po' da lui per guardarlo negli occhi. Mi sorrise ancora, rimanendo in silenzio, completamente ignaro di ciò che sarebbe successo tra qualche istante. Presi un profondissimo respiro, dopodiché finalmente diedi voce al mio assillante pensiero
"É da.. circa un mese che ci penso e ogni giorno... mi chiedo se sia o meno la scelta giusta, se non sia troppo avventato o stupido o semplicemente... ridicolo da parte mia. Però... non riesco a fare a meno di... volerti.. volerti al mio fianco, nella mia vita.. per sempre e a questo punto... questo.. mi sembra l'unico modo!" lasciai che le parole accavallate e confuse mi uscissero dalla bocca, senza alcun apparente senso logico ma in fondo sarebbe stato ugualmente complicato cercare di decifrare cosa stava avvenendo dentro di me, quindi era già tanto se fossi riuscito a tirare fuori parole di lingua corretta. Il suo sguardo si fece immediatamente curioso e fu sul punto di dire qualcosa, forse rispondermi, forse semplicemente rassicurarmi come era solito fare - e dire che quello più forte tra i due, avrei dovuto essere io - ma non gliene diedi modo perché sollevai la scatolina e la portai in mezzo a noi. I suoi occhi si allargarono immediatamente e chissà per quale motivo il suo bel sorriso si spense all'istante. In quel momento, forse per l'agitazione, o il tremore, o il mio fottutissimo orgoglio, non ci diedi neanche troppo peso. Mi limitai a fare un altro lungo respiro incerto per poi aprire il coperchio della scatolina e finalmente... chiedere...
"Daniel... mi vuoi sposare?"

NewYork City. Ore 07.23 P.M. 29 Maggio 2012 (Martedì)

"Ciao sono Daniel.. in questo momento non posso rispondere, ma puoi tranquillamente lasciare un messaggio dopo il segnale acustico ed io ti richiamerò il prima possibile! Grazie!" beep
"Daniel, per l'amor del Cielo vuoi rispondere a questo cazzo di telefono? Io... credo di essere sul punto di impazzire e ho bisogno di sapere cosa ti passa per la testa... perciò, ti prego... chiamami. Ora!" e misi giù, lanciando il cellulare sul divano per l'esasperazione. Era un incubo... un fottutissimo incubo da cui mi sarei risvegliato a momenti, bastava soltanto aspettare il suono della sveglia e magari...
Drin drin
Come se fossi stato punto da qualcosa scattai verso la porta per aprire ma quello che trovai non fu esattamente ciò che mi sarei aspettato
"Sì, lo so... non sono stato invitato.. avrei dovuto chiamare... sono una palla al piede e tutto quello che vuoi ma... non trovo più il mio plettro magico, quello che Wes mi ha regalato al secondo anno e sono più che sicuro che sia ancora qui da qualche parte!" era Blaine che tutto sorridente e con la sua testa piena di ricci mi apparve sulla soglia, facendomi bruciare per qualche istante il fegato.
Fanculo tu e il plettro...
Senza dire nulla lo mollai sulla porta e mi precipitai a recuperare il cellulare per tentare nuovamente di richiamare il mio ragazzo scomparso. Attesi quattro squilli dopodiché la sua voce si fece sentire, ma ancora una volta sotto forma di segreteria telefonica.
"Fanculo!" sbottai lanciando di nuovo il Blackcerry sul divano - mancandolo e facendolo finire per terra - e affondando una mano tra i capelli. No, non era vero, non stava succedendo davvero, non a me. Sembrava di assistere ad uno di quei drammi adolescenziali che popolavano le peggiori commedie che piacevano tanto a...
Lanciai un'altra occhiata al telefono per terra, ancora muto e inutile.
"Sebastian?" la voce di Blaine si fece più vicina, tanto da ritrovarmelo dopo poco al mio fianco. Alzai gli occhi per ritrovare i suoi confusi e perfino un sopracciglio alzato. Ci mancava soltanto lui in quel momento. Avevo altro a cui pensare, altro da affrontare, una segreteria telefonica da intasare di messaggi...
"Senti non so sinceramente dove sia il tuo prezioso plettro.. vai di là e cercatelo da solo!" indicai a caso il corridoio cercando di trattenere la furia e il tormento che mi stavano assalendo. Sapevo che prendermela con lui non sarebbe servito a niente, volevo solo che se ne andasse via e mi lasciasse da solo per risolvere il mio problema. Ma lui - e forse in quegli ultimi dieci anni avrei dovuto capirlo da solo - era davvero testardo, o semplicemente parecchio incosciente, perché non solo ignorò la mia risposta, ma si avvicinò ancora e mi sfiorò il gomito con la mano
"Bas? Che cosa è successo?" mi domandò in tono preoccupato e sottile, mentre i suoi occhi dorati cercavano i miei, sfuggenti e persi.
"Niente!" ringhiai allontanandomi da lui, dal suo sguardo indagatore e dalla sua presenza che iniziava a diventare soffocante. Credetti scioccamente che l'averlo lì mi impedisse di ritrovare lui.
"No, non è vero. Se fosse niente, non staresti così." constatò ovvio, alzando leggermente la voce "É come se.. stessi per esplodere da un momento all'altro. E la cosa mi preoccupa molto!" lo sentii avvicinarsi ancora, ma provai ad ignorarlo, chiudendo gli occhi ed imponendomi la calma. Sembrava stessi per esplodere? Decisamente molto riduttivo perché per come mi sentivo in quel momento, avrei tranquillamente potuto uccidere qualcuno... anche il mio prezioso migliore amico con il suo pessimo tempismo.
"Davvero, Blaine... potresti gentilmente... potresti..." dalla bocca per l'ennesima volta non uscì nulla di concreto e quello mi fece innervosire ancora di più
"Daniel dov'è?" mi domandò, probabilmente guardandosi attorno. Sentii distintamente il cuore accelerare i battiti e per un istante dovetti mettere la mano sul petto perché il dolore era stato quasi insopportabile.
Daniel dov'è... bella domanda...
"Non lo so!" risposi sinceramente, accasciandomi sul divano e affondando entrambe le mani tra i capelli - questa mattina lo ha fatto lui, più di una volta, soprattutto mentre facevamo l'amore ed era così bello, così appagante, così... tutto.
Un movimento alla mia destra mi fece capire che anche Blaine si era seduto su quel divano, al mio fianco, e potevo ancora sentire il peso del suo sguardo perforarmi da dietro lo scudo delle mie mani
"Mmm... avete litigato non è vero?" domandò, facendosi leggermente comprensivo, forse intuendo il motivo di quel mio stato d'animo. No, non avevamo litigato. Magari l'avessimo fatto. Forse a quell'ora avremmo già fatto pace e magari avremmo iniziato a prepararci per andare a cena e continuare a festeggiare il nostro anniversario. Dalla gola mi scappò un lungo suono frustrato che non significava un bel niente, ma che per Blaine evidentemente fu come una confessione in piena regola. Sbuffò leggermente e si sistemò meglio
"Che hai combinato stavolta?" chiese ancora, esasperato
Ma perché la colpa deve essere sempre e solo mia?...
Sollevai gli occhi, li puntai nei suoi e con una tranquillità di cui non credevo più di disporre risposi
"Gli ho chiesto di sposarmi!" e la sua reazione fu completamente diversa rispetto a quella di Daniel: non si allontanò, non mi guardò come se stessi dicendo chissà quale oscenità, non mi fece sentire un perfetto idiota, non... scappò via. Si limitò semplicemente a spalancare leggermente la bocca fino a formare una piccola o di sorpresa e rimase in silenzio a metabolizzare, fino a che non riuscì a trovare la voce per parlare
"Era... questa la cazzata di cui mi hai parlato l'altro giorno alla festa?" domandò e quasi sentii gli ingranaggi del suo cervello mettersi in moto per ricollegare tutto quanto. Mi limitai ad annuire perché non avevo la forza neppure per dire un semplice sì.
"Ah però... immaginavo fosse una cosa grossa ma.. non fino a questo punto!" mormorò colpito per poi lasciarsi scappare un sorriso "Devo dire che sei riuscito a sorprendermi, Smythe.. questa volta ci sei davvero riuscito!" ed era quella, cazzocazzocazzo, la reazione che avrei voluto da parte di Daniel. Mi ero perfino immaginato di dovergli asciugare le lacrime o di dovermi inginocchiare per fargli una proposta più romantica, perché ero sicuro che lui, nonostante la commozione, me lo avrebbe chiesto. E invece no.
Espirai lentamente, lanciando un'altra occhiata disperata al Blackberry che non dava nessun segno di vita. Blaine al mio fianco si schiarì la voce e si avvicinò ancora
"Mmm... lui cos'ha detto?" pronunciò la fatidica domanda che contro ogni aspettativa mi fece scappare un sorriso amaro
"Niente." affermai con la voce dura, tornando a guardarlo "Non ha detto niente."
"Co-come?" era sconvolto, perfino lui
Immagina dunque io come sto...
"Se n'è andato... senza dire una sola fottuta parola. É uscito da quella porta e ormai sono... dodici ore che provo a chiamarlo ma lui continua a non rispondere!" ingoiai una manciata di saliva che mi ostruiva la gola. Blaine spalancò gli occhi, incredulo, e per qualche istante provò ad aprire e chiudere la bocca, quasi volesse parlare ma non trovasse le parole adatte.
Non ce ne sono... in questo momento non c'è niente che tu potresti dirmi che mi farebbe stare meglio...
