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Autore: Ryta Holmes    25/02/2013    9 recensioni
“Se è tardi a trovarmi, insisti, se non ci sono in un posto, cerca in un altro, perché io son fermo da qualche parte ad aspettare te.„ [Walt Whitman]
Spoiler 5 stagione
Fu a quel punto che si inginocchiò per guardare meglio quel vecchio e… non vide nient’altro che un vecchio. Sporco e impaurito. Ed esausto. Con gli occhi di un azzurro vivido che adesso ricambiavano lo sguardo.
“Non dovrebbe stare qui. Quest’uomo va portato in ospedale o in un osp-“ non concluse la frase. La voce gli morì in gola, quando la mano raggrinzita ma forte del vecchio lo arpionò sull’avambraccio. Vide quegli occhi azzurri sgranarsi di sorpresa e poi quella bocca nascosta dalla folta barba bianca spalancarsi come per dire qualcosa.
Ma non ne uscì nulla alla fine. Il vecchio lo guardò iniziando inspiegabilmente a piangere. E lui si sentì a disagio.
“Mi… occuperò io di lui.”
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Desclaimer: Merlin e tutti i suoi personaggi non mi appartengono, se lo fossero sarei ricca, la serie non sarebbe finita e Ginevra avrebbe sposato Lancillotto.
 

MENTRE TI ASPETTO

 
 
Capitolo 9
 
“Merlin!”

Il suo nome, per la centesima volta in soli tre giorni, risuonava nelle orecchie.

“Merlin!”

Erano passati secoli dall’ultima volta in cui qualcuno lo aveva chiamato per nome. C’erano voluti mille anni perché ciò accadesse e soprattutto per sentirsi richiamato con quella voce.

“Merlin!”

Non lo avrebbe mai detto ma probabilmente in soli tre giorni aveva recuperato tutti e mille gli anni in cui nessuno lo aveva più chiamato.

“Insomma, Merlin! Ti vuoi muovere?”

“Un attimo, ho solo due mani io.”

Merlin lanciò un’occhiata obliqua al suo capo, che avrebbe potuto essere tranquillamente definito padrone. La facilità con cui quel Lucius Chaste si era abituato ad avere un assistente e a delegargli qualsiasi compito dal più stupido al più gravoso, lo aveva impressionato. E di sicuro aveva a che fare con il fatto che la sua faccia, la sua voce e la sua asineria fossero identiche a quelle del Re del passato e di chissà quale futuro. Lucius somigliava ad Arthur in maniera impressionante…

Ma non era lui.

Merlin lo sapeva, anzi lo sentiva. Perché non solo aveva sognato Arthur pochi giorni addietro che gli diceva che presto sarebbe tornato – anche se ancora non era successo niente – ma poi c’era dell’altro. La magia, certo, anche quella contava tantissimo. Ma adesso c’era anche un particolare in più.

“Merlin…”

“Sì…?”

“Ti ho mai detto che con questo atteggiamento potrei licenziarti su due piedi?”

“Da tre giorni a questa parte, ovvero da quando mi hai assunto, credo almeno un centinaio di volte.”

“E allora, credo non ti sia entrato bene in testa… Merlin!”

Eccolo il motivo. Merlin, non era quel Merlin che lui era abituato a sentire. Erano passati mille anni ma lui ricordava ancora perfettamente l’intonazione con cui soltanto il Re Arthur era in grado di dire il suo nome. Una cadenza tutta sua, che sapeva di ammonimento e di affetto assieme, di potere e di rispetto. Un modo così speciale di chiamarlo che Merlin non avrebbe mai potuto scordare. E che Lucius non sapeva fare.

Per quante volte lo avesse chiamato con quella stessa voce, non lo aveva mai fatto nello stesso modo perfetto con cui lo faceva Arthur.

Per questo Merlin era convinto non fosse lui. Per questo e per una miriade di altri dettagli più o meno lampanti.

Eppure era lì, a fargli da servo-pardon, da assistente. Perché in quell’epoca moderna era così che si chiamavano i valletti al servizio di gente ricca. Merlin, senza volerlo davvero, si era ritrovato ad assistere quel Lucius Chaste e a seguirlo praticamente in tutti i suoi spostamenti e soprattutto in tutti i suoi capricci.

“Qui c’è il vostro dannato giornale, qui il caffè. Qui il discorso che mi avete costretto a correggere al posto vostro e qui i documenti che mi avete chiesto… vostra altezza.”

