“Ciao campione.
Sono un’egoista perché so che, in fondo, quello che sto
facendo lo faccio più per me che per te.
Ma non sopporto più di vederti
combattere e soffrire per me, non sopporto di vedere che stai rovinando la tua
vita, la tua carriera, il tuo sogno a causa mia.
Già alcuni mesi fa compisti
una scelta difficile: accettare la proposta di tuo padre pur di continuare la
nostra vita insieme a scapito del tuo sogno.
Non lo sopporto, non
voglio!
Sei testardo, caparbio, non ti dai mai per vinto. Leggo nei tuoi
occhi, tutti i giorni, che se potessi sconfiggere la mia malattia a mani nude,
lo faresti.
Ma non puoi e non vuoi rendertene conto.
E non ti dai
pace.
Ho già visto mio padre soffrire e quasi morire con mia madre,
struggersi fino a ridursi l’ombra di sé stesso. Non sopporto l’idea che tu debba
soffrire altrettanto.
Detesti le sconfitte, non le tolleri. Ma questa è una
battaglia persa, amore. Non mi sto dando per vinta, ma so di cosa parlo. Le
cure, nel mio caso, come in quello di mia madre, sono solo un modo per vivere
qualche mese in più.
Questo, lo vedo, non l’hai accettato e quando la verità
ti si para davanti agli occhi, ogni volta che usciamo da un ospedale, avverto il
dolore che provi.
Voglio che tu continui a vivere, a realizzare il tuo
sogno.
Anche per me.
Quando accettasti di lasciare il calcio,
mi promettesti che prima di chiudere la carriera avresti battuto
Oliver vincendo la vostra vecchia sfida ed avresti portato il Giappone
alla conquista del Mondiale.
Credo in te. Ti prego, realizza il tuo sogno
anche per me!
Se ti rimanessi accanto, non potresti farlo. Saresti intento a
seguirmi passo passo, giorno dopo giorno in una sofferenza che ti annullerebbe
l'animo e giunti all’inevitabile conclusione della mia malattia, le vite
spezzate sarebbero due e non una sola.
Ti amo, voglio che tu viva!
Ovunque io sia, sarò sempre al tuo fianco, a gioire delle tue
vittorie.
Ti amo.
Kim”
Mi aveva dato quella lettera che portava sempre con se. Era scritta in
inglese, con una calligrafia limpida e sottile.
Mentre leggevo, Benjiamin
era rimasto immobile, le braccia appoggiate mollemente sulle ginocchia, lo
sguardo perso in punto lontano del suo passato.
Quando finii di leggere lo
osservai un istante. Quanto dolore aveva forgiato quella dura corazza!
Presi
coraggio e gli parlai “Di questa, non ne sa nulla nessuno, vero?”
Sospirò,
chiudendo gli occhi “No”
“Perché?”
Aprì gli occhi: erano
freddi, duri come quando aveva davanti un avversario “Mi ha lasciato.”
Rispose.
Sentii la rabbia montarmi dentro. "Stupido, egocentrico testone!"
pensai "Ma manco a scrivertele le cose le capisci!" Ripiegai con cura la
lettera e presi fiato,frenando l'istinto omicida che mi aveva assalita e
parlai. Non me ne fregava niente se si fosse infuriato “Non ti ha
lasciato. E, comunque, non l’ha fatto nel modo che pensi tu! E se non lo hai
capito da questa lettera, beh, davvero non so cosa aggiungere!”
Si voltò,
fulminandomi con lo sguardo “Cosa vuoi dire?” sibilò a denti
stretti.
Kim aveva ragione. Testardo, caparbio, orgoglioso. Ma non stupido,
quello no! Possibile che non l’avesse capita? Sospirai, cercando di
calmarmi e di spiegarmi meglio “L’hai letta?” chiesi con voce più
pacata.
“Un milione di volte! Mi ha lasciato! Non ha avuto fiducia in me! Non
ha creduto che potessi rimanerle accanto!” si era alzato di scatto, senza
distogliere lo sguardo dal mio, affondando le mani nelle tasche del giaccone e
parlando tutto d’un fiato. Non era rabbia. Era dolore.
Rimasi dov’ero.
