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Autore: Sintesi    25/02/2013    2 recensioni
Ho vent'anni, e un po' me ne vergogno. Amo i Pokèmon, e non me ne vergogno. Ho vent'anni e amo i Pokèmon, e di sicuro non me ne vergogno.
Breve OS su uno dei viaggi più emozionanti che ho mai compiuto, anche se solo nella mia testa. Ma si sa, un'immaginazione fervida può dare alla luce tante piccole, disastrose meraviglie. Riprendendo appunto spunto dai giochi e dalle avventure che immaginavo di vivere da bambina, vi racconterò qui quella più bella, la favola che mi raccontavo prima di dormire, così carica di magia da rendere anche possibile cavalcare un Rapidash senza ritrovarsi poi col sedere carbonizzato.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Il battito del mondo;
 
 

Siedo sotto le fronde di un grande albero di Bacche, mentre osservo il paesaggio intorno a me arrossire al tramonto di un altro giorno ormai agli sgoccioli, impiegato nella ricerca dell’ultimo membro della mia squadra, che a breve mi porterà a fronteggiare il Campione degli Èlite Four. Appoggio la schiena alla corteggia ruvida, arrotolando di tanto in tanto qualche ricciolo d’erba umida e scintillante nell’ultimo riverbero del sole, seminascosto dietro le montagne. Aspetto, in silenzio, respirando l’aria fresca e carica di polline, ascolto il ronzio indaffarato dei Beedrill e dei Combee, il nitrire lontano del mio Rapidash che galoppa nel vento, gustandosi appieno quell’adrenalina che solo la libertà può donare. Ricordo il giorno in cui si è unito a me, ancora cucciolo, ancora indifeso, ma già dotato di uno spirito indomabile e testardo. Prendo in mano le altre Pokèballs, le guardo, conoscendo bene il contenuto di ognuna di loro. Ne lancio una in aria, poi un’altra, e infine le altre due. Dragonite, Swampert, Meganium e Ampharos si guardano intorno e si stiracchiano, indolenziti.
“Andate a farvi un giro, ripartiamo fra un po’” dico loro, e sorrido.
I miei compagni annuiscono e si allontanano, tutti tranne Meganium che decide di cenare con le Bacche che crescono sull’albero al quale io sono appoggiata. Mi fido dei miei Pokèmon, li lascio spesso liberi di girovagare indisturbati nei dintorni di dove mi trovo, senza preoccuparmi di una loro possibile fuga. Il nostro legame ci tiene uniti come una grande famiglia, e nessuno, né tantomeno lo spazio, ci può separare.
Sospiro, un po’ assonnata. La ricerca oggi è stata piuttosto stremante, ho camminato tanto, ho bisogno di riposo. Stringo comunque in un pugno la mia ultima Pokèball, ancora vuota, ancora stranamente fredda. Perché, anche se questa forse è solo una mia impressione, trovo che queste piccole sfere emanino un calore invitante, quando contengono qualcuno. Quando hanno effettivamente uno scopo. È ingiusto e limitativo dire che servono solo per catturare Pokèmon, visto che sono effettivamente una dimora per questi ultimi. Un luogo riparato e protetto per portare i miei compagni sempre con me, per non sentirmi mai sola. Per aver sempre attaccato alla tracolla della borsa un piccolo frammento della mia casa lontana.
Meganium scrolla i petali rosati del fiore che porta al collo, sazia. Appoggia per un po’ la testa sulla mia, facendo vibrare le corde vocali in un sommesso verso d’affetto, poi si sposta placidamente più a sud, verso una pianura costellata di fiori di ogni colore.
Ogni mio Pokèmon ha una sua storia, un po’ come per le persone che non ho mai dimenticato nel corso del mio pellegrinare da una città all’altra. Esiste un motivo ben preciso grazie al quale si è creata fin dal primo incontro una sintonia ineccepibile per gli estranei, ma effettivamente reale e talmente potente da farmi arrivare dove sono ora.
Chiudo lentamente gli occhi, assaporando fino all’ultimo lo spettacolo che ho davanti a me. Rilasso i muscoli, in silenzio, mentre il braccio teso a guardare la Pokèball ancora vuota pian piano inizia a cadere verso il suolo. La presa su di essa si fa meno salda mentre mi assopisco, le dita si allargano e la sfera rotola accanto ad un mio ginocchio.
Sono in pace, sono immersa in un vasto mare verde, coperta dal cielo sempre più scuro che si prepara alla notte. L’aria è tiepida, si intravede la sagoma non ben definita della luna, nascosta dalle nuvole. La vita scorre, pulsa, mi circonda, eppure anche lei rallenta, stanca, rapita dall’invitante abbraccio del sonno.
 
Poi, nel silenzio, odo un fruscio insistente.
 
Non apro subito gli occhi, ma resto in ascolto.
 
Eccolo di nuovo, più vicino.
 