Lucius acchiappò la tazza fumante portandola alle labbra e intanto sollevò lo sguardo piccato sul proprio assistente che in piedi davanti la sua scrivania, gareggiava con lui a chi fosse il più irritato quella mattina. Lo aveva svegliato all’alba chiamandolo al cellulare che gli aveva dato per rintracciarlo più facilmente e lo aveva costretto a raggiungerlo a casa sua perché, secondo le sue parole, “doveva sbrigare alcune faccende della massima importanza”.

E poi si era ritrovato a fare un caffè e a correggere quel discorso che a occhio e croce sembrava fatto coi piedi in cinque minuti appena. Da quello che aveva capito, quando era ancora un vecchio e abitava in quella casa, Lucius non era portato molto per i discorsi per cui aveva sempre bisogno di assistenza o da parte di Jennifer o… dello sfigato di turno. Lui per esempio.

“Appena arriverà Jennifer le dirò che mi hai costretto a fare il tuo lavoro.”

Lucius ancora non rispose e continuò a sorseggiare il suo caffè, studiandolo. Merlin incrociò le braccia ancora più infastidito. Quando fino a qualche giorno fa abitava lì con le sembianze di un vecchio, lo assisteva in qualche modo, ma non con quella frequenza e soprattutto non ripreso con quell’arroganza. Complici l’età avanzata e forse un certo timore nei suoi confronti, Lucius non aveva mai osato chiedergli più di tanto e lui aveva acconsentito a dargli una mano convinto di avere a che fare con il futuro Re del passato.

Ma adesso l’idiota sembrava sentirsi in dovere di trattarlo in quel modo, semplicemente perché aveva un contratto che attestava la sua situazione lavorativa. Glielo aveva fatto firmare due giorni prima e Merlin detestava averlo fatto, perché se n’era pentito subito dopo.

Intanto si chiese per l'ennesima volta come mai fosse ancora lì e non se ne fosse andato…

“Fai pure. A Jennifer non interessano queste cose. A lei basta che il discorso sia pronto. Ad ogni modo…” Lucius replicò serafico, poi lasciò la tazza sulla scrivania e prese un plico di fogli che Merlin riconobbe subito come il suo contratto di lavoro. Per un attimo pensò di approfittarne e stracciarlo, poi però qualcosa di non ben definito gli fece cambiare idea.

“Leggevo i tuoi dati… hai scritto che vieni da… Ealdor?”

“Sì, è il paesino dove sono nato.”

“Non ricordo di un posto simile…”

“Infatti non è in questo distretto.” Merlin sapeva bene cosa rispondere. Aveva studiato tutta la faccenda e grazie alla magia si era persino procurato un documento che attestasse la sua esistenza a livello burocratico. Molti dati però, aveva voluto lasciarli così come erano.

“E hai sempre vissuto lì?” domandò ancora Lucius, questa volta più per curiosità. Merlin lo riconobbe dalla voce.

“Fino a una certa età sì, poi ho girato per l’Inghilterra e vi sono tornato per assistere mia madre quando si è ammalata.”

“Spero si sia ripresa.”

Merlin strinse le labbra. “No… veramente è morta. Ma va bene, è successo tanto tempo fa.” In fondo era la verità. Il dolore per la perdita di sua madre giaceva sepolto da mille anni di vita e di ricordi e anche se ogni tanto ancora si faceva sentire, era di quei dolori sordi e senza contorni, di quelli che passano così come sono arrivati, volando via come le foglie secche.

Lucius però, a quella risposta chinò il capo, facendosi più gentile. “Oh, mi dispiace. Se ti può consolare io mia madre non l’ho mai conosciuta.”

Merlin non disse nulla, decise di sedersi di fronte a lui, intuendo che la conversazione si sarebbe prolungata.

“E poi sei venuto qui da tuo nonno?” continuò Lucius imperterrito. Come mai voleva sapere tutti quei dettagli? Non era meglio ordinargli qualcosa invece di chiedergli tutte quelle cose?

“Più o meno… non conoscevo bene mio nonno, sono qui perché cercavo un’altra persona.” Altra verità fatta di parole piene di sottintesi. “Però non ho trovato né l’uno né l’altra alla fine.” Decretò.

Lucius lo guardò fisso, facendosi per un attimo pensieroso, poi scosse il capo tornando alla realtà. “Beh, non è detto… magari torneranno.”