"Non è possibile." si lasciò scappare qualche istante dopo, forse reputandola la cosa più innocente da dire, ma che ebbe il potere di farmi scattare ancora di più i nervi
"E invece è così. Se ne è andato via, mi ha lasciato qui da solo come un coglione con il mio cazzo di anello in mano e... ed è scappato." scattai in piedi ed iniziai a camminare nervosamente avanti e indietro lungo il tappeto "E sai qual'è la cosa peggiore? Questo silenzio... il suo silenzio. Avrei preferito che mi dicesse di no subito, che mi scoppiasse a ridere in faccia, che mi prendesse a pugni e che... non lo so... qualsiasi cosa, Blaine ma non.. questo! Il silenzio non riesco a sopportarlo e.. non credo neanche di meritarmelo." ero confuso, distrutto, amareggiato, perfino arrabbiato - con lui, con me, soprattutto con lui - e soprattutto sentivo una voglia matta di piangere. Non avevo mai provato una sensazione del genere, neanche quando da piccolo sentivo la mancanza dei miei genitori il giorno di Natale o quando mia madre mi ripeteva che un figlio frocio era il peggior disonore che la famiglia potesse avere. Come avevo già immaginato, Daniel era capace di distruggermi e di rimettermi al mondo con niente, peccato solo che quella volta avesse scelto l'opzione peggiore. Mi resi vagamente conto di essere appena esploso, perché le mie mani tremavano incontrollate e la vista si era appannata leggermente.
Quando ero riuscito finalmente a tirare fuori quell'anello e a fargli la mia proposta mi ero ritrovato a pensare che tutto sommato non fosse stato poi così traumatico. La paura non aveva avuto la meglio su di me e quelle parole erano uscite esattamente come avevo voluto che uscissero: non erano state niente di che, in fin dei conti, solo un "Daniel mi vuoi sposare?" ma avevo cercato di metterci tutto il sentimento, l'emozione e l'amore di cui ero capace e mi era sembrato così semplice. A distanza di dodici ore e dopo ben trentasette chiamate senza risposta, iniziavo seriamente a pensare che di semplice in realtà non c'era stato un bel niente.
"Bas..." un sussurro debole mi fece ricordare improvvisamente della presenza di Blaine e tutto mi ricadde addosso come un pesantissimo macigno, come una doccia gelata, come la più grande delusione della mia vita. Dalla bocca mi scappò un singhiozzo - quando esattamente avevo iniziato a piangere? - e poco dopo le braccia di Blaine furono attorno alle mie spalle e il mio viso incastrato nella sua spalla. E da quella prospettiva, il mondo faceva ancora più schifo.
"Ho solo bisogno di sentire la sua voce. Solo quello... sapere che sta bene e che... non ho rovinato tutto." mormorai, mentre le lacrime iniziavano ad irritarmi gli occhi e il suo abbraccio di faceva più stretto
"Vuoi che provi a... chiamarlo io?" mi chiese esitante. Scossi subito la testa
"No.. capirebbe subito che sono stato io a chiedertelo. Ho bisogno che risponda a me, che voglia parlare con me e che torni qui. Adesso." sospirai distrutto lanciando un'altra occhiata al telefono ancora sul pavimento che continuava a non squillare e probabilmente sarebbe rimasto muto per tutta quanta la notte.

New York City. Ore 12.23 A.M. 30 Maggio 2012 (Mercoledì)

Erano passate ben ventotto ore ed io avevo fatto altre cinquantasei chiamate, ma Daniel non era ancora tornato. Il suo telefono aveva continuato a suonare a vuoto fino a che, circa alle tre e un quarto della notte, non lo aveva completamente spento per non riaccenderlo più la mattina successiva. Quello faceva ancora più male perché era l'ulteriore prova del fatto che non volesse parlarmi, non volesse neanche più vedere il mio nome lampeggiare sul display del suo telefono, anche se io ne ignoravo completamente il motivo.
D'accordo, la mia proposta era stata scioccante e forse anche un po' avventata ma... quella reazione era troppo. Un giorno ed una notte intera senza farsi né vedere né tanto meno sentire era davvero incomprensibile per me. Era arrabbiato? Era deluso? Era soltanto confuso? Cosa stava cercando di farmi capire comportandosi in quel modo? Era quello il vero problema, non sapere cosa pensare, non sapere che direzione prendere, non sapere neppure da che tipo di paura farmi assalire. Si trattava soltanto di un momento e poi sarebbe tornato? Era troppo da sopportare per lui e aveva preferito andare via? Mi aveva lasciato? L'ultima ipotesi mi aveva assalito durante tutta la notte e anche la mattina successiva, mentre continuavo a comporre il suo numero a vuoto
"Ciao sono Daniel.. in questo momento non posso rispondere, ma puoi tranquillamente lasciare un messaggio dopo il segnale acustico ed io ti richiamerò il prima possibile! Grazie!" beep
Avevo dovuto chiamare a lavoro e chiedere alla segretaria di Fabray un paio di giorni di permesso, perché non ero proprio nelle condizioni di lavorare e con una certa sorpresa avevo scoperto che anche Daniel avesse fatto lo stesso, precedendomi soltanto di qualche ora. Bene, per chiamare al lavoro il coraggio ce lo aveva, per rispondere alle mie chiamate... evidentemente no.
C'era stato un momento in cui, mentre giravo per casa come un folle e tiravo pugni sui muri - distruggendomi le nocche della mano destra - mi ero ritrovato a provare della rabbia: forte, cocente e corrosiva rabbia che mi aveva fatto prendere il telefono, richiamare il suo numero - per la settantesima volta - e mi aveva fatto urlare
"Sai cosa ti dico? Vattene a fare in culo tu, il tuo viaggio di Polinesia e quello stupido anello. Volevo fare qualcosa per te.. per noi.. ma evidentemente tu sei ancora troppo immaturo per un passo del genere. Sei troppo immaturo perfino per parlare.. per affrontarmi.. per dirmi in faccia quello che pensi e preferisci che sia il silenzio a farlo per te. Complimenti, Daniel... ti farei un applauso se solo ti avessi qui davanti. E sai cosa.. forse lo farò.. quando tornerai, perché tornerai visto che c'è tutta la tua robaccia nei miei armadi. E sai cos'altro farò? Ti sbatterò fuori di casa.. fuori dalla mia vita perché non voglio più avere nulla a che vedere con te, hai capito? Nulla.. sei soltanto un ipocrita, un.." beep
Il suono che segnava la fine della segreteria era stato come uno sparo nella notte. Il cuore si era fermato e la consapevolezza di quello che avevo appena fatto mi si era annidata nel cuore, schiacciandomi. Mi ero ritrovato, senza sapere come, a scivolare lungo la parete del corridoio, con una mano tra i capelli e l'altra ancora stretta attorno al telefono. Avevo richiamato il suo numero e avevo lasciato un altro messaggio
"Ti prego scusa.. scusa.. non... non pensavo neanche una delle cose che ti ho detto... non... tu non farmi questo, ti supplico. Torna a casa, Daniel.. ho bisogno di parlarti, ho bisogno di abbracciarti e ho bisogno che tu mi dica che.. tutto andrà bene. Per favore... cucciolo... per favore! Ti amo.. tanto..." beep
Ma neanche quello era servito a niente. Allora ero uscito, avevo preso la macchina e avevo iniziato a girare a vuoto per la città, credendo ingenuamente che in una metropoli del genere la testa bionda del mio Dan sbucasse fuori all'improvviso. Me ne ero tornato a casa in uno stato pietoso, forse peggiore di come ero uscito ed avevo rifiutato di proposito tutte le chiamate di Blaine che era ancora preoccupato per me e che a stento ero riuscito a mandare via la sera precedente. Apprezzavo il fatto che mi stesse vicino e che volesse rendersi utile e soprattutto lo sfogo che mi ero concesso mi aveva fatto bene, ma avevo bisogno di stare da solo ad aspettare che Daniel tornasse.
Alla rabbia verso di lui era sopraggiunta la rabbia verso di me: perché ero un coglione, sapevo di essere in procinto di compiere una cazzata di dimensioni galattiche ma questo non mi aveva fermato. L'avevo fatta e ora mi meritavo tutto, perfino quell'angosciante sensazione di vuoto ed impotenza che mi attorcigliava lo stomaco. Dovevo lasciare le cose esattamente com'erano, perché era tutto già perfetto, era tutto così semplice e lineare e... io avevo rovinato tutto, come sempre. Sapevo che prima o poi sarebbe successo, che prima o poi sarei stato in grado di rovinare la nostra storia solo che non mi sarei mai aspettato che il motivo sarebbe stato quello: il volerlo amare ancora di più, mi aveva portato a perderlo in un attimo. E quello era profondamente ingiusto. Avevo rovinato anche il nostro anniversario, il giorno che entrambi aspettavamo con trepidazione da mesi, la nostra cena romantica in un ristorante di Manatthan, il suo bellissimo regalo che ancora giaceva sul tavolo della cucina. Era tutto sparito e all'improvviso la giornata più bella della mia vita, si era trasformata in un incubo. Un incubo dal quale non ero ancora riuscito a svegliarmi.
Verso l'ora di pranzo il campanello di casa aveva suonato ancora: all'inizio avevo pensato di non rispondere, perché credevo fosse di nuovo Blaine. Poi però, avevo pensato che Daniel uscendo di casa la mattina precedente non avesse preso le sue chiavi e che quindi per tornare avesse bussato al campanello e per questo mi fiondai ad aprire. Per la seconda volta mi sentii invadere dallo sconforto quando constatai che non fosse lui, benché ci fosse una palese quanto impressionante somiglianza
"Dianna!" esclamai sentendomi mancare il respiro. Era la sorella di Daniel... cosa ci faceva lei lì? Aveva mandato lei a prendere la sua roba?
"Ciao." mi salutò, accennando un sorriso intimidito. Cos'era? Compassione? Vergogna? Rancore?
"Posso entrare un attimo?" domandò poi indicando l'interno dell'appartamento dietro le mie spalle. Una parte di me gridava di non farlo, di mandare al diavolo anche lei perché non era giusto che lui l'avesse mandata da me perché non aveva avuto il coraggio di venire da solo. L'altra però, abbracciando quel poco di razionalità rimasta, mi fece fare un passo indietro per permetterle di passare.
Lei si accomodò all'interno, liberandosi della giacca e della borsa e posandoli sul divano. La guardai compiere quei gesti senza il minimo interesse, chiedendomi quanto ci volesse prima di recuperare tutta la roba di suo fratello e andarsene. E poi.. quanto tempo ci avrei messo io per riprendermi da tutto quello?