Lasciai che sbollisse un attimo e quando riprese a respirare, continuai “E’
per questo che non hai voluto che i tuoi amici ne sapessero nulla? Certo, quando
Karl in aeroporto ti ha visto arrivare da solo e tu gli hai detto che lei se
n’era andata per sempre lui, conoscendo la sua malattia, ha pensato fosse morta.
E tu sei stato al gioco. Perché, pensavi, mi ha lasciato. Non mi ha ritenuto
degno di starle vicino fino in fondo!” presi fiato e lo guardai dritto in
faccia “Ma lo sai che sei proprio cretino?”
Di nuovo lo sguardo di
ghiaccio dell’ SGGK. Cosa potevo aspettarmi? L’avevo volutamente provocato!
Ripresi a parlare prima che mi riempisse d’invettive “ Non si è
allontanata per quello che dici tu! Non ti ha tradito, se è questo che pensi! Ti
ha amato, e ti ama tutt’ora, ovunque sia! Semplicemente si era resa conto che
stavi dando il cento per cento per lei, lasciando da parte il resto! Perché
quando il destino ti mette davanti a una sfida, Benjiamin Price, tu parti a
testa bassa, deciso a vincere, qualunque sia il prezzo da pagare! Ma per lei
quel prezzo era troppo alto! Sapeva che, in quel modo, la sua malattia avrebbe
portato via anche te, non fisicamente, ma psicologicamente sì! Non voleva che
dopo la sua morte a te non rimanesse neppure il tuo sogno, la tua vita da
calciatore che stavi mettendo a serio repentaglio!
Ha preferito allontanarsi,
lasciarti vivere. Ti conosceva, sapeva che avresti sofferto ma che avresti
reagito. Facendo l’unica cosa che ti ha sempre salvato da tutti i tuoi guai:
giocare a calcio. Al massimo.” Mi fermai un attimo, vedendo che le mie parole
avevano sortito l’effetto voluto.
Sollevò lo sguardo alla cattedrale e parlò
ad occhi chiusi, quasi sottovoce “ Ho sempre pensato di aver sbagliato qualcosa,
allora. Temevo di non esserle stato sufficientemente accanto, di non essere
abbastanza per lei. Quando Karl venne tratto in inganno dalle mie parole,
lasciai che credesse così. Mi chiusi in me stesso e pregai tutti quanti di non
parlare mai più né di Kim, né della malattia. Misi tutto a tacere, attaccando
con violenza chiunque osasse tornare sull’argomento. I primi mesi senza di lei
furono un inferno. A maggio, come quest’anno, andammo in finale di Champions,
più per merito di Mejer che mio. Barcellona. I miei compagni vollero che fossi
io a giocare quella partita. Anche Mejer fu d’accordo "Meglio un Price fuori
forma contro Hutton, che un Mejer in formissima!"." lo vidi
sogghignare, di sé stesso.
Abbassò il viso verso di me “Lo sai com’è
finita quella partita, non è vero?”
“Si… Sonya mi ha detto che due ragazzi
sbagliarono delle punizioni che erano goal fatti e che Oliver ti spiazzò con un
tiro in area formidabile, vincendo la partita.”
Un altro sorriso triste
“Sonya è stata troppo buona…” sollevò il viso e respirò
profondamente “Se fossi stato al cento per cento l’avrei preso, quel tiro.
Ma ero stanco. Non riuscivo ad essere freddo e concentrato come al solito.
Oliver giocò contro di noi come sempre, dando il massimo. Arrivò ad essere
pericoloso più di una volta. I ragazzi della difesa fecero muro per gran parte
della partita e, in effetti, gli impedirono di tirare in più di un’occasione. Ma
quando, alla metà del secondo tempo, riuscì ad entrare in area per la seconda
volta in pochi minuti, e a tirare. Non ci arrivai. Nessuno me ne fece una colpa.
Holly mi si avvicinò mentre mi rialzavo, mi tese la mano. Aveva un’espressione
triste sul viso “Mi dispiace. Oggi non sei in te, amico…” mi disse. Alcuni
giorni dopo tornò in Germania per parlarmi. Venne a casa mia.Non me la sentii di
dirgli tutta la verità… Il mio stupido orgoglio... O forse, per me allora Kim
era veramente morta. Preferivo pensare che non fosse più, solo perché il
pensiero che fosse viva e non accanto a me era ancora più doloroso. Holly mi
aiutò a ricordare i miei sogni di una volta, il nostro incontro da ragazzini,
l’amore per il calcio. Il calcio… la mia vita e la mia famiglia… Devo a
Oliver se sono tornato a giocare con la stessa grinta di una volta. Se
sono tornato a giocare per realizzare il mio sogno e…” si
interruppe, guardando il cielo sopra la cattedrale.