“Devono.” La risposta secca di Merlin provocò uno sguardo curioso di Lucius ma l’uomo non chiese altro. Si limitò a sorridere e poi a sospirare.

“Sei sempre così convinto. Ti invidio sai? Io sono sempre più sicuro che le persone più le aspetti e meno vogliono tornare da te.”

Merlin si morse l’interno della guancia, avvertendo una certa inquietudine nel sentire quelle parole. Perché facevano male e lui temeva si avverassero.

“Ma io non posso smettere di sperare… è il mio destino” soffiò senza pensarci due volte. Quando si rese conto di cosa stava dicendo, Lucius aveva già risposto con un “Il tuo che?” e lui si era alzato in piedi.

“Guarda che è tardi, sono quasi le nove e cinque! A che ora devi essere in ufficio?”

Lucius non fece in tempo a chiedere altro: quando recepì le parole di Merlin, sgranò gli occhi e si guardò l’orologio che aveva al polso, imprecando. “Dovevo essere lì cinque minuti fa!”

Poi scappò via seguito a ruota da Merlin che lo inseguì. Nella fretta si era scordato il discorso.

“Idiota, questo me lo hai fatto fare a vuoto?”

“Chiamami ancora così e ti licenzio!”

 

***

 
La porta della casetta di legno sbatacchiò sollevando un poco di umidità. Merlin ignorò il fatto, continuando il suo cammino malfermo fino all’angolo dove era posizionato un lettino accomodato con delle lenzuola bianche. Ci si lanciò sopra, abbandonandosi alla stanchezza e sbuffando.

Non aveva voglia di svestirsi, voleva solo perdere i sensi e dormire. Era così stanco che davvero sollevarsi ancora, anche solo per togliersi la camicia equivaleva a un’impresa titanica. Sarebbe rimasto così, tanto a chi doveva dare conto se non a se stesso? Senza contare che era diventato un vero e proprio esperto nello stirarsi gli indumenti con la magia.

Si concesse soltanto lo sforzo di sfilarsi le scarpe, poi si accucciò sul materasso tirandosi le coperte in modo da coprirsi dalla frescura primaverile.

Sospirò ancora, godendo del piacere di un materasso e di un cuscino a sostenere le sue membra sfinite. Lucius Chaste era un vero dittatore. Lo aveva costretto tutto il giorno a fare su e giù da casa sua fino agli uffici del Distretto e poi ancora fino al partito a sbrigare alcune commissioni, tra cui un’imponente spesa per una cena decisa all’ultimo momento con i colleghi di partito di Lucius, che lui avrebbe dovuto trovare un modo per organizzare. Ovviamente aveva fatto affidamento all’intelligenza e aveva usato il denaro che gli era stato consegnato per contattare un servizio catering, per cui alla fine aveva predisposto un buffet a villa Chaste, che aveva avuto un grande successo.

Successo che era andato in forma di complimenti interamente al padrone di casa.

Non a lui, ovvio. Lui si era limitato a sorridere dalla cucina, mentre i camerieri affittati assieme al catering, portavano in tavola il dessert e Jennifer da lontano gli faceva il segno della vittoria con uno sguardo complice.

Si chiese per la milionesima volta perché facesse tutto quello. Avrebbe potuto andarsene, dire a Chaste di organizzarsele da solo le cene, di aver diritto a un giorno di riposo vero e proprio, non con un cellulare che squilla in continuazione per ogni capriccio. Oppure avrebbe potuto stracciare quel dannato contratto e tornare libero.

Merlin si chiese perché lo facesse. E poi si diede una risposta. Lo sapeva perfettamente, perché aveva accettato volontariamente quella tortura.

Merlin non voleva tornare indietro. La sola idea di riprendere ad aspettare guardando il lago, lo angustiava. Doveva tenersi occupato perché tornare come prima era ormai fuori discussione. La stanchezza dell’attesa era una cosa che aveva covato per decenni ma soltanto dopo quel sogno in cui si era illuso che finalmente tutto stesse per cambiare, era venuta tanto a galla che lui non era più riuscito a riportarla a fondo e a nasconderla sotto cumuli di speranze.

Arthur sarebbe tornato prima o poi, questo lo sapeva. Ma finché non succedeva lui doveva far qualcosa. E stare al servizio di Lucius Chaste era sicuramente la cosa più impegnativa che al momento conoscesse.