Non lo riconosco come una minaccia, ma stavolta mi desto definitivamente dal torpore, guardandomi attentamente intorno.
 
Sento ancora quel suono, a pochi passi da me, nell’erba alta. È come una successione interminabile di passi che calpestano incessantemente il terreno.
 
Mi metto a sedere composta, senza alzarmi in piedi, e aguzzo la vista. Uno scintillio improvviso sbuca dall’erba, e un piccolo Pokèmon nero e con una grossa sfera dai riflessi lilla tra le orecchie mi si presenta davanti. Saltella senza sosta sulla coda a molla, e non smette nemmeno quando si accorge della mia presenza e smette di avanzare nella mia direzione. Mi guarda, il piccolo muso alzando in aria per fiutare il mio odore.
Metto cautamente la mano dentro la borsa e ne estraggo il Pokèdex, puntandolo verso di lui.
Spoink, Pokèmon di tipo Psico” mi informa il dispositivo, aggiungendo subito dopo altri dettagli alla descrizione: “Spoink saltella come una molla sulla coda. Il colpo ricevuto dal rimbalzo gli fa battere il cuore. Di conseguenza, non può mai smettere di saltellare altrimenti il suo cuore smetterebbe di battere”.
Ritiro l’enciclopedia digitale di nuovo nel suo apposito scomparto, senza fare movimenti troppo bruschi che potrebbero spaventarlo e farlo fuggire.
Ci guardiamo, incuriositi dalla presenza l’uno dell’altra. Il suo continuo rimbalzare, ora, è diventato quasi ipnotico e mi fa venire un leggero mal di testa.
Il piccolo continua a fissarmi, a scrutarmi con i suoi piccoli ma profondi occhi neri. Istintivamente, non appena protendo le dita di una mano verso di lui, fa un salto indietro, per poi ritornare a sostare ancora, senza smettere di saltellare. Piega la testa da un lato, continuando a guardarmi, attratto da me tanto quanto io lo sono da lui.
Ripenso alla descrizione fornitami dal Pokèdex, e immagino il suo cuore pulsare ritmicamente dentro il suo corpo rotondo. Superficialmente, mi sembra quasi una cosa buffa, questo suo movimento continuo. Lui stesso è buffo, con quella sfera tra le tozze orecchie a punta, le corte zampine nere che gli spuntano ai lati del corpo, il naso che spicca roseo sul suo muso, e la coda arricciata, unica sua fonte di vita.
Ed è proprio quest’ultima che mi fa pensare che lui non è affatto diverso da ogni altra creatura, che per vivere e che per essere considerata viva, deve compiere continuamente delle azioni. Abbasso lo sguardo sulle mie gambe, apparentemente immobili, un po’ intorpidite ormai, e considero che nemmeno il mio corpo è davvero fermo, in questo momento. Ogni azione che compio, che sia pensare, sognare o respirare, fa di me una persona viva. Agli esseri viventi è stato negata la possibilità di restare fermi, immobili come degli oggetti, perché sono stati animati da un’energia che impedisce loro di arrendersi alla staticità di ciò che è destinato a rimanere realmente fermo.
Tutto, intorno a me, si muove impercettibilmente, nel torpore della notte. E io sono qui, e respiro, penso, ragiono, guardo questo piccolo Pokèmon che mi ha insegnato il ritmo che ha la vita quando pulsa dentro un corpo. La coda di questo Spoink è la mia volontà di non fermarmi mai e l’energia necessaria a spiccare salti sempre più alti, solo per respirare ancora più vita e sentirsi ancora più forti.
“Se fossi immobile, sarei prigioniera del mio stesso corpo. Bloccata per sempre e da sempre in un guscio che non mi permetterebbe di respirare” mormoro, quasi tra me e me, ma Spoink sembra annuire lo stesso, tanto che torna ad avvicinarsi, senza togliermi gli occhi di dosso.
Gli sorrido, carica di pensieri, riflettendo sul fatto che nella sua semplicità di Pokèmon, lui è stato l’unico, nel nostro vasto mondo, ad avere il coraggio di mostrare a tutti la sua grande debolezza, ma anche la sua infinità volontà di non lasciarsi scappare nemmeno un attimo di esistenza. Se smettesse di saltare, morirebbe, e sarebbe un modo effettivamente molto semplice di andarsene. Mi domando, un po’ inquieta, quanti esseri umani avrebbero la stessa forza di questo Spoink, quanti si sarebbero semplicemente dimenticati di spiccare ancora un piccolo, faticoso balzo verso la vita, piuttosto che lottare.
Riprovo ad avvicinare una mano verso di lui, e questa volta non si allontana e si fa sfiorare leggermente. L’emicrania ora è più forte, ed è forse anche dovuto ai suoi attacchi psichici che mantiene attivi per difendersi, ma sento una strana alchimia tra noi due, ora. L’attrazione di prima si intensifica, e il Pokèmon con piccoli saltelli si posiziona più vicino, arrivando a mettersi sotto il palmo della mia mano, spingendola in alto ad ogni rimbalzo.
“Spoi-Spoink?” sussurra poi, guardandomi.
“Sì Spoink, penso anch’io che la vita sia continuo movimento, e che la volontà di non venirne privati, sia l’istinto più forte dal quale possiamo venir investiti”
Lo accarezzo, prendendogli delicatamente la sua sfera lilla dalla testa e sostituendola con la Pokèball vicino alla mia gamba.
Lui inizia a giocarci, palleggiandola con salti precisi e mirati, mentre la sua tensione scema pian piano, e con lei anche il mio insistente dolore alla testa.
Intanto in lontananza vedo le sagome dei miei Pokèmon che tornano verso di me, per passare insieme la notte. Dragonite vola sopra gli altri a mezz’aria, godendosi la brezza notturna, Ampharos e Swampert si rincorrono poco più avanti, la prima sicuramente arrabbiata perché ha perso l’ennesima battaglia contro l’altro, mentre Rapidash scrolla la criniera infuocata e Meganium sbadiglia, infastidita da un gruppetto di Butterfree che le girano attorno, ammaliati dal profumo del suo fiore.
Mi raggiungono e si dispongono a cerchio intorno a me, in un segno di protezione e affetto. Anche Spoink, un po’ intimorito dalla mole di alcuni di loro, si rifugia di nuovo sotto la mia mano, ma gli altri lo accolgono subiti con versi stupiti e contenti, mentre Swampert come suo solito, scrollandosi, gli schizza del fango sul naso. Un chiaro segno di benvenuto, penso divertita.
E così, con loro che a turno si stendono e si rannicchiano per dormire, mi appoggio anch’io nuovamente alla corteccia dell’albero con un sospiro rilassato. Sorrido nel vedere la mia famiglia finalmente al completo, eccitata e sollevata dal fatto che il mio viaggio non è nemmeno giunto a metà del suo intero compimento, e prima di scivolare nel sonno, sento il corpo minuto del mio nuovo Pokèmon accostarsi al mio. Il suo continuo rimbalzo mi culla in un piacevole stato di incoscienza, ben conscia che anche se apparentemente siamo tutti fermi nel buio della notte, i nostri sogni manterranno vivi i nostri spiriti fino a domani.
“Buonanotte ragazzi” sussurro prima di addormentarmi.
E nel silenzio di questo placido paesaggio in fiore illuminato da una grande luna bianca, in questo spicchio di mondo che sfoggia i suoi allegri colori primaverili e le nuvole si rincorrono nel cielo, sento l’eco dei nostri cuori rimbombare all’unisono fin oltre l’orizzonte.