Sollevò gli occhi e li puntò nei miei - cazzo.. sono proprio identici ai suoi - e mi sorrise, quella volta più apertamente
"Come stai?" domandò, lasciandomi senza parole
Come sto?... mi ha davvero chiesto.. come sto?...
"Sto di merda!" sbottai duramente, fulminandola appena e facendola arrossire "Lui dov'è?"
"Sebastian.."
"Perché ha mandato te? Non ne ha il coraggio? É davvero così difficile prendersi le proprie responsabilità? Perché, sai.. io l'ho fatto e vedi cosa ho ottenuto!" allargai le braccia in un gesto di stizza e lei si lasciò andare ad un lungo sospiro. Non sembrava arrabbiata e neanche preoccupata. Sembrava più che altro.. combattuta.
"Daniel non sa che sono qui!" esclamò e per la seconda volta riuscì a lasciarmi senza fiato. Abbandonai le braccia lungo i fianchi, mentre una strana forma di sollievo mi invadeva: Dianna non era lì per portare via la sua roba, non era lì per dirmi che era finita, forse c'era ancora una possibilità per sistemare le cose.
"Dov'è?" domandai di nuovo, quasi in un soffio
"A casa mia. Me lo sono ritrovato davanti la porta ieri sera." rispose poggiandosi allo schienale del divano. Era a casa della sorella, come diavolo avevo fatto a non pensarci? Perché non avevo tentato subito lì o a casa dei suoi? E soprattutto.. se da lei era andato soltanto la sera.. dove diavolo era stato durante tutto il giorno?
"Come... come sta?" domandai ancora, disperato
"Sta bene.. fisicamente intendo. Di umore.. non tanto. Quando è venuto da me era... distrutto. Non penso di averlo mai visto in quello stato e oggi.. non sta tanto diversamente!" spiegò accigliandosi. Lui era distrutto? E io allora? Io cosa dovevo dire?
"Ti ha..."
"Sì!" rispose senza neanche permettermi di formulare la domanda "Sì.. mi ha raccontato cosa è successo e mi ha detto anche di essere scappato." aggiunse.
E ti ha detto il motivo?...
Affondai nuovamente la mano tra i capelli, che probabilmente erano in uno stato davvero pietoso. Dianna sospirò e dopo poco la sentii accanto a me tanto che alzando gli occhi mi ritrovai i suoi intenti a contemplarmi, preoccupati. Per un istante, quasi per uno scherzo del destino, mi tornò in mente come fosse stato bello la mattina precedente annegare in un mare che aveva esattamente quello stesso colore. Peccato che, dopo poche ore, quel mare si fosse trasformato in una tempesta e che mi avesse travolto completamente.
"Posso essere completamente onesta con te, Sebastian?" mi chiese gentilmente, tanto che non riuscii ad essere sgarbato né a lanciarle altre occhiate di fuoco; mi limitai ad annuire
"Quando Daniel mi ha detto che tu gli avevi.. chiesto di sposarti mi sono quasi messa a gridare dalla gioia. Non potevo crederci che proprio tu, con quel pessimo carattere che ti ritrovi, potevi aver fatto una cosa tanto magnifica. Solo che... mi sono trattenuta, perché negli occhi di mio fratello non ho letto esattamente ciò che speravo di leggere. Come ti ho detto era... distrutto. Ho provato a chiedergli cosa avesse ma lui non ha... saputo dirmelo. Mi ha semplicemente chiesto di non fargli domande e se potesse rimanere per dormire." era insensato ciò che stava dicendo. Non stava aggiungendo nulla di nuovo, nulla che potesse farmi capire cosa fosse esattamente successo. D'accordo, ormai sapevo che lui stava bene - almeno fisicamente - e che probabilmente non mi stava lasciando - vero? - però... continuavo a non capire.
"Io non so cosa... fare. Credevo che insieme potessimo affrontare tutto, perfino questo e invece... lui è andato via ed io sono ancora qui da solo che cerco di darmi la colpa per quello che è successo. Io..." scossi la testa, incapace ancora una volta di trovare le parole per esprimere davvero ciò che sentivo. Di nuovo però, sentii un disperato bisogno di piangere. Ma non potevo farlo davanti a lei: andava anche bene piangere sulla spalla del mio migliore amico, farlo anche su quello di mia cognata.. no, assolutamente.
"Io penso di sapere cosa sia successo ieri e perché Daniel sia scappato in quel modo!" esclamò poco dopo, lasciandosi scappare un altro sospiro. Drizzai la schiena, colto da quella improvvisa possibilità di scoprire la verità, finalmente
"Cosa?" domandai allora, non riuscendo a contenermi
"Penso che il problema sia stato... il momento. Penso che tu abbia scelto quello peggiore per chiedergli di sposarti." spiegò, abbassando la testa, in un gesto colpevole. Sbagliato il momento? Che diavolo significava?
"Scusa?" chiesi scettico, perché quella era davvero una spiegazione stupida e senza alcun senso. In quale altro momento avrei potuto chiedere al mio ragazzo di sposarmi se non il giorno del nostro anniversario? A me era parso speciale proprio per quello, proprio perché un giorno del genere potesse in qualche modo rendere la sorpresa ancora più grande. Certo, non era andata bene però... dubitavo che fosse dipeso dal fatto che avessi scelto di chiederglielo proprio il 29 Maggio.
Dianna prese un profondo respiro dopodiché si passò distrattamente la mano tra i capelli che erano biondi come quelli di Daniel, solo leggermente più chiari
"Immagino che lui non ti abbia parlato di me e di Matt.. di quello che sta succedendo tra di noi." affermò, cambiando radicalmente direzione. Mi accigliai leggermente: Matt era suo marito con il quale era sposata da circa un anno, dopo un lunghissimo fidanzamento che di anni ne era durati sette. Era un tipo un po' burbero e non ero mai riuscito a capirlo veramente a fondo, ma... c'eravamo incontrati in pochissime occasioni e la cosa era finita lì. Tra l'altro mi era parso che non gli andasse proprio a genio che suo cognato fosse gay e che abitasse con un altro uomo.
"No.. cosa avrebbe dovuto dirmi?" le chiesi, confuso.
"Io e mio marito stiamo... attraversando un periodo particolare.. diciamo che da sei mesi a questa parte non facciamo altro che litigare e questa cosa sta diventando.. insostenibile. Fino a che lui non ha deciso che... la questione andasse sistemata definitivamente." si concesse una pausa per abbassare lo sguardo e stringersi leggermente nelle spalle. Intuii vagamente cosa volesse dirmi ma le sue parole me lo confermarono 
"Ha chiesto il divorzio!" esclamò e la sua voce vacillò appena. Trattenni il fiato inconsapevolmente, mentre una piccola lampadina iniziava a lampeggiare nella mia testa e di conseguenza il cuore iniziava a pompare più ossigeno. Il motivo. Io stavo impazzendo per cercare un... motivo. Ed eccolo... servito su un piatto d'argento.
"Lui non mi ha.. detto niente." mormorai sconvolto, iniziando a sentire un leggero senso di colpa invadermi per il modo in cui l'avevo trattata poco prima. Lei scrollò le spalle
"Tipico di Daniel. Per gli altri si fa in quattro, facendosi perfino carico dei loro problemi. Quando però si tratta dei suoi... preferisce tenere tutto per sé. Probabilmente lo ha fatto per non.. mancare di rispetto a me o per non gravare su di te, questo lo sa soltanto lui. Quello che è certo, e penso di non sbagliare, è che questa situazione che ho a casa possa averlo influenzato e per questo è andato via ieri. Probabilmente si è sentito in colpa.. tu gli chiedi di sposarti nello stesso momento in cui il matrimonio di sua sorella va in pezzi. Sai meglio di me quanto possa essere sensibile e per questo... è scappato. Si è sentito.. sopraffatto dagli eventi!" tentò di spiegare ma la mia mente era già partita in quarta. Cercavo di capire come mai non mi avesse detto niente o se ci fossero stati dei segni evidenti di quel suo stato d'animo. In effetti, ragionando a posteriori, mi era capitato di trovarlo leggermente pensieroso nell'ultimo periodo ma credevo fosse dipeso dal lavoro oppure da qualche altro motivo del genere. E ovviamente, non avevo indagato a fondo.
Sei un coglione, Sebastian... un grandissimo coglione...
Quello che mi aveva appena raccontato Dianna spiegava esattamente cosa era successo la mattina precedente: lui era in ansia per sua sorella, dispiaciuto per la fine del suo matrimonio e magari aveva perfino prenotato quel viaggio in Polinesia per staccare... per non pensarci. Aveva perfino detto di esserselo meritato, di averne bisogno. Perché in quel momento non avevo fatto caso al leggero accenno di esasperazione che c'era nella sua voce? Perché non lo avevo capito e non mi ero semplicemente limitato ad abbracciarlo come un vero fidanzato dovrebbe fare? Cosa c'era di tanto sbagliato in me?
"Cazzo... sono uno stupido.." mormorai afflitto, lasciandomi cadere sul bracciolo del divano e abbassando la testa. Sarebbe bastato così poco per capirlo e ancora meno per evitare il problema.
"No, Sebastian non sei stupido. Sei solo un ragazzo innamorato che vuole coronare un sogno. Io al tuo posto avrei fatto lo stesso." mi disse lei, convinta, posandomi una mano sulla spalla. Sollevai gli occhi e tornai a puntarli nei suoi: erano forti e luminosi, nonostante quello che era costretta a sopportare. Riusciva a nascondere bene il tumulto che doveva provare, e in quello lei e Daniel erano davvero molto simili
"Mi.. dispiace.. per il tuo matrimonio... davvero." le dissi sincero. Lei mi fece un mezzo sorriso e mi strinse appena la spalla
"Si risolverà anche questa, ne sono sicura." rispose e per un attimo le passò un'ombra nello sguardo, un'ombra che somigliava molto ad una voglia disperata di piangere
Fallo, Dianna.. ti assicuro che trattenerle non fa mai bene...