Chaste era pretenzioso e indisponente esattamente come Arthur perciò in qualche modo Merlin sapeva con chi avesse a che fare. Era un po’ come fare il suo vecchio lavoro, solo che almeno Chaste era perfettamente in grado di vestirsi da solo e non lo costringeva a lavargli la schiena quando faceva la doccia.

E poi qualche genio nel corso degli anni aveva inventato la lavatrice per cui non doveva più strofinare panni sporchi di fango e lucidare armature e stivali. Certo, il lavandino del bagno che perdeva avrebbe potuto pure farlo aggiustare da un idraulico invece che da lui – anche perché poi aveva combinato un disastro inondando il bagno di acqua e beccandosi pure la ramanzina – ma alla fine Merlin si era reso conto che il lavoro dell’assistente era molto meno faticoso di quello del servo.

Ad ogni modo non era meno stressante. Questo perché il padrone o meglio, il capo, era petulante e puntiglioso e ora che sbrigava due lavori contemporaneamente e portava avanti una campagna politica per essere eletto Primo Ministro, era diventato ancora più irascibile.

Merlin cercò di non pensare all’ultima sfuriata che aveva avuto quella mattina sul ritardo con cui gli aveva riconsegnato alcuni documenti, preferendo concentrarsi poi sulla sua replica sprezzante che lo aveva zittito e nella quale gli aveva fatto notare che continuando così, la prossima volta nelle cartelle ci avrebbe disegnato prati fioriti e barchette.

Altro punto a favore, nei tempi moderni non esisteva la gogna. Per cui il massimo che Chaste avrebbe potuto fare, sarebbe stato licenziarlo. Ma chissà perché, nonostante minacciasse di farlo almeno venti volte al giorno, ancora non lo aveva cacciato. Per cui Merlin, una volta capita l’antifona, non si era fatto problemi a rispondere pan per focaccia a tutti i suoi urli e strepiti, guadagnandosi probabilmente anche un certo rispetto.

Quella sera era stata sicuramente la più faticosa ma in fondo, era stata anche la più soddisfacente. Perché Lucius alla fine della serata non lo aveva ripreso, né lo aveva minacciato di licenziamento. Gli aveva detto “Grazie”. E a lui quella parola aveva fatto un gran piacere.

Si rendeva conto che un poco a quell’uomo si era affezionato. E non c’entrava il fatto che avesse la faccia di Arthur e buona parte del suo carattere. In fondo sapeva perfettamente che non era lui e non aveva nessuna intenzione di sostituire il suo Re con una copia. Però c’era qualcosa di buono in Lucius che lo attraeva, una scintilla che lo affascinava e che in qualche modo gli provocava il desiderio di restare. E di aiutarlo in quel cammino così ambizioso che si era scelto.

Merlin era attratto da Lucius perché emanava una luce buona, come quella che aveva visto nel cuore del Re e che sapeva avrebbe portato bene.

E ogni tanto, quando il sonno lo coglieva e la sua coscienza perdeva stabilità, i pensieri si facevano confusi e lui pensava a come sarebbe stato perfetto Arthur nel ruolo di Lucius e poi, un attimo prima che Morfeo lo abbracciasse del tutto, li vedeva. Due eppure uno, come la stessa persona fusa in due entità. Poi non vedeva più nulla e il sonno lo portava via.
 

***

 
L’ingresso monumentale dell’abitazione di Lucius Chaste svanì dalla sua visuale, mentre entrava in casa e chiudeva la porta. Lasciò le chiavi che gli erano state date in custodia sul tavolino dell’ingresso e si guardò intorno. Silenzio.

Merlin strinse le labbra, sospettoso. A quell’ora del mattino non poteva esserci tutta quella calma. Di solito c’era la tv accesa, l’odore del caffè – quando non era lui a prepararlo – che si propagava nell’aria e Lucius che faceva su e giù dalla cucina allo studio, mettendosi la cravatta e cercando di ricordare tutti gli impegni della giornata.

A quel punto arrivava lui che spegneva il fornello e sistemava il caffè in una tazza, che poi porgeva a un affrettato Lucius, irritato dal fatto che non ricordasse dove diavolo dovesse presenziare quel giorno prendendosela con lui. Merlin gli diceva di bere e di star zitto e poi gli elencava tutti i suoi impegni, rinfrescandogli la memoria e calmandolo.
Questo insieme di azioni, erano diventate quasi un rito al mattino da due settimane ormai, con Merlin che tutte le volte lasciava il letto della casetta sul lago e si dirigeva da Chaste per una giornata di lavoro.