 
 
-fine-
 
 
 
 
 
Sì ecco, non è la trama più fantasiosa che io abbia mai ideato, ma non importa. È un regalo diciamo, un omaggio ad un grande brand a cui sono tutt’ora affezionata, nonostante i miei quasi vent’anni. Nonostante non impazzisca troppo per la quinta generazione (perché andiamo, capisco dei Pokèmon come Muk o Grimer che sono nati dalla melma, ma vogliamo parlare di un Pokèmon spazzatura? O di un Pokèmon gelato? Eddai su GameFreak, sii seria.), da quando mia nonna, durante la mia infanzia spensierata, mi regalò un Gameboy Colour con la cartuccia di Pokèmon Oro, il mio amore per questi “mostri tascabili” non ha fatto che aumentare. Questo racconto rappresenta un po’ la mia squadra in Pokèmon Rubino, e il fatto di rappresentarli anche con delle loro personalità è nato anche dall’ispirarsi alla Natura di ognuno di loro. Spoink in realtà ora è un fantastico Grumpig che nel tempo mi ha resa sempre più fiera di lui dal primo giorno in cui lo catturai. E non mi vergogno di dire che questa è da sempre stata la fantasia più spiccata che ho da quando ero bambina, quella di vivere in un mondo in cui a dieci anni viaggi per il mondo con i tuoi compagni e vivete mille avventure sempre insieme, sempre più uniti. Mi dispiace solo ammettere che una volta queste fantasie erano molto più nitide nella mia testa di fanciulla, ma pazienza, nostalgia non portarmi via.
Bon, commento senza senso, potevo sintetizzare semplicemente con una frase:
Prendete questo racconto per quello che è, ovvero per la trascrizione su carta di uno dei sogni più belli che ho mai vissuto e che in un modo un po’ diverso vivo ancora, e che non dimenticherò mai.
 
Rimbalzate sempre, dimostrate con i vostri gesti la vostra volontà di vivere.
 
… e se avrete dei figli, dite loro che Mewtwo se ne frega degli stupidi draghi con le turbine nel culo.






Grazie un po' per tutto, anche per una semplice lettura,
Sintèsi;

   
 
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