"Adesso pensiamo alle cose più urgenti. Tu e lui dovete parlarvi e dovete farlo il prima possibile." affermò convinta, più a sé stessa che a me. Sollevai un sopracciglio. pronto a chiederle in che modo potessi fare e se avesse una soluzione. E a quanto pare ce l'aveva davvero, perché me la mise davanti agli occhi. Frugò nella sua borsa per qualche istante, dopodiché poggiò un mazzo di chiavi sulla spalliera del divano
"Io questa sera, tornando a casa, mi renderò conto di essermi accidentalmente dimenticata le chiavi qui da te... ma lo farò stasera. Ora devo andare a lavoro.. e tu devi andare a riprenderti la tua vita. Perché, con tutto il rispetto... quando siete separati, sembrate due involucri vuoti che aspettano solo di essere riempiti!"

New York City. Ore 04.12 P.M. 30 Maggio 2012 (Mercoledì)

Feci scattare la serratura dell'appartamento di Dianna - e ovviamente di Matt - chiedendomi dove lo avrei trovato: magari in salotto, oppure sotto le coperte, oppure proprio dietro quella porta d'ingresso. Il pensiero che feci subito dopo riguardava la sua ipotetica reazione. Mi avrebbe sbattuto fuori a calci? Mi avrebbe urlato contro tutto quanto? Se la sarebbe presa anche con sua sorella? Quello che non riuscii a chiedermi fu che tipo di reazione potessi avere io. Non ero preparato ad un altro rifiuto, un'altra fuga e forse quella volta non avrei retto. Ma cosa più importante, avevo una voglia così disperata di riabbracciarlo, di dirgli che lo amavo e che lo avrei amato da lì all'eternità, che fu quasi doloroso percorrere tutta quella strada dal mio appartamento - il nostro appartamento - fino a lì.
Nel salotto non c'era anima viva e lo stesso per la cucina. Con un sospiro tremante mi addentrai nel corridoio, affacciandomi poi nell'unica stanza con la porta aperta che intuii fosse quella degli ospiti dove aveva dormito lui quella notte: come dimostrazione tangibile, sulla trapunta beige, c'era la sua giacca e il suo telefono - quello che dalla notte precedente non squillava più.
Provai nelle altre stanze, nello studio e perfino in bagno, ma di Daniel nessuna traccia. Stavo quasi per richiamare Dianna e chiederle dove potesse essere andato quando con la coda dell'occhio intravidi qualcosa: sul balcone, quello della camera da letto principale, si vedeva la sagoma di una scaletta che probabilmente portava sul tetto e che era appoggiata alla parete esterna del palazzo. Mi ritrovai, senza neanche riuscire a respirare, ad avanzare verso quella scala, verso quella piccola speranza perché era davvero l'unica cosa alla quale in quel momento potessi attaccarmi. Salii i cinque scalini aggrappandomi alla ringhiera particolarmente precaria e sbucai sul tetto: la vista era davvero bellissima, rivolta verso il porto e più a largo, verso l'oceano e probabilmente mi sarei anche fermato a contemplarla meglio se solo il mio sguardo non fosse stato catturato da altro, lui. Mi lasciai scappare un sospiro di sollievo e perfino un piccolo sorriso che mi stirò le labbra dopo un'intera giornata di tormento.
Daniel era seduto in un angolo, con gli occhi rivolti al panorama, le ginocchia raccolte tra le braccia e il mento posato su di esse. Per come era messo non riuscì a notare la mia presenza, e questo mi permise di avvicinarmi del tutto e di sospirare ancora: era lì, era vivo, era bellissimo come sempre, esattamente come lo ricordavo. Una folata di vento passò in mezzo a noi e lo vidi distintamente tremare e stringersi maggiormente le braccia attorno alle gambe e non riuscii più a resistere
"Rischi di ammalarti se non ti metti qualcosa di più pesante addosso!" esclamai con la voce rinforzata, quasi il semplice fatto di averlo di nuovo davanti, mi avesse dato la carica. Daniel sobbalzò visibilmente e alzò lo sguardo verso di me, appena spaventato. Rimase qualche istante in silenzio, forse cercando di capire se fossi reale e come avessi fatto ad entrare. Alla fine parve rassegnarsi perché si lasciò scappare un sospiro e un piccolo sorriso affranto
"É stata Dianna, non è vero?" mi domandò, con il tono di uno che sa già la risposta
"Mmm.. generalmente non rivelo mai i nomi dei miei informatori." scherzai ed era davvero strano riuscire a farlo nonostante tutta quell'ansia accumulata in quelle ore. Lui sollevò un sopracciglio, leggermente divertito, cosa che mi fece ridacchiare. Mi frugai nella tasca della giacca e gli allungai il mazzo di chiavi che Dianna mi aveva dato
"Appena la vedi... restituisciglielo e... ringraziala caldamente da parte mia." mormorai e lui con una mezza smorfia afferrò le schiavi e le fece dondolare per qualche secondo tra le mani
"Lo farò... stanne pur certo!" rispose per poi sospirare e tornare a stringersi le gambe per proteggersi dal vento insistente. Senza pensarci due volte mi sfilai la giacca e gliela posai sulle spalle: per la seconda volta sobbalzò, quasi in maniera più pronunciata, come se non si aspettasse un gesto così... intimo da parte mia.
"Grazie." mormorò sistemandosela meglio addosso. Mi sedetti anche io per terra, cercando di non sfiorarlo dato che solo toccargli leggermente le spalle aveva dato quella reazione strana. Avevo una disperata voglia di toccarlo, abbracciarlo, baciarlo, prenderlo e portarlo via da quel tetto ma... prima avevo bisogno di parlargli, prima avremmo dovuto risolvere quella situazione e forse dopo saremmo scesi insieme e insieme ce ne saremmo andati. Dovevo solo trovare le parole adatte con cui iniziare il discorso.
L'ultima volta che mi sono ucciso per trovarne, è andata a finire malissimo, quindi credo sia meglio lasciar perdere e affidarsi all'istinto...
"Daniel..." iniziai ma non riuscii a proseguire
"Mi dispiace." sentenziò all'improvviso, congelandomi. No.. un discorso iniziato con quelle due parole non portava a nulla di buono.
"No, ti prego.."
"Mi dispiace, Sebastian.. davvero." ripeté girando lo sguardo e inchiodandolo al mio, togliendomi almeno dieci anni di vita. Iniziai a tremare anche io, non a causa del freddo. Era la paura che mi attanagliava le ossa e non mi permetteva neanche di respirare normalmente. Quella volta non dissi nulla, mi limitai a scrutare in quegli occhi grandi e a cercare da solo le risposte di cui avevo bisogno. Per mia fortuna, non ci trovai nulla di diverso rispetto al solito, fatta eccezione per un leggerissimo velo di tristezza e forse... senso di colpa.
"Mi sento così... stupido e... vigliacco. Me ne sono andato così.. senza neanche darti una spiegazione e non avrei dovuto..." si perse in un lungo sospiro per poi mettere su un mezzo sorriso amaro "Avevi ragione, sai... il problema forse è che sono.. troppo immaturo." venni colto da un altro brivido improvviso e subito capii a cosa si riferisse
"No!" esclamai subito, quasi gridando "No... non dare peso a quello che ho detto in quel messagio. Ero... nervoso e arrabbiato e lo sai come sono fatto.. sono impulsivo. Quella dannata segreteria continuava a tormentarmi e tu non rispondevi e..."
"Lo so.. davvero. Non c'è bisogno che ti giustifichi, Sebastian... lo so." mi interruppe con un tono leggerissimo
Perché continui a chiamarmi Sebastian? Non lo fai mai...
Mi agitai leggermente, mentre la pelle iniziava a prudermi per la voglia disperata di contatto che continuava a crescere a dismisura e che forse mi avrebbe fatto uscire di testa. Quell'atmosfera non mi piaceva tantissimo perché non ero sicuro di ciò che in realtà stesse accadendo. Il fatto che non mi avesse ancora cacciato via, era già positivo solo che.. continuava a chiamarmi Sebastian e i suoi occhi erano sfuggenti e non mi aveva ancora abbracciato. Cosa avrei dovuto pensare?
Abbassai lo sguardo fino al cornicione del palazzo, mentre un'altra folata di vento mi attraversava i vestiti. Stava andando in maniera del tutto diversa rispetto a quello che mi ero immaginato. Era tutto così.. freddo e distaccato ed io avevo un disperato bisogno di riavere indietro il mio Dan, perché senza di lui.. mi sentivo davvero come un involucro vuoto che aspettava solo di essere riempito. Di nuovo. Come avevo fatto, prima di conoscerlo, a vivere? Con cosa ero andato avanti?
Una mano fresca ma incredibilmente familiare si posò con delicatezza sulla mia guancia e mi accarezzò con la punta delle dita
"Bas... guardami, ti prego." mi implorò leggermente e qualcosa nel mio petto si incrinò nel sentire quel nomignolo.. e la sua voce addolcita
Finalmente...
Mi feci guidare dalla sua mano fino a che non ci ritrovammo nuovamente occhi dentro gli occhi: la distanza fisica tra di noi si era dimezzata - quando si era avvicinato e perché io non me ne ero accorto? - e riuscivo quasi a contare quanti respiri si lasciasse scappare dalla bocca appena dischiusa. Rimasi di nuovo in silenzio perché non riuscivo a trovare nulla di sensato in quel tumulto che provavo e lasciai che fosse lui a parlare per una volta.
"Io... ti amo.. tanto. E non smetterò mai di farlo... lo sai questo, vero?" mi chiese in un soffio, accarezzandomi la linea della mascella con le dita. Ispirai bruscamente sentendo poi la gola pizzicare.
"Lo so.." borbottai "Ti... ti amo anche io." e quella volta mi sorrise davvero, senza imbarazzi, senza trattenersi troppo: fu semplicemente il suo solito bellissimo sorriso che si apriva per me e mi riscaldava il cuore. Si avvicinò ancora e per un momento pensai che volesse baciarmi - finalmente! - ma non lo fece; si limitò a poggiare la fronte alla mia spalla e a far scivolare la mano con la quale fino a poco prima mi aveva accarezzato, nei miei capelli.
Dio...