Quella mattina però, la casa era silenziosa. Nessun rumore, nessun odore di caffè. E Merlin ebbe un brutto presentimento.

Salì le scale e si diresse subito verso la stanza di Lucius, aprì la porta e la trovò al buio, con le imposte chiuse. Non ci mise molto a capire che quell’idiota non aveva sentito la sveglia e continuava a dormire beato, come se al mondo non ci fosse nient’altro che il suo letto.

Sbuffò esasperato, conscio che il risveglio brusco non avrebbe di certo giovato al suo carattere irritabile e che di sicuro per questo si sarebbe sfogato con lui, l’unico a sopportarlo al mattino.

Ma a quel punto, tanto valeva fare a modo suo, perciò si avvicinò alle imposte per aprirle e far entrare la luce, poi si accostò al letto e avvicinatosi sussurrò dolcemente.

“Buongiorno, Raggio di Sole! E’ ora di svegliarsi.”

Lucius sorrise nel sonno e si rigirò su un fianco. “Mhmmm… no, ancora no…”

Merlin sollevò un sopracciglio. “Ehi, Raggio di Sole! Guarda che è tardi!” provò con meno dolcezza, smuovendogli leggermente una spalla.

Lucius agitò la mano mollemente. “Mmmerlin, ora mi alzo, apri le tende…”

“Ma quali tende, che nemmeno ce le hai? Lucius!”

A quel richiamo, l’uomo aprì gli occhi che poi richiuse un paio di volte, cercando di abituarsi alla luce che entrava, e di focalizzare nel frattempo la figura che lo sovrastava.

Merlin si vide osservato prima con sorpresa, poi via via l’espressione di Lucius si fece seccata. “Che ci fai nella mia stanza?”

Merlin sbuffò, mettendosi dritto e allontanandosi dal materasso. “Sei in ritardo! Sono arrivato ma non eri sveglio.”

Lucius allora guardò l’orologio che aveva al polso e sobbalzò sul letto mettendosi a sedere con uno scatto. “Ma è tardissimo!”

“E’ quello che sto cercando di dirti… Raggio di Sole!”

Lucius lo guardò malissimo, mentre lanciava in aria le coperte e si infilava nel bagno con passo spedito. “Fammi il caffè, boll-“

“-llente mi raccomando!” gli fece il verso Merlin, conoscendo ormai quelle raccomandazioni a memoria. Ignorò gli improperi che Lucius continuò a borbottare in bagno riguardanti il ritardo e una dubbia presunzione del suo assistente e scese al piano di sotto per preparargli il caffè.

Sorrise, mentre faceva le scale. Per un attimo aveva ricordato di quando cercava di svegliare Arthur, tirando le tende rosse della sua stanza e prendendolo in giro quando quegli non voleva alzarsi. Lucius somigliava troppo ad Arthur per certi aspetti e la cosa non poteva non fargli piacere.

Anche se c’era una sorta di meccanismo autolesionista in questo, che lui sapeva ma che non voleva accettare. Il fatto era che Lucius sapeva di Arthur ma aveva anche qualcosa di suo e nel tempo Merlin aveva apprezzato entrambe le cose. Poteva ricordarsi continuamente del suo Re, quasi ce lo avesse davanti e nel contempo stringeva un legame con un’altra persona che non era lui e che gli donava un alito di vita.

D’altronde avere rapporti con altra gente, era una cosa che non gli succedeva da anni e solo quando ne aveva avuto nuovamente modo, si era accorto di quanto gli fosse mancato.

“E’ pronto?”

La domanda di Lucius, era giunta più vicina di quanto credesse. Si era affacciato sulla soglia della cucina, proprio mentre lui osservava la macchinetta versare nell’ampolla il liquido nero.

“Quasi… e comunque hai ancora venti minuti, questa mattina hai un comizio, non devi andare in ufficio.”

Lucius, che era sparito dalla visuale per sistemarsi la cravatta davanti lo specchio del corridoio, tornò ad affacciarsi in cucina e aggrottò la fronte. “E perché non me lo hai detto prima, invece di farmi scapicollare come un matto?”

Merlin ridacchiò, versando il caffè in una tazza. “Perché è stato divertente vederti ammattire.”

L’altro afferrò il recipiente facendo schioccare la lingua. “Dovrei licenziarti per questo.”