“E...?”
“E il sogno di
Kim.” mi guardò sorridendo “Quello non l’ho mai dimenticato, non
credere.”
“Ma poi, la tua vita è cambiata…”
Si risedette accanto a
me “Se parli delle donne… Beh, tornai alla vita che conducevo prima di
conoscere lei. Mai più amore. Non mi interessava. La mia unica passione è il
calcio. L’amore per una donna provoca troppa sofferenza. Ne ho avuta
abbastanza.”
Il suo sguardo era d’acciaio, ma ormai sapevo cosa nascondeva.
Lasciai perdere. Per quella sera era abbastanza. Un’unica cosa m’incuriosiva
ancora. Una cosa che, bene o male, mi riguardava indirettamente “E
Kristine ?”
Sospirò serrando leggermente le labbra “Un errore. Un
grandissimo errore. Mai mettersi con la sorella del tuo migliore
amico!”
“Stupido il tuo amico che lascia che sua sorella si metta con te che,
dichiaratamente, hai dichiarato guerra all’amore! O no?”
Scosse il
capo, sorridendo appena “Vedi, io Karl e Kris eravamo amici già da diverso
tempo. Li consideravo, e li considero, come i fratelli che non ho mai avuto. Due
estati fa… beh, Kris è decisamente una bella donna e io non le ero mai rimasto
indifferente. Mi conosceva bene, sapeva cosa avevo passato. Come forse sai,
andammo in vacanza tutti e tre insieme. Vuoi che sia sincero? Forse sperai di
potermi innamorare di lei. Forse confusi l’amicizia e il gran bene che provavo
per lei, con l’amore. Kris, invece, si innamorò sinceramente. Quando me ne
accorsi, la lasciai. Perché mi ero reso conto dell’enorme sbaglio che stavo
facendo. Perché non volevo farle più male di quello che le avrei fatto
lasciandola. Perché non l’amavo. Perché, in realtà, amavo ancora Kim. Parlai con
Karl. Mi capì e non se la prese, anzi. E mi capì anche Kristine. Lo so, ci sta
ancora male. E mi ha interdetto l’accesso alle scuderie perché non vuole che le
sue “protette” rischino di fare la sua fine. Mi spiace sinceramente, è una
donna fantastica, sarebbe stata una compagna meravigliosa. Contenta?” si
voltò a guardarmi, gli occhi scuri come la notte, finalmente limpidi come un
cielo senza nuvole.
“Che il mio angioletto custode abbia una vita tanto
tormentata? No! Ma se parlare con me ti ha fatto bene, allora sì, sono molto
contenta! Tu, piuttosto, come stai?”
“Meglio… molto meglio.” mi
rivolse un sorriso, un sorriso vero “Grazie.”
“E di chè?”
Si alzò,
tendendomi una mano “Di essere quello che sei!”
Allungai la mano a prendere
la sua “Il tuo istinto non sbaglia mai, giusto?”
“Giusto.”
Mi tirò
in piedi. Rimasi per un secondo a due millimetri da lui. Alzai il viso. Mi lesse
negli occhi la domanda che non osavo fare “No, non l’ho mai più cercata.
Ho smesso di chiedermi se sia morta. Ho smesso di sperare che sia viva. So solo
che ogni vittoria la dedico a lei.Tu lo sai…”
Non sapevo cosa rispondergli.
Mi venne solo istintivo di abbracciarlo. Ricambiò stringendomi piano e
sussurrando ancora “Grazie”
“E ora?” il viso era tornato sereno, più
disteso di quando eravamo arrivati.
“E ora, a piedi!” risposi allegra.
“A
piedi?” sollevò un sopracciglio, sorpreso.
“Caro mio, siamo
in Italia! I mezzi pubblici finiscono i turni a mezzanotte e mezza!”
Tirò un
sospiro, sorridendo “Ok, allora in marcia, signorina!” mi prese
sottobraccio e ci avviammo così, chiacchierando e ridendo, verso l’auto.
La
notte dei ricordi era finita