"Mi dispiace." ripeté in un debole sussurro. Non mi mossi, rimasi fermo a subire le sue carezze anche se volevo semplicemente allungare un braccio e stringerlo maggiormente a me
"Non... dirlo più.. ti prego." lo pregai con un lungo sospiro
"Mi sento in colpa. Per quello che è successo, per quello che ti ho fatto.. per come.. me ne sono andato." spiegò sollevando la testa e puntando gli occhi nei miei.
"Perché non mi hai detto niente?" gli chiesi a bruciapelo, ignorando ciò che mi aveva appena detto. Lui ci pensò qualche istante, per poi stringere le spalle
"Non lo so.. io non... volevo darti problemi. Mi sarei sentito male se ti avessi scaricato addosso anche questo peso. Hai già così tanto a cui pensare per colpa dei tuoi genitori... volevo... mettere da parte me per pensare a come farti stare bene... almeno quando eravamo insieme." spiegò lentamente, provando ad essere chiaro. E Dianna aveva ragione: il problema era proprio quello. Lui non voleva essere un peso, non voleva creare problemi. Ed era sbagliato, profondamente sbagliato
"Daniel.." lo chiamai, permettendomi finalmente di toccarlo, afferrandogli il mento con una mano e portandolo esattamente di fronte a me "Amare significa molte cose, ma soprattutto significa sostenersi ed aiutarsi a vicenda. Il fatto che tu creda di poter essere un peso per me.. mi fa male. Io voglio aiutarti, voglio che tu mi dica tutto e voglio soprattutto che tu ti senta libero di confidarmi qualsiasi cosa. Io non ti giudicherò mai.. voglio solo che tu.. mi dia fiducia, nello stesso modo in cui io ne do a te." i suoi occhi si spalancarono appena
"Io mi fido di te, Bas... completamente!" esclamò subito e mi ritrovai a sorridere di conseguenza
"E allora non tormentarti con questi dubbi e queste insicurezze. Semplicemente... parlami... parlami, Dan.. non smettere mai di farlo!" lo pregai ancora, mentre la voce si affievoliva pian piano
"Avrei dovuto parlartene.. hai ragione." acconsentì annuendo contemporaneamente per poi intrappolarsi il solito labbro tra i denti e sospirare. E quel gesto segnò la fine della mia pazienza e dell'attesa: mi fiondai sulle sue labbra, cogliendolo appena impreparato ma si lasciò andare quasi subito, assecondandomi. Era tutto molto lento, molto profondo: non c'era la delicatezza del bacio del buongiorno o la passione travolgente che anticipava il sesso. Era più che altro il bisogno... il disperato bisogno di sentire che fosse reale, che fosse di nuovo lì al mio fianco e che non fosse cambiato nulla. E lui c'era.. rispondeva al mio bacio e la sua mano scivolava di nuovo morbidamente tra i miei capelli facendomi gemere per la soddisfazione. Quella sensazione era pazzesca: mi sentivo come inebriato, quasi drogato, e la cosa migliore era che la lucidità ci fosse ancora tutta e fosse lì, pronta ad analizzare ogni momento e ogni emozione e restituirmela per intero, quasi amplificandola. Era esattamente ciò che in quelle ventotto ore mi era atrocemente mancato.
Ci staccammo qualche bacio e qualche sospiro più tardi, con il respiro accelerato e forse un po' di paura in meno. Mi ritrovai a stringerlo a me, ad aggrapparmi al suo corpo quasi fosse la mia unica speranza di sopravvivenza e chiusi per qualche istante gli occhi. Dovevo godere a pieno di quel calore ritrovato, dovevo dimenticare tutte quelle brutte sensazioni che mi avevano tormentato durante quelle ore e dovevo ricordarmi quanto fosse bello sapere di essere amati in quel modo.
Come un contenitore che viene riempito...
"É davvero tanto grave la situazione tra tua sorella e suo marito?" gli domandai ad un tratto, mentre posavo il mento sulla sua testa e stringevo ancora. Lui emise un leggero lamento
"Abbastanza. Matt sembra... così convinto che il divorzio sia l'unica soluzione. Ho tentato di parlargli.. mia madre ha tentato di farlo ragionare.. mio padre avrebbe semplicemente voluto rompergli la testa. Ma per il momento.. non sembra aver cambiato idea." rispose aggrappandosi alle mie spalle e stringendo a sua volta
"Posso provare a parlarci io. Magari minacciandolo..." la sua risata riuscì a riempirmi lo stomaco
"Idiota." borbottò, strofinando la guancia sul mio collo, quasi fosse un gatto e stesse facendo le fusa. Sorrisi a mia volta, e provai a tornare serio
"Io penso sia semplicemente paura la sua. Si sarà sentito... schiacciato da qualcosa.. magari per il lavoro o per qualche discussione che non è stato capace di affrontare. Le persone a volte sono così fragili. Basta un niente e crollano a terra come un castello di sabbia." Esattamente ciò che hai fatto tu, o ciò che ho fatto io "Forse ha solo bisogno di tempo e di riscoprire l'amore che lo lega a tua sorella: otto anni non si buttano al vento così e nonostante tua sorella sia una vera rompicoglioni.. non credo che lui sia disposto a rinunciare a lei in questo modo." la sua testa scattò indietro e mi lanciò un'occhiata di fuoco, velata da un leggero strato di divertimento
"Mia sorella non è una rompicoglioni!" si lamentò tirandomi poi un pugno sulla spalla. Le mie labbra si incurvarono in un sorriso spontaneo
"Mmm.. forse un po'... ma lo dico con affetto, giuro!" mi difesi mentre lui continuava a colpirmi, fingendosi offeso
"Se non fosse stato per lei tu non mi avresti mai trovato." mi fece notare tra un pugno e l'altro. Gli ultimi due riuscii a schivarli, bloccandogli entrambi i polsi
"Sì... questo è vero..." mormorai con ancora il sorriso sulle labbra per poi spingerlo di nuovo addosso a me e tornare ad abbracciarlo esattamente come prima. Lui non si oppose minimamente: si lasciò andare ad un mezzo sospiro per poi aggrapparsi alla mia camicia e rimanere lì. Venni circondato immediatamente da un calore meraviglioso ed indescrivibile, lo stesso che da due anni riusciva a farmi sentire bene, completato e felice. Lo stesso che avrei voluto tenere stretto a me per il resto della vita.
In un modo o nell'altro...
"Ho rovinato il nostro anniversario." piagnucolò leggermente, strofinando ancora la guancia sul mio collo. Strinsi appena la presa attorno alle sue spalle, colpito da quelle parole
"Non hai rovinato niente!" assicurai con fermezza e ne ero davvero sicuro, non lo dicevo soltanto per farlo stare meglio "Lo hai solo reso più.. movimentato, ecco." e provai a metterla sul ridere, per mia fortuna riuscendoci. Con la punta del naso percorse tutta la linea del mio collo - Bontà divina - annusandomi spudoratamente, per poi tornare a guardarmi e sorridermi
"E pensare che.. era iniziato così bene." mormorò con un sospiro sognante, riferendosi ancora al giorno precedente
"Sì.. in effetti la Polinesia ha suscitato molto interesse!" lo provocai di proposito, sperando in una reazione che mi confermasse il fatto che le acque si fossero calmate del tutto. Mi lanciò un'occhiata furbetta per poi posare le labbra sulle mie e rubarmi un piccolo bacio
"Non parlavo solo del viaggio." disse infatti e il mio stomaco si contrasse all'istante. Non parlava del viaggio... non parlava del viaggio...
"Ah no?" domandai piegando la testa di lato e avvicinando pericolosamente le labbra alle sue senza mai sfiorarle. Lui scosse la testa leggermente, limitandosi a quello senza neanche parlare ma me lo feci bastare; mandai di nuovo al diavolo l'autocontrollo e mi riappropriai di quelle labbra, perché le volevo da morire, perché mi erano mancate terribilmente - mi era mancato lui! - perché era giusto così, perché erano mie. E persi il conto di tutto, perfino dei minuti che scorrevano, prestando la mia più completa attenzione alle sue labbra che scivolavano sulle mie, alla sua lingua che mi accarezzava e mi viziava, alle sue mani strette sulla camicia, al suo sapore, al suo respiro accelerato e a volte interrotto, al suo profumo.. ovunque. E forse fu proprio per quello che non capii il senso di ciò che disse poco dopo
"Sì.." soffiò tra un bacio e l'altro, quasi con trepidazione
"Sì... cosa?" domandai
"La risposta alla tua domanda..." rispose, poggiando la bocca vicino al mio orecchio ed accarezzandomi quel tratto di pelle solo con le labbra dischiuse. Aggrottai la fronte confuso. Mi mettevo a fare domande e non me lo ricordavo neppure? Stavo iniziando seriamente a perdere colpi.
"Quale dom..." ma le parole mi morirono in gola mentre la mia solita fedele lampadina si accese all'improvviso nella mia testa, illuminando tutto. Avvertii chiaramente un suo sorriso premere contro la mia pelle e quello mi bastò per capitolare del tutto

Oh...
Lo scostai da me per poterlo guardare negli occhi e capire se quello che avevo capito fosse esattamente ciò che avrei dovuto capire
"Stai... sei... Gesù..." ma ovviamente, figurarsi se le parole decidessero di venire fuori con un preciso senso logico. Lui si morse nuovamente il labbro - no, vi prego.. basta - ma sorrise, illuminandosi in maniera quasi accecante davanti ai miei occhi
"Sebastian." mi chiamò lentamente, circondandomi poi il viso con le mani e posando le labbra sulle mie per qualche secondo. Bocca contro bocca. Respiro contro respiro. Amore, amore, amore.
"Sì.. ti voglio sposare!"

New York City. Ore 10.23 A.M. 03 Giugno 2012 (Domenica)

Cazzo. Era quella la prima parola alla quale avevo pensato quella mattina quando Margareth, la segretaria di Fabray, mi aveva chiamato sul cellulare - svegliandomi! - per chiedermi di raggiungere urgentemente l'avvocato.  Era stato fissato un incontro preliminare con un cliente importante e a quanto pareva era possibile farlo soltanto di Domenica. Fanculo... fanculo Margareth, fanculo Fabrey e fanculo pure il cliente importante. La Domenica era sacra ed io davvero non capivo cosa ci fosse di tanto urgente che non potesse neanche aspettare al giorno successivo.