“Ah-ha” gli fece eco Merlin, continuando a sorridere. Prese un’altra tazza e versò del caffè anche per sé, prendendo a sorseggiarlo con noncuranza.

“Dico davvero, non mi prendi mai sul serio… e non va bene!”

“Lucius… mi minacci di licenziamento almeno venti volte al giorno… come faccio a prenderti sul serio?”

“Perché prima o poi lo farò.”

Merlin bevve e poi lo guardò, incuriosito. “E perché non lo fai?” c’era una sorta di tranquillità con cui si rivolgeva a lui. Perché in fondo sapeva di avere a che fare con una persona normale da cui non si aspettava nulla. Era un po’ come se non avesse niente da perdere, per cui perché non vivere serenamente quella situazione?

Lucius a quella domanda, strinse le labbra pensieroso. “Non lo so… forse perché temo la reazione di Jennifer…”

Merlin sapeva che non era vero. Era per qualcos’altro che lo teneva lì e lui non voleva dirglielo. “Non sarà per riguardo a mio nonno, spero…”

“Uhm… forse, ma… no, non è per quello.” Lucius vuotò la tazza e la poggiò sul tavolo, certo che l’altro l’avrebbe poi lavata e riposta nel lavello. “Bene, direi di andare a lavoro.” fece per andarsene ma Merlin lo seguì.

 “No, aspetta! Dimmi perché!” ora era davvero curioso. Lui un motivo ce lo aveva, ed era più che valido ma Lucius? Perché se lo teneva, se non faceva altro che lamentarsi?
“Avanti, dimmelo!” lo seguì mentre passava attraverso il salotto diretto allo studio, dove sapeva c’erano da recuperare cartellina e documenti.

Lucius scosse la testa, andando avanti per la sua strada nonostante l’insistenza del suo assistente. “Ho le mie buona ragioni, Merlin… soltanto una cosa…” si fermò e si voltò di scatto. Merlin dovette arrestarsi di colpo per non andare a sbattergli contro e si vide il dito indice puntato davanti agli occhi.

“…chiamami ancora Raggio di Sole e ti licenzio sul serio!”

Merlin dapprima sgranò gli occhi, poi imbronciò le labbra indispettito. “Ah sì? E allora, Raggio di Sole, dimmi perché non mi licenzi?”

Lucius fece finta di non aver sentito e tornò a camminare verso lo studio. Merlin lo raggiunse fin dentro la  stanza, poi si fermò allargando le gambe.

“Raggio di Soleee!! Ce l’ho con te!” poggiò i pugni sui fianchi con fare sfrontato. “Non fare il finto tonto con me, Chaste, che già lo sei!”

A quel punto Lucius decise di fermarsi. Si voltò ancora, ma stavolta con una lentezza che voleva incutere… minaccia? Lo guardò assottigliando lo sguardo.
“Il fatto che io non ti possa licenziare… non vuol dire che non possa fartela pagare.”

Merlin si fece avanti, fino a raggiungerlo. Deglutì non sapendo il senso di quella frase ma ormai era troppo tardi per tirarsi indietro. La cosa assurda era che ci trovasse una nota divertente in tutta quella storia.

“E in che modo? La gogna non esiste più da anni.”

Lucius sollevò un sopracciglio. “Che c’entra la gogna? Oh no, Merlin… forse potrei farti lavorare un po’ più come un servo e un po’ di meno come assistente.”

Merlin ridacchiò sprezzante del pericolo. “Cambierebbe qualcosa da quello che già faccio?”

“Merlin…” lo richiamò severo, il suo datore di lavoro.

“Orsù, Raggio di Sole. Perché non mi licenzi?”

“Merlin…”

“O perché non mi dici allora cosa ti vieta di farlo…”

“Merlin…”

“Perché sai, senza una scusa valida potrei pensare che tu sia davvero un babbeo!”

«Merlin! »

“Ma insomma, vuoi fare silenzio?”

Trattenne il fiato, mentre Lucius lo guardava in cagnesco e anche un bel po’ irritato.

“Stai esagerando adesso, Merlin! Devo ricordarti quali sono i ruoli? Sei il mio assistente, diamine! Nemmeno il mio migliore amico è così… esasperante come te!” nel frattempo afferrò la cartelletta e si avvicinò alla porta dello studio, superandolo. Era davvero arrabbiato e probabilmente pensò di aver fatto il suo effetto, perché Merlin era rimasto immobile sul posto e lo fissava a bocca aperta, le iridi azzurre spalancate.

“Cerca di darti una calmata e fai il tuo dovere!”

Se ne andò, sbattendo la porta e lasciandolo solo, certo di avergli fatto una bella ramanzina. Ma Merlin non era sconvolto per quello. Perché c’era stata un’altra voce a sovrapporsi a quella di Lucius che sbraitava. Era risuonata nella sua testa e lui l’aveva riconosciuta subito. Il tono era uguale ma la cadenza era quella perfetta che solo Lui sapeva dare.

Arthur lo stava chiamando. Di nuovo.
 

***

 
Era tornato. Avrebbe dovuto non farlo, ma non aveva resistito. Una parte di lui, quella speranzosa che nonostante gli anni e le delusioni non si era mai arresa del tutto, lo aveva condotto di nuovo lì, sulle rive di quel maledetto lago. E di nuovo, come tutte le altre volte, non era successo niente.

L’acqua era cheta, le nebbie immobili. La luna adesso, che si rifletteva sullo specchio d’acqua, illuminava la natura aggiungendo staticità a quel posto.

Merlin fissava il centro del lago e sapeva benissimo ormai, che non sarebbe successo niente. Ma non poteva farne a meno. Arthur lo aveva chiamato. Era la seconda volta che succedeva in pochi giorni, dopo che quel richiamo gli era stato negato per secoli. Ed era così bello, il modo con cui diceva il suo nome che avrebbe voluto sentirlo ancora e ancora. Ma a parte quella mattina, il Re Arthur non si era fatto vivo e Avalon di nuovo aveva taciuto.

Era stato lì tutto il giorno, se n’era andato da casa di Chaste, era tornato sulle rive e lì era rimasto. Aveva disatteso il suo lavoro, i suoi nuovi impegni ed era tornato a fare quello che aveva fatto per quasi una vita intera. Aspettare. Anzi, aspettare inutilmente, per essere più precisi.

“Ma cosa devo fare io con te?”

La voce lo aveva fatto sobbalzare. Perché l’inflessione era la stessa che lui voleva sentire. Eppure dopo il primo smarrimento si era accorto che non lo era. Quella voce era di Lucius.

Si voltò, scorgendolo a pochi passi da lui, il profilo distinto a malapena dalla luce della luna ormai ridotta a uno spicchio. Non lo aveva visto né sentito arrivare e in fondo, si rese conto con amarezza che non avrebbe potuto, perché era così stupidamente assorto nel guardare il lago, che non si sarebbe accorto nemmeno del passaggio di un drago accanto a lui.

Non rispose a quella domanda retorica. Si limitò a prendere un lungo respiro mentre Lucius si avvicinava e intanto si chiese cosa gli provocasse dentro l’improvviso arrivo di quell’uomo. Non sapeva cosa pensare, se essere infastidito da quella intrusione oppure contento, perché fosse andato a cercarlo.

Ma forse era lì solo per licenziarlo, dopo essere sparito in quel modo…

“Credevo fossi un po’ più resistente ai miei rimproveri. Non immaginavo ti avrei fatto scappare via.” Lucius continuò a parlare, avvicinandosi accanto a lui. Più da vicino, riusciva a scorgere altri dettagli della sua persona e non poté non notare il sorrisetto accondiscendente che tante volte gli aveva ricordato Arthur.

Si sentì un po’ in colpa per essersene andato ma soprattutto si sentiva un idiota, perché di nuovo aveva mollato tutto per andare lì, convinto di trovarci Arthur e beccandosi solo l’ennesima delusione. O meglio, più che mollare tutto, aveva mollato Lucius. Quell’uomo che aveva riposto fiducia prima nel lui da vecchio e poi nella sua versione giovane e che per ben due volte si era visto abbandonare.

“Non sei stato tu. Scusa se ho saltato il lavoro.”

“Io non dovevo risponderti a quel modo. Sapevo stavi scherzando.”

Non voleva che lui si scusasse. In fondo era colpa sua se lo aveva provocato e poi se n’era andato, facendogli credere di essersela presa per quella sfuriata. La rabbia contro se stesso aumentò.

“Sai perché non ti ho ancora licenziato?”