"Magari è un attore che deve divorziare dalla moglie modella!" azzardò Daniel mentre mi passava una tazza di caffè. Gli lanciai un'occhiataccia di fuoco
"Me ne infischio... può essere anche Obama in persona... devono sapere di avermi appena rovinato la giornata e fatto particolarmente incazzare." borbottai. Lui mi rivolse un sorriso dolce per poi avvicinarsi a me e circondarmi il collo con le braccia
"Non fare il solito brontolone. Lo sai che quando si tratta di lavoro noi non possiamo farci nulla." mi ricordò, accarezzandomi la nuca e mandandomi in estasi
"Certo.. peccato che la tua Domenica non sia stata rovinata da.." ma non riuscii a finire di parlare, perché le sue labbra furono sulle mie e trovai un ottimo motivo per smetterla di lamentarmi. Il bacio durò troppo poco per i miei gusti ma alla fine trovai il suo sorriso ad attendermi, che mi fece scalpitare il cuore nel petto
"Facciamo così... tu vai da Fabray e risolvi questa situazione. Io intanto penso a come fare per... far finire in bellezza questa giornata tanto pessima." mi disse con un accenno di malizia ma anche con un leggero strato di emozione che lì per lì non riuscii a decifrare. Mi limitai a cogliere il lato sensuale della cosa e accettai finalmente il mio gravoso compito, abbandonando il mio confortevole appartamento e la prospettiva di trascorrere tutta la giornata a letto con il mio ragazzo, per dirigermi verso il luogo dell'appuntamento.
Da quando Daniel era ritornato a casa, dopo quella strana parentesi, le cose erano notevolmente cambiate: la prima cosa che avevamo fatto, varcata la soglia di casa era stata recuperare l'anello dalla scatolina di velluto e finalmente metterglielo al dito. No, quella era stata la seconda, perché la prima aveva riguardato la nostra camera da letto. Comunque, alla fine quell'anello era andato esattamente nel posto giusto e la mia proposta era stata accettata, anche se con un giorno di ritardo. Daniel aveva perfino preteso una dichiarazione d'amore che io mi ero rifiutato categoricamente di fargli usando la scusa che non se la sarebbe affatto meritata. Ovviamente scherzavo e ovviamente lo capì anche lui perché invece di mettermi il broncio oppure offendersi, il momento dopo era già nuovamente addosso a me, per il secondo round. Non avevo detto a nessuno quello che avevamo deciso di fare - anche se un messaggio a Blaine, per assicurargli che tutto si fosse risolto, lo avevo mandato e avevo perfino richiamato Dianna per ringraziarla di tutto - ma soprattutto non avevamo parlato di date. Era stato già un passo importante decidere di farlo... magari con calma sarebbe anche arrivato il momento per decidere dove e quando.
Arrivai allo studio circa mezz'ora dopo trovando tutto chiuso. Con un certo fastidio richiamai Margareth che per fortuna rispose dopo due squilli
"Pronto?"
"Mi stai prendendo per il culo, vero?" l'aggredii facendo avanti e indietro per il piano davanti alle porte dell'ascensore
"Ma chi..." si bloccò prendendosi alcuni istanti per poi chiedere "Sebastian... sei tu?"
"Chi vuoi che sia?" abbaiai ancora "Mi hai buttato giù dal letto stamattina dicendomi di andare in studio per un caso importante e ora, arrivo qui e sai cosa ci trovo? Un fottuto niente!" mi presi perfino la libertà di gridare perché tanto su quel piano c'eravamo soltanto noi e visto che era tutto chiuso, nessuno si sarebbe scandalizzato. Dal telefono arrivò uno strano rumore e anche un mezzo verso, che sembrò una specie di risata trattenuta
Non ci posso credere...
"Mmm... ti ho detto in studio? Cavolo devo essermi confusa... in realtà l'appuntamento con quel cliente è nell'albergo dove alloggia." cambiò versione, fingendosi affranta. Strinsi il pugno e per poco non colpii il muro al mio fianco. Stava scherzando.. non c'erano altre spiegazioni
"Margareth..."
"Hilton Hotel!" esclamò allora. Se avessi potuto l'avrei mandata al diavolo e me ne sarei ritornato a casa dal mio ragazzo - il mio promesso sposo - se solo non fosse stato per il fatto che lì c'entrava anche Fabray e mettersi contro il capo non era una cosa molto intelligente da fare
"Quale? Ce ne saranno almeno dieci qui a New York." mi lamentai, premendo il tasto dell'ascensore
"Uh hai ragione... aspetta... Midtown." specificò.
"Fantastico.. esattamente dall'altra parte della città. Grazie mille." borbottai entrando nella cabina
"Dovere!" e mise giù, decisamente troppo euforica per i miei gusti. Si vedeva che la sua Domenica non era stata rovinata e poteva tranquillamente godersela in compagnia di suo marito e dei suoi tre figli. Io invece ero costretto a girare per la città come un idiota, consumando della benzina che lo studio non mi avrebbe mai rimborsato e cercando di mantenere la calma. Era difficile, molto difficile. Volevo tornare a casa dal mio Daniel, volevo godermi un po' di tranquillità, volevo perdermi ancora nei suoi occhi e ripetergli all'infinito quando lo amavo. E invece...
Maledetto Fabray.. un altro buon motivo per mandarti al diavolo da aggiungere alla lista...
Arrivai a Midtown esattamente settantatré minuti dopo, imprecando contro il traffico cittadino che mi aveva tenuto bloccato per venti minuti buoni su uno dei ponti di accesso per Manatthan. Quella città era un vero inferno e più passavano gli anni, più sentivo la mancanza della tranquillità e della semplicità di Westerville. Anche se... non l'avrei mai barattata, non sarei mai tornato indietro. L'Ohio non era uno Stato adatto a me e poi... New York mi aveva regalato tutto ciò che potevo desiderare: il lavoro, la serenità economica, un bell'appartamento ma soprattutto.. un bellissimo ragazzo con gli occhi color del cielo, che in quel momento probabilmente mi stava organizzando una serata romantica e con il quale avrei passato poi il resto della mia vita.
Dio, se davvero esisti.. fai passare in fretta questa giornata.. ho bisogno di tornare da lui...
Entrai all'Hilton tutto trafelato e soprattutto con i nervi in allerta, pronti a scattare da un momento all'altro. Sarebbe bastato anche una piccola parola sbagliata e... boom sarebbe scoppiata la guerra. Mi avvicinai al bancone della reception dove una ragazza con i capelli ricci e rossi era impegnata a sistemare delle chiavi alla parete numerata
"M scusi.." richiamai la sua attenzione e lei si girò con un sorriso cordiale sul volto che vacillò appena vedendomi. Arrossì leggermente ma recuperò immediatamente la sua professionalità
Eh.. il fascino made in Smythe...
"Buongiorno signore e benvenuto all'Hilton Hotel.. cosa posso fare per lei?" mi domandò drizzando la schiena
"Sto cercando l'avvocato Fabray. Abbiamo un appuntamento con un cliente qui nel vostro albergo e credo che entrambi mi stiano già aspettando." le dissi stordendola con un sorriso. Tanto valeva divertirsi un po'. Recuperò il registro da sotto il bancone e fece scorrere il dito lungo una colonna per poi accigliarsi
"Mmm... mi dispiace signore ma qui non c'è nessun avvocato Fabray." mi informò visibilmente dispiaciuta
Che.. cosa?..
"Controlli meglio... deve esserci per forza!" insistetti, non volendo credere che Margareth mi avesse seriamente preso in giro fino a quel punto. Avrebbe rischiato il linciaggio, poco ma sicuro. La ragazza ricontrollò l'elenco e poi scosse la testa. Maledizione, non era possibile. E tra l'altro quella stupida non mi aveva neanche detto il cognome del cliente altrimenti avrei potuto chiedere di lui e invece... mi ritrovavo a bocca asciutta ad un passo dall'esplodere sul serio. Poggiai i gomiti al bancone, cercando di mantenere la calma. Dubitavo fortemente che una donna tanto professionale come Margareth potesse tirarmi uno scherzo del genere, non era da lei e soprattutto sapeva che non ero il tipo per certi giochetti. Quindi l'appuntamento c'era bisognava solo trovare il modo per capire come fare. Provai ad aggrapparmi ad una piccola speranza, sollevando lo sguardo e puntandolo in quello della ragazza che arrossì ancora
"Provi a... vedere se per caso c'è il nome Smythe... Avvocato Sebastian Smythe." ritentai, mentre lo sconforto iniziava a stringermi lo stomaco. Lei riprovò davvero e quella volta ebbe una stana reazione: il suo dito si bloccò a circa metà di quell'elenco, risollevò gli occhi e spalancò leggermente la bocca
"Oh..." si lasciò scappare
"Cosa?"
Ti prego, dimmi che hai trovato l'avvocato e quel dannato cliente.. ti prego...
"Mi scusi... non sapevo che.. fosse lei." si scusò, arrossendo ancora
"Eh?"
"Guardi.. segua questo corridoio alla sua destra dopodiché prenda le scale. Prima porta sulla sinistra." mi spiegò per poi rivolgermi un sorriso cordiale. Le lanciai un'occhiata preoccupata e confusa - quella mattina doveva esserci qualcosa di veramente strano, altrimenti non si spiegava come mai fossero tutti così bizzarri. Abbandonai il bancone con un sospiro, seguendo le indicazioni della ragazza: percorsi per intero il corridoio elegante - e certo, eravamo all'Hilton - fino ad imboccare la scalinata di marmo chiaro e arrivare al primo piano dove ritrovai un altro corridoio più piccolo con quattro porte. Come mi era stato detto piegai a sinistra e aprii la prima delle quattro, ricordandomi qualche frazione di secondo dopo che forse avrei dovuto bussare e dandomi del cretino, mentre la spalancavo con un solo gesto. Per mia fortuna, dietro quella porta non trovai né Fabray né tanto meno il cliente, perché forse dopo un gesto del genere e dopo quel disastroso ritardo sarei stato licenziato per direttissima, tuttavia, qualcosa trovai e quel qualcosa ebbe il potere di congelarmi sul posto e di togliermi completamente il respiro.
C'erano delle persone, tante persone.. circa una decina e in quel momento erano tutte girate verso di me, mettendo fine a quel leggero chiacchiericcio che mi aveva accolto dopo aver parto la porta. Ci fu un lungo momento di silenzio, durante il quale la mia mente, invece di suggerirmi di aver sbagliato porta, chiedere scusa ed andare via, mi mandò uno strano segnale: mi fece capire che in un certo senso io quelle persone le conoscessi e che se mi fossi sforzato forse avrei riconosciuto tutti, soprattutto uno di loro. Quella confusione durò poco, in effetti, perché i miei occhi vennero attratti da qualcuno in particolare, fermo al centro della sala, che mi guardava in maniera diversa rispetto a tutti gli altri. Ed io quegli occhi li avrei riconosciuti ovunque, anche con tutta quella confusione in testa
"Daniel..." mi scappò dalle labbra infatti e lui, dopo avermi stordito con un sorriso, mi raggiunse sulla porta, mentre tutti gli altri continuavano a guardare verso di noi
"Ben arrivato!" mi salutò una volta che fu a mezzo passo da me. Io, ancora senza parole, mi girai di nuovo verso la sala dove riuscii ad intercettare il sorriso di qualcuno e perfino un paio di occhi dorati che mi scrutavano con attenzione. Provai a concentrarmi sul mio ragazzo, ancora fermo davanti a me, ancora sorridente e provai a tirare fuori qualcosa di sensato
"Cosa.. cosa sta.. succedendo?" gli chiesi, aggrappandomi con forza alla maniglia della porta, sentendomi leggermente smarrito. Io lo avevo lasciato a casa, nella nostra cucina, ancora in pigiama e con i capelli sconvolti e lui invece dopo meno di due ore era lì davanti a me, sistemato in un elegante vestito nero ma con lo stesso identico sorriso. E allora capii che quella strana espressione che gli aveva colorato gli occhi quella mattina, non era soltanto desiderio o attesa... era emozione.. emozione allo stato puro che in quel momento mi stava investendo, come un'onda senza controllo.
"Succede che... non c'è nessun appuntamento con Fabray né tanto meno con un cliente facoltoso oggi." mi fece notare con un sorriso divertito. E questo lo avevo capito anche da solo. "Succede che... ti ho detto una bugia questa mattina ma era.. necessario. Succede che.. queste persone sono tutte qui per noi perché le ho chiamate io." aggiunse indicando la sala dietro le sue spalle. Tremò leggermente, mentre faceva un altro passo verso di me, mi afferrava la mano e stringeva forte
"Succede che ti amo alla follia... che ti ho sempre amato e che ti amerò per il resto della mia vita." aggiunse mentre i suoi occhi brillavano appena e il mio cuore si stringeva ancora, quasi implodendo. Mandai giù una manciata di saliva che rischiò di farmi affogare nell'esatto istante in cui lui pronunciò la frase successiva
"Succede... che.. voglio sposarti.. e voglio farlo ora!" probabilmente ero già svenuto in quel momento, o stavo per farlo. Seppi solo di aver spalancato gli occhi ed aver stretto ancora di più la maniglia fino a farmi male. Di aria nei polmoni ne era rimasta davvero poca e perfino la saliva era finita: ero in uno stato semi-cosciente, molto prossimo a rimanerci secco e forse sarei morto davvero se solo Daniel non mi avesse tenuto stretto e non avesse cercato i miei occhi per non permettermi di perdere la ragione. E quello aiutò molto.
Voglio sposarti..
"Io..."
"Lo so.. è avventato.. è stupido.. è... senza alcun senso logico ma.. non mi interessa. Da quando ti conosco non mi interessa altro se non stare con te e ora... tu mi hai chiesto di sposarti e io.. non vedo per quale motivo.. dovremmo aspettare se è davvero quello che vogliamo entrambi." mi disse leggermente agitato, mentre continuava a stringermi la mano
E voglio farlo ora...
"Quindi ti prego, Bas.. dimmi che anche tu lo vuoi... dimmi che possiamo fare questa pazzia insieme... dimmi che sei disposto ad amarmi, rispettarmi e.. tutto il resto e sei disposto a farlo anche adesso... ti prego." mi implorò con lo sguardo tormentato e leggermente spaventato, avvicinandosi di un altro mezzo passo.
Ti prego.. ti prego.. ti prego..
Un solo istante. Quante cose possono succedere in un solo istante? La gente in così poco tempo può nascere, può morire, può conquistare il mondo e può perfino perdere tutto. Io in un solo istante feci ben tre cose diverse: ripresi a respirare, riuscii ad innamorarmi appena un po' di più del mio Daniel e...
"Sì... lo voglio." e sapevo perfettamente che non eravamo ancora sull'altare e nessuno ci aveva fatto la fatidica domanda eppure... già pronunciarlo in quel modo faceva un certo effetto. Daniel si illuminò completamente, togliendomi la poca forza rimasta e probabilmente sarei precipitato al suolo se lui non si fosse sporto per abbracciarmi, sorreggendomi di conseguenza. Qualcuno nella sala applaudì, non seppi per quale motivo, tanto che sentii Daniel ridacchiare nel mio orecchio dopodiché si staccò da me, mi porse la mano e disse
"Andiamo.. all'altare ti accompagno io." strizzandomi l'occhio.
Sposare due uomini era, secondo la legge della Chiesa, un atto impuro e disonorevole. Sposare due uomini secondo la maggior parte dell'opinione pubblica era abominevole. Sposare due uomini, per tutte quelle persone lì dentro e per quel pastore di colore che ci attendeva sorridente alla fine della sala, evidentemente era la cosa più giusta del mondo. E lo era anche per me... nella maniera più assoluta.
Dopo aver percorso tutta la sala, improvvisata come la navata di una chiesa, arrivammo all'altare e qui ritrovai di nuovo il paio di occhi dorati che mi avevano intercettato e sorriso qualche minuto prima. Daniel mi spinse verso di lui, mormorando qualcosa a proposito di una cravatta mancante e così mi avvicinai a Blaine, non riuscendo a trattenermi dal fulminarlo
"Dovresti essere il mio migliore amico e invece... trami alle mie spalle." lo accusai guardandolo malissimo. Lui scoppiò a ridere avvicinandosi e allungandosi poi per sistemarmi al collo una cravatta blu - dello stesso colore di quella di Daniel
"Non lamentarti.. questa volta io non c'entro nulla. Ha fatto tutto lui." mi spiegò indicando il mio ragazzo che continuava a sorridere in attesa
"E fammi indovinare.. ora mi tocca anche averti come testimone?" domandai con un leggero accenno di divertimento nella voce. Lui strinse il nodo alla mia gola, rivolgendomi un sorriso complice
"Sì.. mi sa che ti tocca." rispose e quella notizia mi fece sorridere contento "A meno che tu non abbia un'altra preferenza." finsi di pensarci, lanciando un'occhiata alle altre persone in attesa, soffermandomi su Kurt, che seguiva la scena già con gli occhi lucidi  e su Dianna - maledetta! - che piangeva come una fontana dall'altra parte dell'altare.
"No... penso che per questa volta mi accontenterò." concessi con un ultimo sorriso. Blaine ricambiò quel gesto, addolcendosi appena per poi sporgersi verso di me e abbracciarmi
"Lo sapevo che qualsiasi cosa avessi fatto, sarei stato profondamente fiero di te." mi disse e ricordai quel discorso fatto sul terrazzo del suo appartamento, quando ero ancora sommerso dai subbi e dalle incertezze e lui ovviamente lo aveva capito, senza che io gliene avessi minimamente parlato.
"Mmm.. io e te facciamo i conti dopo." lo misi in guardia divertito, giusto per stemperare un po' di tensione. Sciolto l'abbraccio mi lasciai scappare un profondo sospiro dopodiché mi girai di nuovo verso il pastore e verso Daniel che attendevano impazienti. Soprattutto il secondo che allungò una mano, come un invito, e io quasi corsi verso di lui per potergliela prendere e stringere di conseguenza. Forse ancora non mi ero del tutto reso conto di cosa stesse accadendo in quella sala, forse me ne sarei accorto solo dopo qualche ora a mente fredda: sapevo solo che l'unica cosa reale lì dentro, fosse lui.. lui che continuava a guardarmi come se fossi la cosa più bella che avesse mai visto - e facendomi sentire esattamente in quel modo - lui che ogni tanto arrossiva, sorrideva, si mordeva quel dannato labbro un po' per provocarmi un po' perché era troppo agitato e quello era il suo unico modo per scaricare; lui che a stento riuscì a seguire le parole del pastore - come me del resto - che continuava a stringermi la mano, intensificando ogni qualvolta lo facessi anche io. Lui. lui.. lui.. solo ed esclusivamente lui.
Ad un certo punto, quasi inconsciamente, feci vagare lo sguardo per la sala, sorprendendomi di trovare delle persone che non mi sarei mai aspettato: in prima fila, accanto a Kurt, c'era Margareth - la complice ideale - con un fazzoletto stretto al petto e il labbro sporgente in un evidente smorfia di commozione; c'era poi Matt, poco distante da Dianna - che ovviamente era la testimone di Daniel - e dal piccolo sorriso che mi indirizzò dovetti prontamente ricredermi sul suo conto, forse non era così restio nei confronti delle relazioni omosessuali era solo.. un po' meno espansivo rispetto agli altri. C'era poi Puck, il proprietario del pub di Blaine assieme a Quinn, la figlia di Fabray - Dio, fa che quello stronzo non venga mai a sapere che due dei suoi sottoposti si stanno sposando a sua insaputa - poco distante Brittany e la sua ragazza Santana e ancora i genitori di Daniel con la zia materna che piangeva esattamente come Dianna, forse anche peggio. Ovviamente dei miei genitori neanche l'ombra e non credevo dipendesse dal fatto che Daniel non li avesse invitati; sapevo perfettamente il motivo per il quale non fossero lì e forse.. in un certo senso era stato anche meglio. Loro non avrebbero capito e non avrebbero minimamente meritato di condividere quell'emozione. Esattamente come avevo pensato io, al nostro fianco Dan aveva voluto esclusivamente le persone che ci volevano bene e che sarebbero state contente per noi. I miei genitori - mio padre in particolar modo - probabilmente avrebbero solo rovinato tutto.