Merlin non gli aveva più risposto e allora Lucius aveva continuato a parlare, forse credendo ce l’avesse ancora con lui. Lo guardò e nella penombra vide quegli occhi puntati prima verso il lago, poi nei suoi. Si sentì ancora peggio, quando si rese conto che erano velati di tristezza.

“Io e te siamo uguali.”

Merlin sollevò le sopracciglia, sciogliendo finalmente il silenzio.

“Che vuoi dire?”

Lucius fece spallucce. “Che siamo uguali. Entrambi siamo soli.”

Calò di nuovo il silenzio. Merlin registrò lentamente quelle parole, ripetendosele in testa diverse volte, ben conscio di quanto fossero vere.

“Non ti ho ancora licenziato e tu non te ne sei andato, perché siamo soli. Tutti e due.”

Non aggiunse altro ma Merlin aveva capito quanti sottointesi ci fossero in quella frase. Essere soli ti fa diventare più forte certo, ma avere qualcuno con cui percorrere la propria strada in compagnia è qualcosa in più che non si può barattare con niente. E sia lui che Lucius avevano sperimentato quella sensazione nelle ultime settimane. Si erano fatti compagnia, riempiendo quei vuoti lasciati da altre persone che nonostante tutto, ancora aspettavano.

“Credo che tu abbia ragione.” Merlin ruppe il silenzio, con la voce arrochita da un sentimento che non riusciva a definire. Era gratitudine forse? Ma c’era anche tanta tristezza e tanta frustrazione. Perché ciò che desiderava non c’era, eppure aveva accanto qualcuno che a modo suo e in una maniera un po’ strana, gli aveva fatto capire che teneva alla sua presenza.

Non era più così solo, in quella strada. E quel pensiero riempì un poco la voragine che sentiva nel petto ormai da secoli e smussava la sensazione di sentirsi sempre a metà, diviso, senza l’altra faccia della sua medaglia.

“Mi conosci così poco, davvero pensi che sia conveniente la mia presenza nella tua vita?” domandò decidendo di utilizzare un tono ironico. Era così stanco delle tragedie…
Lucius sollevò le braccia per stiracchiarle e poi intrecciò le dita dietro la nuca sospirando. “Ammetto di pentirmene ogni tanto ma sai… è come se averti tra i piedi sia la cosa più naturale del mondo, come se non avessi mai fatto altro in vita mia.”

Merlin non riuscì a cogliere a pieno quelle parole, però sorrise. La voragine nel petto che si riempiva di un’altra goccia. “Ma hai detto che sono un pessimo assistente. E poi è divertente chiamarti Raggio di Sole…”

“Merlin…”

“Sì…?”

“Non esagerare.”

“D’accordo…”

 
Continua….
 
/////
 
Hola! Buongiorno e buon lunedì! :) beh beh? Scommetto che ho aggiunto qualche altro interrogativo vero? :D lo so, mi odierete u_u ma ogni cosa ha un perché e prima o poi sarà tutto svelato!

Intanto sono curiosa di leggere le vostre teorie! Hahaahah secondo voi, perché Arthur lo chiama ma non arriva? Su su, non vi sprecate u_u attendo con ansia i vostri commenti, le vostre domande e anche le vostre minacce! (ogni riferimento a fanwriter è puramente casuale!)

Ringrazio col cuore tutti i miei lettori silenziosi (che sono tantissimi *-*), chi ha aggiunto questa storia tra le preferite, le seguite e le ricordate ma soprattutto il mio grazie va a chi fa sentire la sua voce e mi fa ridere/commuovere/migliorare con i propri commenti!

Un bacione speciale quindi a Gosa, Parre, AsfodeloSpirito, None to Blame eJaya! A Sheireen_Black 22 oltre al mio grazie, porgo anche il benvenuto!! :D E poi un grazie speciale alla mia beta Emrys che sopporta anche le mie pare mentali XD

E’ per caso il momento dell’anticipazione?? Eccola eccola u_u
 

Merlin sbadigliò ancora e guardò l’orologio. Erano le tre e mezzo del mattino. “Beh, credo sia il caso torni a casa.”

Solo allora Lucius sollevò lo sguardo su di lui interrompendo la lettura. “Resta a dormire qui.”

“Come?” chiese Merlin, sorpreso.

“Ormai è tardi per tornare a casa, a piedi poi! Resta qui a dormire, c’è la stanza che prima usava tuo nonno che è libera.”

 
E ora giù con le ipotesi! XD
Baci a tuttiiiiii
Ryta
   
 
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