Ritornai a concentrarmi esclusivamente su Daniel che in quel momento arrossì ancora mentre il pastore diceva qualcosa a proposito di famiglie appena iniziate e di figli futuri che avrebbero portato soltanto gioia e amore.
Oh mio Dio... figli... ci avresti mai scommesso Sebastian?...
Sentivo il cuore battermi ad un ritmo preoccupante nel petto, probabilmente stava per venirmi un infarto ma dovevo resistere.. dovevo farlo per lui, per me, per il nostro matrimonio che doveva arrivare fino alla fine, fino al fatidico sì.
Ti direi sì miliardi di volte.. fino all'ultimo respiro...
"Dunque.. credo sia arrivato il momento delle promesse. Chi vuole iniziare?" ci domandò il pastore, attirando la nostra attenzione. Le promesse.. cazzo.
"Io non... ho scritto nulla. Non sapevo neanche di dovermi.. sposare oggi. Altrimenti qualche riga l'avrei buttata giù." cercai di giustificarmi, ottenendo una risata generale nella sala, inclusa quella del pastore e di Daniel. Quest'ultimo, stringendomi appena la mano ottenne la mia attenzione e disse
"Non importa... non serve avere qualcosa di pronto.. basta lasciarsi andare." e mi sorrise incoraggiante "Lascia che sia il cuore a parlare al posto tuo!"
Lascia che sia il cuore... lui sì che ha le parole adatte...
Presi un profondo respiro, riempiendomi i polmoni di aria nuova e contando esattamente fino a dieci prima di sollevare di nuovo gli occhi, puntarli nei suoi, così chiari ed impazienti e innamorati e incredibilmente belli e dal profondo della mia anima trovai le parole da dirgli
"Fino a qualche anno fa ero... una testa di cazzo e se.. domandiamo in giro, l'ottanta per cento dei presenti sarebbe pronta ad ammettere che forse lo sono ancora. Senza il forse." dalla sala si alzò un'altra risata alla quale si unì anche lui "Non ho mai creduto nel vero amore, nei sentimenti profondi né tanto meno alla storia del per sempre. Credevo fosse qualcosa di impossibile, qualcosa che non avesse neanche significato. Forse lo dicevo perché... non ne avevo mai sentito la necessità oppure la sentivo.. la sentivo eccome ma non ho mai trovato il coraggio per ammetterlo. Poi un giorno... come un fulmine in ciel sereno sei arrivato tu e... dire che mi hai cambiato la vita sarebbe davvero banale e scontato.. tu la mia vita l'hai fatta iniziare." gli dissi con il cuore in mano avvertendo la voce cedere leggermente per l'emozione. I suoi occhi brillarono di nuovo ma mi lasciò continuare "É stato come svegliarsi da un lungo letargo per scoprire che il mondo conservava davvero qualcosa di bello e unico e speciale e quel qualcosa eri tu. Ora.. non so per quale assurdo motivo né per quale sfacciata fortuna tu abbia deciso di innamorarti proprio di me e di permettermi di amarti a mia volta.. solo che... quello che provo e che mi fai provare ogni giorno trascorso insieme è.. troppo bello, troppo prezioso ed io non posso assolutamente permettermi di lasciarmelo scappare. Tu sei l'inizio della mia vita e sei anche diventato il mio perfetto per sempre." presi un altro profondo respiro e infine aggiunsi "Ed è per sempre che prometto di amarti, onorarti, rispettarti e proteggerti fino alla fine dei miei giorni, fino a che avrò respiro e fino a che tu mi permetterai di farlo."
Alla fine, anche senza sapere come, la mia promessa l'avevo fatta, il mio cuore aveva parlato ed era esattamente ciò che avrei voluto dire, anche se avessi avuto la possibilità di scriverlo su carta prima della cerimonia. La reazione di Daniel però fu qualcosa di indescrivibile: chiuse per qualche istante gli occhi, senza dire una sola parola, per poi riaprirli qualche secondo dopo e stordirmi. Erano bellissimi, pieni di parole ed emozioni e pieni di lacrime che aspettavano solo di essere versate. E forse quel giorno glielo avrei permesso e probabilmente lo avrei permesso anche a me, magari in privato, quando nessuno avrebbe potuto vederci. Era il suo turno per parlare ma dalla sua espressione commossa intuii stesse aspettando la forza per farlo
"Daniel.. è il tuo turno." lo esortò il pastore con un gesto gentile. Si perse in un lungo respiro tremante, rivolgendomi un sorrise che mi fece stranamente arrossire.
Mi sto sposando davanti a tutte queste persone nella sala ricevimenti di un lussuoso albergo newyorchese e.. arrossisco se il mio ragazzo mi sorride...
"Forse non è stata una grande idea scriversi in anticipo il discorso perché ora non... ricordo praticamente nulla.." ridacchiò sconsolato suscitando una leggera risata generale ed un paio di sonori singhiozzi da qualche parte, probabilmente tra sua madre e sua sorella.
"Lascia che sia il cuore a parlare al posto tuo." gli consigliai con un sorriso che lui ricambiò all'istante, ancora leggermente tremante. Ovviamente dovette mordersi appena il labbro prima di iniziare definitivamente a parlare
"Quando ti ho conosciuto ammetto di averti profondamente odiato. Eri arrogante, presuntuoso, spaccone e.. tremendamente fastidioso." iniziò nascondendosi dietro ad un sorriso divertito che mi fece ridacchiare. Descrizione perfetta, avrei voluto dire, ma qualcuno pensò bene di intervenire al posto mio
"Lo è ancora!" borbottò Blaine facendo ridere tutti, me compreso
Questa me la paghi, nano malefico...
"Se qualcuno mi avesse detto che... tempo due anni e saresti diventato il centro del mio mondo.. probabilmente lo avrei ucciso con le mie stesse mani. Eppure... contro ogni.. logica... lo sei diventato davvero. Sei diventato il mio migliore amico, il mio appoggio, il mio unico scopo, la mia più grande soddisfazione, il mio tutto... l'amore della mia vita. Sei riuscito a farmi amare tutti quei bruttissimi difetti che ti ritrovi e sei perfino riuscito a farmi amare i miei che forse sono perfino peggiori. Sei riuscito a farmi conoscere un aspetto della vita che non avevo mai neanche preso in considerazione, sei stato capace di sopportarmi e continui a farlo ancora.. nonostante... tutto. Penso tu abbia la costante possibilità di mandarmi via, di sbarazzarti di me eppure... non lo fai... e questo, credimi.. è davvero qualcosa che ogni giorno è capace di lasciarmi senza parole." sollevò entrambe le sopracciglia in una espressione di autentico stupore che mi fece sorridere
"Io ho... pochi punti fermi nella mia vita.. uno di questi sei tu e vorrei che continuassi ad esserlo per sempre... rimanendo esattamente come sei e permettendomi di amarti oggi più di ieri e domani più di oggi e permettendomi di essere per te tutto quello di cui potresti aver bisogno." la voce tremò appena, assieme alle mie gambe e al mio respiro. Era davvero difficile rimanere fermi lì, senza poterlo prendere e stringere a me, provare a dargli un po' di forza, un po' di amore e prenderne a mia volta da lui perché iniziavo seriamente a sentirmi male tanto era forte ciò che sentivo. Quelle parole.. quelle magnifiche parole: era molto di più di quello che mi sarei mai potuto aspettare e mai potuto meritare.
Ti amo, ti amo... non smetterò mai di amarti.. smetterò di respirare, di sognare, di vivere.. ma di amarti no... quello mai...
"Ed è per tutti questi motivi che io oggi prometto di amarti, onorarti, rispettarti e prendermi cura di te... fino alla fine.. ora e per sempre." e quella volta davvero non seppi cosa mi trattenne dall'avanzare e baciarlo, forse i singhiozzi di qualcuno che si erano accentuati o il breve e spontaneo applauso che qualcuno aveva fatto partire o forse le parole del pastore che ci invitò finalmente a prendere gli anelli. Erano bellissimi, dorati, poggiati su un piccolo cuscino celeste che a turno sfilammo con delicatezza, baciammo e poi sistemammo al dito dell'altro. La mia mano tremava quasi in maniera preoccupante ma forse quello era davvero il male minore. Era niente rispetto a ciò che sentivo esplodermi nel petto, alla miriade di sensazioni che mi pungevano la pelle, mi facevano fremere e non mi permettevano neanche di stare fermo.
"E con i poteri conferitimi dallo stato di New York... vi dichiaro ufficialmente... marito e marito." proclamò infine l'uomo con un sorriso trionfante e quello che esplose poco dopo fu un vero e proprio applauso che per poco non fece venire giù tutto l'albergo. Ma io non riuscii neppure a sentirlo. Sentii solo le mani di Daniel - mio marito, per la miseria - che si stringevano nelle mie, vidi solo il suo sorriso che si allargava e si faceva ancora più bello, avvertii semplicemente la voglia irrefrenabile di baciarlo e alla fine.. lo feci. Poggiai finalmente le labbra sulle sue per un morbido bacio di unione che sanciva tutto quello che ci eravamo appena detti, promessi, dati e augurati. Un bacio nuovo di due ragazzi che avevano lasciato alle spalle tutto per ricominciare come una coppia sposata.. sposata per davvero. Questo dev'essere un altro sogno.. ma questa volta.. non voglio svegliarmi...
"Ti amo, Bas... ti amo da impazzire. Ora e per sempre."
"Ti amo anche io, piccolo mio ... ora e per sempre."

  
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